Extinction Rebellion: i “ribelli” del clima occupano Londra

Sono parecchie migliaia le persone che da una decina di giorni stanno occupando alcuni punti nevralgici del traffico di Londra per chiedere misure contro i cambiamenti climatici: sono gli attivisti di Extinction Rebellion.

Sono ormai migliaia e da una decina di giorni stanno occupando alcuni snodi importanti del traffico di Londra, mandando l’intero centro città in tilt. Sono i “disobbedienti civili” di Extinction Rebellion , un movimento nato a ottobre 2018 in Gran Bretagna e rapidamente cresciuto in oltre 40 paesi del mondo. Anche la sedicenne svedese Greta Thunberg li ha raggiunti ed è brevemente intervenuta sul palco allestito a Marble Arch e al Parlamento inglese, mentre i “ribelli” organizzavano una marcia verso Parliament Square.

«Alcuni commentatori del Guardian vedono in questo evento l’inizio di una possibile confluenza tra i Fridays for Future ed Extinction Rebellion – spiega Gianluca Cavallo, attivista del movimento – e quindi un momento potenzialmente cruciale per il futuro delle lotte in difesa del pianeta. L’obiettivo è di costringere il governo a prendere radicali provvedimenti in difesa del clima. Convinti che i metodi tradizionali del movimento ecologista non abbiano sortito risultati soddisfacenti, gli aderenti a Extinction Rebellion hanno scelto la via della disobbedienza civile pacifica di massa. E la strategia sembra vincente».

«I manifestanti si lasciano portare via senza opporre alcuna resistenza: sono centinaia le persone arrestate dalle forze dell’ordine ma poi rilasciate dopo qualche ora – prosegue Gianluca – Così la maggioranza ha potuto tornare sui ponti e sulle piazze. Inoltre il carattere pacifico, spensierato e festoso delle manifestazioni continua a ispirare nuove persone, che ogni giorno si aggiungono alla protesta. Si può dunque prevedere che Extinction Rebellion riesca nell’intento di proseguire il blocco».

«Anche il rifiuto di andare a scuola il venerdì è un’azione di disobbedienza civile e non è da escludere che le manifestazioni dei Fridays for Future prendano una strada più radicale, se i governi dovessero continuare ad applaudirli per poterli più facilmente ignorare – prosegue l’attivista di Extinction Rebellion – I manifestanti hanno l’intenzione di mantenere il blocco finché l’amministrazione non ascolterà le rivendicazioni provenienti dalla strada. Primo, che la politica e i media trasmettano la verità in tutta la sua crudezza: che informino la popolazione sul fatto che stiamo attraversando la più grande estinzione di massa dai tempi dei dinosauri e che l’umanità stessa potrebbe essere estinta entro questo secolo. Una prognosi confermata da dati scientifici, ripresa, tra l’altro, da un recente rapporto dell’ESPAS (European Strategy and Policy Analysis System), secondo cui “un aumento di 1,5° è il massimo che il pianeta può tollerare; se le temperature dovessero crescere oltre questo limite dopo il 2030, dovremo confrontarci con più siccità, inondazioni, ondate di caldo estremo e la povertà per centinaia di milioni di persone; la probabile scomparsa delle popolazioni più deboli – e, nel peggiore dei casi – l’estinzione dell’intera specie umana”. Il secondo obiettivo di Extinction Rebellion riguarda ciò che sarebbe necessario, anche se forse impossibile: il governo deve attuare le misure necessarie per ridurre a zero le emissioni di anidride carbonica entro il 2025. Terza rivendicazione, che venga dichiarato lo stato di emergenza climatica e vengano create assemblee popolari su tutto il territorio nazionale per le gestione democratica della transizione ecologica».

«Se Londra è l’epicentro della rivolta, il movimento conta comunque migliaia di aderenti in altre parti del mondo – prosegue Gianluca Cavallo – a Berlino alcune centinaia di persone hanno dichiarato l’inizio della ribellione e bloccato uno dei maggiori ponti della città per alcune ore, senza scontri con la polizia. Le proteste sono poi proseguite in tutta la Germania. A Parigi oltre 2 mila persone hanno partecipato a un’azione di disobbedienza civile, bloccando per circa 12 ore gli ingressi dei palazzi di diverse industrie inquinanti (come Total) e del ministero dell’ambiente, accusando Macron di essere il “presidente della repubblica degli inquinanti”. A New York circa 60 persone sono state tratte in arresto in seguito ad un blocco del traffico. Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Anche in Italia sta crescendo il movimento, che ha realizzato diverse azioni minori dal nord al sud del paese, non disponendo ancora di grandi numeri. Considerando le tendenze attuali, c’è da aspettarsi che Extinction Rebellion continui a crescere. Forse riuscirà finalmente a costringere al cambiamento di cui abbiamo bisogno da decenni? Potrebbe essere l’ultima occasione per la nostra specie».

fonte: ilcambiamento.it

L’inquinamento spinge le famiglie ad abbandonare le città

Secondo uno studio condotto sugli alunni delle scuole di Londra, i bambini hanno perso fino al 5% della propria capacità polmonare a causa dell’inquinamento. Proprio la qualità dell’aria è diventato quindi un fattore determinante per la scelta della scuola e della residenza di molte famiglie. Un numero sempre maggiore di genitori sta disiscrivendo i propri figli da scuole anche rinomate per via della qualità dell’aria delle zone in cui si trovano. Alcuni di loro pensano addirittura di abbandonare le città per paura degli effetti che l’inquinamento atmosferico provocato dai veicoli diesel può avere sulla salute. Uno studio pubblicato sulla rivista Lancet ha rilevato che le emissioni dei motori a gasolio ostacolano la crescita dei polmoni dei bambini, provocando danni permanenti. La ricerca, condotta su un campione di più di 2000 studenti londinesi, è stato il primo studio in cui l’inquinamento da diesel ha rappresentato un fattore chiave.3000

“È stato rilevato che i bambini hanno perso fino al 5% della propria capacità polmonare”, ha detto Sarah MacFadyen della British Lung Foundation, che insieme al gruppo Client Earth ha fondato la rete dei Genitori per l’Aria Pulita, un gruppo che esercita pressione sui politici affinché adottino provvedimenti atti a migliorare la qualità dell’aria nelle città. “È una cosa che a loro non verrà mai restituita – ha aggiunto –, qualcosa che durante tutta la loro vita li esporrà al rischio di contrarre infezioni e problemi respiratori, tutto perché hanno respirato mentre andavano o tornavano da scuola, al parco o semplicemente in giro insieme alle loro famiglie”.

Un sacco di informazioni – incluse discussioni su forum online, sondaggi condotti presso i genitori e prove anedottiche fornite da enti sanitari – suggeriscono che le preoccupazioni dei genitori stanno diventando tanto forti da indurli a considerare la qualità dell’aria come un fattore determinante nella scelta della scuola per i propri figli, mentre un numero più ridotto ma in costante crescita di famiglie sta abbandonando del tutto le città.

“È incredibile che nel 21esimo secolo i genitori britannici debbano arrivare a trasferirsi con le loro famiglie per sfuggire a un inquinamento illegale che minaccia i loro figli”, ha dichiarato Andrea Lee di Client Earth. “Questo accade quando il Governo non vuole investire risorse e attuare politiche per risolvere quella che sta diventando una crisi sanitaria”.

Ben Paul, un architetto che vive con la moglie nella zona di Bloomsbury, nel centro di Londra, ha detto che ha cominciato a preoccuparsi dell’inquinamento atmosferico dopo la nascita del suo primo figlio, nove anni fa. “Stavamo pulendo i muri quando hanno cominciato a diventare neri”. Paul ha iniziato a frequentare associazioni ambientaliste e a monitorare la qualità dell’aria, “quasi ovunque non conforme ai limiti imposti dalla legge europea”, ha evidenziato.

Ora ciò che vede come una serie di fallimenti da parte delle amministrazioni locali e nazionali nella lotta all’inquinamento lo hanno spinto a progettare un futuro fuori città: “Siamo al punto in cui stiamo già pensando a trovare una nuova scuola per mio figlio. Dobbiamo forse rimanere in questa zona, che non ha registrato riduzioni significative dell’inquinamento negli ultimi cinque anni? Alcuni provvedimenti allo studio potrebbero portare piccoli miglioramenti, ma sono piuttosto scettico”.

Quest’anno l’associazione no profit Living Streets ha consegnato un rapporto al Ministro dei Trasporti chiedendo azioni urgenti per migliorare i percorsi casa-scuola. L’associazione, che ha denunciato che più di 2000 istituti scolastici sono nella zona in cui i valori dell’aria sono oltre i limiti, ha reso pubblici dei dati che mostrano che l’inquinamento atmosferico è il primo criterio di scelta per il 10% delle famiglie che devono decidere dove mandare i figli a scuola e un fattore importante per il 25%.2835

Un sondaggio condotto da Mumsnet ha rilevato che alcuni genitori sono così preoccupati da aver pensato di trasferirsi. Quasi il 40% delle mamme e papà dell’area metropolitana londinese ha pensato di lasciare la propria casa, mentre nelle altre aree urbane questa percentuale scende al 28%. In un post recente su Mumsnet, una madre ha spiegato che lei e suo marito vorrebbero mandare loro figlio in una delle due scuole private dell’area sud-ovest di Londra, una delle quali dista 12 minuti di autobus e l’altra 45 minuti. Ha detto che avevano deciso per la prima, cambiando però idea in seguito per via dei dati relativi all’inquinamento dell’area in cui si trovava. MacFayden ha evidenziato che un numero sempre maggiore di genitori che vivono in aree urbane hanno considerato seriamente l’ipotesi di abbandonare la città: “È una cosa di cui abbiamo avuto molte testimonianza ed è chiaro che la gente è preoccupata”, ha dichiarato. “Questa tendenza è destinata a crescere in futuro. Una serie di battaglie contro i politici che hanno fallito nel combattere l’inquinamento hanno risvegliato la coscienza delle persone”.

Scandali come quello che ha coinvolto la Volkswagen hanno anche attirato l’attenzione sull’impiego della tecnologia: i genitori più aggiornati adesso si servono di app per monitorare la qualità dell’aria delle varie strade della città in modo da evitarle mentre accompagnano i figli a scuola.

“Sull’inquinamento atmosferico esistono tantissime informazioni. Sappiamo per certo che può causare il cancro ai polmoni a persone con patologie polmonari. Li espone a rischi molto gravi. Molte pubblicazioni hanno messo in relazione la qualità dell’aria con diversi tipi di tumore, diabete, Alzheimer e obesità”.

Qui l’articolo originale.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/11/inquinamento-famiglie-abbandonare-citta/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Londra sperimenta le strade a emissioni zero

La Low Emission Zone voluta dal sindaco Khan non basta a limitare l’inquinamento e Londra pensa di limitare la circolazione alle sole auto elettriche e ibride.http _media.ecoblog.it_3_3f7_londra-strade-emissioni-zero

Solo auto elettriche e ibride plug in in alcune strade di Londra: è così che la capitale del Regno Unito sta pensando di risolvere lo storico problema dell’inquinamento cittadino causato dalla circolazione di automobili diesel e benzina.

L’idea, perché di questo ancora si tratta, è stata annunciata da Ruth Calderwood, air quality manager della City of London. In una intervista rilasciata al Financial Times la Calderwood ha candidamente ammesso che la cosiddetta Ultra Low Emission Zone (la zona a traffico limitato voluta dal sindaco Sadiq Kahn e che entrerà in vigore a partire da aprile 2019) non basterà a far scendere l’inquinamento.

Comprendiamo che l’Ultra Low Emission Zone non sarà sufficiente per soddisfare i valori limite, quindi dovremo guardare a ulteriori misure per le nostre strade più trafficate. Stiamo studiando la fattibilità di una Ultra Low Emission Street“, ha spiegato la Calderwood.

Una strada con restrizioni al traffico ancora più forti, sulla quale potranno circolare praticamente solo automobili elettriche e ibride plug in. A questa si aggiungeranno agevolazioni tariffarie per il parcheggio delle auto ecologiche. Ma come funzionerà questa strada riservata alle auto elettriche e, soprattutto, quale sarà? Ce ne sarà più di una?

L’air quality manager ammette che è ancora tutto da studiare: “Poiché non lo abbiamo ancora mai fatto, ci sarà un programma pilota su una piccola strada per capire quanti veicoli saranno autorizzati a passare. Vogliamo essere sicuri della disponibilità dei veicoli: non vogliamo introdurre qualcosa destinato a diventare un problema“.

Tutto ancora da decidere, quindi. L’unica cosa certa è che Londra ha seri problemi di inquinamento, dovuti (anche) al traffico urbano. Dal 2010, praticamente ininterrottamente, la città sfora i livelli consentiti di biossido d’azoto.

Tra i punti più critici, secondo i dati forniti dalle centraline di rilevazione degli inquinanti, del particolato e dei PM10, ci sono Thames Street e Beech Street. Al momento a Londra circolano solo 12.000 veicoli elettrici, ma questo numero è destinato a salire grazie alle recenti normative in vigore da inizio 2018 che impongono ai tassisti l’acquisto di veicoli “Zero Emission Capable“, cioè in grado di percorrere almeno 30 miglia esclusivamente a batteria. Nel frattempo la capitale inglese sta lavorando anche sul trasporto pubblico locale: è infatti in corso un corposo programma di sostituzione della flotta di autobus urbani, attualmente in gran parte a gasolio, con autobus elettrici. Recentemente ne sono stati acquistati altri 68, portando il numero totale di mezzi pubblici elettrici a 240.

Fonte: ecoblog.it

Autobus elettrici: a Londra altri 68 bus green

Aggiudicato il bando per la fornitura di altri 68 bus elettrici per la Città di Londra, saranno della cinese BYD e dell’indiana Optare.http _media.ecoblog.it_3_3b8_autobus-elettrico-byd

La città di Londra continua a spingere per una mobilità sostenibile e il più possibile elettrica con l’acquisto di 68 nuovi autobus a batteria e a emissioni zero. A vincere il bando per la fornitura sono state la cinese BYD (37 veicoli) e l’inglese Optare (controllata dal gruppo indiano Hinduja, 31 veicoli). I nuovi autobus elettrici cominceranno a girare per le strade di Londra entro la primavera-estate 2019. Si tratta dei modelli BYD ADL Enviro400EV e Optare Metrodecker EV, entrambi in versione “Double Decker” a due piani in pieno stile londinese.  Il primo è un bus da 10,9 metri con batterie al fosfato di ferro prodotte dalla stessa BYD e posizionate nella parte anteriore bassa del mezzo e in quella posteriore. Servirà la Route 43 che da London Bridge arriva fino a Friern Barnet, tagliando Londra da sud a nord e viceversa con 100 posti passeggero tra in piedi e seduti. http _media.ecoblog.it_d_dcd_autobus-elettrico-optare

L’Optare Metrodecker EV, invece, farà la Route 134 da North Finchley a Tottenham Court Road, anche questa in direzione nord-sud. E’ lungo 10,5 metri e può trasportare fino a 99 passeggeri. Ha batterie al fosfato di ferro-magnesio. Già da alcuni anni Londra ha puntato sulle motorizzazioni elettriche per il suo trasporto pubblico e, quando anche questi 68 mezzi entreranno in funzione, avrà un parco autobus circolante in elettrico di 240 veicoli in totale ai quali vanno aggiunti molti altri autobus ibridi.

Fonte: ecoblog.it

A Londra UPS consegna i pacchi con i rimorchi elettrici a pedalata assistita

Il noto corriere espresso sta sperimentando, a Londra, un nuovo servizio di delivery con biciclette e carrelli elettrici.a-londra-ups-consegna-i-pacchi-con-i-rimorchi-a-pedalata-assistita4

Il corriere UPS sta sperimentando al centro di Londra, dall’inizio di questo mese di novembre, una nuova soluzione a impatto zero per la consegna dei pacchi. Il tratto dell’ultimo miglio, quello tra il deposito e il destinatario del pacco. Le consegne vengono effettuate a bordo di una bicicletta tradizionale, alla quale è collegato un carrello con motore elettrico. Con questo sistema (che in pratica è molto simile ad una e-bike) il ciclista non sente il peso del carrello e delle merci, che può arrivare anche a 200 chilogrammi, è riesce a raggiungere facilmente le sue destinazioni nel centro di Londra. E’ ancora un esperimento, realizzato all’interno del progetto Low Impact City Logistics, che vede la partecipazione, oltre a UPS, anche di Fernhay, Skotkonung, dell’Università di Huddersfield, e di Outspoken Delivery.

Low Impact City Logistics è un progetto collaborativo che potrebbe rivoluzionare il modo in cui consegniamo i pacchi nelle nostre città – spiega Peter Harris, direttore della Sostenibilità in UPS – UPS ha una lunga storia nello sviluppo e nella promozione dell’uso sostenibile della tecnologia e dei metodi di consegna, e questa collaborazione faciliterà una soluzione di consegna urbana unica al mondo

Il carrello è ovviamente a emissioni zero, poiché spinto da un motore elettrico comandato da una leva sul manubrio della bicicletta. E’ dotato di una batteria, che viene ricaricata al deposito UPS. Dicevamo che si tratta di un esperimento, ma non è il primo per UPS che già altrove, in USA, ha sperimentato soluzioni simili. Ad esempio a Pittsburgh, in Pennsylvania, dove da agosto di quest’anno UPS sta sperimentando la consegna dei pacchi a bordo di uno strano triciclo elettrico. In pratica una e-bike a tre ruote cassonata, una soluzione più spaziosa ma più ingombrante rispetto alla bicicletta con carrello elettrico in fase di test a Londra.  A questi esperimenti, infine, vanno aggiunte soluzioni già esistenti in alcune città dove UPS consegna, come le biciclette con rimorchio tradizionale non elettrificato. Queste ultime vengono usate soprattutto per consegne di pacchi leggeri in zone dove, per restrizioni del traffico, i mezzi a motore termico non possono circolare. E’ probabile che, se l’esperimento londinese otterrà buoni risultati e se i costi di consegna non aumenteranno troppo, anche in altre città del mondo inizieranno a girare queste biciclette UPS con rimorchio elettrico a pedalata assistita.

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Fonte: ecoblog.it

Le capitali europee e la mobilità sostenibile. A Londra debutta il primo bus elettrico a due piani

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double decker, i bus a due piani, sono uno degli elementi più caratterizzanti della mobilità pubblica londinese. Il vulcanico e controverso sindaco Boris Johnson nei suoi otto anni di doppio mandato ha lavorato sodo per implementare la mobilità sostenibile e l’ultima novità riguarda il lancio da parte di Transport for London del primo bus elettrico a due piani del mondo. Costruito in Cina, il bus ha un’autonomia di 180 miglia e può essere ricaricato in una notte. Londra non è la sola città europea che si sta impegnando per ridurre le emissioni attraverso una politica di mobilità sostenibile che va dall’implementazione delle piste ciclabili al rinnovo del parco taxi con vetture in grado di trasportare più persone. Amsterdam ha in progetto di convertire all’elettrico tutta la sua flotta di bus. La città olandese, già all’avanguardia in tema di mobilità sostenibile e celebre in tutto il mondo per l’utilizzo diffusissimo della bicicletta, studia di abbandonare totalmente gli autobus a benzina entro il 2025. Ma non solo: anche i battelli che percorrono i canali della città diventeranno “verdi”. La capitale finlandese, Helsinki, ha in progetto di arrivare a far circolare 400 bus elettrici nelle sue strade entro il 2025, una cifra che corrisponderebbe al 40% della sua flotta; un altro 20%, invece, dovrebbe essere ibrido. Una particolarità dei nuovi bus finlandesi è la rapidità di ricarica: le batterie possono essere ricaricate non solo nei depositi ma ad ogni fermata, mentre i passeggeri scendono e salgono. Va verso una mobilità urbana più sostenibile anche Budapest, dove da qualche giorno è attivo il bus più lungo del mondo: si chiama Urbos 3/9 CAF, è lungo quasi 56 metri e può trasportare 345 persone. Lubiana, capitale della Slovenia, ha ricevuto dalla Commissione Europea il titolo di Capitale Verde Europea 2016. La città ha avuto una profonda trasformazione negli ultimi anni, ed è stata premiata perché ha saputo rivitalizzare il trasporto pubblico e incentivare l’uso delle bici.

Fonte: Independent | Tree Huggher | Think railways

A Londra piccioni “sentinelle” dell’inquinamento

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Si chiama Pigeon Air Patrol il progetto di monitoraggio dell’inquinamento atmosferico lanciato da DigitasLBi e Plume Labs nei cieli di Londra. Dopo essere stati impiegati per molti anni in campo militare, ora i piccioni verranno dotati di una sorta di mini-zainetto equipaggiato con dei sensori in grado di controllare il biossido di azoto, l’ozono e altri composti volatili. Plume Labs è un’azienda hi tech che aiuta i consumatori a tracciare e ridurre la loro esposizione all’inquinamento atmosferico, mentre DigitasLBi è una delle più grandi agenzie globali di marketing e tecnologia. Le due aziende hanno equipaggiato dieci piccioni con le mini centraline per la registrazione dell’inquinamento.  Le persone possono twittare la loro posizione a @PigeonAir e scoprire quali livelli di inquinamento siano stati registrati nella loro zona ed è anche possibile visualizzare i movimenti dei piccioni in volo su di una mappa live.CdhhSTQUUAM5eIQ

I piccioni compiono il loro “lavoro” sotto il monitoraggio di un veterinario che si assicura che non soffrano alcun tipo di disagio. Plume Labs ha detto che 10mila persone muoiono per l’inquinamento atmosferico ogni anno nella sola Londra. Pigeon Air Patrol mira a incoraggiare i londinesi a diventare essi stessi tester di questo innovativo sistema di misurazione dell’inquinamento che utilizza i piccioni, volatili di grande intelligenza e con uno spiccatissimo senso dell’orientamento.

Fonte:  BBC

Londra, blitz di Greenpeace con Emma Thompson alla Shell

LONDON, ENGLAND - SEPTEMBER 02:  Emma Thompson places a giant paw sticker on the outside of the Shell Building on September 2, 2015 in London, England. The sticker contains the names of some of the 7 million people who have signed up to the arctic movement. As part of the protest, 64 activists and puppeteers have also manoeuvred a giant polar bear puppet the size of a double decker bus to rest just metres away from Shell's front entrance. It's intended the polar bear titan will remain fixed there until Shell's Arctic drilling window ends later this month.  (Photo by Ben Pruchnie/Getty Images)

LONDON, ENGLAND - SEPTEMBER 02:  A general view of the giant polar bear puppet outside the Shell Building on September 2, 2015 in London, England. As part of the protest, 64 activists and puppeteers manoeuvred a giant polar bear puppet the size of a double decker bus to rest just metres away from Shell's front entrance. It's intended the polar bear titan will remain fixed there until Shell's Arctic drilling window ends later this month.  (Photo by Ben Pruchnie/Getty Images)

Sessantaquattro attivisti di Greenpeace, tra i quali c’è anche la famosa attrice britannica Emma Thompson, hanno portato oggi una grande riproduzione di un orso polare, alto quanto un autobus a due piani, davanti all’ingresso del quartier generale della Shell a Londra. Aurora, così è stato chiamato il gigantesco orso finto, resterà davanti al palazzo della multinazionale petrolifera anglo-olandese fino alla fine del mese, perché questo è il tempo limite per la Shell per trovare gli idrocarburi nell’Artico prima della fine dell’inverno. La multinazionale ha ottenuto solo pochi giorni fa il permesso dall’amministrazione Obama di iniziare le trivellazioni. Sei attivisti si sono incatenati tra le zampe dell’orso per evitare che venga spostato. Aurora ogni tanto emette una sorta di ruggito. Lo scopo di questa azione è ovviamente quello di chiedere alla Shell di disattivare i suoi impianti di perforazione e abbandonare l’Artico. Oltre sette milioni di persone hanno già aderito all’appello di Greenpeace per difendere l’Artico. L’attrice Emma Thomson, che sostiene l’iniziativa in prima persona, ha commentato:

“Ho deciso di unirmi agli attivisti perché soffro nel pensare che la Shell sia lì, a trivellare per cercare il petrolio. Sono qui per dire no. Perché tutto questo deve finire. Insieme ad altri milioni di persone chiedo che vada via dall Artico prima del 28 settembre. Stiamo a vedere cosa accade. Io sono orgogliosa di essere qui con loro per questa causa”

Fonte: ecoblog.it

Londra, la più grande pista ciclabile d’Europa: l’annuncio di Boris Johnson

Boris Johnson, sindaco di Londra annuncia che la più grande pista ciclabile d’Europa sarà costruita proprio nella sua città. Boris Johnson, sindaco di Londra ha annunciato il via libera alla pista ciclabile più lunga e protetta d’Europa ovvero il progetto Crossrail for the bike. D’altronde la promessa è stata fatta in campagna elettorale e andava mantenuta perché come ha ammesso lo stesso Johnson si sarebbe poi verificato un “suicidio elettorale”. Il progetto prevede due autostrade per biciclette che si incrociano al centro di Londra (da nord a sud da King Cross a Elephant and Castle e da est a ovest da Barking a Acton) il cui progetto ha ricevuto l’84 per cento su 21.500 risposte, nella consultazione pubblica e la costruzione inizierà il prossimo mese di marzo con un budget di 900 milioni di sterline. Le piste ciclabili a due vie saranno separate dal traffico motorizzato, che corre lungo il Victoria Embankment e attraverso Parliament Square.londra-pista-ciclabile-2

Questa settimana i parlamentari hanno anche approvato la cycling and walking investment strategy come un emendamento al Infrastructure Bill, che giuridicamente obbliga il governo a creare un piano a lungo termine per stimolare il ciclismo in tutta la Gran Bretagna e per creare un budget dedicato alla sua attuazione. Alla domanda se i partiti politici dovrebbero impegnarsi in finanziamenti significativi per il ciclismo per il resto del paese nei loro programmi, il sindaco di Londra ha risposto

Sì, assolutamente. Sono sicuro che sarà anche nei programmi dei conservatori. Altre partiti possono suicidarsi, se vogliono, omettendo la promozione della bicicletta.

Un sondaggio YouGov scorsa settimana ha mostrato che due terzi degli elettori urbani sostiene gli investimenti nel ciclismo tanto che il sindaco Johnson ha aggiunto:

Abbiamo bisogno di una rivoluzione in bicicletta in tutto il Paese nel suo complesso e credo che dovremmo guardare in maniera molto più approfondita a un di collegamenti per tutta la Gran Bretagna. I londinesi lo hanno sempre sognato per anni, la gente vuole andare in bicicletta in maniera sicura e in un ambiente protetto e abbiamo avuto modo di farlolondra-pista-ciclabile-1

Ogni percorso avrà una capacità di 3.000 ciclisti all’ora, pari a 41 autobus a due piani o a cinque treni della metropolitana completi all’ora. I piani andranno al consiglio TfL per l’approvazione definitiva la prossima settimana, mentre il Bill Infrastructure andrà alla Camera dei Lord nel prossimo mese prima di ricevere l’assenso reale.

Fonte:  The Times
Foto | Vivi Londra@facebook

30 tonnellate di cibo recuperate a Londra in tre anni, l’attività di Best Before Project diretta da due “torinesi”

Davide ed Elvira e il team Best Before Project si impegnano nel combattere spreco e povertà alimentare nella capitale britannica. Attività a 360°: dal recupero di cibo scaduto, alla sua ridistribuzione e, per finire, all’organizzazione di campagne ed eventi di sensibilizzazione e informazione380322

di Albana Muco

89 milioni di tonnellate di cibo, ovvero 180 kg pro capite, sprecate ogni anno nei paesi dell’Unione Europea. Questi numeri, e altri ancora, si trovano nell’ultimo rapporto sullo spreco alimentare del Servizio Ricerca del Parlamento europeo. Dopo la pubblicazione di tale documento, il Parlamento stesso ha chiesto che il 2014 venisse proclamato “Anno europeo contro gli sprechi alimentari”. Tra le numerose realtà, piccole e grandi, che si dedicano a contrastare il fenomeno, troviamo in prima linea anche l’organizzazione no-profit Best Before Project, attiva a Londra dal 2011. Intervistiamo Elvira Del Valle Cenizo e Davide Biasco, in passato cittadini “torinesi” e ora “londinesi”, per capire meglio le attività di Best Before Project e l’impatto dello spreco alimentare nel mondo.

Come siete entrati a far parte di BBP?

Davide: Prima di trasferirci da Torino a Londra, un’amica ci ha parlato dell’organizzazione e delle attività contro lo spreco alimentare. Ci ha invitati a partecipare a uno dei meeting che si tenevano periodicamente. Era uno di quegli incontri in cui si parlava delle decisioni dell’organizzazione, si presentavano le attività ai nuovi volontari e collaboratori. La mission dell’organizzazione ci ha subito appassionato.

Elvira: Inizialmente abbiamo dato il nostro contributo come volontari, poi ci siamo iscritti. Da circa 11 mesi, praticamente da quando è stato scelto il nuovo consiglio d’amministrazione, io sono diventata tesoriere e Davide direttore. 
Di cosa si occupa BBP?

Elvira: L’attività dell’organizzazione è cominciata con il recupero di cibo scaduto, che veniva depositato nei nostri magazzini e infine ridistribuito o consegnato a enti e organizzazioni di beneficienza. Attualmente ci dedichiamo molto di più alle campagne ed eventi di sensibilizzazione e informazione. Mettiamo in secondo piano la raccolta, poiché desideriamo strutturarci meglio. Quando abbiamo cominciato tutti facevano tutto, non c’era una netta divisione dei compiti. Inoltre, le persone coinvolte non dedicavano moltissimo tempo alle attività dell’organizzazione. Col passare del tempo, abbiamo cercato di gestire meglio le attività e i compiti, per avere un’organizzazione più sostenibile ed efficiente. Le persone hanno diversi impegni, considerando anche il fatto che si vive a Londra. Se manca la forza lavoro il progetto stesso rischia di collassare.

Davide: In passato eravamo più concentrati sul recupero e sulla ridistribuzione, come ha detto Elvira; raccoglievamo e recuperavamo il cibo conservato dai negozi di piccoli e grandi commercianti che non volevano venderlo, perché ormai scaduto. “Collaboriamo” con qualche decina di piccoli negozianti e una dozzina di distributori all’ingrosso. Produttori o operatori del settore alimentare ci contattano, via mail o telefonicamente, grazie anche alla nostra rete di contatti ed associazioni anti food waste. Posso dire che nello spreco alimentare è coinvolta tutta la catena di distribuzione, comprese le industrie manifatturiere. Oltre alla scadenza, ci sono anche altre problematiche che fanno sì che il cibo venga buttato: scatole ammaccate, etichettatura con qualche mancanza, oppure prodotti con proporzioni o dosi di ingredienti eccessivi o inferiori rispetto a quanto definito in una determinata ricetta. Prodotti mangiabilissimi che vengono buttati senza battere ciglio. Noi recuperiamo questi prodotti, dopo averli depositato nei nostri magazzini in giro per la città, li ridistribuiamo. Siamo riusciti a muovere e a salvare svariate tonnellate di cibo. In tre anni 30 tonnellate, mediamente un furgone al mese. Non è un lavoro semplice, considerando il tempo impiegato per tutti questi movimenti, aprire e chiudere i magazzini quando necessario, prendere il furgone e andare a recuperare il cibo. Le distanze a volte sono un problema. Se si ha la fortuna di avere a che fare con un grande distributore, c’è più possibilità che il cibo venga portato direttamente nella nostra sede. Diciamo che i nostri “fornitori” si trovano nell’arco di 30 km.
Di recente, invece, ci stiamo focalizzando soprattutto sugli eventi informativi ed educativi. Ci siamo resi conto che salvavamo solamente un volume di cibo che possiamo definire una goccia nell’oceano dello spreco alimentare e abbiamo compreso ancora di più il grande valore della formazione-informazione. Ci siamo proposti, quindi, di cambiare approccio, perché abbiamo compreso che l’educazione ha un maggiore impatto sulla lotta contro lo spreco alimentare. Informiamo ed educhiamo attraverso newsletter, social network, partecipando a vari eventi in giro per la città, nelle scuole. Diciamo che siamo diventati più consapevoli del ruolo attivo che deve avere la cittadinanza nei confronti della lotta allo spreco alimentare. Ci rivolgiamo a tutti, cittadini, rivenditori, a chi si occupa delle grandi catene di distribuzione, perché le leggi sono a nostro favore. Ad esempio, la legge europea Defra permette che i prodotti “best before date”, dicitura di scadenza presente nell’etichetta che in italiano equivale a “consumarsi preferibilmente entro il”, siano vendibili. Noi di BBP diciamo “vendibili, ma con una diminuzione del prezzo”. Ovviamente si tratta di un cibo di qualità inferiore a quello fresco, però è perfettamente sano e non causa nessun problema.

Da quante persone è composto il vostro gruppo?

Davide: Il nostro team non è molto grande, 7 persone lavorano e partecipano attivamente, altre 4 aiutano sporadicamente. Non bisogna dimenticare, però, le persone facenti parte di altre associazioni con le quali collaboriamo quando organizziamo eventi comuni, oppure quando c’è la necessità di trasportare o spostare il cibo recuperato.
Potete spiegarci la differenza tra “best before date”, ovvero “consumarsi preferibilmente entro il” e “used by”, ovvero “consumarsi entro il”? È chiara la somiglianza tra la prima dicitura e il nome della vostra organizzazione. 

Elvira: Sì, il nostro nome Best Before Project rispecchia proprio quella dicitura. Entrambe le formule che hai nominato, indicanti la scadenza, sono le uniche legali. Ne esistono anche delle altre che non hanno valore legale, ma influenzano moltissimo il consumatore. “Consumarsi preferibilmente entro il” ha a che fare con la qualità di un prodotto. Se si consuma dopo la data di scadenza riportata e se conservato correttamente, il cibo subisce un lento decadimento qualitativo, ma è perfettamente commestibile. Basarsi solamente sulla scadenza significa sprecare e buttar via inutilmente non solo i prodotti alimentari, ma anche i materiali in cui sono conservati. Non è possibile riciclare i contenitori alimentari, poiché tutto finisce in discarica. Diciamo che sprechiamo contemporaneamente, cibo, materiali utili, energia, soldi e causiamo anche danni all’ambiente. Le etichette hanno un ruolo fondamentale e le persone devono saperle comprendere. Nel caso in cui ci sia la dicitura “consumarsi entro il”, se il cibo viene consumato può diventare nocivo per la nostra salute. Va rispettata, perciò, la data indicata. Vorrei aggiungere, inoltre, che è molto importante assaggiare il cibo, usare i nostri sensi, non fermarci solamente al “consumarsi preferibilmente entro il”.

Quali sono gli ultimi eventi che avete organizzato?

Elvira: Abbiamo organizzato un picnic vicino ad Harrow, utilizzando ovviamente il cibo dei nostri magazzini, con l’obiettivo di sensibilizzare i residenti di quella zona. A giugno abbiamo organizzato un brunch in un ristorante vicino al quartiere Shepherd Bush, per partecipare si doveva pagare un prezzo simbolico. Siamo stati presenti in eventi organizzati da altre associazioni che si occupano di food waste, noi forniamo il cibo e loro informano sulle nostre attività. Inoltre, nel quartiere di Lambeth l’amministrazione locale distribuisce i nostri volantini informativi. Stiamo instaurando un buon rapporto con le suddivisioni amministrative della città, questo è un ottimo traguardo e speriamo di poter procedere sempre meglio.

Quali sono i vostri obiettivi futuri?

Davide: Per quanto riguarda gli obiettivi a breve termine, vogliamo trovare dei nuovi volontari, persone che possano svolgere determinati compiti. Attualmente ci manca qualcuno/a che si occupi del profilo di Facebook, a differenza di quello di Twitter, non è molto dinamico; poi una persona che gestisca il profilo Google plus, una per il sito e una per la newsletter. Inoltre, siamo cercando soprattutto di assumere un fundraiser che lavori a tempo pieno per l’associazione. Questo ci permetterebbe di trovare più fondi, gestire meglio la comunicazione, la ridistribuzione. Altro obiettivo, registrarsi come organizzazione di beneficienza, charity, perché abbiamo abbastanza soldi per poterlo fare. Questo cambiamento ci permetterebbe di internazionalizzarci e accedere alle sovvenzioni a disposizione delle associazioni di volontariato. Il nostro obiettivo a lungo termine è, innanzitutto, quello di offrire più scelta ai consumatori riducendo lo spreco alimentare e, qualora fosse possibile, riempire container e spedirli dove il cibo scarseggia, dove la povertà alimentare regna.

Elvira: I soldi purtroppo servono, e questa è una cosa che purtroppo non viene compresa, soprattutto in Italia. Ciò che viene guadagnato viene reinvestito nell’organizzazione stessa per raggiungere gli scopi prefissati. Un’organizzazione è un’azienda in tutto e per tutto, ha un bilancio che non deve essere negativo. In Inghilterra questa cosa è ben compresa da tutti; a differenza degli italiani, gli inglesi sanno molto bene che per fare una determinata cosa servono i soldi. Diversamente da altre organizzazioni o associazioni, che si trovano nell’Inghilterra del nord, noi non vendiamo il cibo recuperato e quindi esso non è una fonte di guadagno che ci permette di realizzare le nostre attività. Proprio per questo motivo cerchiamo di raccogliere fondi. Non siamo contro chi lo vende, ma vogliamo mantenere la nostra linea: non vendere, ma educare le persone a consumarlo e a comprarlo.

Fonte: ecodallecitta.it