I lockdown per Covid in Europa hanno evitato oltre 800 morti grazie a un miglioramento della qualità dell’aria

Lo dice un nuovo studio pubblicato da Copernicus Atmosphere Monitoring Service insieme alla London School of Hygiene and Tropical Medicine (LSHTM), che ha esaminato la correlazione tra le diverse misure governative adottate nella prima fase della pandemia, la diminuzione dei principali inquinanti in 47 grandi città europee e il tasso di mortalità associata. I risultati confermano le stime precedenti, secondo cui la diminuzione dell’inquinamento si è tradotta in centinaia di decessi evitati

Patrice Calatayu / Flickr cc

Secondo nuovo studio pubblicato da Copernicus Atmosphere Monitoring Service (CAMS) insieme alla London School of Hygiene and Tropical Medicine (LSHTM), durante la prima fase di lockdown in Europa per la pandemia da Covid_19, sono stati evitati oltre 800 morti grazie a un miglioramento della qualità dell’aria. Lo studio peer-reviewed ha esaminato gli effetti quantitativi della riduzione dei livelli di inquinamento e, per la prima volta, ha messo quantitativamente a confronto l’impatto delle diverse misure politiche adottate nei diversi paesi dell’Unione. I risultati confermano le stime precedenti, secondo cui la diminuzione dell’inquinamento si è tradotta in centinaia di decessi evitati in tutte le città.

I risultati più importanti dello studio:

  • L’impatto delle diverse misure politiche riscontrato sulla qualità dell’aria variava sensibilmente tra le misure adottate.
  • Le misure che hanno limitato la quotidianità, come la chiusura di scuole e luoghi di lavoro, hanno avuto l’impatto più significativo sui livelli di inquinamento dell’aria. Le restrizioni relative ai viaggi nazionali e internazionali, tuttavia, hanno evidenziato un minor impatto sui livelli di inquinamento locale.
  • Gli scienziati stimano un totale di oltre 800 decessi evitati grazie al miglioramento della qualità dell’aria derivante dalle misure governative adottate per limitare la diffusione del virus SARS-Cov-2.

    Gli scienziati impegnati nello studio hanno esaminato la correlazione tra diverse misure governative, la diminuzione dei principali inquinanti normativi tra cui NO2, ozono, particolato fine PM2.5 e PM10 in 47 grandi città europee, e il tasso di mortalità associata durante il periodo iniziale della pandemia COVID-19 in Europa (dal mese di febbraio a luglio 2020).
  • I dati relativi alla prima fase di lockdown per COVID possono aiutare a progettare strategie di inquinamento atmosferico più efficaci

Il principale risultato della ricerca ha dimostrato che l’esito differiva notevolmente tra i vari interventi. Ad esempio, la chiusura di scuole e luoghi di lavoro, la cancellazione di eventi pubblici e l’obbligo di restare a casa hanno avuto l’impatto più significativo sulla riduzione dei livelli di NO2. Viceversa, le restrizioni relative a viaggi nazionali e internazionali hanno avuto un impatto minimo sui livelli di inquinamento dell’aria locale. È significativo notare che lo studio ha quantificato i cambiamenti nei decessi prematuri causati da cambiamenti dell’inquinamento a breve termine in tutte le città. Utilizzando i cambiamenti osservati nelle concentrazioni giornaliere degli inquinanti studiati, combinati con la valutazione dell’esposizione delle persone, gli scienziati stimano che un totale di oltre 800 decessi sono stati evitati grazie al miglioramento della qualità dell’aria derivante dalle misure governative adottate al fine di limitare la diffusione del virus SARS-Cov-2. Parigi, Londra, Barcellona e Milano risultano essere tra le prime sei città con il maggior numero di decessi evitati.

Le città spagnole, francesi e italiane hanno sperimentato la maggiore diminuzione di NO2 tra il 50% e il 60% nel periodo, e questo inquinante si è considerevolmente ridotto in tutta Europa. Le riduzioni di altri inquinanti sono state meno marcate. Tale risultato era atteso, in quanto circa la metà delle emissioni di NO2 vengono generate dal trasporto stradale, che rappresenta il settore più colpito dalle restrizioni governative. Il trasporto stradale contribuisce in maniera sensibilmente inferiore alle emissioni totali degli altri inquinanti esaminati. Questo studio all’avanguardia si è basato sui dati di superficie forniti da CAMS utilizzando un insieme di modelli di qualità dell’aria regionali al fine di comparare le concentrazioni dei principali inquinanti atmosferici ottenute grazie a due scenari specifici di emissioni inquinanti, uno corrispondente a condizioni di “business-as-usual” e l’altro corrispondente a una stima dettagliata delle emissioni risultanti dalle misure governative effettive adottate quotidianamente durante il primo lockdown – variabili a seconda del paese – e per ciascuno dei principali settori di attività (traffico stradale, industria…).

Gli scienziati responsabili dello studio hanno utilizzato questo dataset unico sull’inquinamento atmosferico di CAMS e un approccio metodologicamente avanzato al fine di valutare i singoli interventi politici in ogni città e i relativi effetti sulla diminuzione dei livelli di inquinamento. Sebbene gli effetti siano stati variabili come previsto, è stata osservata un’importante diminuzione di NO2 e, in minor misura, del particolato fine PM2.5 e PM10 nelle aree nelle quali sono state imposte chiusure più severe.

Vincent-Henri Peuch, Director of the Copernicus Atmosphere Monitoring Service (CAMS), ha commentato:” Questa ricerca dispone di un dataset unico fornito da CAMS, che permette di confrontare, nella maniera più realistica e accurata, la qualità dell’aria europea per come essa è stata sperimentata a seguito delle misure adottate a causa della pandemia COVID-19 e ciò che invece sarebbe accaduto in condizioni normali. Questo supera molte limitazioni legate ad altri studi, che hanno paragonato ad esempio anni diversi o periodi differenti. L’insieme multi-modello CAMS utilizzato per generare questo dataset ha capacità senza equivalenti nel mondo. “

“I risultati ottenuti sono estremamente significativi in quanto consolidano l’evidenza quantitativa che le misure governative legate alla pandemia COVID hanno influito direttamente sui livelli di inquinamento atmosferico in tutta Europa, in particolare per quanto riguarda l’inquinante NO2. Oltre all’analisi sulla mortalità durante i primi mesi della pandemia, questo studio potrebbe contribuire a definire le policy futura considerando che risultano evidenti i benefici per la salute pubblica riconducibili alla riduzione dell’inquinamento nelle nostre città e l’efficacia di talune misure”, ha aggiunto. Rochelle Schneider, Honorary Assistant Professor in Geospatial Data Science at LSHTM, Visiting Scientist at ECMWF, e prima autrice dello studio ha dichiarato:”Le politiche governative adottate durante la primavera e l’inizio dell’estate del 2020 ci hanno dato un’opportunità unica di studiare uno scenario “reale” con livelli minori di inquinamento atmosferico inferiori. Questo studio ha espresso forti segnali sul potenziale della ricerca replicabile, scalabile e collaborativa condotta con competenze e conoscenze complementari dalle università di salute pubblica e medicina tropicale, Copernicus e gli istituti di meteorologia. Mettere in collegamento le diverse expertise a seguito e durante l’inizio della pandemia di COVID-19 ci ha fornito la possibilità di stimare i benefici per la salute ottenuti da specifiche misure governative. Questo, e altri studi simili, possono contribuire a lanciare un segnale chiaro: “dobbiamo assolutamente migliorare la qualità dell’aria nelle città per la salute dell’uomo e per l’ambiente”.”

Antonio Gasparrini, Professor of Biostatistics and Epidemiology at London School of Hygiene and Tropical Medicine e senior author dello studio, ha commentato: “Il lockdown durante la prima ondata della pandemia di COVID-19 ha provocato enormi costi sanitari e sociali, seppur offrendo condizioni senza precedenti utili per studiare gli effetti potenziali di politiche rigorose volte a ridurre i livelli di inquinamento nelle aree urbane. Questo “esperimento naturale” ci ha permesso di intravedere come la qualità dell’aria possa essere migliorata grazie a misure drastiche di salute pubblica che sarebbero di difficile attuazione in tempi normali. Le informazioni possono essere importanti per progettare politiche efficaci per affrontare il problema dell’inquinamento nelle nostre città.”

Accedi allo studio qui: https://www.nature.com/articles/s41598-021-04277-6

Fonte: https://www.ecodallecitta.it/covid-in-europa-evitati-oltre-800-mortie-grazie-a-un-miglioramento-della-qualita-dellaria-durante-i-lockdown/

A quando i lockdown e i DPCM per tutelare l’ambiente, quindi la nostra salute?

Ma se i cambiamenti climatici e l’emergenza ecologica fanno molti più morti del coronavirus, a quando allora i lockdown e i DPCM per salvare il genere umano che rischia di non sopravvivere al disastro del Pianeta? Rischiamo una previsione: mai.

Non entriamo nel merito se siano giustificate o meno le pesantissime restrizioni della libertà a cui siamo costretti ormai da un anno ma, anche ammettendo che lo siano, se tanto ci dà tanto, visto che a livello ambientale il pericolo è molto più grande del coronavirus e le conseguenti vittime sono molte di più, da chi dice di proteggere la nostra salute ci aspetteremmo un “lockdown ambientale” e DPCM con misure rigidissime e capillari perchè in gioco c’è la sopravvivenza dell’intero genere umano. E invece niente di questo accade. Circa la catastrofe ambientale nessuna misura drastica è stata presa, niente è stato chiesto di fare ai cittadini, figuriamoci imporglielo come oggi si impongono mascherine, gel, coprifuochi, chiusure, distanziamenti, con tanto di pesanti multe e nonostante ci siano sempre più perplessità che tutte queste misure abbiano una reale efficacia. E pensare che invece per salvare l’ambiente e conseguenti vite umane, le misure che dovrebbero essere prese sarebbero di immediata e indubbia efficacia.

Ci si chiede allora: ma della salvaguardia di quale salute e di quali vite si sta parlando? Perchè per proteggere alcune vite si agisce e per altre no? Ma come può essere possibile questa incredibile e macroscopica disparità?  E se fosse vero che tutte queste misure sono necessarie per proteggere la nostra salute, allora non si capisce come mai, ad esempio, gli allevamenti intensivi, autentiche bombe ecologiche e sanitarie produttrici di sofferenza e cibo malsano, non vengano chiusi all’istante. Se si agisse così si tutelerebbe la salute di persone e animali ma ciò paradossalmente non sembra essere affatto un obiettivo di chi ci dice che sta facendo di tutto per la nostra salute e questo la dice lunga sulla sua credibilità. Una ulteriore prova della “inspiegabile” situazione di disparità in cui si adottano due pesi e mille misure ce la dà una voce ufficiale come quella del neo ministro per la transizione ecologica Cingolani (quindi non certo un “complottista”) in un suo articolo scritto recentemente per il quotidiano la Repubblicadove cita dati da ecatombe ed emergenza gravissima.

«…il riscaldamento climatico è causa di siccità, con un impatto enorme sulla fauna e l’agricoltura; lo scioglimento dei ghiacciai diminuisce le risorse di acqua dolce mentre l’innalzamento del livello dei mari porta all’erosione delle coste. I continui scambi di calore tra una terra surriscaldata e la stratosfera, più fredda, generano eventi metereologici estremi, come tifoni e nevicate improvvise, che devastano i territori. Se si eccettuano i terremoti, dal 1980 ad oggi il numero di eventi naturali catastrofici è aumentato in maniera costante di anno in anno; ciò ha causato la perdita di 400.000 vite umane e la spesa di più di un trilione di dollari, pari all’1,6% del PIL mondiale». 

«E mentre la terra si riscalda, peggiora anche la qualità dell’aria che respiriamo, con un impatto sulla salute di Sapiens e sul suo ecosistema. L’emissione di particolati carboniosi (Black Carbon), idrofluorocarburi e metano, inquina l’atmosfera e provoca il rilascio di sostanze tossiche, con gravi conseguenze sociali ed epidemiologiche. Ogni anno, l’inquinamento dell’aria causa tra i sei e i sette milioni di decessi nel mondo».

E questo senza contare i milioni di morti che si hanno per l’inquinamento di terra, cibo e acqua, laddove i cibi che mangiamo e l’acqua che beviamo sono pieni di ogni tipo di inquinante che determina malattie letali.

Dove sono i lockdown, dove sono i dpcm, dove sono le imposizioni drastiche immediate, necessarie per far fronte a questa immane catastrofe? Spieghino politici, esperti, task force varie, che tanto sembrano prodigarsi per la nostra salute, perché niente si fa in questa direzione, ma proprio niente, nemmeno lontanamente paragonabile a quello che si è fatto e che si continua a fare per il Covid. Ci spieghino il perché, ci spieghino come si fa a non vedere l’ovvio, ci spieghino perché non agiscono con la stessa solerzia, la stessa sicumera, la stessa drammaticità come quando ci snocciolano quotidianamente le cifre dei morti di serie A, cioè quelli da Covid, gli unici che per loro contano. Perchè per gli altri morti non si fanno bollettini quotidiani, aperture di telegiornali, articoli e servizi a non finire, speciali di ogni tipo, reportage chilometrici, ecc. ? Chi invoca lockdown a tutto spiano, alimentando un terrore mediatico martellante, ci chiediamo perché non faccia lo stesso per una situazione molto più grave come quella ambientale. Finché non avremo risposte o interventi in questo senso, non potremmo che continuare a dare credibilità zero per chi divide salute e morti di serie A e salute e morti di serie Zeta. E il perché lo faccia, speriamo che venga a galla presto, prima che la catastrofe ambientale si aggravi diventando ancora più irrefrenabile visto che continuiamo a non fare nulla preoccupandoci di tutt’altro. E intanto in pochi giorni a febbraio siamo passati da temperature sottozero a temperature quasi estive, ma come disse il comandante del Titanic: andiamo avanti tranquillamente…..

Fonte: ilcambiamento.it

Il virologo Tarro a TPI: «Il lockdown non ha senso, il caldo e il plasma dei guariti possono fermare il Covid»

Interessante l’intervista rilasciata a Tpi.it dal virologo Giulio Tarro: «Il Coronavirus per diffondersi ha bisogno di spazi chiusi, scarsa ventilazione o sistemi di aria condizionata, temperature basse o umide. Il mare e la spiaggia sono l’esatto contrario di questo microclima propizio. Burioni? Mi diverte chi vuole dare lezioni dopo aver fatto errori come e più degli altri».

TPI.it ha intervistato, grazie a Luca Telese, il professor Giulio Tarro, 82 anni, virologo di fama internazionale, allievo di Albert Sabin (il padre del vaccino contro la poliomielite).

Vi riportiamo l’intervista che riteniamo possa fornire spunti importanti di riflessione.

Professor Tarro, lei dice che si può riaprire.

Assolutamente sí, e se vuole le spiego perché.

Pensa che non dovremo rinunciare alle vacanze?

Al contrario, dovremo usarle per combattere il Covid.

Per questo motivo lei da due giorni è in polemica con Burioni, però.

Io? No.

Come no? Battaglia su Twitter.

Ah ah ah. È lui che è in polemica non me. Io non lo sono con lui, non lo conosco.

Burioni ha detto che lei è più papabile come aspirante Miss Italia che come un premio Nobel.

È libero di pensare quello che vuole. Io mi sono semplicemente fatto una domanda.

Quale?
Questo Burioni brillante polemista è forse lo stesso famoso virologo Burioni che il 2 febbraio disse: “In Italia non ci sarà nemmeno un caso di Covid?”.

Battuta perfida.

No, semplice constatazione. Io tendo a non dare lezioni agli altri. E mi diverte molto chi vuole dare lezioni dopo aver fatto errori come e più degli altri.

Di più?

Io non ho mai pensato né detto che non avremmo avuto vittime, anzi. Ero molto preoccupato.

Ma è vero che secondo lei il contenimento dovrebbe finire?

Ne sono convinto.

Parlava di vacanze. È vero che pensa che la stagione estiva al mare non dovrebbe saltare?

Noi dobbiamo usare le armi di questo paese, il sole e il mare, per aiutarci a guarire.

Ovvero?
Invece di stare chiusi a casa ad ammalarci con il contagio familiare, usiamo il mare come una terapia.

Con le barriere di plexiglass tra gli ombrelloni?

Per l’amor di Dio no! Questa è follia pura.

Spieghi perché, secondo lei.

Perché più che camere di protezione quelle diventerebbero camere di cottura. E non solo.

Cosa?
Il virus per diffondersi ha bisogno di spazi chiusi, scarsa ventilazione o sistemi di aria condizionata, temperature basse o umide. Il mare e la spiaggia sono l’esatto contrario di questo microclima propizio.

E pensa che questo passo si possa fare anche prima che arrivi il vaccino?

Va fatto subito. Anche qui c’è un grave problema di analisi. Noi accademici in questo momento siamo tutti in attesa di questo benedetto vaccino.

E non è giusto?

Bisogna farsi un’altra domanda. Ma il vaccino che cos’è? È un anticorpo. E noi abbiamo già un vaccino naturale negli anticorpi di chi non si è ammalato, malgrado il virus, e di chi ha contratto il virus, ma è guarito.

Lei sta dicendo anche come cura?

Certo! Tutti a chiedersi quando arriveranno i vaccini, ma gli anticorpi dei guariti già ci sono! Bisogna usare il plasma dei guariti.

Con chi sta male?

L’infusione di 200 millilitri di plasma è un aiuto enorme per qualsiasi malato. Si chiama plasmaferesi, e non l’ho certo inventata io.

Quindi quella è la prima terapia?

I guariti andrebbero salassati, perché diventino donatori di anticorpi. Non trattati come appestati.

È una eresia?

Ma per chi? Ho sentito dire che in via sperimentale questo tipo di cure sono già in applicazione a Pavia, a Mantova, a Salerno.

Non solo ventilazione, dunque.

Ma ovvio. Tutti i medici stanno sperimentando. Non è normale – ad esempio – che si usi l’Eparina? A me pare una cosa scontata. È perfetto accompagnare queste terapie farmacologiche nelle terapie intensive.

Cosa ha capito di questa malattia?

Ho capito che una malattia relativamente grave controllabile è fuggita dalla stalla.

Chi ha affrontato meglio di tutti il Covid?

Non mi piace dare giudizi frettolosi con una epidemia in corso. Ma non c’è dubbio che senza troppa enfasi, il modello isreaeliano abbia prodotto ottimi risultati.

Ovvero?
Tracciare il più possibili gli infetti, isolare gli anziani e far circolare il virus tra i più giovani.

Ma i britannici e i danesi avevano provato qualcosa di simile, però non lo hanno portato fino in fondo.
Lì credo che ci sia stato un grande errore di comunicazione: è una linea che si può sostenere senza enfasi e senza cinismo. Dire “preparatevi a salutare i vostri cari” non ha portato fortuna a Boris Johnson, ma soprattutto era un messaggio del tutto sbagliato.

Lei cosa avrebbe detto?

“Preparatevi a difendere i vostri cari. Soprattutto gli anziani”.

Quale è secondo lei la prima misura per fermare il contagio?

Lavarsi le mani. Indossare mascherine e guanti: quando sono venuti in Lombardia i cinesi sono rimasti stupiti che così pochi cittadini indossassero le mascherine. Si presta poca attenzione ai guanti. Ed è sbagliatissimo: il Coronavirus ha la sua porta di ingresso nella nostra bocca e nelle parti inferiori delle vie respiratorie.

Quindi?
Quindi tenere le mani protette. Disinfettare la bocca con un collutorio ma anche con ingredienti naturali come il bergamotto e i chiodi di garofano.

E poi?

Vedo che in tutto il mondo – a partire dalla Cina – si provvede a igienizzare gli spazi pubblici. Da noi non si fa.

I numeri del contagio la spaventano?

Io guardo con molta attenzione i numeri e cerco di interpretarli alla luce degli studi che sono già disponibili.

Ad esempio?

L’Istituto Superiore di Sanità ha studiato 909 casi di decesso, stabilendo che solo 19 morti sono ascrivibili unicamente al Covid. Quindi il primo problema sono le patologie concorrenti.

E i dati cinesi?

Sono stati controllati anche da Fauci, il superesperto della sanità americana.

E questa percentuale torna?

Su 1.092 pazienti, l’1 per cento è morto“solo” per il Covid. Questo non significa che dobbiamo ignorare le tantissime vittime italiane, ma che molti dei nostri dati devono essere letti meglio per circoscrivere le reali proporzioni dell’epidemia.

Ad esempio?

Nelle statistiche cinesi il 14 per cento dei deceduti avevamo malattie cardiovascolari, il 7 per cento erano diabetici, eccetera…

La colpisce la differenza con altri paesi?

Non è possibile che in Germania siamo al 3 per cento di mortalità e in Lombardia al 18,7 per cento. È matematicamente impossibile.

E quale spiegazione immagina?

Da noi i contagiati reali sono molti di più di quello che non dicano i tamponi. Solo che non li monitoriamo, per via del modo in cui facciamo i tamponi.

È un dato falsato?

È un dato parziale: bisognerebbe parlare di numero di contagiati per tamponi effettuati.

Lo dice in modo induttivo?

No, esiste uno studio su un caso particolare che però può essere preso a misura. Sul Corriere della Sera due ricercatori, Foresti e Cancelli, hanno usato come modello la Diamond Princess, la nave da crociera dove lo screening ha investito il 100 per cento della popolazione censibile.

La Diamond, infatti figura come un paese nella classifica mondiale dei contagi.

Quello è l’unico luogo al mondo dove le percentuali di contagio sono “giuste” perché tutti sono stati monitorati uno ad uno con i tamponi. Il classico caso di scuola.

E cosa ne esce fuori?

Se si proiettasse quel dato, a marzo nel periodo coevo, avremmo già in Italia 11 milioni e 200mila contagiati. Una enormità. Questo dato “reale” farebbe calare la percentuale di mortalità italiana. Perché se questa è la proporzione significa che il tasso di reale mortalità è più basso di quello apparente.

Quindi lei dice: fine del lockdown subito?

Il virus può essere controllato con le normali misure igieniche e con la diffusione degli anticorpi: la dimensione del contagio verrà abbattuta dal cambio di clima indotto dalla stagione estiva, anche al nord.

Lo dice in via ipotetica?

Il fattore climatico è senza dubbio fortissimo nella diffusione di questa epidemia.

Lo spieghi.

Come si fa a non vedere che i numeri del contagio scendono drasticamente al sud? Il mare, il sole hanno difeso una parte d’Italia dal contagio. Ma non solo dai noi, anche all’estero. L’Africa – tocchiamo ferro – per ora risulta pressoché indenne. Poi ci sono gli altri fattori.

Quali?
Il Coronavirus sembra aver colpito di più quelli che avevano fatto il vaccino anti-influenzale.

Lei ha posizioni No-vax?

Ma si figuri. Io ho scritto un libro sui vaccini! Io ho combattuto il colera, e ho vaccinato migliaia di persone, come le racconterò. Parlo di un vaccino, non dei vaccini.

Da cosa trae la connessione?

Questo che le cito è un dato che si reperisce facilmente in rete, non perché lo dica qualche complottista, ma uno studio dell’esercito americano.

E come lo interpreta?

La scienza deve essere basata sul metodo scientifico sperimentale: se un dato documentato emerge, deve essere considerato un valore per i dati che lo sostengono, non per i problemi che eventualmente crea.

Perché secondo lei il mare avrebbe un effetto positivo?

Lei hai mai visto gente con la sciarpa e il fazzoletto in spiaggia? No. Ecco: questo perché i virus influenzali con il mare soffrono. Il Covid, pur con la sua specificità e la sua virulenza appartiene a quella famiglia. E soffre. Perché fatica a diffondersi. Il virus si replica a temperature basse e umide. Accade per il rinovirus, e spero che accada anche per il Coronavirus.

Lei crede all’idea di vaccinare per poter dare un accesso alle spiagge?

Mi pare una follia. Ma non avendo il vaccino in tempi così brevi il tema non si potrà porre.

Cosa ci insegnò l’epidemia di colera?

L’errore di valutazione, anche lì. Inizialmente i pazienti non venivano idratati a sufficienza e morivano disidratati.

E poi?

Poi iniziammo a farlo, per fortuna, e la percentuale di mortalità crollò.

E poi?

La popolazione si mise in fila per le vaccinazioni, che furono effettuate, prevalentemente, con le pistole a siringa. Noi non le avevamo, ce le diedero gli americani.

Ci sono altre analogie?

All’inizio non avevamo il vaccino per tutti. Poi arrivarono e il contagio finì.

Il contenimento funzionò?

Dal 430 avanti Cristo con la peste di Atene, è il primo rimedio. Ma, come dice la parola stessa, è una misura contenitiva, che non può essere scambiata come una formula risolutiva di una epidemia.

Come si trovò in quell’emergenza?

Ero primario di virologia in America, lessi la notizia sul Corriere della Sera. Presi il primo aereo utile per tornare ad aiutare.

Sapeva di rischiare?

Arrivai a Fiumicino e chiesi di essere vaccinato appena messo piede a terra.

E lo fecero?

Sì, come avrebbero dovuto fare d’ufficio con tutti. Invece accettarono perché ero medico e mi raccomandarono: “Non lo dica a nessuno!”. Buffo no?

E a Napoli?

Ero l’unico che poteva entrare ed uscire dall’ospedale perché non ero nei registri al momento in cui l’epidemia esplose.

E il paziente zero?

Scoprimmo che il colera era sbarcato a Napoli con una partita di cozze tunisine. Ma quando si ritrovò il vibrione il paziente zero era già uno dei tanti morti nei nostri reparti.

Era il 1973: riusciste a domare l’epidemia e diventaste eroi nazionali.

Fecero mettere la mascherina al presidente Leone che ci venne a visitare al Cotugno. Una scelta grottesca, perché tutto il mondo sapeva che il colera non si trasmette per via respiratoria.

Ma lei voleva fare il virologo da bambino?

Io sono figlio di un anatomopatologo. Volevo fare il medico ma sono finito in laboratorio perché avevo un professore che aveva il pallino dei virus.

E cosa fece?

Fu lui che mi mandò da Sabin, cambiando, per fortuna, la mia vita. Ma ho fatto tante altre cose, compreso il medico di guardia in neurochirurgia.

Quale è stata la prima lezione che ha imparato dal suo maestro, Albert Sabin?

Massimo rigore in quello che si fa. Scrivere tutto. Soprattutto quello che ci pare irrilevante.

E cosa si imparava?

Che quando rileggi le note scritte, sistematicamente, trovi sempre qualcosa che nell’immediato non avevi capito. Non è facile.

Perché?
È una lezione di umiltà e sarà utile con il Coronavirus: non possiamo farci inibire dalle nostre convinzioni di partenza.

Traduciamola in una massima.

Da quello che scrivi, con il senno del poi, spesso capisci quello che hai fatto, e magari non avevi capito.

Ha paura delle stroncature dell’Accademia?

Ah ah ah. Francamente non me ne frega nulla. Mi hanno chiamato a curare Giovanni Paolo II, non mi posso certo far spaventare per i custodi del verbo.

Quindi Fase 2?

Bisogna aprire. Ma con intelligenza, con attenzione. Con buonsenso. Ma aprire.

Cosa è cambiato rispetto a due mesi fa?

Tutto. Prima non avevamo le mascherine: ma ormai siamo diventati produttori di mascherine.

Anche in Lombardia?

Con più vincoli, più limitazioni, più accortezze: ad esempio con l’avvertenza di non saturare i mezzi pubblici. Il problema non è il virus, ma le opportunità di contatto, che vanno abbattute con protezioni e sanificazioni.

Servono regole eccezionali?

Bisogna introdurre l’obbligo di guanti e mascherine, potremmo aprire anche lì.

E poi?

Bisogna stare all’aperto e non negli spazi chiusi. Questa potrebbe essere una soluzione vitale, ad esempio per la scuola. Sanificare le aule, ma non chiudere le scuole.

E i suoi colleghi secondo cui sarebbe un rischio drammatico perché allentando il lockdown aumentano i contagi?
Non so che dire di loro. Lo stanno facendo in tutto il mondo. Non chiedetevi perché da noi si faccia. Chiedetevi perché noi non lo facciamo mentre in tutto il resto del mondo si fa.

Giulio Tarro, infettivologo di fama, napoletano, allievo prediletto di Albert Sabin (il padre del vaccino contro la poliomielite), virologo e primario emerito dell’ospedale Cotugno di Napoli. I suoi interventi in questi giorni sono diventati controcorrente rispetto alla linea scelta dal comitato medico-scientifico.

Si ringraziano Tpi.it e Luca Telese

Fonte: ilcambiamento.it