Biomasse, l’Italia è il maggiore consumatore europeo di pellets ad uso domestico

Con quasi 10 milioni di impianti di riscaldamento domestici alimentati a biomassa legnosa l’Italia consuma il 40% di tutto il pellets europeo. Il mercato delle biomasse del Belpaese è vivo e vegeto, ecco alcuni dati381788

L’Italia è il primo paese in Europa per consumo di biomasse ad uso domestico, tra legna da ardere e pellets. Ne fa uso più di una famiglia su cinque e negli ultimi anni il loro utilizzo non è calato, anzi stufe e caldaie si rinnovano. Le stime arrivano dal rapporto Istat sui consumi energetici delle famiglie italiane nel 2013 e vengono confermate dall’Aiel, l’Associazione Italiana Energia dal Legno. Il rapporto Istat, in collaborazione con l’Enea e il Ministero dello Sviluppo Economico, stima per la prima volta i consumi energetici per destinazione d’uso e fonte energetica. La fonte principale delle famiglie italiane per il riscaldamento è il metano: il 70,9% lo usa per riscaldare la propria abitazione mentre il 71,9% lo usa per la produzione di acqua calda. La seconda fonte energetica è la biomassa, preferita dal 14,5% delle famiglie per scaldare le proprie case, ma solo dal 2,4% per la produzione di acqua calda. Per l’acqua calda è molto più usata l’ energia elettrica (14,4%). Marginali, o quasi, le altre fonti energetiche utilizzate per riscaldare le abitazioni: GPL 5,8%, gasolio 3,7% e energia elettrica 5,1%; e per scaldare l’acqua: GPL 7,6%, gasolio 2,9% e energia solare 0,7%. La spesa media annuale nel 2013 per ogni famiglia è di 1.635€ e varia dai  2.000€ per una famiglia valdostana ai 1.259€ di una siciliana. Incidono ovviamente le differenze climatiche, ma anche il ricorso a fonti energetiche differenti e la variabilità dei prezzi dei prodotti energetici rispetto al territorio. Il rapporto si sofferma anche sull’analisi dell’impiego delle biomasse, facendo la distinzione tra legna da ardere e pellets. In Italia nel 2013 se ne sono consumati 19 milioni di tonnellate e di questi 1,4 milioni è costituito da pellets. L’Italia avrebbe dunque raggiunto e addirittura superato, considerando le sole utenze domestiche, l’obiettivo fissato per le biomasse dal PAN Piano d’Azione Nazionale per le energie rinnovabili)  per il 2020: 5,254kTOE (dove il TOE rappresenta la quantità di energia rilasciata dalla combustione di una tonnellata di petrolio grezzo). Dunque più di una famiglia italiana su cinque fa uso di legna, mentre il 4,1% utilizza il pellets. Le biomasse in generale sono più utilizzate nei comuni montani (ne fa uso il 40% delle famiglie), nel Nord-Est (25%, soprattutto in Trentino – Alto Adige), al Centro (24,4%, concentrati in Umbria e Abruzzo) e più marginali nel Nord-Ovest (15,2%, con l’eccezione della Val d’Aosta). Il pellets è più diffuso in Sardegna, Umbria, Val d’Aosta e Trentino-Alto Adige dove più del 10% delle famiglie lo  utilizza per scaldare le abitazioni. Il crescente utilizzo delle
biomasse è sottolineato anche dall’Aiel, l’Associazione Italiana Energia dal Legno, che stando ai suoi dati rivede all’insù le cifre dell’Istat portando a 3,3 milioni le tonnellate di pellets consumato nel 2013. E se paragoniamo il dato con quello del 2011 (sempre Aiel), circa 1,9 milione di  tonnellate consumate, il pellet risulterebbe il protagonista assoluto del mercato. Secondo l’Aiel, ogni anno vengono vendute circa 150.000 nuove stufe e 20.000 caldaie, entrambe alimentate a pellets; trend che non ha risentito della crisi economica grazie alla competitività del prezzo del materiale (iva al 10%) in confronto agli altri combustibili e grazie agli incentivi fiscali sull’acquisto di nuove stufe e caldaie. In totale in Italia sono attivi quasi 10 milioni di impianti di riscaldamento alimentati a biomassa legnosa: 1.630.000 stufe, 200.000 camini e 75.000 cucine alimentati a pellet; 3.465.000 camini aperti, 2.085.000 stufe, 1.720.000 camini chiusi e 675.000 cucine alimentati a legna, inoltre ci sono 596.000 impianti con caldaie alimentate a legna di cui 199.000 sono quelle alimentate a pellet e 1.500 quelle a cippato. Con numeri così importanti l’Italia è il primo consumatore di pellets in Europa e nel mondo: consuma il 40% di tutto il pellets usato nel Vecchio Continente. Un mercato fatto quasi esclusivamente da prodotti importati. Solo il 10% del pellets è di origine italiana, il restante è importato da Austria, Germania, Croazia e Canada. Le aziende italiane producono anche il 70% di tutte le stufe vendute annualmente in Europa, un mercato da 10 milioni di euro con pìù di 19.000 addetti. Dal 1 gennaio 2015 l’imposta sul valore aggiunto del pellets è passata dal 10% al 22% ma le previsioni per il mercato delle biomasse sono più che rosee.

Fonte: ecodallecitta.it

Amianto, import fuorilegge in Italia: Guariniello apre un’inchiesta

Il pm Raffaele Guariniello apre un’inchiesta per vederci chiaro su un report indiano secondo il quale l’Italia sarebbe stato il principale importatore di amianto indiano fra 2011 e 2012. In Italia la produzione, distribuzione e vendita di amianto sono diventate fuorilegge nel 1992. Ventitré anni fa, con la legge 257 del 27 marzo 1992 il nostro Paese ha detto basta all’asbesto, mentre altri Paesi hanno continuato a produrre questo materiale. In questi vent’anni si è pensato alle bonifiche e a risarcire gli ammalati o i familiari che li hanno seppelliti. L’amianto sembrava appartenere al passato, pur con il suo fardello incombente proiettato sul futuro, quello del mesotelioma che continuerà a mietere vittime per tanti altri anni ancora. Ma lo stesso uomo che ha portato alla sbarra i vertici dell’Eternit, il pm Raffaele Guariniello, ha aperto ora un’indagine esplorativa per un caso che potrebbe rivelarsi scottante non solo in termini giudiziari, ma anche in termini politici. Nonostante i divieti vigenti dal 1992, nel 2012 l’Italia ha importato ingenti quantità di amianto dall’India, Paese che è attualmente uno dei principali produttore di manufatti in asbesto. Anzi, secondo i dati in possesso dell’Agenzia delle Dogane, l’Italia sarebbe stato il maggiore importatore di amianto con 1040 tonnellate di asbesto. Al momento non vi sono né indagati, né ipotesi di reato, ma un’inchiesta per chiarire se vi siano eventuali responsabilità politiche sia per ciò che riguarda l’importazione di asbesto, sia per quel che concerne l’impiego del materiale. Le 1040 tonnellate importate fra 2011 e 2012 sarebbero finite in una decina di imprese che lo avrebbero trasformato e impiegato nella produzione di manufatti quali lastre di fibrocemento, pannelli, guarnizioni per freni e frizioni di automezzi. Il caso è stato segnalato alla Procura di Torino quando qualcuno sui è accorto che nell’Indian Minerals Yearbooks 2012 – Asbestos – Final Release, un rapporto pubblicato dall’ufficio centrale del Ministero delle risorse minerarie indiano, figurava l’Italia fra i Paesi destinazione delle quantità di amianto estratte in India. Anzi secondo il rapporto l’Italia sarebbe stato il primo partner commerciale (con 1040 tonnellate importate sulle 1296 esportate nel biennio in questione) e si presume che l’import sia continuato sino al 2014. Il secondo paese importatore sarebbe il Nepal con 124 tonnellate, il terzo la Nigeria con 38. D’altronde è proprio in India che sono finite molte delle macchine utilizzate nelle fabbriche italiane chiuse dopo l’entrata in vigore della legge 257. Impossibilitata a produrre sul proprio territorio, insomma, l’industria dell’asbesto avrebbe guardato al Far East indiano per continuare nel vecchio business. Ma c’è un aspetto più inquietante: l’amianto è vietato ma può entrare grazie a deroghe ministeriali? Questo è l’aspetto principale che l’inchiesta dovrà chiarire: mentre a Torino si consumava il processo di Torino all’Eternit la politica italiana ha dato il lasciapassare a più di mille tonnellate di un materiale tossico e fuorilegge da più di vent’anni?138888260-586x390

Fonte:  La Stampa

© Foto Getty Images

L’Italia del Riciclo: aumentano imprese e occupazione, 34 miliardi di fatturato

L’Italia dei rifiuti genera più occupazione e aziende in crescita: negli ultimi 5 anni le imprese del settore della gestione della spazzatura sono aumentate del 10%, di queste il 94% fanno attività di recupero, ed i posti di lavoro registrano un incremento del 13%, mentre il fatturato del recupero dei rifiuti sfiora i 34 miliardi381264

Un’industria della green economy, quella della gestione dei rifiuti, è cresciuta negli ultimi 5 anni: sono aumentati il numero di addetti (+13%) e di aziende (+10%), il 94% delle quali svolge attività di recupero. E’ questa la fotografia scattata dal rapporto ‘L’Italia del riciclo’ 2014, promosso e realizzato da Fise Unire (l’Associazione di Confindustria che rappresenta le aziende del recupero rifiuti) e dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile.
Secondo il report resta preponderante il numero delle piccole impreseaumentano le società di capitali e cala il peso delle ditte individuali. Nonostante “l’impatto della crisi dei mercati internazionali e dei consumi, l’incertezza del quadro normativo e l’inadeguatezza dei mercati di sbocco delle materie riciclate”, continua a crescere il riciclo degli imballaggi (più 1% nel 2013 rispetto all’anno precedente) che sostiene settori industriali (siderurgia, mobili, carta, vetro) strategici per il nostro Paese. Oltre il 68% dei nostri imballaggi viene avviato a riciclo, con un miglioramento delle performance delle filiere alluminio, carta, legno, plastica e vetro. E – spiega lo studio – sarebbero “notevoli i margini di ulteriore sviluppo con un quadro normativo più chiaro e omogeneo”. Secondo il rapporto “il valore aggiunto generato in totale ammonta a circa 8 miliardi di euro”, cioè “oltre mezzo punto di Pil”. Le imprese che in Italia fanno attività di recupero dei rifiuti sono in tutto oltre 9000, soprattutto micro-aziende con meno di 10 addetti. La crescita sia delle imprese che del numero di occupati – viene spiegato – “a fronte di un andamento generale negativo per il manifatturiero, si può considerare una manifestazione concreta del processo di transizione verso la green economy”. Il riciclo degli imballaggi cresce dell’1%: 7,6 milioni di tonnellate contro le 7,5 del 2012. L’incremento c’è in tutte le filiere con punte d’eccellenza nel tasso di riciclo, per esempio, di carta (86%), acciaio (74%) e vetro (65%).
Risultati altalenanti registrano le altre filiere. In particolare sono in calo i materiali ottenuti da bonifica e demolizione di veicoli fuori uso e la raccolta pro-capite media nazionale di rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche. C’è molto spazio di miglioramento per la raccolta dei tessili. “Proprio in considerazione delle dimensioni di queste imprese – evidenzia Anselmo Calò, presidente di Unire – le profonde carenze ed inefficienze che affliggono il settore, a livello soprattutto normativo ed amministrativo, sono ancora più difficili da sopportare”. Per Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, “il riciclo dei rifiuti in Italia potrebbe crescere con norme più chiare”, tra cui un decreto ministeriale per la classificazione dei rifiuti. Infine è “indispensabile scoraggiare il ricorso allo smaltimento in discarica”.

Corretta gestione rifiuti,risparmio 600 mld e meno gas serra 

Un ulteriore risparmio di 600 miliardi di euro e una riduzione delle emissioni di gas serra tra il 2 e il 4%. Questa la stima – riportata dal rapporto di Fise Unire e Fondazione per lo sviluppo sostenibile, ‘L’Italia del riciclo’ 2014 – che la ricetta sulla ‘prevenzione dei rifiuti’ potrebbe portare a livello nazionale ed europeo guardando alle prospettive di crescita per il settore del riciclaggio. Secondo il report “il conseguimento dei nuovi obiettivi in materia di rifiuti creerebbe circa 600.000 nuovi posti di lavoro, rendendo l’Europa più competitiva e riducendo la domanda di risorse scarse e costose”. Le misure proposte, che consentirebbero peraltro di ridurre l’impatto ambientale, prevedono “il riciclaggio del 70% dei rifiuti urbani e dell’80% dei rifiuti di imballaggio entro il 2030 e, a partire dal 2025, il divieto di collocare in discarica i rifiuti riciclabili”.

Fonte: ecodallecitta.it

Discariche illegali: l’Ue multa l’Italia per i rifiuti

La Corte di Giustizia europea multa l’Italia per il mancato rispetto della normativa sulla gestione dei rifiuti e delle discariche: 40 milioni a forfait, 42,8 milioni a semestre fino al rispetto della sentenza del 2007. L’Italia è stata multata dalla Corte di giustizia europea per il mancato rispetto della normativa Ue in materia di gestione dei rifiuti e delle discariche. Il nostro Paese sarà assoggettato a una multa forfettaria di 40 milioni di euro, a cui si aggiungeranno penalità fino a un massimo di 42,8 milioni per ogni semestre che passerà dalla sentenza fino alla messa in regola delle 218 discariche illegali presenti sul nostro territorio. I giudici europei hanno sentenziato che le procedure italiane non garantiscono la salute umana e la protezione dell’ambiente, soprattutto a causa dei mancati controlli sui rifiuti pericolosi e per l’assenza di un sistema che eviti la proliferazione delle discariche abusive. La Corte, già nel 2007, aveva constato l’inadempimento italiano alle direttive sui rifiuti. Oggi arriva la multa, frutto di sette anni di richiamo. “Le operazioni sono state compiute con grande lentezza, tanto che un numero importante di discariche abusive si registra ancora in quasi tutte le regioni italiane”scrivono da Lussemburgo.

La sentenza del 2007

Era il 2007 quando la Corte dichiarò che l’Italia era “venuta meno, in modo generale e persistente, agli obblighi stabiliti dalle direttive sui rifiuti, sui rifiuti pericolosi e sulle discariche”. Sei anni dopo,
la Commissione Ue ha verificato l’inadempienza del nostro Paese alla sentenza. E ha segnalato le 218 discariche situate in 18 regioni, non conformi alla direttiva rifiuti. Non solo: 16 discariche contenevano pure rifiuti pericolosi e, per cinque discariche, l’Italia non aveva dimostrato che fossero state oggetto di riassetto o di chiusura, come richiesto dall’Ue. La Commissione ha quindi denunciato che 198 discariche non erano ancora conformi alla direttiva. L’Italia è stata pertanto condannata a una multa iniziale di 40 milioni di euro e a versare una penalità di 42,8 milioni per ogni semestre, a partire dal 2 dicembre e fino all’esecuzione della sentenza del 2007. Dai 42,8 milioni, ogni volta che una discarica con rifiuti pericolosi sarà messa a norma, verranno detratti 400 mila euro. Saranno detratti 200 mila euro per ogni altra discarica che verrà messa a norma.

Cosa ha fatto l’Italia

Intendiamoci, qualcosa l’Italia ha fatto. Secondo il rapporto Ispra di gennaio scorso, le discariche restano il metodo più diffuso di smaltimento dei rifiuti in Italia (40%). Rispetto al 2011,c’è stato un calo dell’11,7%. La peggiore performance va al Centro Italia (56% dei rifiuti in discarica), poi c’è il Sud (51%) e il Nord (22%). Nel 2012, la regione con il maggior numero di impianti era l’Emilia Romagna (18), poi il Piemonte (16). Sempre nel 2012, la regione che aveva smaltito in discarica la minor quantità di rifiuti urbani prodotti era il Friuli Venezia Giulia (7%), seguita da Lombardia (8%) e Veneto (11%). Al Sud, invece, i dati sono ben diversi. Il Molise era addirittura al 105%, con il 60% proveniente dall’Abruzzo, la Calabria all’81%, la Sicilia all’83%. Dal 2003 a oggi, sono state chiuse 288 discariche, di cui 229 al Sud, 43 al Nord e 16 al Centro. Ancora troppo poco per i parametri Ue, che ora chiede all’Italia di pagare un prezzo molto alto.

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Fonte: ecoblog.it

Smog, Bruxelles apre una nuova procedura d’infrazione contro 19 zone d’Italia

L’Italia torna nel mirino dell’Ue per il mancato rispetto della normativa sulla qualità dell’aria. Le aree colpite vanno da Nord a Sud e interessano dieci Regioni italiane: Veneto, Lombardia, Toscana, Marche, Lazio, Puglia, Sicilia, Molise, Campania e Umbria. Le autorità italiane devono rispondere, fornendo chiarimenti, entro fine ottobre380456

L’Italia torna nel mirino dell’Ue per il mancato rispetto della normativa sulla qualità dell’aria: una nuova procedura d’infrazione avviata dalla Commissione europea accusa diciannove zone e agglomerati di mettere in pericolo la salute dei cittadini con livelli di smog troppo elevati. Le aree colpite vanno da Nord a Sud e interessano dieci Regioni italiane: Veneto, Lombardia, Toscana, Marche, Lazio, Puglia, Sicilia, Molise, Campania e Umbria.
La procedura d’infrazione è stata aperta lo scorso luglio con l’invio di una lettera di messa in mora a cui le autorità italiane devono rispondere, fornendo chiarimenti, entro fine ottobre. Se la risposta non dovesse essere ritenuta soddisfacente, la Commissione europea potrà passare alla seconda fase della procedura attraverso un parere motivato in cui inviterà l’Italia a mettersi in regola al più presto con le norme sulla qualità dell’aria. Non è la prima volta che l’Italia viene bacchettata da Bruxelles per la violazione della legislazione che dal 2005 impone livelli massimi di concentrazione delle polveri sottili. Una precedente procedura d’infrazione si era conclusa nel 2012 con una condanna della Corte di giustizia che confermava il mancato rispetto nel 2006 e nel 2007 dei limiti di PM10 in 55 zone. A pochi anni di distanza, l’esame dei valori di polveri sottili ha mostrato che in 13 di queste 55 aeree i valori massimi sono stati continuamente superati anche nel periodo 2008-2012. Per questo motivo la Commissione europea ha deciso di avviare una nuova procedura d’infrazione che, oltre alle 13 aree già identificate nella precedente indagine, coinvolge sei nuove zone e agglomerati. L’Italia non è il solo Paese a non ancora aver attuato pienamente le norme sulla qualità dell’aria, non rispettate complessivamente da 17 Stati membri dell’Ue.  Negli ultimi cinque anni il rispetto della legislazione sulle polveri sottili è stato fra le priorità del commissario europeo all’Ambiente, Janez Potocnik, e il nuovo commissario designato Karmenu Vella ha promesso battaglia sullo stesso fronte. “La qualità dell’aria è un problema ancora molto grave e con effetti negativi sulla salute, sull’ambiente e sull’economia”, ha affermato oggi il politico maltese durante un’audizione davanti agli eurodeputati. “Conto di agire velocemente su questo”, ha aggiunto Vella, impegnandosi a non permettere “standard diversi” fra i Paesi Ue, perché tutti i cittadini hanno diritto “allo stesso livello di tutela”.

 

Fonte: ecodallecitta.it

“L’Italia in guerra: basta con questa follia”

“L’Italia, di fatto, è in guerra: è una follia, dobbiamo dire basta”: con queste parole padre Alex Zanotelli, missionario comboniano ed ex direttore di Nigrizia, fortemente impegnato nel sociale e nei movimenti pacifisti, lancia il suo appello da Napoli, dove presta servizio nel Rione Sanità.alex_zanotelli_padre

100 milioni di euro al giorno in armi! Non possiamo più permetterlo” dice padre Zanotelli. “La guerra imperversa ormai dall’Ucraina alla Somalia, dall’Iraq al Sud Sudan, dal Califfato Islamico (ISIS),al Califfato del Nord della Nigeria (Boko Haram), dalla Siria al Centrafrica, dalla Libia al Mali, dall’Afghanistan al Sudan, fino all’interminabile conflitto tra Israele e Palestina. Mi sembra di vedere il cavallo rosso fuoco dell’Apocalisse: “A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace della terra e di far sì che si sgozzassero a vicenda, e gli fu consegnata una grande spada”(Ap.6,4). E’ la “grande spada” che è ritornata a governare la terra. Siamo ritornati alla Guerra Fredda tra la Russia e la NATO che vuole espandersi a Est, dall’Ucraina alla Georgia”.

“Nel suo ultimo vertice, a Newpost nel Galles a inizio settembre, la NATO ha deciso di costruire 5 basi militari nei paesi dell’Est, nonché pesanti sanzioni alla Russia. Il nostro Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha approvato queste decisioni e ha anche aderito alla Coalizione dei dieci paesi pronti a battersi contro l’ISIS, offrendo per di più armi ai Curdi. Inoltre si è impegnato a mantenere forze militari in Afghanistan e a far parte dei “donatori” che forniranno a Kabul 4 miliardi di dollari. Durante il vertice NATO, Obama ha invitato gli alleati europei a investire di più in Difesa, destinandovi come minimo il 2% del PIL. Attualmente l’Italia destina 1,2% del proprio bilancio in Difesa. Accettando le decisioni del Vertice, Renzi è ora obbligato ad investire in armi il 2% del PIL. Questo significa 100 milioni di euro al giorno!!! Questa è pura follia per un paese come l’Italia in piena crisi economica. E’ la follia di un mondo lanciato ad armarsi fino ai denti. Lo scorso anno, secondo i dati SIPRI, i governi del mondo hanno speso in armi 1.742 miliardi di dollari che equivale a quasi 5 miliardi di euro al giorno (1.032 miliardi di dollari solo dagli USA e NATO). Siamo prigionieri del complesso militare-industriale USA e internazionale che ci sospinge a sempre nuove guerre, una più spaventosa dell’altra, per la difesa dei cosiddetti “interessi vitali”, in particolare della “sicurezza economica”,come afferma la Pinotti nel Libro Bianco. Come la guerra contro l’Iraq, dove hanno perso la vita 4.000 soldati americani e mezzo milione di iracheni, con un costo solo per gli USA di 4.000 miliardi di dollari. Ed è stata questa la guerra alla base dell’attuale disastro in Medio Oriente, ha fatto ripiombare il mondo in una paurosa spirale di odio e di guerre. Papa Francesco ha parlato di Terza Guerra Mondiale”.

“Davanti ad una tale situazione di orrore e di morte, non riesco a spiegarmi il silenzio del popolo italiano. Questo popolo non può aver dimenticato l’articolo 11 della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Non è possibile che gli italiani tollerino che il governo Renzi spenda tutti questi soldi in armi, mentre lo stesso non li trova per la scuola, per la sanità, per il terzo settore. Tantomeno capisco il silenzio dei vescovi italiani e delle comunità cristiane, eredi del Vangelo della nonviolenza attiva”.

“E’ ora che insieme, credenti e non, ci mobilitiamo, utilizzando tutti i metodi nonviolenti , per affrontare la Bestia. Ritorniamo in piazza e per strada, con volantinaggi e con digiuni e, per i credenti, con momenti di preghiera. Chiediamo al governo sia di bloccare le spese militari che di “tagliare le ali” agli F-35 che ci costeranno 15 miliardi di euro. E come abbiamo fatto in quella splendida Arena di Pace del 25 aprile scorso, ritroviamoci unitariamente nei due momenti collettivi che ci attendono:Firenze e la Perugia-Assisi. Tutto il grande movimento della pace in Italia ci invita a un primo appuntamento, il 21 settembre, a Firenze, dalle ore 11 alle 16 , al Piazzale Michelangelo. Il tema sarà: facciamo insieme un passo di pace. Sarà l’occasione per lanciare la campagna promossa dall’Arena di Pace: legge di iniziativa popolare per la creazione di un Dipartimento di Difesa Nonarmata e Nonviolenta. Il secondo grande appuntamento sarà la Perugia-Assisi, il 19 ottobre, con una presenza massiccia di tutte le realtà che operano per la pace. Noi non attendiamo più nulla dall’alto. La speranza nasce dal basso, da questo metterci insieme per trasformare Sistemi di morte in Sistemi di vita. Ce la dobbiamo fare! Noi siamo prigionieri di un Sogno così ben espresso dal profeta Michea: “Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci, una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra”. (Michea,4,3)”

Fonte: ilcambiamento.it

Efficienza energetica: l’Italia è il secondo paese al mondo dietro la Germania

L’Italia sarebbe il secondo paese al mondo, dopo la Germania, per efficienza energetica. O almeno, questo è l’esito dell’analisi condotta su 16 potenze mondiali dall’American Council for an Energy-Efficient Economy379875

L’Italia sarebbe il secondo paese al mondo, dopo la Germania, per efficienza energetica. O almeno, questo è l’esito dell’analisi condotta su 16 potenze mondiali dall’American Council for an Energy-Efficient Economy (ACEEE). «La Germania è il primo esempio di stato che ha fatto dell’efficienza energetica una priorità assoluta – spiega Steven Nadel, direttore esecutivo ACEEE – Gli Stati Uniti, a lungo considerati un innovativo e competitivo leader mondiale, hanno progredito lentamente e compiuto progressi limitati rispetto al nostro precedente rapporto, mentre l’Italia, la Cina e altre nazioni fanno anch’esse un balzo in avanti». A valere il primo posto alla Germania è stata soprattutto la sua strategia energetica globale, che ha ottenuto il punteggio massimo per quanto riguarda le norme in materia di edilizia, le politiche di retrofit e programmi di credito d’imposta e prestiti per incoraggiare l’efficienza energetica. Grazie al programma di prestiti avviato dalla Banca di sviluppo statale tedesca, ad esempio, nel 2013 i privati hanno investito oltre 34 miliardi di euro nella ristrutturazione edilizia. Il governo tedesco, inoltre, offre sussidi alle PMI per il miglioramento della efficienza dei loro processi produttivi. ACEEE ha assegnato il primato anche in virtù dell’obiettivo di ridurre del 20% il consumo energetico nazionale rispetto ai livelli del 2008, e di tagliarlo del -50% nel 2050. la Germania ha infine ottenuto il primo posto per l’efficienza energetica nel settore industriale. Non sfigura, comunque, l’Italia, che ha ottenuto solo un punto in meno rispetto alla Germania ed ha avuto il massimo del punteggio per il settore dei trasporti. Bene anche la Cina e la Francia, che seguono nella classifica insieme all’UE. Migliora il Canada, soprattutto grazie ai nuovi obiettivi di risparmio energetico in atto e agli incentivi e prestiti per migliorare l’efficienza. Geli stati extraeuropei (Australia, USA e lo stesso Canada ) hanno invece ottenuto i punteggi peggiori in termini di “numero di miglia pro capite percorse per veicolo”.
Gli Stati Uniti, più in generale, escono male dalla relazione, che per loro usa termini come “inefficienza”, “uno spreco enorme di risorse energetiche e di denaro” e “progressi limitati”. «Come possono gli Stati Uniti – si chiedono gli autori del rapporto – competere in un’economia globale se continuano a sprecare soldi ed energie che le altre nazioni industrializzate risparmiano e possono reinvestire?»

(Foto Pixabay)

Fonte: ecodallecittà.it

Fotovoltaico in ripresa secondo la IEA e l’Italia è prima al mondo per quota di energia prodotta

Quasi 140 GW installati a fine 2013, soprattutto in Asia. L’Italia si conferma prima nel mondo con una quota del 7,8% di energia elettrica prodotta dal sole.

Il fotovoltaico torna a correre dopo due anni di (relativa) stagnazione: un rapporto della IEA conferma che nel 2013 sono stati installati nuovi impianti per 37-38 GW, portando il totale a quasi 140 GW. La crescita è merito soprattutto soprattutto dell’ Asia, che grazie soprattutto agli interventi di Cina, India e Giappone, ha contribuito per il 59% delle installazioni del 2013. Dopo aver guidato la corsa, l’Europa ha rallentato: 22 GW nel 2011, 17 nel 2012 e 10,3 nel 2013. Questa non è una buona notizia, soprattutto se l’Unione intende davvero ridurre le emissioni di CO2 del 40% nell’arco di 15 anni. C’è però un’importante notizia positiva per il nostro paese: se l’Italia è la seconda nazione per produzione di energia dal sole, è la prima al mondo per la quota di energia prodotta con il fotovoltaico7,8%, davanti al 6,2% della Germania e al 5m8% della Grecia. Questo fatto dovrebbe rappresentare una straordinaria opportunità per l’Italia per diventare una nazione solare, in grado di attrarre investimenti, ricerca e sviluppo da tutto il pianeta. Per fare questo avremmo bisogno di qualcuno che ci creda davvero, senza chiedere consiglio per la politica energetica ai dinosauri di ENI ed ENEL.Fotovoltaico-mondo-2013-2014

Fonte: ecoblog.it