In memoria del ligustro: riflessioni sull’infanzia che c’è stata e su quella che verrà

Mentre lavoro nei campi il pensiero corre ai bambini e ai ragazzi di oggi. Chiusi in città maleodoranti, insensibili a quel po’ di natura che li circonda, attratti dall’artificiale. E le regole “anti-Covid” hanno fatto il resto. Quale società costruiranno le attuali nuove generazioni se non saranno nemmeno più in grado di toccarsi, abbracciarsi, correre e giocare insieme?

In questi giorni di primavera mi capita spesso di passare lunghe ore all’aperto impegnato nei lavori dell’orto e dell’oliveto mentre le rondini sfrecciano sfiorando l’erba e in sottofondo si  ode costantemente il richiamo insistente dei codirossi.

Non presto molta attenzione a ciò che mi circonda. L’angoscia della situazione attuale è troppa, così come la rabbia, e mi pesa l’impotenza nel vedere il mondo che si sgretola di fronte allo strapotere di multinazionali e al movimento pulsante e irrazionale di una società ormai  priva di ogni punto di riferimento, valore e consapevolezza.  Annaffio, rastrello, tasto i baccelli, raccolgo le potature degli ulivi, apro e chiudo il recinto delle vecchie cavalle pony. Il tempo passa veloce. Tuttavia c’è qualcosa che mi distrae, un essere vivente che mi  fa distendere le rughe della fronte e riporta la mia attenzione sul mondo circostante. È il Ligustro  (Ligustrum vulgare ), un arbusto mediterraneo che forma intrichi e siepi ai bordi dei boschi, nelle radure o dove la luce è abbastanza forte da potergli giovare. Siamo a Giugno e il ligustro è lì, con le piccole foglie coriacee, incurante di telegiornali, pandemie vere o presunte, disastri economici e sociali. Lui è lì e da fine Maggio ci regala dei fiori bianchi a grappoli, dall’aspetto insignificante ma il cui odore, dolce come zucchero, ubriaca anche il più sobrio degli insetti ed è inebriante anche per  gli esseri umani.  Aspiro il profumo e mi sento confortato.  

Poi però il lavoro nel campo mi richiama e mentre accatasto i rami di olivo il pensiero corre ai bambini e ai ragazzi di oggi. Chiusi in città maleodoranti, insensibili a quel po’ di natura che li circonda ma attratti dall’ artificiale, automi costretti in mille progetti; progetti che loro stessi credono interessanti, utili o divertenti ma in realtà non hanno alcun senso se non gettarli nella competizione. Hanno già una maschera e non sanno più riconoscere il bello e il giusto, non sanno quasi più toccarsi, abbracciarsi, ridere come scemi per una battuta banale, rimanere a bocca aperta per un arcobaleno o le onde del mare. Quasi, appunto; alcuni istinti permangono ancora, alcune ripulse sono dure da scacciare: come la disperazione per la sofferenza degli animali o la voglia di correre o più semplicemente le necessità di stare con degli altri simili e coetanei . Ma questo è un problema per una società di consumatori senza freni e per coloro che vendono prodotti e creano economie.  Ecco dunque, durante “l’emergenza covid”, che molte regole che io ritengo assurde e inique si sono accanite proprio su bambini e ragazzi. La scuola a distanza, il distanziamento sociale, le distanze di sicurezza, la paura dell’altro: sono una delle peggiori realizzazioni che questa società pazza ha imposto negli ultimi mesi ai bambini e ai ragazzi. Tutto ciò comporta solitudine, disorientamento, insicurezza; l’atomizzazione della società arriva così alla sua apoteosi; solo singoli si è sicuri. Ma al contrario, quali disagi mentali, quali conseguenze sociali hanno prodotto e produrranno queste imposizioni largamente accettate dagli adulti?  Quale società costruiranno le attuali nuove generazioni se non saranno nemmeno più in grado di toccarsi, abbracciarsi, correre e giocare insieme?

Cinquant’anni  fa la stragrande maggioranza dei bambini riconosceva l’odore del Ligustro, ne gioiva inconsciamente, le ragazze se lo mettevano tra i capelli o nei vasi dei fiori per la Madonna. Oggi il 99% dei bambini non ha mai respirato il profumo del Ligustro, non ne ha mai visto le foglie o i fiori, non sa nemmeno che esista. Se vogliamo cambiare davvero, dobbiamo recuperare il puro contatto con la natura e con noi stessi  e tornare ad assaporare nell’aria l’odore zuccherino della Primavera.

QUALCHE DATO: circa il 60% dei ragazzi controlla lo smartphone come prima cosa appena svegli e come ultima cosa prima di addormentarsi.  Il 63% tra i 14 e i 19 anni usa lo smartphone durante l’orario scolastico. Il 50% dichiara di trascorrere dalle 3 alle 6 ore al giorno con lo smartphone in mano quando fuori da scuola. 120.000 adolescenti in Italia trascorrono su internet oltre 12 ore al giorno mostrando patologie psichiatriche.

Fonte: ilcambiamento.it