Ricominciare tutto di nuovo. Ecco perché dobbiamo essere grati per ogni “prima volta”

Possono esserci momenti nella vita in cui siamo costretti a ricominciare tutto da capo. E così si possono sperimentare nuovamente le gioie e i dolori della prima volta, dal primo giro in bicicletta alla prima pagina di un racconto scritto con passione. Nella settima puntata della sua storia, BB ci racconta le sue seconde prime volte, spiegando perché dobbiamo considerare un prezioso dono ciascuna di esse.

 “Mi sembra di essermi svegliata da un sonno lunghissimo. Un sogno lungo più di un anno. Un sogno pazzesco e un incubo meraviglioso. E così, come dopo ogni sogno pazzesco, il risveglio è ancora più assurdo. Sconvolgente. Da una parte, è bellissimo svegliarsi, perché sai che sia stato solo un sogno. D’altra parte però, nonostante sia finito, resta sempre una fastidiosa sensazione addosso. Una sensazione di spiacevole angoscia”.

E questo ri-sveglio è proprio come le tue prime volte: le tue ri-volte, BB, è un ritorno a te stessa. Un viaggio lunghissimo attraverso il tempo della tua vita passata, e protesa verso un nuovo futuro tutto da costruire. Passo dopo passo. Anzi, prima volta dopo prima volta.

La prima volta a guidare l’auto con mio padre a fianco, maestro di scuola guida, come quindici anni prima. E la prima volta in bicicletta, sempre insieme a lui, tornato padre ancora più orgoglioso di una figlia che cresce e impara, anzi re-impara la vita. Giorno dopo giorno. Guido e pedalo ogni momento più sicura, come lo sapessi fare da sempre. E in fondo così è. Pedalo felice gareggiando con altri bambini a chi sa andare con una mano sola, mentre intorno gli adulti fanno sport seri.

La prima volta che mi sono truccata dopo più di un anno. La prima volta che, a pochi giorni dalle dimissioni dopo l’operazione risolutiva di aprile, sono tornata nella sede dell’associazione con cui collaboravo e mi sono sentita accolta in famiglia. La prima volta che ho indossato le mie tre paia di orecchini soffrendo per riaprire i buchi, ormai chiusi dopo mesi di astinenza. La prima volta che, sola, accompagnata da musica rock, sono andata fuori Roma per fare un’intervista attraversando la campagna del viterbese e, perdendomi con la mente a osservare gli alberi, ho trovato innumerevoli somiglianze tra loro e me: tutti fieri e fragili esemplari, ben radicati a terra, ma con la testa protesa al cielo, in balia del vento, del volere umano e del corso della natura. La prima escursione, in cui mi è stato così chiaro quanto è bello fare qualcosa per il puro piacere dell’atto in sé. Io di nuovo sui miei passi, lungo il sentiero della mia rinascita. Sentire la tensione dei muscoli, il piacere dei sensi stimolati dall’ambiente circostante e comprendere che sono proprio giornate del genere quelle per le quali vale la pena vivere. La prima volta che ho praticato di nuovo Ashtanga yoga e ho sentito il mio corpo tremendamente legnoso, ma anche così piacevolmente teso. Ogni fibra muscolare pervasa da una gioia immensa; e maggiore era la tensione dei muscoli, maggiore la sensazione di sentirmi viva, di nuovo, e concentrata sul mio “core”, il mio centro, il mio essere meditativo, sereno e determinato. E, così, a ogni postura, non riuscire a credere al miracolo di essere in grado di potermi di nuovo tendere e contorcere il quel modo, al solo pensiero che, solamente un anno prima, ero ancora intenta a re-imparare a camminare. Certo, due anni prima potevo fare la serie completa con grande prestanza fisica”.

Ma a cosa serve rimuginare sul passato? Se c’è una cosa che hai imparato in questo lungo periodo è di guardarti i piedi e non voltarti indietro. Allora guardati adesso, BB, guarda dove sei arrivata ora. Vivi nel presente, finalmente.

La prima volta a sfogliare libri e prendere appunti seduta nel caffè di una libreria. C’è Dante che mi guarda di traverso con il suo ghigno arcigno, ma attento. Poi un giovane vestito anni ’70 che legge il Time seduto al tavolo di fronte al mio. E molti altri personaggi ancora, provenienti da molte epoche e paesi diversi. Dalla star del americano Eminem, a Boris Pasternak, ET e altri ancora. Tutti, oggi, nello stesso caffè della libreria a ispirarsi e ad ispirare. Tutti qui, dipinti alle pareti intorno a me, immersa in una pila di libri e affiancata dal mio fedele taccuino”.

Di nuovo tra i libri, miei amici di sempre, fonti d’ispirazione immensa, compagni di notti insonni, di cuccette umide, di camminate, viaggi, letti, water, di scalini e tavoli di caffè o di biblioteche sparsi per il mondo. Di nuovo tra loro e con loro, come fosse la prima volta. Di nuovo io, affamata di sapere e di esplorare. Di nuovo un caffè lungo e dolce a raffreddarsi nella tazzina sporca che, alla fine, spero, riveli fondi di speranza e rinascita. Di nuovo l’inizio di un’altra, ennesima storia. Come la prima volta. Ecco la mia prima volta più emozionante: quella passata di nuovo a scrivere. Proprio come la bambina che ero, alle elementari, quando scrissi la mia prima storia ambientata nel favoloso mondo di Topolinia. Oggi, come allora, mi ritrovo immersa nelle carte, nelle macchie di inchiostro e caffè sui fogli bianchi, improvvisamente pieni di frasi, scritte con una grafia minuscola e veloce, appunti, scarabocchi, note, asterischi e collegamenti.

La scrittura ha sempre fatto parte della mia vita. Posso dire di aver scritto vivendo e di aver vissuto scrivendo: sempre, ovunque, comunque. Proprio come in un rituale sacro, celebrato sempre nelle stesse modalità che per me sono camminando o stando in piedi affacciata sulla finestra del mondo. Appunti veloci e criptati come formule magiche che solo io sono in grado di decifrare. Per me è camminando che nasce un’idea, quando tutti i muscoli del corpo sono rilassati e la mente si distende.

L’aria è buona e la compagnia della natura le fa eco e le ispira frasi che diventano paragrafi, ripetuti più e più volte nella mente, fino a quando, passo svelto e ballonzolante, non posso far altro che fermarmi, armata di penna e taccuino, e trascrivere il pezzo recitato a memoria. È così che sono nati tutti i miei libri editi e non, i diari foderati e intrisi dei sapori e degli odori dei paesi visitati e lì appuntati; ma anche le tesine, gli articoli, fino ai libri scritti a macchina – l’Olivetti arrugginita di mio nonno – e quelli sono cominciati e salvati sulla moderna memoria di un computer a nome de “la sindrome dei cominciamenti: una, dieci, mille storie solo cominciate, mai finite e tutte collegate!”.

Tante sono le prime volte di questa nuova vita, alcune in compagnia dei fili della tua rete, altre sola. Sola, ma sempre con BB. Con lei che tira un calcio al pallone e tenta, goffamente di palleggiare. O la prima volta a correre per un isolato con la sua cagnolina al guinzaglio – o forse lei tirata dal guinzaglio del cane. Percepire tutto il piacere e la tensione delle gambe che si alternano in modo rapido e automatico in una timida corsa. Tutto proprio come aveva previsto la fisioterapista dell’ospedale: “Basta che esci di qui e ricominci a vivere. Tutto verrà naturalmente, come lo sapessi fare da sempre”.

“Io prima ero una grande sportiva: arrampicata, bicicletta, calcio, trekking d’alta quota e ogni altro genere d’attività fisica. E ora a mala pena le mie gambe stanno dritte in piedi, senza piegarsi e crollare …”, le dicevi sempre piagnucolando. “Esci di qui e ricomincia a vivere. Sai già fare tutto e tornerai a farlo quando sarà il momento giusto. Non pensarci troppo, verrà naturalmente. Piano piano, tornerai a essere te stessa. Non preoccuparti troppo”.

Le prime volte spaventano sempre. Ma non BB, perché per lei sono prime volte note. Già sapute. Andare in bici, guidare, correre, vivere da soli e ogni altra prima volta, per lei, non è proprio come imparare a farlo da zero. Piuttosto è un re-imparare cose già sapute, ma smesse da più di un anno. Cose disabituate. E questo rende ancora più speciale il ricominciare a farle. Ancora più unica ogni prima nuova volta. Ogni nuova ri-volta!

E nella lista mai esauriente di tutte le prime volte, non possono non rientrarci tutti i primi gesti d’affetto di tutte le persone che, da sconosciuti, hanno trasformato il loro viso in volto amico. La prima volta che, in abiti civili, con la testa operata da pochi giorni, ben nascosta da un cappello, e in veste di guida dell’orto botanico, una signora mi ha fatto i “complimenti per gli occhi meravigliosi che ha, signorina. Con queste mascherine che lasciano scoperti solo gli occhi, mi piacerebbe avere due fari stupendi come i suoi”. A volte, mi rendo conto che basta una prima volta del genere a farmi dimenticare un anno di operazioni e sofferenze.

E ancora più sorprendente è stato l’interesse di tutte le persone imparate a ri-conoscere e ad apprezzare in quest’ultimo anno. La farmacista che si ricorda di me e vuole essere aggiornata, la segretaria dello studio medico che mi sorride tendendo l’ennesima ricetta. L’OSS del reparto di neurochirurgia che sa come mi piace il thè al mattino e me lo porta come fosse la colazione speciale della regina. E non sarei mai esauriente in questa lista di sconosciuti, conosciuti lungo la via. E altrettanto incompleta sarebbe quella di tutte le persone, distanti massimo sei gradi di separazione, interessate ed empatiche verso l’incredibile storia di BB e della sua rinascita.

E lungo l’incredibile vertigine della lista delle prime volte, non ci sono solo persone, ma anche animali, prima tra tutte la mia fidata cagnolina Cloe, che al solo vedermi ancora oggi si sdraia a pancia all’aria in attesa di coccole. Oppure i primi gesti, vissuti sola con BB, dalla prima alba vista levarsi dalla finestra della mia casa tra i monti sopra il lago del Turano; il primo fuoco acceso nel camino e fissato fino al suo ridursi in tiepida brace. Il gusto dei cibi prima amati, poi nauseanti o indigesti e infine di nuovo, finalmente, amati.

Le prime vittorie, le prime soddisfazioni. Quanta gioia in tutti questi primi atti, ma anche quanto senso d’impotenza. Quanto entusiasmo in tutte le prime volte della mia nuova vita, ma anche quanta paura che potessero essere le ultime. Perché la vita non è fatta solo di meravigliose prime volte, di iniziazioni o successi. È costellata di limiti fisici e mentali, di angosce, di fatiche e sconfitte che bruciano più di prima e possono fare anche molto male. E così è stato la prima volta che ho visto la mia testa reduce dall’operazione risolutiva in cui mi hanno attaccato un nuovo opercolo plastico, leggermente più piccolo del suo gemello sinistro, e puntellato da decine di punti uniti insieme a tracciare una mappa ancora insanguinata sopra il mio cranio: geografia miracolosa e dolorosa di amore e professionalità. Perché vivere ogni prima volta da ri-nata bambina, con la mente di un’adulta, dà il vantaggio di viverle fino in fondo e saperle comunque apprezzare. Per il solo fatto di essere consapevole. Per il solo fatto di essere viva. Perciò, siate grati di tutte le prime ri-volte, anche quelle più dolorose, per il solo fatto di essere vivi e di poterle raccontare.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/08/ricominciare-prima-volta/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Massimo Ivaldo: da attore teatrale a raccontastorie nei parchi

Massimo è un attore teatrale che dopo essere sceso dai palchi di grandi teatri, dall’inizio del lockdown va in giro per parchi e vicoli, regalando poesie per infondere speranza e lenire la paura verso l’altro che si sta diffondendo tra adulti e bambini.

Massimo Ivaldo, conosciuto sul palco anche come dottor Nasello, è un artista dalle capacità poliedriche che ha vissuto molte vite in una, trasformandosi da animatore sociale ad attore teatrale di successo, a racconta storie per grandi e piccoli. Una persona, oltre che a un professionista, dotata di una resilienza e una creatività fuori dal comune. Oggi Massimo è uno scrittore di libri “per l’infanzia e per animi fanciulleschi”, autore, attore e produttore di opere teatrali e raccontastorie. Se vi ho incuriosito e lo volete conoscere, lo troverete nei vicoli e nei parchi liguri di ponente e genovesi a regalare con il suo banchetto itinerante poesie e limoni a passanti.

DALLA FORMAZIONE AL SUCCESSO

Nel suo sito Massimo si definisce come “Animattore teatrale artigianale, fatto in casa, nei banchetti coi libri per strada, nelle Case di Riposo e negli Ospedali pediatrici” e per essere tutto ciò servono una buona dose di talento e una fonte quasi inesauribile di entusiasmo: e a conoscerlo da vicino vien da pensare che sia proprio il suo caso. Ma la strada che ha seguito inizia molti anni fa. Lui stesso racconta così il suo percorso: «Sono un geometra che si è iscritto a lettere perché sognava di fare il giornalista sportivo. Mi sono laureato in lettere moderne e ho fatto una tesi sull’autarchia morettiana».

«Da sempre scrivo poesie e per lo più d’amore. Da che ho ricordi, la scrittura ha sempre smosso tante cose in me. Dopo la laurea ho iniziato a lavorare in una casa di riposo come animatore sociale, ma non volendo escludere le persone allettate o con problemi psichici ho cercato di reinventare il ruolo con un metodo nuovo. Da allora, attraverso il personaggio del dott. Nasello (che prende ispirazione dal mio grande naso) porto sorrisi nelle case di riposo e negli ospedali pediatrici».

Grazie a questo metodo di animazione, che prende spunto dalla clownterapia, Massimo inizia ad avvicinarsi al mondo del teatro, partecipando un po’ per gioco a un provino per entrare in una importante compagnia teatrale ligure. In quegli anni la compagnia partecipa a concorsi nazionali, arrivando tra le prime cinque in Italia grazie a spettacoli in diverse città della penisola. Sono gli anni per lui di grandi successi, riconoscimenti, scanditi da palcoscenici di grandi teatri. Vent’anni fa, però, il mondo delle compagnie teatrali inizia ad andargli stretto e decide di lasciarlo per provare a mettersi in gioco attraverso spettacoli scritti, recitati e prodotti in maniera autonoma. Da allora, attraverso collaborazioni occasionali, ha diretto e messo in scena diverse opere, cambiando però radicalmente il contesto: ovvero passando da teatri sontuosi a palchi nelle piazze cittadine, auditorium e palestre, ma soprattutto a scuole primarie. Dall’inizio del lockdown dello scorso anno, non potendo più andare a teatro o entrare nelle scuole e in luoghi chiusi, si può trovare Massimo in giro per parchi e vicoli, intento a fermare i passanti, regalare poesie, improvvisare racconti e regalare i limoni del suo albero, per infondere speranza e lenire la paura verso l’altro che si sta diffondendo tra adulti e bambini. Ed è così che da attore da palcoscenico Massimo si è trasformato per necessità a diffusore itinerante di cultura e amore.

IL LINGUAGGIO E L’AMORE

Ascoltare i racconti di Massimo è un’esperienza densa di emozioni: gioia e risate sono intervallate da nostalgia e malinconia. Le storie che narra prendono spunto dai libri che ha scritto e rendono più che mai vivi e reali i personaggi umani e animali nelle loro avventure. Il linguaggio scelto dall’attore è tragico, ma allo stesso tempo comico, ed è in questo turbinio di emozioni che riesce a parlare ai suoi spettatori incontrati nelle vie di vita, tristezza, solitudine e bellezza della natura. Sempre con un filo conduttore: l’amore. «Per chi non l’ha trovato in maniera assoluta e per chi, come me, è alla continua ricerca dell’amore, l’espressione artistica è un’occasione per fotografarlo, viverlo e riviverlo, per poi trasfigurarlo attraverso la poesia, cercando di comprenderlo.»

GLI SPETTACOLI ITINERANTI

Negli scorsi anni Massimo aveva scritto e recitato altri spettacoli itineranti. Tra questi l’ultimo era “Pinocchio pinocchio”, in cui diversi attori, in diverse postazioni, raccontavano e interpretavano la storia del loro personaggio.«Mi hanno sempre affascinato gli spettacoli itineranti: il fatto di poter stare all’aperto, giocare un po’ con la scenografia componendola con materiali essenziali, recitando nei parchi, nei vicoli. Recito poesie e animo i miei racconti».

LE CAREZZE DELLE POESIE

Avvicinare per strada persone sconosciute in questo momento storico è più che mai complesso: la diffidenza e la paura del prossimo la fanno più che mai da padrone. «Fermarsi e parlare con uno sconosciuto – mi racconta Massimo – non è un comportamento tipicamente umano, quindi da sempre, ma oggi più mai, lo faccio con delicatezza e gentilezza».

«Cerco di essere incisivo, ma non pedante. Lo faccio chiedendo il permesso e regalando poesie e limoni senza chiedere nulla in cambio. Penso che se il mondo abbia sempre più paura e bisogno di qualcosa di rincuorante come una poesia, che è per me un atto d’amore, una carezza, con cui cerco di alleviare a modo mio il loro stato d’animo».

I LIBRI

Massimo ha pubblicato in questi anni di teatro, alcuni dei racconti scritti per le sue rappresentazioni. Ad oggi ha scritto sei libri: il primo è stato “Coccodina e gli altri volatili” edita dalla Fata Trac della Giunti, che non è più in stampa. LUCI (con illustrazioni Giorgia Atzen ed edito da Illustrazioni Corsare), La Storia Amorosa di Cecco e di Rosa (illustrazioni Giorgia Matarese, di KC Edizioni), Quando gli Animali parleranno agli uomini (e alle donne) (illustrazioni di Caterina Montanari, di KC Edizioni) e I GIOCHI DI… “Ancora una volta” (con disegni di Antonio De Vecchi, edito sempre da KC Edizioni). La cultura è in un momento davvero complesso: schiacciata, sorpassata, messa in secondo piano da tutto e tutti. Ma come ci ricorda Massimo è proprio l’arte il motore della speranza e della bellezza. Sosteniamo dunque insieme artisti come lui, che nonostante le difficoltà, cercano ogni ogni giorno di regalare sorrisi, poesie e limoni a persone sconosciute. Come? Acquistando i suoi libri, invitandolo nella piazza della vostra città, e ricambiando un po’ dell’amore che con fatica cerca di diffondere.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/04/massimo-ivaldi-attore-teatrale-raccontastorie-parchi/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

“Se hai tempo siediti, se hai voglia prendi un libro”. Ecco il booksitting

‘Se hai tempo siediti, se hai voglia prendi un libro. Se vuoi diventare un supereroe colora una sedia’. Sono queste le regole del booksitting, iniziativa lanciata qualche settimana fa a Firenze per promuovere lo scambio di libri, creare nuove occasioni di socialità e modificare lo scenario urbano.

Che cosa succede quando una sedia incontra un libro? Ne abbiamo parlato con Alessia Macchi, agente del cambiamento e tra le promotrici di un progetto collettivo lanciato qualche settimana fa a Firenze: il booksitting.

Che cos’è il booksitting?

Booksitting è un’iniziativa aperta a tutti, principianti, apprendisti e supereroi. Brevi istruzioni, poche regole e tanta voglia di partecipare. La sua espressione è la sedia, come oggetto emblema di attesa, riposo, momento di socialità. Il suo valore aggiunto sono i libri, instancabili e intramontabili veicolatori di idee e storie. Da questa unione nasce la possibilità di trovare in giro per la città sedie verdi corredate di libri. Ci si può sedere, se si ha tempo, si può prendere un libro, se si ha voglia, oppure si può decidere di diventare un apprendista, aggiungendo dei libri, o ancor meglio un supereroe, colorando una sedia, mettendoci dei libri e posizionandola da qualche parte in città. Il richiamo casuale al termine “babysitting” fa sorridere, viene in mente il prendersi cura di qualcosa!booksitting11

L’iniziativa è stata lanciata a Firenze qualche settimana fa. Vi siete ispirati ad altri Paesi?

Da quello che sappiamo, Booksitting è il primo “connubio ufficiale” tra libri e sedie. Esistono un po’ ovunque belle iniziative legate invece al Bookcrossing, un’attività globale che si concentra più sul viaggio compiuto dai libri, di mano in mano, e meno sul luogo dove questi libri vengono effettivamente scambiati, che può variare in mille modi, da bacheche a scaffali dedicati nelle stazioni e molto altro ancora.

Cosa differenzia il booksitting dalle altre iniziative che promuovono lo scambio di libri?

Booksitting e bookcrossing se non sono fratelli, sono sicuramente cugini! Il punto in comune più lampante riguarda chiaramente lo scambio di libri, quello più profondo ha a che fare con una forma diversa di condivisione e socialità. Mentre nel bookcrossing prendi/lasci un libro e te ne vai, Booksitting ti dà la possibilità di fermarti, di restare, di sederti e leggere sul posto se vuoi. Può creare uno scenario inaspettato nel panorama urbano. La fantasia delle persone farà il resto.

Qual è l’obiettivo?

Ci è stato chiesto se si tratti di un gioco, di uno stimolo alla città o di un’iniziativa culturale… la verità è che potrebbe essere tutte queste cose insieme! Il progetto cresce e si sviluppa in maniera spontanea e libera, nemmeno noi abbiamo la certezza di quali saranno le novità del 2018!

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Che riscontro avete avuto in queste settimane da parte dei cittadini?

Il “battesimo” del progetto a Firenze è stato molto positivo. Ha suscitato curiosità e acceso sorrisi. Indipendentemente dal fatto di essere un accanito lettore o meno, trovare dei libri in luoghi inaspettati genera sorpresa, non lascia indifferenti. Questo è sicuramente il primo importantissimo passo.

Pensate che questa iniziativa possa essere replicata in altre città? Cosa serve?

Sicuramente può essere replicata, anzi ce lo auguriamo! Che in quel momento ti senta un principiante, un apprendista o un supereroe, si tratta di un invito ad attivarsi. Quella che sembra una gerarchia, in realtà non lo è. È nata per essere sovvertita e dare a tutti la possibilità di interagire con il progetto, a seconda delle proprie predisposizioni e attitudini. Ovviamente noi speriamo che si moltiplichino i supereroi, visto che ognuno di noi può diventarlo!

Per diventare supereroi sono sufficienti una sedia, alcuni libri e la guida che si trova sul sito. Ogni libro deve contenere le brevi istruzioni dell’iniziativa e, nel caso in cui la sedia sia posizionata in un luogo non coperto, i libri devono essere protetti dalle intemperie. Ognuno può diventare un booksitter e per agevolare questa trasformazione ci sono dei punti amici a Firenze dove è possibile ritirare un kit, contenente le cartoline con le istruzioni da allegare ai libri e uno stencil per “firmare” la sedia.

Perché le sedie che avete scelto devono essere verdi?

La riconoscibilità, questa tiranna! Un progetto, qualsiasi progetto, per avere un’identità deve caratterizzarsi per uno o più elementi facilmente riconoscibili. Da qui la scelta di usare sempre lo stesso colore per dipingere le sedie, per renderle riconoscibili e semplificare il compito dei supereroi. Per il resto, visto che si tratta di sedie di recupero, regna la disomogeneità massima su modelli, forme e dimensioni. Basta che siano solide!

Tutte le informazioni e alcune foto si trovano anche sul sito www.booksittingfirenze.wordpress.com e sul profilo Instagram booksittingfirenze.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/01/siediti-prendi-libro-booksitting/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Happiness on the road: libri e felicità

“Happiness on the road” è un progetto di promozione dei libri e della felicità. Si tratta, infatti, di una libreria itinerante a bordo di un’ape del 79 partita quest’estate da Forte dei Marmi per poi spostarsi nelle zone della Versilia e da settembre anche nelle scuole.9694-10469

«L’idea è nata un po’ per caso, un po’ per gioco. Sicuramente anche per divertimento»: ad illustrarla è Marco Sacchelli, che ha avuto “l’illuminazione” e ora la sta portando avanti.

«Sentivo la necessità di iniziare un percorso mio che meglio potesse rappresentarmi. Sono un lettore, sogno di scrivere e ho sempre codificato il mondo attraverso le parole. Volevo portare le storie in modo diverso, parlando del potere che hanno. Il passo successivo è venuto da solo, all’improvviso: un’ape attrezzata come libreria».

Ma non c’era solo la voglia di parlare di libri. «Sono laureato in Scienze Psicologiche e a Giugno ho terminato un Master in Psicologia Positiva, scienza che studia la felicità – prosegue Marco – E allora l’ho fatto: una libreria itinerante
specializzata in felicità. Da tempo scrivevo sul mio blog (chapterzero.it) articoli inerenti una ricerca di un benessere profondo, pieno, ma tutto era troppo virtuale. Avevo bisogno di qualcosa di tangibile, osservabile, reale. Ho iniziato andando nelle piazze, agli eventi di paese, nei parchi giochi portando i libri e organizzando laboratori di felicità. Condividevo tecniche ed esercizi studiati a proposito della Gentilezza, Gratitudine, Meditazione o Emozioni. Le risposte sono state meravigliose: l’ape attirava e attira le persone più diverse tra loro. Dagli anziani ai bambini, da chi si interessa solo alla parte dei libri a chi si emoziona per il concetto di portare la felicità sulla strada. Ma sopratutto, le persone si aprono, si raccontano e condividono con me pezzi della loro storia personale. È bastato mettere lì, come soggetto del discorso, la felicità per far venire fuori la parte più profonda delle persone».

«Non ho la pretesa di insegnare nulla, solo di condividere un messaggio. Che la felicità è possibile e appartiene solo a noi, che è necessario smettere di cercare la felicità, ma riaprire da essa, riscoprendo la bellezza del presente, di quel che già c’è, essendo grati per quel che abbiamo.  Che le storie possono aiutarci in questo percorso poiché scopriamo che le nostre gioie e dolori sono universali e siamo tutti insieme in qualcosa molto più grande di noi. Da settembre ho iniziato un percorso nelle scuole dal nome L’ELETTROCARDIOGRAMMA DELLA FELICITÀ. Si tratta di un prolungamento del progetto, questa volta per i bambini. L’elettrocardiogramma è il noto esame medico che misura l’attività grafica del cuore e si abbrevia in ECG. Quindi, si tratta di un percorso di storie ed esercizi sulla Emozioni, la Consapevolezza intesa come capacità di restare calmi, di vivere il presente, di respirare consapevolmente e sulla Gratitudine. Sono andato già in diverse scuole d’Italia e ho avuto la possibilità di portare quello in cui credo nelle classi, condividere pensieri sulla felicità con insegnanti e bambini che, se solo gli dai un po’ di fiducia, ti ripagano con parole di meraviglia».

Per chi volesse saperne di più:

Chapter Zero: Happiness on the road

Sito: chapterzero.it

email: sacchellimarco@gmail.com

Fonte: ilcambiamento.it

‘Perché nella nozione di decoro non c’è mai spazio per i libri’, Aldo Grasso difende Vivi Libron

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Sulle pagine del Corriere di Torino (edizione torinese del Corriere della Sera on line) il celebre critico e giornalista critica le decisione di sfrattare la piccola libreria di cartone nel cuore di Porta Palazzo.

Quei libri non sono decorosi, bisogna farli sparire. Qualche giorno fa l’amministratore del complesso immobiliare nato nell’ex Arsenale Militare di Borgo Dora a Torino ha scritto all’associazione Vivi Balon chiedendo di «liberare immediatamente l’area di pertinenza condominiale» dove è stata sistemata «una catasta di libri, molto probabilmente per un progetto di libero scambio del quale non eravamo al corrente» chiamato «Viva Libron». I motivi sarebbero il mancato rispetto del «decoro previsto dal regolamento di condominio» ma soprattutto il pericolo dato dal «materiale altamente infiammabile». Risultato: la piccola libreria di cartone nel cuore di Porta Palazzo è stata sfrattata. A prendere le difese di questa bella iniziativa che vede protagonisti Eco dalle Città e Vivi Balon anche Aldo Grasso. Ecco che cosa ha scritto sull’edizione torinese del Corriere della Sera:

L’amministratore di condominio che ha sfrattato la piccola libreria di cartone nel cuore di Porta Palazzo sarebbe stato un personaggio perfetto per le straordinarie meditazioni cretinologiche di Fruttero & Lucentini. Per carità, c’è sempre un regolamento cui appellarsi, un pezzo di carta che manca, un decoro condominiale da rispettare, ma la cosa più imbarazzante è che nella nozione di decoro non c’è mai posto per i libri. A Torino, come in altre città. Come se quei parallelepipedi di carta stampata fossero degli ingombri, suppellettili accatastate in attesa della nettezza urbana. Chi non ama leggere pensa che i libri non abbiano nulla di suggestivo, di gratificante, di desiderabile e che il «libero scambio» sia qualcosa di disdicevole.

E invece scambiarsi libri è un modo per condividere idee ed emozioni con altri, specie in un momento economicamente non facile. Cosa c’è di più bello che rilasciare libri nell’ambiente naturale, compreso quello urbano, affinché possano essere ritrovati e quindi letti da altri? Diceva Umberto Eco: «I libri si rispettano usandoli, non lasciandoli stare». E questo è il concetto che sta alla base del bookcrossing , un fenomeno dalle radici antiche che da qualche anno ha trovato un’espressione concreta anche da noi. La condivisione è un valore da tutelare, non da sfrattare. Rovistare fra libri usati è come sfogliare un vocabolario: cerchi una parola e intanto ne trovi altre, forse più interessanti, più espressive di quella che cercavi. Un buon consiglio è quello suggerito già nel 1947 da Wodehouse: «Secondo me il solo modo di trovare qualcosa da leggere, oggi, è di andare in una pubblica biblioteca, girare tra scaffali, e tirar giù quel tipo di libri di cui nessuno ha mai sentito parlare». E se la pubblica biblioteca, seppur minuscola, si trova in un cortile condominiale è ancora meglio. Le sorprese sono a portata di mano perché un libro non va mai considerato come uno scarto, un oggetto superfluo, un raccoglitore di polvere.

Fonte: ecodallecitta.it

 

Anna e la sua libreria che regala i libri

Non si vendono né si comprano: in questa libreria chi lo desidera può prendere un libro, senza lasciarne necessariamente un altro in cambio. È questa la filosofia di Libri Liberi, un’esperienza avviata qualche anno fa a Bologna e replicata in altre parti d’Italia. Nel centro di Bologna c’è una libreria nella quale i libri non si comprano né si vendono. Vista la premessa, la mente potrebbe correre al cosiddetto “bookcrossing”.  Anche chi non conosce il termine avrà probabilmente notato che, durante gli ultimi anni, in locali, stazioni sale d’attesa, è sempre più comune trovare scaffali pieni di libri, che si possono prendere, leggere e poi riporre nuovamente in qualche altro luogo simile. Ecco, la libreria di cui vi racconterò è un’esperienza diversa, anche se un po’ simile.IMG_11541

Anna Hilbe e la sua libreria (Foto di Giulio Cioffi)

Libri Liberi, nata nel 2012 per opera di Anna Hilbe, raccoglie e seleziona i libri di quelli che, per un motivo o per l’altro, decidono di liberarsene, e li dona a chiunque voglia leggerli. Se il bookcrossing prevede “un libro per un libro”, in questo luogo non ci sono limitazioni: si può decidere di tenere il volume scelto, di riportarlo, di portarne un altro, o tanti altri, o nessuno in cambio. All’inizio le persone, abituate a un tipo di scambio do ut des, sono in imbarazzo. Alcuni dicono “se non ho un libro da lasciare, io non prendo niente”, nonostante l’invito a portare a casa il volume desiderato. Anna racconta che recentemente, una ragazza che non era mai venuta, continuava a chiedere incredula: “ma davvero posso prendere questo libro?”. Pur in assenza di regole, l’equilibrio fra doni fatti e ricevuti, necessario per la sostenibilità della libreria, viene mantenuto grazie ad un meccanismo che Marshall Shalins avrebbe definito di “reciprocità generalizzata”. Si tratta della stessa modalità di scambio tipica delle famiglie, in cui sono frequenti doni e favori di vario tipo senza che la quantità, la qualità o la tempistica siano necessariamente corrispondenti. Anna, oltre ad aver avuto l’iniziativa per costruire questo luogo, è anche colei che paga affitto e bollette favorendo, attraverso la sua generosità, nuovi circoli virtuosi.11140257_846152572130612_5177357042434078974_n

Lo spazio è piccolo, a volte troppo piccolo per contenere tutti i libri che arrivano, così che una parte dei volumi viene collocata all’interno del garage di fronte, il cui proprietario ha concesso un pezzettino di parete a Libri Liberi. Alcune enciclopedie, per cui non c’era spazio, sono state regalate a Làbas, oggi purtroppo sgomberato, mentre molti dizionari e atlanti vengono consegnati ad associazioni e cooperative impegnate nell’insegnamento dell’italiano per i migranti.

Libri Liberi è aperta cinque giorni a settimana e ad Anna si affiancano dei volontari, che “hanno grandi scambi in chiacchiere con quelli che vengono a prendere i libri”. È un posto dove Anna dice di imparare molto: “Vengono segnalati autori e autrici che non conosco, quindi per me è interessante. Poi, quando vedo qualcuno indeciso, gli chiedo che cosa gli piacerebbe leggere, cosa ha letto, per capire un po’ quello che potrebbero volere”.

Si tratta di un luogo vivo, in perenne cambiamento, nel quale non si sa mai con certezza quali e quanti volumi ci siano, dove a volte i “clienti” spezzano quel lieve imbarazzo, tipico di chi condivide uno spazio ristretto con degli sconosciuti, dando il via a piccole discussioni riguardanti la letteratura e la politica. Talvolta passano professori universitari, attuali o in pensione. Uno in particolare recentemente ha portato in dono l’anteprima di una raccolta di poesie francesi. Su ispirazione di Libri Liberi, sono nate fino ad ora altre due librerie simili in Italia, una a Nicotera, l’altra a Trieste, e a novembre è prevista la visita di una donna da Cracovia che vorrebbe raccogliere informazioni per costruire qualcosa di simile in Polonia.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/10/anna-libreria-regala-i-libri/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Tlon, la libreria teatro che contamina il quartiere

Libreria teatro, casa editrice, agenzia di eventi e scuola di filosofia. Tutto questo è Tlon uno spazio nato a Roma qualche mese fa per favorire al suo interno l’incontro tra varie discipline e, soprattutto, quello tra gli abitanti del quartiere e della capitale. Arrivo trafelato alla fermata del tram vicino Ostiense. Andrea Colamedici – filosofo, scrittore, autore, docente di corsi e soprattutto editore di Tlon  – mi viene a prendere con la sua auto e dopo pochi minuti sono seduto accanto al nostro Paolo Cignini per realizzare questa nuova intervista. Lo spazio intorno a noi è molto accogliente. Tanti libri (ovviamente), ma anche un piccolo palco rialzato (un teatro! Verremo a sapere poco dopo) e poi riviste di settore, persone che lavorano, sedie di vario tipo.

Colamedici ci introduce al luogo in cui siamo: “Fin dalla sua nascita – ottobre 2016 – questo spazio vuole ibridare il teatro con la libreria, con l’obiettivo di mettere insieme una anima libresca e letteraria con la ricerca non solo di intrattenimento ma anche di conoscenza e approfondimento dello spazio scenico. Ecco perché abbiamo allestito questo spazio che desse possibilità di bivaccare, leggere o godersi lo spettacolo; vogliamo offrire una sorta di incontro tra varie arti e discipline, consapevoli che non si può immaginare la teoria senza la pratica e la pratica senza teoria”.

Chiedo a Colamedici quanto sia difficile aprire una libreria in un’epoca in cui molte chiudono e le persone acquistano sempre più i libri per via telematica. “Quello che manca a molte librerie è la capacità di smuovere la vita sociale del quartiere in cui è collocata. Una libreria indipendente muore quando vuole scimmiottare una libreria di catena mentre riesce a vivere e crescere quando entra in relazione con il territorio. Molte persone sono alla ricerca di luoghi di aggregazione. Noi cerchiamo di essere percepiti come uno di questi”.20161005_210804.jpg

Un motivo in più per non limitarsi alla vendita di libri, scegliendo invece di diventare un centro di incontro transgenerazionale: “Qui vengono tutti, dai bambini agli anziani che possono raccontare la loro esperienza agli altri, in un quartiere dove i rapporti umani sono sempre meno sviluppati. Questa idea sta funzionando, anche economicamente: non diventi ricco con una libreria, questo è chiaro, ma ce la facciamo, la struttura si autofinanzia, paga gli stipendi e mette in circolazione la fame di conoscenza che per noi è fondamentale”.

Una sfida notevole che ai miei occhi pare ancora più ardita considerando i libri offerti da Tlon: prevalentemente testi di filosofia, psicologia, spiritualità, con qualche spazio all’eco-sociale e ai nuovi stili di vita. Oltre ad esporre i propri libri (Tlon è anche casa editrice), qui vengono esposti anche volumi di altri editori: “esponiamo molto le altre case editrici, senza ‘affitto’. Non si può far pagare le piccole case editrici altrimenti muoiono. Quindi troviamo metodi alternativi di editoria, come il ‘lettore editore’, o i libri ‘da un centesimo in su’. Noi proponiamo i libri che normalmente le catene ignorano.IMG_20170713_1245515071.jpg

Che con la cultura non si mangi è un fatto falsissimo – continua Colamedici – con la cultura si mangia, anche con quella di alta qualità, ma bisogna investire sulla narrazione di quello che si fa. Noi, ad esempio, abbiamo eliminato la presentazione di libri, sostituendola con la narrazione del libro. Se decidi di approfondire un tema a partire da un libro puoi entrare in relazione reale con il pubblico. Stai costruendo un serpente editoriale e di eventi, fatto di tanti libri e tanti temi che vanno a comporre un simbolico grande libro”.

Anche la casa editrice sta andando bene. Non ha bisogno di finanziamenti esterni. “Abbiamo deciso di indirizzarci ad un pubblico interessato alla spiritualità attraverso libri di un certo spessore, ricostruendo un catalogo che non fosse consolatorio ma provocatorio. Avevamo la sensazione che ci fosse una grande necessità di questo genere di testi e i risultati ci hanno dato ragione. Poi ci occupiamo anche di altri temi. Uno dei nostri titoli di punta, ad esempio, è ‘L’asilo nel bosco’. Per noi è fondamentale pubblicare titoli di questo genere. Il rischio che corriamo, infatti, è quello di passare per una casa editrice di teoria filosofica; invece siamo una casa editrice di pratica filosofica”.monologhi

Gli chiedo quale sia la proposta teatrale che ospitano e propongono. “Cerchiamo di dare spazio alle compagnie teatrali nuove che non creino una narrazione autoriferita che ha ‘ucciso’ il pubblico. Vogliamo creare uno spazio in cui lo spettatore non si senta un ‘deficiente’, ma in cui si interessi sul serio a quello che vede. Ospitiamo, quindi, spettacoli che ti facciano sentire interessato a ciò che accade nel mondo. All’inizio proponevamo cinque spettacoli a settimana. Ci siamo presto reso conto che erano troppi; ora ci orientiamo su due eventi a settimana, una spettacolo e una ‘Tlonferenza’. Il tutto esaurito viene raggiunto con 90 posti”.

Andrea Colamedici ha fondato Tlon insieme alla moglie Maura Gancitano (con la quale ha scritto anche diversi libri tra cui “Tu non sei Dio”, testo su cui torneremo nelle prossime settimane) e Nicola Bonimelli. Intanto vi invitiamo a visitare la loro libreria-teatro. Virtualmente, se non siete a Roma, ma soprattutto fisicamente quando passate dalla capitale.

Intervista: Daniel Tarozzi
Realizzazione video: Paolo Cignini

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/07/io-faccio-cosi-177-tlon-libreria-teatro-contamina-quartiere/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Cartacanta, dove i libri riprendono vita

I libri riprendono vita a Cartacanta, la nuova libreria nata a Monterotondo (Roma) per iniziativa di Emanuele Trovò e Lucia Garaio. E’ un luogo un po’ magico, a misura di adulto e di bambino, un luogo caldo, accogliente, tranquillo.9558-10319

È un luogo diverso dalle librerie alle quali ci stiamo abituando: luoghi senza librai in cui i libri vengono consumati come prodotti da supermercato, usa e getta dopo la stagione giusta per vendere. Poi,  lontano dagli occhi e dalla pubblicità, il nulla. La cultura dello spreco non risparmia neppure le storie da raccontare, le favole, i sogni, il mondo della fantasia. I libri, invece, non muoiono mai. Basta amarli e dar loro il posto che meritano. Dalla passione e l’esperienza di Emanuele e Lucia cresce il desiderio di offrire a tutti la possibilità di leggere, di rifugiarsi tra gli scaffali in tranquillità a scegliere o a confrontare libri ed esperienze di lettura. Così il libro usato diventa una risorsa per tutti: per chi vende e per i lettori che, a loro volta, possono lasciare in conto vendita i testi già letti creando e alimentando una piccola economia circolare e virtuosa per le persone e per l’ambiente.

Potete presentarvi?

Emanuele: Io sono la componente folle del nostro progetto, il compito più importante che ho portato a termine è l’aver coinvolto una libraia come Lucia, davvero preparata e già apprezzata sul nostro territorio.

Lucia: Chi sono…credo ormai una libraia, il che mi piace moltissimo. Ho accolto la proposta di Emanuele immediatamente e sono contenta di averlo fatto.

Che cos’è Cartacanta e quando è nata?

Emanuele: Cartacanta è nata come piccola libreria itinerante, ora però ha messo le radici a Monterotondo, per diventare un punto di riferimento per i lettori, più costante e soprattutto più completo rispetto agli inizi.

Lucia: Cartacanta nasce prima da un’idea di Emanuele di diffondere il libro usato, poi diventa una libreria vera e propria ad agosto dello scorso anno.

Che cosa facevate prima?

Emanuele: io lavoro tuttora in un’azienda che si occupa di recuperi ambientali, in attesa che Cartacanta si consolidi e possa raggiungere a tempo pieno Lucia in libreria.

Lucia: io ho fatto sempre la libraia, per quattro anni fino al 2015 alla libreria Ubik qui a Monterotondo.

Si sentiva l’esigenza a Monterotondo di una nuova libreria?

Emanuele: secondo me si, occorre una libreria che sia qualcosa di diverso da quelle già esistenti, un buon rifugio dove trovare libri o anche vinili e una sedia per valutarli senza fretta. O più semplicemente un posto dove hai piacere di entrare anche solo per un saluto o per scambiare qualche chiacchiera.

Lucia: assolutamente si. Un luogo che offrisse una proposta alternativa a quella delle librerie di catena; che avvicinasse tutti i tipi di lettori dal più piccolo all’adulto; che proponesse non solo libri, ma anche musica e cinema e che fosse un luogo di scambio di idee.

Per cosa vi caratterizzate? Perché la scelta del libro usato? Che valore ha dal punto di vista culturale, etico, sociale?
Emanuele: Il punto di partenza sono stati i libri usati. Col passare del tempo stiamo dedicando il giusto spazio ai libri nuovi e agli indimenticabili remainders (libri nuovi fuori catalogo, scontati al 50%). Riteniamo importante concedere ai nostri amici lettori la possibilità di poter usufruire di un sempre maggior numero di titoli (e di autori), a prezzi del tutto accessibili. E poi, piuttosto che mandare i libri al macero, i nostri clienti apprezzano anche la possibilità di portare in conto vendita quei libri a cui si sono disaffezionati, o che non possono conservare per motivi di spazio.

Lucia: La scelta del libro usato offre la possibilità a tutti di leggere e soprattutto di diversificare la lettura grazie al costo contenuto del libro. La possibilità che offriamo di poter portare i libri in contovendita fa sì che il libro non venga mai “sprecato” e che possa girare, e avere una seconda, una terza, una quarta vita e questo ne aumenta il suo valore.

Riuscite a vivere di questa attività? Siete in attivo?

La nostra avventura è partita lo scorso agosto, quindi dobbiamo ancora strutturarci bene per sfruttare al massimo tutte le potenzialità. Ci sembra ancora presto per fare una previsione, ma sicuramente siamo in crescita.

Quali iniziative promuovete?

Emanuele: Sicuramente gli incontri con gli autori, nazionali e locali, generano una grande curiosità ed ottengono un ottimo riscontro di pubblico. Ogni autore in fondo scrive per raggiungere e mettersi in comunicazione coi propri lettori.
Questi ultimi sono sempre curiosi di capire cosa ci sia dietro la pagina, quali ingranaggi mettano in moto e facciano vivere questo straordinario oggetto che è il libro Lucia: Oltre agli incontri con gli autori, abbiamo iniziato da subito ad ospitare iniziative per grandi e piccoli. Letture-laboratorio per bambini; appuntamento settimanale con corsi di inglese per bambini dai 3 ai 10 anni a cura dell’associazione culturale Il giochinglese; corsi di scrittura creativa per adulti (già in corso) e per bambini, che inizieremo a breve.

Chi sono i vostri clienti?

Vogliamo essere inclusivi nella maniera più assoluta. Nel nostro angolo dedicato, i lettori più piccoli possono sedersi e disegnare, colorare, giocare e ovviamente leggere. Hanno il loro spazio, per valutare e scegliere, mentre i genitori fanno altrettanto nella loro zona.  Ma non ci sono confini, è bello osservare e ascoltare genitori e figli che si consultano ad alta voce, scambiando opinioni, ognuno concentrato sul proprio libro. Più in generale Cartacanta accoglie persone di ogni età e di ogni interesse per i libri, la musica e il cinema, perché ognuno può trovare qualcosa di quello che stava cercando.

Qual è il significato della lettura oggi, della relazione con un libro cartaceo soprattutto per i giovani?
Vediamo soprattutto negli adolescenti, che regolarmente prendono d’assalto il settore dei classici, un desiderio di qualità, di letture non banali. Passano di autore in autore per crescere nel livello di lettura, si scambiano i libri di mano in mano, si confrontano, vengono con le liste piene di titoli da cercare, apprezzano il libro come oggetto fisico e valutano le differenze tra le varie edizioni, anche facendo attenzione alla qualità delle diverse traduzioni.
Quali sono i vostri progetti per il futuro?

Abbiamo da pochi giorni aderito alla rete SatelliteLibri, quindi cominciano ad arrivare in libreria sempre più titoli di editori indipendenti, ad aumentare la nostra offerta. Per il resto, quando abbiamo redatto l’atto costitutivo, abbiamo messo giù, in triste burocratese, il nostro libro dei sogni, che prevede intanto la possibilità di spostarci in un locale più grande, abbinare dei cibi o delle bevande ai libri, e tante altre iniziative, fino ad arrivare a forme di distribuzione più flessibili, di cui stiamo perfezionando lo studio. Più in generale, vogliamo continuare ad essere Cartacanta almeno fino a quando ci toccherà andare in pensione.

Chi volesse conoscervi meglio o venirvi a trovare?

La nostra pagina fb: https://www.facebook.com/cartacanta.libriusati/ con tutte le informazioni.

Fonte: ilcambiamento.it

 

 

 

Una vita seconda natura. Devis Bonanni e l’identikit del “Buon Selvaggio”

Da tecnico informatico ad agricoltore a autoproduttore. Devis Bonanni da anni ha lasciato il posto fisso per dedicarsi alla terra e alla rivalorizzazione delle tipicità della Carnia, dove ha deciso di restare a vivere. Dopo il successo del suo primo libro “Pecoranera”, Devis traccia ora l’identikit de “Il buon selvaggio” che, a ben vedere, è dentro ognuno di noi.

Quella del progetto Pecoranera di Devis Bonanni è stata una delle prime storie  raccontate da Italia che cambia. Ho incontrato Devis un mese fa a Padova in occasione della presentazione del suo secondo libro, Il Buon Selvaggio, edizioni Marsilio. Mi è subito saltato agli occhi l’accostamento dei titoli, che sembrano rappresentare una sorta di tracciato evolutivo della biografia dell’autore, da “Pecoranera” a “Buon Selvaggio”.10316052694_4f2e7349f5_h

Chi pensa che Devis sia stato avvantaggiato dal fatto di avere un punto certo da cui partire, cioè il terreno di famiglia dove dieci anni fa avviò il proprio orto, nel suo paese natale, magari aspettandosi piena accoglienza e sostegno dai suoi famigliari e compaesani, dovrebbe farsi un giretto a Raveo e farsi venire la curiosità di indagare che cosa c’era prima delle serre e dei campi, oggi coltivati a cereali, patate, ortaggi e piante da frutto. Prima di tutto manca all’appello quella caratteristica casetta in legno scuro costruita in gioventù dal padre di Devis, che nei primi anni e per lunghi periodi, rigidi inverni compresi, è stata per lui una base di sperimentazione e ricerca dell’essenzialità, mentre il progetto Pecoranera prendeva forma. Questa casetta due anni fa è stata data alle fiamme da ignoti.

Le serre, invece, sono state allestite agli albori di Pecoranera e hanno introdotto anche nella fredda Carnia il pomodoro, frutto “rivoluzionario” sul cui insuccesso aveva scommesso un po’ tutto il paese, che portò i primi inattesi ricavi di vendita ad un’attività pensata inizialmente come semplice forma di autosufficienza alimentare. Ma una cosa che colpisce è la ripresa di una vegetazione scomparsa da diversi decenni. Primi i cereali, che, come Devis racconta, spingono alcuni anziani ad appostarsi con cautela ad una certa distanza dalla base del “Selvaggio”, per osservare e accertarsi che si tratti davvero di quelle piante lì, che in Carnia non si vedevano da tempi antichi…blog_img_105

La Carnia è una di quelle aree geografiche che più hanno risentito dello spopolamento demografico dovuto all’abbandono delle campagne. O la terra o la città, in poche parole. Pertanto, nonostante i terreni non mancassero, la scelta dei più giovani non è stata rivolta alla campagna ma al cercare altrove, nei centri urbani, un inserimento lavorativo ed i comfort attesi dallo stile di vita di città.

Inevitabilmente, come altrove, le conseguenze dell’abbandono si leggono ancora oggi sul paesaggio, sull’inselvatichimento della vegetazione e sul rischio di perdita, per ibridazione o indebolimento, di specie autoctone rappresentative delle tipicità della Carnia, tra le quali molti alberi da frutto. Devis è diventato da qualche anno il custode dei meleti e dei pereti ultra cinquantenari della sua terra. Ne è diventato chirurgo ed estetista, perché il lavoro di potatura, funzionale alla ripresa della fioritura e al rinvigorimento delle piante, apporta beneficio immediato anche all’estetica del paesaggio, restituendo all’ambiente quell’armonia perduta che dona piacevolezza anche allo sguardo.

Questo lavoro di custodia della varietà va a beneficio di tutti, non solo perché apre una strada alla rivalorizzazione della regione e dei suoi prodotti tipici, permettendo una ripresa dell’economia locale e potenziale nuova occupazione. La biodiversità è in primo luogo vita, per tutti, perché la varietà organolettica dei frutti che mangiamo rispecchia la varietà di componenti vitaminiche ed enzimatiche che fanno il nutrimento ed il rafforzamento del nostro sistema immunitario.

E pensare che Devis, quando cominciò a dedicarsi alla terra, comprese che coltivare il proprio orto (lo racconta nel libro “Pecoranera”) era in fondo il modo più anarchico, benché concreto, immediato ed efficace, per contrastare la propria dipendenza dalle leggi dell’economia di mercato, abbattendo la necessità di denaro ed il ricorso all’acquisto. A quanto pare i benefici della soluzione “anarchica” del coltivare secondo natura si estendono anche alla collettività, anziché dimostrarsi una scelta di isolamento dal mondo.ilbuonselvaggio

A proposito di questo ci dice qualcosa l’”identikit” del Buon Selvaggio, tracciato con intelligenza nell’omonimo libro, senza tralasciare alcun aspetto della vita, dall’alimentazione alla salute, dalla spiritualità e l’autoconsapevolezza a quei condizionamenti dovuti ad abitudini e comodità, che generano nuovi limiti alla libertà e nuove dipendenze.

Il Buon Selvaggio odierno, nell’avvicinarsi alla natura, si avvicina anche agli altri viventi, esce dall’isolamento per instaurare relazioni, nell’ottica di costruire collaborazioni virtuose in risposta all’indole gregaria dell’uomo, che nelle città, quasi paradossalmente, si perde in forme di solitudine mascherate dall’essere una moltitudine di individui, che restano, nonostante la vicinanza fisica, separati proprio nel vero contatto umano, quello che va oltre i rapporti di superficie.

Un identikit tratteggiato sul concetto di responsabilità per ogni gesto della nostra esistenza, nell’essere consapevoli che ogni azione (nel fare, come nel non fare), delegata ad altri, ha comunque una conseguenza che paghiamo in prima persona e collettivamente. Per essere responsabili bisogna ricominciare ad osservare, interessarsi alle cose che si muovono intorno a noi, ripristinare la curiosità, la capacità di saper vedere con occhi o lenti diverse in modo di saper cogliere punti di vista diversi e prendere posizioni e decisioni che non siano dettate dall’abitudine.

Sovvertire le abitudini è anche scardinare le comodità che ci portano alla staticità, all’accumulo e all’irrigidimento (fisico e mentale), cominciando dal rimettere in moto i pensieri, anche attraverso l’esercizio fisico. La sedentarietà del corpo irrigidisce la capacità di pensare. Anche per questo, Devis usa ancora la sua bicicletta nella maggior parte degli spostamenti, anche nelle lunghe distanze. E all’uso degli attrezzi agricoli a motore alterna l’uso delle braccia per falciare e fare legna e i piedi per attraversare i campi e controllare da vicino lo stato di salute della sua generosa terra.

In cambio della paziente osservazione e della distanza confidenziale, la natura gli sussurra ciò di cui ha bisogno e gli suggerisce segreti che sembrano essere stati dimenticati o rimossi anche dagli anziani, ex coltivatori persuasi dei vantaggi immediati offerti dalla modernizzazione agricola, che solo a distanza di anni ha raccontato gli effetti collaterali dell’impiego del concime chimico, dell’aratura massiva, delle sementi brevettate, della monocoltura…

In queste confidenze sottovoce Devis ha saputo cogliere l’esigenza del rinnovo della biodiversità e l’ha trasformata nella consuetudine di un gesto semplice: distribuire manciate di semi alla terra, anche quando questo non è finalizzato al raccolto, per nutrire il terreno e fornire fiori e polline agli insetti utili, come le api. Questo gesto mi ha ricordato “l’Uomo che piantava gli alberi” di Jean Giono, in una versione più moderna, alla portata di tutti. Dopotutto i colori di un prato fiorito, che siano germogli di ortaggi o di piante aromatiche o semplici fiori di campo, rappresentano una bellezza gratuita che fa bene all’umore. Perché non prenderne spunto?

Il sito di Devis Bonanni 
Visualizza la scheda di Devis Bonanni sulla Mappa dell’Italia che Cambia! 

 

Fonte:  http://www.italiachecambia.org/2016/03/devis-bonanni-identikit-buon-selvaggio/

Leggere in libertà, la rivoluzione si fa anche a suon di libri e (belle) parole

C’era tantissima gente lunedì sera alla Casetta Rossa, nel quartiere Garbatella di Roma, ad assistere all’incontro “Letture Partigiane” con Paco Ignacio Taibo II, Paloma Saiz, Jek Tessaro, Pino Cacucci, Erri De Luca, Gianni Minà e Federico Mastrogiovanni. Un’occasione per presentare il progetto della “Brigada para leer en libertad”, associazione nata con lo scopo di regalare libri e diffondere cultura in Messico. C’era tantissima gente ma, comunque, ne mancavano quarantatré…

Viviamo in una società dominata da analfabeti funzionali…”, sono le prime parole di Paco, scrittore, giornalista, attivista politico, “ma grazie ai libri e alla lettura un giorno torneremo liberi”. “E quel giorno tutti questi liberali, imperialisti, neocolonialisti, li vedremo scappare a gambe levate, in aereo, verso Miami”. Ci crede davvero Paco, perché lui è un ottimista, “a differenza di voi italiani, che siete sempre pessimisti! Ma sapete qual è la vera differenza tra un pessimista e un ottimista? Il dopo. Un ottimista si dispiace dopo. Un pessimista si dispiace prima, durante e dopo”.
Del resto, deve essere ottimista per forza chi decide di mettere in piedi un progetto come quello della Brigada para leer en libertad. Un’associazione nata con lo scopo di regalare libri e diffondere cultura nei luoghi più periferici, abbandonati e degradati di città del Messico.IlCambiamento_IMG_7701

Pensavamo di non durare più di quindici giorni – racconta Paloma Saiz – e invece, attraverso i nostri programmi di fomento alla lettura, abbiamo stampato e regalato più di 500mila libri, abbiamo messo in circolazione più di 4milioni e mezzo di testi, abbiamo creato 39 biblioteche, con 18mila volumi a disposizione“. Tutto questo in cinque anni.
Cinque anni dedicati a sviluppare programmi di fomento alla lettura: presentazioni e festival letterari indipendenti; laboratori per la condivisione dei saperi; “tianguis”, ovvero bancarelle di libri nei luoghi pubblici di tutta Città del Messico; conferenze gratuite nei quartieri popolari e periferici; un progetto chiamato “Para Leer de boleto del metro” che ha messo in circolazione sulla metro di città del Messico 250mila testi che i viaggiatori possono prendere, leggere durante il tragitto e poi riporre alla fine della corsa.IlCambiamento_IMG_7700

E ancora, ci sono gli stendini di poesia: “Abbiamo degli stendini in cui appendiamo fogli di poesie, la regola è di prendere solo quella che si preferisce. Ovviamente, per scegliere prima si devono leggere tutte”, ci spiega Paloma. “Un giorno una signora quasi analfabeta impiegò un pomeriggio intero per leggere tutte le poesie appese – prosegue Paco – alla fine ne scelse una: M’illumino d’immenso. Sorrisi pensando che la scelta era stata fatta perché era la più corta. No, mi disse lei, è quella che mi è piaciuta di più”. Il riscontro che ha ottenuto questa associazione è incredibile: “Si formano code lunghissime alla fine di ogni presentazione, per avere libri gratis. Spesso ci tocca dire che non ci sono libri per tutti. Ma le persone si mettono in fila comunque – spiega Paco –una volta  mi sono accorto che una signora aveva in mano due testi. Avevamo detto massimo uno a famiglia! Non potevo permetterlo. Cercai di farmene ridare uno. Mi morse un dito!“.
Il potere della scrittura!IlCambiamento_IMG_7705

PS: Quei quarantatré sono gli studenti della Escuela Normal Rural “Raul Isidro Burgos” del municipio di Ayotzinapa, a Iguala nello stato del Guerrero, in Messico, che dal 26 settembre scorso sono desaparecidos. Sono i protagonisti dell’ultimo libro di Federico MastrogiovanniNi vivos ni muertos, presentato proprio ieri sera. Ma sono anche tutte quelle persone sparite all’ombra di una strategia del terrore funzionale a troppi interessi. 30.000 negli ultimi nove anni.

Fonte: ilcambiamento.it