Trivelle entro 12 miglia, il ministero aggira il divieto. Greenpeace, Legambiente e Wwf Italia: ‘Inaccettabile’

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Le associazioni : “Il meccanismo introdotto dal MISE consente alle società petrolifere titolari di concessioni entro le 12 miglia dalla costa già rilasciate di modificare il programma di sviluppo originario e quindi costruire nuovi pozzi e piattaforme”

Inaccettabile per Greenpeace, Legambiente e Wwf Italia il decreto ministeriale che deroga al divieto di nuovi pozzi e nuove piattaforme entro le 12 miglia, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 3 aprile. È la smentita definitiva di tutte le parole spese dal governo durante il periodo referendario di aprile scorso per dire che il referendum sollevava questioni di lana caprina, in particolare perché la legge escludeva già nuove trivellazioni entro le 12 miglia dalla costa. Il meccanismo introdotto dal MISE consente, infatti, alle società petrolifere titolari di concessioni entro le 12 miglia dalla costa già rilasciate di modificare, e quindi ampliare, il loro programma di sviluppo originario per recuperare altre riserve esistenti, e dunque costruire nuovi pozzi e nuove piattaforme. Fino all’altro ieri, nuovi pozzi e nuove piattaforme entro le 12 miglia potevano essere realizzati solo se già previsti dal programma di sviluppo originario. Ora chi ha la concessione può farci sostanzialmente quello che vuole per tutta la vita utile del giacimento. Per le tre associazioni ambientaliste è gravissimo che il governo proceda in questo modo su una questione così delicata, escludendo il Parlamento e non tenendo minimamente conto della volontà chiarissima espressa da 15 milioni di italiani nonostante il mancato raggiungimento del quorum al referendum contro le trivelle.

Fonte: ecodallecitta.it

Bari: rumore in città oltre le soglie di legge, situazione più critica nei pressi delle scuole

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Treno Verde di Legambiente: “Occorre ripensare il modo di vivere le nostre città: le auto continuano a farla da padrona. Serve una riorganizzazione e progettazione della mobilità in favore del trasporto pubblico locale”

L’inquinamento acustico a Bari raggiunge livelli ben al di sopra di quelli consentiti dalla legge: sembra un problema marginale ma l’eccessivo rumore ha conseguenze dirette sul benessere e sulla qualità della vita e sta diventando sempre più una minaccia per la salute pubblica secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Per combattere smog e inquinamento acustico occorre un decisivo cambio di passo nel pensare lo sviluppo di una città: per questo Legambiente lancia la sua sfida alle amministrazioni delle città pugliesi per una nuova idea di mobilità che privilegi il trasporto pubblico locale; una mobilità fatta di aree pedonali e zone a traffico 30 per agevolare anche la ciclabilità nelle aree urbane. È questa la richiesta che arriva dal Treno Verde, la campagna di Legambiente e del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane – realizzata con la partecipazione del Ministero dell’Ambiente e Tutela del Territorio e del Mare – che oggi chiude la sua tappa a Bari, quarta città toccata dal tour 2017. I risultati del monitoraggio sono stati presentati questa mattina in conferenza stampa da Manuela Cardarelli, portavoce Treno Verde; Francesco Tarantini, presidente Legambiente Puglia alla presenza di Domenico Santorsola, assessore all’Ambiente Regione Puglia; Pietro Petruzzelli, assessore all’Ambiente Comune di Bari; Vito Bruno, presidente Arpa Puglia e Mariella Polla, direttore Divisione Trasporto regionale Trenitalia Puglia.387143_2

“Come ogni anno il Treno Verde segue un programma di monitoraggio della qualità dell’aria nelle città italiane per ribadire la necessità che questa diventi una priorità di governo, a scala locale, regionale e nazionale, altrimenti continueremo a condannare i cittadini italiani a respirare aria inquinata – Manuela Cardarelli, portavoce Treno Verde -. Le soluzioni ci sono, occorrono la volontà politica e gli strumenti per metterle in campo. Occorre uscire dalla logica dell’emergenza e garantire un diverso modo di pianificare gli spazi nelle aree urbane, oltre a investimenti nella riqualificazione e nell’innovazione nell’edilizia e nel riscaldamento, sistemi di mobilità innovativi e investimenti sul verde urbano. Anche qui in Puglia il trasporto privato continua ad essere anche qui la modalità più diffusa per muoversi verso le città e al loro interno. Solo invertendo questa tendenza e garantendo un trasporto pubblico efficace e competitivo si possono restituire ai cittadini una migliore qualità dell’aria e della vita”.

Le città sono il centro della sfida climatica in tutto il mondo, perché è nelle aree urbane che si produce la quota più rilevante di emissioni. Per questo è indispensabile ripartire dai centri urbani avviando ripensando al sistema della mobilità, facendo scelte innovative per farle uscire dall’immobilismo attuale in cui si trovano e affrontare i problemi legati all’inquinamento ambientale e alla vivibilità quotidiana. “Sebbene quello del Treno Verde sia un monitoraggio puntuale, una fotografia momentanea, ci preoccupano le soglie di rumore raggiunte nella città di Bari, oltre i valori di legge consentiti, ecco perché chiediamo che nel capoluogo pugliese venga approvato un piano di zonizzazione acustica, obbligatorio per legge ormai da anni – dichiara Francesco Tarantini, presidente di Legambiente Puglia -. Nonostante negli ultimi anni non siano mancate le buone pratiche sul fronte della mobilità sostenibile, utili a ridurre i livelli di inquinamento atmosferico e a migliorare la qualità dell’aria in città, come i parcheggi di scambio, la tariffazione concentrica, e in ultimo la velostazione di Bari, resta ancora poco il verde urbano fruibile, e risultano assenti le zone 30 che favoriscono spostamenti sicuri a piedi e in bici. Per ridurre non di poco l’inquinamento acustico e atmosferico in città sarebbe opportuno potenziare e rendere più efficiente il trasporto pubblico locale che continua a perdere passeggeri. Le politiche urbane pesano non poco sulla qualità dell’aria. Di fronte allo smog non servono interventi sporadici ma misure radicali e, talvolta, impopolari per una mobilità verso “zero emissioni”.

Il monitoraggio smart del Treno Verde

Il monitoraggio del Treno Verde – realizzato grazie alla collaborazione con VALORIZZA brand di Studio SMA e Gemmlab, Orion, e con il contributo scientifico della Sapienza, del CNR-IIA e dell’Università IUAV di Venezia e realizzato grazie ad una strumentazione portatile che consente di misurare i valori di inquinanti atmosferici (PM10, PM2,5, PM1) e acustici – non vuole sostituirsi ai controlli eseguiti dagli enti preposti, ma fornire un’istantanea, in termini d’inquinamento atmosferico e rumore, su alcuni percorsi all’interno dei quartieri delle nostre città.387143_3

Nei cinque punti individuati nel capoluogo pugliese sono state eseguite, nelle giornate del 5 e 6 marzo, misurazioni di un’ora di polveri sottili e di rumore (Corso Cavour nei pressi del Liceo scientifico Scacchi, via Vito Fornari all’altezza della scuola Mazzini, Corso Vittorio Emanuele II all’incrocio con via Da Bari, via Argiro nell’area pedonale della città ed infine a Corso Italia altezza via Quintino Sella).

Non essendo dotata la città di Bari di un piano di zonizzazione acustica, le misurazioni del rumore eseguita dai tecnici di Legambiente sono state confrontate con i limiti legislativi appartenenti a classi di destinazione d’uso simili a quelle monitorate: il quadro che emerge mostra come nelle strade di fronte alle due scuole in Corso Cavour e via Fornari, il rumore immesso dalle diverse sorgenti cittadine abbia raggiunto rispettivamente un LAeq (l’unità di misura equivalente per le misurazioni ambientali) di 66,3 db e 62,5db contro i 50db come limite normativo per zone che ricadono nella prima classe (aree particolarmente protette come, appunto, le scuole). Male anche gli altri punti dove il LAeq ha raggiunto i 71,6db in corso Vittorio Emanuele II (contro un limite di 65db), 61,8db nell’area pedonale di via Argiro (che rientrerebbe in una III classe di aree di tipo misto con un limite di 60db), e 71,2db in Corso Italia (limite previsto 65db).

Bassi i valori di polveri sottili registrati nelle misurazioni di un’ora eseguite in alcuni punti strategici della città e nelle misurazioni di 10 minuti eseguite nelle vie secondarie.

Novità di quest’anno è la misurazione dell’inquinamento indoor con l’analisi di alcuni inquinanti che determinano la buona o la cattiva qualità dell’aria in un ambiente chiuso, come a scuola, a casa, al lavoro. A Bari il monitoraggio è stato eseguito nell’Istituto comprensivo “San Giovanni Bosco – Melo da Bari”, presso il plesso Guglielmo Marconi. L’inquinamento indoor – un problema oggi troppo spesso sottovalutato – è riconducibile sia ad una serie di sorgenti (pitture, lacche, pesticidi, prodotti per la pulizia, materiali di costruzione, materiali per uffici come adesivi, marcatori, stampanti, fotocopiatrici) che alle caratteristiche di ventilazione, delle attività e delle abitudini di chi vive o lavora negli ambienti chiusi. Per esigenze di risparmio energetico, inoltre, si tende a sigillare gli ambienti che, di conseguenza, tendono ad arricchirsi di composti inquinanti emessi da materiali, persone e prodotti. Il monitoraggio svolto dai tecnici di Legambiente, col supporto dell’Istituto sull’Inquinamento Atmosferico del CNR, è stato eseguito campionando nei 10 giorni precedenti la tappa del Treno Verde le concentrazione dei composti organici volatili (VOC), un insieme di sostanze che posso essere emesse dai materiali e prodotti precedentemente descritti. I risultati mostrano delle concentrazioni interne agli ambienti monitorati leggermente al di sopra delle concentrazioni esterne, come normalmente si verifica, ma in quantità assolutamente accettabili. “Anche se basse, le concentrazioni alla lunga possono portare all’insorgenza di diverse tipologie di problemi, quindi l’importanza di fare attenzione ai piccoli gesti quotidiani che vanno da una scelta consapevole dei prodotti che si utilizzano ad una costante areazione dei locali, non è mai da sottovalutare”, sottolinea Lucia Paciucci, dell’Istituto sull’Inquinamento Atmosferico del CNR.

Documenti scaricabili:

IL MONITORAGGIO DI SMOG E RUMORE A BARI 5 e 6 marzo 2017 [0,04 MB]

Fonte: ecodallecitta.it

Traffico e mobilità urbana nelle città italiane nel 2016. Legambiente: ‘Nessuna luce all’orizzonte’

Secondo appuntamento con Pendolaria 2016, la campagna di Legambiente dedicata al trasporto pendolare, vuole fare il punto sulla mobilità urbana in Italia con un nuovo rapporto che mette a confronto le dotazioni infrastrutturali nelle città europee, determinanti per la qualità dell’aria ma anche per la qualità della vita dei cittadini.386785_1

Fine anno, tempo di bilanci ma anche di emergenza smog. Il secondo appuntamento con Pendolaria 2016, la campagna di Legambiente dedicata al trasporto pendolare, vuole fare il punto sulla mobilità urbana in Italia con un nuovo rapporto che mette a confronto le dotazioni infrastrutturali nelle città europee, determinanti per la qualità dell’aria ma anche per la qualità della vita dei cittadini. Il Belpaese infatti, risulta terribilmente arretrato in termini di infrastrutture di trasporto su ferro rispetto al resto d’Europa: siamo sotto del 50% rispetto alla media europea per metropolitane e tramvie, e al 51% per le ferrovie suburbane. Nel complesso, il 2016 si chiude con la realizzazione di 4,5 chilometri di linee metropolitane grazie a due prolungamenti a Milano e Catania (mentre nel 2015 sono stati inaugurati 6,9 km di metro a Roma e 7,4 a Milano) e di 17 chilometri di tramvie (tutti a Palermo). In totale, sono in esercizio in Italia 235,9 km di rete metropolitana, distribuite tra 14 aree urbane. La città con la rete più estesa è Milano, seguita da Roma, poi Napoli, Brescia, Torino, Genova e Catania. Niente a che vedere con i 291,5 km di Madrid, i 464,2 di Londra o i 219,5 di Parigi. Linee di tram sono invece presenti in 10 città italiane per un totale di 336,1 km, tra Milano, Torino, Roma, Venezia, Palermo, Bergamo, Napoli, Padova, Messina e Firenze. In 12 città troviamo invece le linee ferroviarie suburbane pendolari, con la rete più estesa a Roma, cui seguono Milano, Napoli, Torino, Bari, Palermo, Bologna, Genova, Cagliari, Salerno, Sassari e Catania. In totale si tratta di 679,3 km distribuiti su 14 lineeSono invece 2.038,2 i km di suburbane in Germania, 1.694,8 km nel Regno Unito e 1.432,2 in Spagna. Questo il contesto attuale. E le prospettive future? Anche qui, nessuna luce all’orizzonte. Pochi i progetti finanziati dal Governo e i cantieri aperti. Roma nel 2016 non ha visto inaugurare alcun tratto di metro o linee di tram e, al momento, l’unico progetto finanziato riguarda il prolungamento (3,6 km) della metro C fino a Colosseo. Peggiore è la situazione che riguarda i tram: nessun cantiere aperto e nessun progetto di prolungamento finanziato. Se si continuerà con questi ritmi nei cantieri delle metro impiegheremmo 80 anni per recuperare la distanza dalle altre città europee (in termini di km di metropolitane ogni 1.000 abitanti).Ovviamente senza considerare aumento  di popolazione e crescita delle infrastrutture in tutte le altre città. Migliore situazione a Milano, che vanta la più alta dotazione di metro in Italia e perché sono in costruzione altri 17 chilometri. Eppure anche qui per raggiungere la dotazione media di una città europea, con i ritmi previsti dai finanziamenti, occorreranno altri 15 anni, sempre a parità di popolazione ed infrastrutture nelle altre città europee. A Napoli sono in costruzione 6,9 km di nuove metropolitane, ma qui il tempo che ci vorrebbe per raggiungere la media europea, con questi ritmi, è di circa 70 anni. In positivo, però, vanno segnalate Firenze, dove si è deciso di puntare sui tram per cui ai 7,4 chilometri in esercizio se ne aggiungeranno nei prossimi anni altri 10,8 creando un servizio a rete utile a cambiare la mobilità nella città, e Palermo, che ha inaugurato 4 linee di tram per complessivi 17 chilometri e prevede di realizzarne altri 29, integrati con la realizzazione dell’anello e del passante ferroviario.

“Il ritardo infrastrutturale italiano rispetto agli altri Paesi europei è un tema che ha caratterizzato il dibattito politico degli ultimi venti anni – ha dichiarato il vicepresidente di Legambiente Edoardo Zanchini -. Ma nella spinta a rilanciare i cantieri che ha contraddistinto tutti i Governi, si è persa di vista una analisi seria che riguardasse le città, dove è più forte la domanda di mobilità e dove invece si evidenzia proprio il ritardo più forte in termini di dotazione di trasporto su ferro rispetto al resto d’Europa. Occorre dare una speranza a chi vive nelle città italiane, di non dover aspettare decenni prima di vedere un cambiamento nella mobilità e quindi nella qualità della vita”.

Per Legambiente la grande sfida infrastrutturale per il nostro Paese sta nel ridurre la distanza dall’Europa in termini di dotazioni infrastrutturali su ferro nel minor tempo possibile. Serve un progetto per realizzare nelle principali città almeno 25 km all’anno di linee metropolitane nei prossimi 10 anni, per raggiungere la media europea, e 25 di linee tramviarie. Una svolta che consenta in una città come Roma di realizzare almeno 9 km all’anno nei prossimi 10 anni, per raggiungere, ad esempio, la media di dotazione di metro ogni 1.000 abitanti di Berlino. Evidentemente le città continuano ad avere un ruolo marginale nella programmazione delle risorse per i prossimi anni. La parte del leone continuano a farla gli investimenti autostradali da parte dei concessionari, quelli stradali di Anas e i grandi progetti ferroviari (completamento dell’alta velocità e tunnel alpini). Nel piano delle 25 opere prioritarie del Governo, dal costo di 90,1 miliardi di euro, quelle per il potenziamento del trasporto ferroviario metropolitano nelle grandi città sono 8 per un costo complessivo di 14,9 miliardi di euro. Mentre per le opere stradali sono previsti 28,4 miliardi di euro, e per l’Alta velocità 41,4 miliardi di euro. Invece sono solo 1,3 i miliardi di euro per le nuove metropolitane, cioè per il completamento dei progetti in corso a Torino, Milano, Napoli, Catania, Palermo. Stessa impostazione nella delibera Cipe che a Dicembre ha distribuito 11,5 miliardi di fondi europei FSC 2014-2020. E anche nella Legge di stabilità, il nuovo Fondo investimenti infrastrutture, che prevede una dotazione di 1,9 miliardi nel 2017 e risorse fino al 2032 per complessivi 47,5 miliardi mette assieme investimenti di ogni tipo (trasporti e viabilità, infrastrutture idriche, edilizia pubblica, ecc.). Purtroppo continua a non esserci la consapevolezza di come gli investimenti nelle città debbano essere prioritari e non confondersi con gli altri cantieri. Altrimenti, come già avvenuto in questi anni, il ritardo rispetto al resto d’Europa non potrà che aumentare e a pagarne le conseguenze saranno i cittadini italiani. Negli altri Paesi europei esiste una programmazione pluriennale per le politiche di investimento nelle città, con una struttura di coordinamento statale che accompagna i Comuni nella definizione delle priorità di investimento e poi nella fase di cantiere per verificare l’attuazione. Eppure, nel bilancio dello Stato le risorse per realizzare un salto di qualità nell’offerta di trasporto pubblico nelle città italiane, ci sono. I trasporti e le infrastrutture sono una voce rilevante del bilancio dello Stato: oltre 800 miliardi di Euro all’anno che bisogna investire in maniera più intelligente,destinando il 50% degli investimenti infrastrutturali alle città; spostando gli investimenti dalla strada alle città e orientando quelli previsti da RFI prioritariamente nei nodi urbani.   “Le risorse ci sono – ha sottolineato ancora Edoardo Zanchini -, quello che manca è un progetto che punti a realizzare decine di chilometri ogni anno di metropolitane, tram, ferrovie suburbane. I vantaggi sarebbero evidenti in termini di riduzione dell’inquinamento ma anche di qualità della vita per milioni di persone che potrebbero lasciare a casa l’auto, con risparmio anche sulla spesa familiare, e di possibilità di riqualificazione intorno alle stazioni del trasporto su ferro”.

Nel dossier (http://www.pendolaria.it/2016/12/29/pendolaria-citta-europee-a-confronto/), anche le infrastrutture urbane ed i progetti finanziati in Italia e i confronti con le migliori esperienze europee.

Fonte: ecodallecitta.it

Ecosistema Urbano 2016: la salute delle città lombarde, nel rapporto annuale di Legambiente

Aria, acque, rifiuti, mobilità ed energia, gli indicatori considerati per stilare la graduatoria nazionale delle performance ambientali. Milano, anche se la migliore tra le metropoli, slitta dal 51° al 73° posto. Tutti i dati386553_1

Aree urbane in situazioni di stallo, città che faticano a rinnovarsi in chiave sostenibile e promuovere interventi innovativi. È il quadro della regione Lombardia dipinto dalla XXIII edizione di Ecosistema Urbano, il dossier di Legambiente realizzato in collaborazione con l’istituto di ricerche Ambiente Italia e Il Sole 24 Ore, che mira a tracciare una fotografia delle performance ambientali del Paese attraverso un’analisi dei risultati ottenuti dalle principali città in diversi ambiti. Aria, acque, rifiuti, mobilità, energia: sono gli indicatori presi in considerazione per stilare la graduatoria nazionale, valutando tanto i fattori di pressione e la qualità delle componenti ambientali, quanto la capacità di risposta e di gestione ambientale. Nella top ten italiana si trova Mantova, al 3° posto, centrando buone performance nelle basse medie dell’NO2 con 23,6 μg/mc, nella dispersione della rete idrica (solo al 15,5%), nell’ottima percentuale di raccolta differenziata, che raggiunge il 77% e col secondo posto assoluto nell’indice dedicato alla ciclabilità, con 26,66 metri equivalenti ogni 100 abitanti. Lecco mantiene la 14^ posizione rispetto al 2015; Cremona sale di 4 gradini arrivando 20^; Bergamo scala la classifica dal 41° al 30° posto; Sondrio precipita dal 7° al 41°; Pavia guadagna 20 posizioni arrivando 43^; Lodi scende di 4 posizioni attestandosi alla 65^; Milano, pur passando dal 51° posto al 73° e registrando i peggiori dati per le medie di polveri sottili, resta tra le migliori grandi metropoli superando di diverse posizioni Roma, Torino, Palermo.  Tra gli indicatori della qualità dell’aria vengono presi in considerazione NO2, PM10 e Ozono, registrando una condizione generalmente stazionaria in negativo: Milano, insieme a Torino, si guadagna la maglia nera per la presenza di biossido di azoto (NO2), con valori medi superiori a 50μg/mc e per lo sforamento dei limiti di PM10 con 101 giorni; sono oltre 80 i giorni di superamento delle soglie di ozono a Bergamo, Brescia e Lecco. Dati che confermano come nei nostri centri urbani sia la mobilità privata motorizzata a farla ancora troppo da padrona.
“Mentre Milano si attesta come la città capoluogo più innovativa, le altre città fanno fatica a trovare una dimensione che le veda protagoniste in campo ambientale e per il benessere diffuso – ha detto Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia – L’inquinamento atmosferico si riconferma il grande nemico della Pianura Padana ma, mentre Milano sta agendo con uno sforzo di promozione di iniziative come il car o bike sharing, altre città non ingranano la marcia giusta. Decongestionare le città dal traffico e attuare una riqualificazione energetica degli edifici aumenterebbero il benessere dei cittadini e ne tutelerebbero la salute. Purtroppo da questi obiettivi siamo ancora lontani. Serve un cambio di passo anche delle amministrazioni anche per intercettare nuove opportunità di finanziamento, al di là dei sempre più scarsi trasferimenti statali”.

Una nota positiva arriva dal dato sul trasporto pubblico: Milano, con 472 viaggi all’anno per abitante è in crescita rispetto ai 457 viaggi del 2014, anche grazie all’aumento dell’offerta del servizio, che passa da 83 a 92 Km-vetture/ab e si conferma al primo posto, seguita da Roma e Venezia. Tra le città di medie dimensioni, spicca Brescia con più di 150 viaggi/ab (+5% rispetto al 2014). Tra le città che non raggiungono la soglia dei 10 viaggi per abitante annui, invece, troviamo Sondrio. È opportuno, però, precisare che il valore dei passeggeri trasportati per abitante è influenzato da due fattori importanti che determinano notevoli variazioni: la presenza turistica e l’incidenza del pendolarismo.
Pessime performance sullo spreco di acqua potabile: Pavia è tra le peggiori per gli per elevati consumi idrici domestici: oltre 200 litri al giorno pro capite. Sempre in tema di acqua, sulla dispersione della rete (differenza percentuale tra l’acqua immessa e quella consumata per usi civili, industriali e agricoli (%) si registrano due città lombarde che rientrano nelle prime cinque virtuose d’Italia, in grado di contenere le perdite a meno del 15%, a fronte di un consistente aumento del fenomeno a livello nazionale: Monza e Lodi. In allegato il comunicato con le tabelle regionali.
Il dossier nazionale completo di tabelle è disponibile su: http://www.legambiente.it/contenuti/dossier/ecosistema-urbano-2016 [1]

Fonte: ecodallecitta.it

Regione Lazio approva proposta di legge su Filiera Corta. Legambiente “Un passo fondamentale per un’agricoltura sana e sostenibile nel Lazio”

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In arrivo dalla Regione Lazio sostegno e finanziamenti alle tradizioni ed alle eccellenze agroalimentari del Lazio. Verrà istituito anche un logo da apporre ai prodotti delle aziende più virtuose.

13 ottobre, 2016

Sostenibilità

Ieri sera il Consiglio Regionale del Lazio ha approvato all’unanimità la proposta di legge 151 sulla Filiera Corta, volta a valorizzare e sostenere il consumo dei prodotti agricoli e alimentari di qualità provenienti dai territori della Regione. Con questa legge nel Lazio troveranno sostegno, finalmente, produzioni locali e peculiarità territoriali. Per filiera corta si intendono tutti quei prodotti rientranti in un circuito economico dove c’è rapporto diretto tra produttore e consumatore, in forma singola o associata.

“L’approvazione della proposta di legge sulla filiera corta è un passo davvero importante per l’agricoltura della nostra regione – commenta Roberto Scacchi presidente di Legambiente Lazio– e da oggi ci sarà più sostegno per tutti quei piccoli prodotti, custodi delle tradizioni territoriali e delle peculiarità agroalimentari del Lazio. Ora va concretizzato questo nuovo strumento legislativo costruendo un modello di agricoltura sostenibile e di qualità, e che sia volano per la green economy, per salvaguardare la biodiversità soprattutto nelle aree protette, nel rafforzare le vocazioni agricole territoriali, nel ridurre emissioni inquinanti da trasporto o da concimi chimici.”

Tra le altre cose la legge prevede: la promozione dei prodotti agricoli da filiera corta, l’assegnazione di logo apposito alle aziende che ne fanno uso per almeno la metà della propria filiera, vieta di somministrare di prodotti contenenti OGM, obbliga i Comuni a riservare nei nuovi mercati almeno il 20% ai prodotti provenienti da filiera corta, istituisce il Bando delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario, valorizza i prodotti provenienti dalla pesca “a miglio zero”.

Fonte: ecodallecitta.it

 

Legambiente presenta Ecomafia 2016: accertati 27.745 reati ambientali e 188 arresti. 24.623 le persone denunciate e 7.055 i sequestri

Resta la morsa dell’ecomafia nel Mezzogiorno. La Campania in testa alla classifica regionale degli illeciti. Il Lazio è sempre la prima regione del centro Italia, la Liguria è la prima del Nordecomafier

Nella lotta all’ecomafia e agli ecoreati arrivano i primi segnali di una inversione di tendenza, dopo l’introduzione della legge sui delitti ambientali nel codice penale e un’azione più repressiva ed efficace. Nel 2015 diminuiscono gli illeciti ambientali accertati, sono 27.745. Per dirla in altro modo, più di 76 reati al giorno, più di 3 ogni ora. Salgono a 188 gli arresti, mentre diminuiscono le persone denunciate 24.623 e i sequestri 7.055. Sono 18mila gli immobili costruiti illegalmente. In calo le infrazioni nel ciclo del cemento e dei rifiuti. Crescono, invece, gli illeciti nella filiera agro-alimentare, i reati contro gli animali e soprattutto gli incendi, con un’impennata che sfiora il 49%. Roghi che hanno mandato in fumo più di37.000 ettari, più del 56% si è concentrato nelle quattro regioni a tradizionale insediamento mafioso. In calo il business delle ecomafie che nel 2015 è stato di 19,1 miliardi, quasi tre miliardi in meno rispetto all’anno precedente (22 miliardi). Un calo dovuto principalmente alla netta contrazione degli investimenti a rischio nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa, che hanno visto nell’ultimo anno prosciugare la spesa per opere pubbliche e per la gestione dei rifiuti urbani sotto la soglia dei 7 miliardi (a fronte dei 13 dell’anno precedente). Sono questi i primi dati che emergono da Ecomafia 2016 di Legambiente, le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia, edito da Edizioni Ambiente con il sostegno di Cobat, e presentato oggi a Roma al Senato.

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Numeri e risultati che raccontano il lento ma grande cambiamento che ha preso il via nel 2015, con l’approvazione della legge sugli ecoreati, e continua nel 2016, anno in cui si cominciano a raccogliere i primi frutti di un’azione repressiva più efficace e finalmente degna di un paese civile che punisce davvero chi inquina. Nei primi otto mesi dall’entrata in vigore della legge sono stati contestati 947 ecoreati, con 1.185 denunce dalle forze dell’ordine e dalle Capitanerie di porto e il sequestro di 229 beni per un valore di 24 milioni di euro. Sono 118 i casi di inquinamento e 30 le contestazioni del nuovo delitto di disastro ambientale. Ma per contrastare le ecomafie c’è ancora da fare, dato che la criminalità organizzata la fa ancora da padrone (sono 326 i clan censiti) e la corruzione rimane un fenomeno dilagante, è il volto moderno delle ecomafie che colpisce ormai anche il nord Italia. Senza dimenticare che la criminalità organizzata continua la sua pressione nelle aree boschive e agricole, e nel mercato illegale del legno, del pellet e della biodiversità. Per questo Legambiente, torna oggi a ribadire l’importanza di continuare a rafforzare il quadro normativo con leggi ad hoc che tutelino anche la filiera agroalimentare, i beni culturali e l’istituzione di una grande forza di polizia ambientale diffusa sul territorio. Alla presentazione del Rapporto Ecomafia hanno partecipato Rossella Muroni, Presidente di Legambiente,Piero Grasso, Presidente del Senato, Andrea Orlando, Ministro della Giustizia, Gian Luca Galletti, Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Franco Roberti, Procuratore Nazionale antimafia, Tullio Del Sette, Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Rosy Bindi, Presidente Commissione Parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere. Ed ancora Alessandro Bratti, Presidente Commissione Parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, Donatella Ferranti, Presidente Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, Ermete Realacci, Presidente della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati, Giancarlo Morandi, Presidente Cobat – Consorzio Nazionale Raccolta e Riciclo, e Stefano Ciafani, Direttore generale di Legambiente.

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“Anche quest’anno il Rapporto Ecomafia – dichiara Rossella Muroni, presidente nazionale di Legambiente – ci racconta il brutto dell’Italia, segnata ancora da tante illegalità ambientali, ma in questa edizione 2016 leggiamo alcuni fenomeni interessanti che lasciano ben sperare. Dati e numeri, in parte in flessione, che dimostrano quali effetti può innescare un impianto normativo più efficace e robusto come i nuovi ecoreati, in grado di aiutare soprattutto la prevenzione oltreché la repressione dei fenomeni criminali. La prevenzione è la moneta buona che scaccia quella cattiva: è necessario creare lavoro, filoni di sviluppo economico e produttivo nei territori più a rischio, sostenere le centinaia e centinaia di cooperative e di imprese, che anche nel sud stanno cercando di invertire la rotta, puntando su qualità ambientale e legalità. E nel prevenire le ecomafie, oltre all’impegno dei territori e dei singoli cittadini, è importante una presenza costante dello Stato che deve essere credibile e dare risposte sempre più ferme, perché quando lo Stato è assente la criminalità organizzata avanza con facilità invadendo i territori, l’ambiente e le comunità locali. Quando invece lo Stato è presente, difficilmente gli ecomafiosi possono rubare e uccidere il nostro futuro”.

Dati Ecomafia – Nonostante il calo complessivo dei reati nel 2015, cresce l’incidenza degli illeciti nelle quattro regioni a tradizionale insediamento mafioso (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia), dove se ne sono contati ben 13.388, il 48,3% sul totale nazionale (nel 2014 l’incidenza era del 44,6%). La Campania con 4.277 reati, più del 15% sul dato complessivo nazionale, è la regione con il maggior numero di illeciti ambientali seguita da Sicilia (4.001), Calabria (2.673), Puglia (2.437) e Lazio (2.431). Anche su base provinciale la Campania gode di un primato tutt’altro che lusinghiero: le province di Napoli e Salerno sono tra le due più colpite, rispettivamente con 1.579 e 1.303 reati, seguite da Roma (1.161), Catania (1.027) e Sassari (861).

La corruzione è un fenomeno sempre più dilagante nel Paese, è l’altra faccia delle ecomafie, e facilita ed esaspera il malaffare in campo ambientale in maniera formidabile. Dal 1 gennaio 2010 al 31 maggio 2016 Legambiente ha contato 302 inchieste sulla corruzione in materia ambientale, con 2.666 persone arrestate e 2.776 denunciate. La Lombardia è la regione con il numero più alto di indagini (40), seguita da Campania (39), Lazio (38), Sicilia (32) e Calabria (27). La pressione dell’abusivismo continua senza tregua e non si ferma nemmeno dinanzi alla crisi generale del settore edilizio. Secondo le stime del Cresme, se nel 2007 l’abusivismo edilizio pesava per circa l’8% sul totale costruito, nel 2015 la percentuale è pressoché raddoppiata e destinata in prospettiva a crescere anche negli anni a seguire. Detta in altro modo,nel 2015 sarebbero stati costruiti altri 18.000 immobili completamente fuori legge. Impressionanti anche i dati complessivi sul ciclo del cemento: nel 2015 sono stati accertati quasi 5mila reati, 13 al giorno, e sono stati effettuati 1.275 sequestri. La Campania si conferma regione leader, con il 18% delle infrazioni su scala nazionale, davanti a Calabria, Lazio e Sicilia. Anche su scala provinciale, quelle campane battono tutte le altre, con in testa Napoli (301 reati), poi Avellino (260), Salerno (229) e Cosenza (199).

Per quanto riguarda le attività organizzate di traffico illecito dei rifiuti, secondo quanto disciplinato dall’articolo 260 del d.lgs. 152/2006, al 31 maggio 2016 le inchieste sono diventate 314, con 1.602 arresti,7.437 denunce e 871 aziende coinvolte in tutte le regioni d’Italia, a cui sia aggiungono 35 Stati esteri (14 europei, 7 asiatici, 12 africani e uno dell’America Latina), per un totale di oltre 47,5 milioni di tonnellate di rifiuti finiti sotto i sigilli. Solo nelle ultime 12 inchieste di quest’ultimo anno e mezzo (gennaio 2015-maggio 2016) le tonnellate sequestrate sono state 3,5 milioni, più o meno l’equivalente di 141 mila tir.

Preoccupano gli illeciti legati alla filiera dell’agroalimentare: nel corso del 2015 sono stati accertati 20.706 reati e 4.214 sequestri. Il valore complessivo dei sequestri effettuati ammonta a più di 586 milioni di euro. Il numero più alto di infrazioni penali è stato riscontrato tra i prodotti ittici con ben 6.299 illegalità accertate,mentre tra le tipologie specifiche di crimini agroalimentari la contraffazione è tra le più diffuse e colpisce principalmente i prodotti a marchio protetto, come l’olio extravergine di oliva, il vino, il parmigiano reggiano e così via. In espansione il fenomeno del caporalato: sono circa 80 i distretti agricoli, indistintamente da nord a sud, nel quale sono stati registrati fenomeni di caporalato. Nel 2015 le ispezioni sono cresciute del 59% ma con esiti davvero negativi, in pratica più del 56% dei lavoratori trovati nelle aziende ispezionate sono parzialmente o totalmente irregolari, con 713 fenomeni di caporalato registrati dalle autorità ispettive.

Le Ecomafie continuano i loro affari anche nel racket degli animali con 8.358 reati commessi nel 2015. A rischio anche i beni culturali: lo scorso anno ne sono stati recuperati o sequestrati dalle forze dell’ordine per un valore che supera abbondantemente i 3,3 miliardi. Un valore 6 volte superiore a quello registrato nell’anno precedente, quando si era “fermato” intorno ai 530 milioni. Invece per quanto riguarda i roghi, alla Campania va la maglia nera per il numero più alto di infrazioni, 894 (quasi il 20% sul totale nazionale), seguita da Calabria (692), Puglia (502), Sicilia (462) e Lazio (440).

“Dopo la legge sugli ecoreati e quella sulle agenzie ambientali – dichiara Stefano Ciafani, Direttore generale di Legambiente – è fondamentale che il Parlamento approvi altre leggi in questa ultima parte di legislatura, che permettano di contrastare sempre più duramente le ecomafie, liberare il Paese dalla zavorra delle illegalità e promuovere la sua riconversione ecologica. C’è bisogno con urgenza della legge sui delitti contro gli animali, della norma per semplificare l’abbattimento degli ecomostri, di quella contro le agromafie e della costituzione di una grande polizia ambientale sempre più strutturata sul territorio che faccia tesoro dalle migliori esperienze maturate dall’Arma dei carabinieri e dal Corpo forestale dello Stato negli ultimi decenni”.

Le Storie – Quest’anno Ecomafia si arricchisce di due nuovi capitoli, il primo “Ecogiustizia è fatta” che ripercorre le tappe della legge che ha introdotto gli ecoreati nel codice penale. Il secondo dal titolo “Ladri di biodiversità” contiene un focus sul mercato illegale del legno pregiato e dei pallet (imballaggi in legno usati per il trasporto delle merci). Secondo la Fao, il taglio illegale sarebbe la causa del 50% della deforestazione nelle foreste del Sud del Mondo. Secondo l’Unep e l’Interpol l’illegalità in questo settore avrebbe un valore che oscilla tra i 30 e i 100 miliardi di dollari. Il mercato nero dei pallet solo in Italia movimenterebbe legalmente qualcosa come 120 milioni di unità all’anno, per un volume d’affari di circa 720 milioni di euro. Chiude il capitolo il caso dei cosiddetti predoni del Po, le bande di pescatori di frodo, soprattutto di origine romena, che fanno razzia di pesci lungo i canali del Grande fiume d’Italia.

Le proposte: Le proposte: Se il 2015 è stato un anno spartiacque grazie all’introduzione della legge 68/2015, come dimostra questo Rapporto, rimangono ancora molti fronti aperti sul piano normativo. Per questo l’associazione ambientalista torna a ribadire che per una corretta applicazione della legge sugli ecoreati è fondamentale che le procure sviluppino una prassi operativa comune e condivisa, magari seguendo l’esempio di quegli Uffici giudiziari che già si sono mossi in questa direzione. Tra le altre proposte che lancia oggi Legambiente:

-mettere in campo un’azione di formazione sulla nuova legge per tutti gli attori del sistema di  repressione dei reati ambientali e definire linee guida nazionali per garantire una uniforme applicazione in tutto il paese della parte sesta-bis del Codice ambientale, quella che riguarda i reati minori che non rientrano tra i nuovi delitti previsti dalla legge 68, fino a oggi non completamente garantita (a tal proposito vale la pena segnalare l’accordo siglato in Emilia Romagna tra Procura generale, Procure della Repubblica, Noe dei Carabinieri e Corpo forestale dello stato che individua nell’Agenzia regionale per la prevenzione, l’ambiente e l’energia dell’Emilia Romagna l’organo tecnico per l’asseverazione delle prescrizioni);

– una presa di posizione seria e unanime da parte delle classi dirigenti nazionali e locali contro l’abusivismo edilizio per dare nuovo vigore agli abbattimenti dei manufatti che ancora oggi sfregiano il territorio, con l’approvazione di una legge per snellire l’iter di abbattimento degli ecomostri;

– la rapida approvazione del ddl che tutela il Made in Italy enogastronomico, ora al vaglio delle competenti commissioni parlamentari. Un ddl che se approvato introdurrebbe nuovi delitti come il disastro sanitario e di agropirateria a tutela dei prodotti di qualità. In particolare si migliorerebbe il Codice penale per contrastare al meglio la contraffazione (con aggravante per i prodotti Igp e Doc), le frodi in commercio, la vendita di alimenti con segni mendaci anche con la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. Inoltre sarebbe importante un nuovo intervento in tema di caporalato, odioso fenomeno che sta diventando sempre più esplosivo;

-una maggiore attenzione legislativa al patrimonio di biodiversità sotto attacco delle ecomafie, anche attraverso l’inserimento di un nuovo articolo nel Codice penale con adeguate sanzioni relative alle attività illecite inerenti fauna e flora protette;
-l’aggiornamento della legge per contrastare le archeomafie
 al fine di rendere sempre più adeguata la forza deterrente rispetto alla gravità dell’azione criminale su beni culturali e reperti archeologici. Se si esclude il delitto di ricettazione, che prevede pene fino a otto anni di reclusione, in generale le sanzioni previste a tutela dei nostri tesori sono davvero irrisorie;
-l’istituzione di una grande forza di polizia ambientale sempre più diffusa sul territorio nazionale,mettendo a sistema le migliori esperienze messe in campo dall’Arma dei carabinieri e dal Corpo forestale dello Stato;
-un vero e proprio cambio di paradigma economico
: l’economia ecocriminale si combatte promuovendo un’economia civile, fondata sul pieno rispetto della legalità, sui principi della sostenibilità ambientale e della solidarietà, capace di creare lavoro, soprattutto per le giovani generazioni, e crescita pulita; contribuire alla custodia dei patrimoni del nostro Paese, a cominciare dalle sue ricchezze naturali e paesaggistiche, e alla valorizzazione dei suoi straordinari talenti.

Fonte: Legambiente

Rifiuti, aumentano i comuni “free”

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Cresce il numero dei comuni italiani liberi dai rifiuti indifferenziati

Sono stati resi noti quest’oggi i dati del rapporto Comuni ricicloni 2016 di Legambiente che ogni anno fa il punto della situazione sulle amministrazioni locali più virtuose nel riciclo dei rifiuti. Secondo il report 2016 sono ben 525 i Comuni liberi dai rifiuti ovverosia quelli in cui la produzione annuale di rifuti indifferenziati è inferiore a 75 kg pro capite. Quasi quattro Comuni ricicloni su 5 sono al Nord (413, il 79% del totale), mentre 87 sono al Sud e solamente 25 nel Centro Italia. La regione più virtuosa è il Veneto con il 35% dei comuni “free” (204) seguita daFriuli Venezia Giulia (29%), Trentino-Alto Adige (17%) e Campania (9%). Fra le gestioni consortili spicca quella del Consiglio di bacino Priula (Tv), dove 556 mila abitanti fanno quasi l’83% di differenziata e di poco più di 50 kg per abitante all’anno di secco residuo. Da quest’anno Legambiente ha modificato i criteri per l’elaborazione della classifica: per essere inseriti in classifica, oltre a rispettare l’obiettivo di legge del 65% di differenziata devono esserci anche qualità e politiche di prevenzione per cui vengono inclusi solamente i Comuni nei quali i cittadini abbiano prodotto meno di 75 kg di rifiuti indifferenziati secchi. Le isole felici sono Parma e Treviso, Catanzaro (dove la raccolta è fatta porta a porta), poi altri capoluoghi come Belluno e Pordenone e cittadine medio-piccole che fanno scuola: Empoli (Fi), Conegliano (Tv) e Castelfranco Veneto (Tv), Baronissi (Sa), Cassano Magnago (Va), Suzzara (Mn), Castelfidardo (An), Monsummano Terme (Pt), Fucecchio (Fi), Certaldo (Fi), Castelfiorentino (Fi), Pergine Valsugana (Tn), Feltre (Bl), Vittorio Veneto (Tv), Paese (Tv), Montebelluna (Tv), Oderzo (Tv), Este (Pd).

“I risultati emersi in questa nuova edizione del nostro rapporto sono assolutamente incoraggianti. Quella dei Comuni ricicloni e soprattutto di quelli Rifiuti free è una rivoluzione e una riforma anti-spreco che fa bene al Paese, perché dimostra che l’economia circolare è già in parte in atto e che un’Italia libera dai rifiuti è un sogno realizzabile. Abbiamo comuni virtuosi nella raccolta differenziata ed eccellenze che hanno quasi annullato la necessità di smaltimento di quasi tutti i rifiuti normalmente prodotti. Ora la vera scommessa è quella far diventare nei prossimi 3 anni tutta l’Italia ‘Rifiuti free’, traghettando i tanti comuni ricicloni verso la nuova sfida della riduzione del secco residuo da avviare in impianti di incenerimento e in discarica, per accompagnarli verso la rottamazione di questo sistema impiantistico che ha caratterizzato gli anni ’90 e 2000. Per realizzare ciò oltre all’impegno delle amministrazioni e dei cittadini, è però importante che anche la politica faccia la sua parte attraverso l’introduzione di un sistema di tariffazione puntuale su larga scala, dicendo stop ai nuovi inceneritori e avviando una graduale dismissione a partire dagli impianti più obsoleti”,

ha commentato Rossella Muroni, presidente nazionale di Legambiente.

Fonte:  Legambiente

Legambiente: «Sul referendum trivelle allarmismo strumentale»

Referendum 17 aprile. Legambiente: «Allarmismo strumentale, l’alternativa al gas delle trivelle esiste già, con il biometano si può produrre una quantità di gas quattro volte superiore a quella che si estrae dalla piattaforme entro le 12 miglia. Ma il governo blocca gli investimenti nel biometano».

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L’alternativa alle trivellazioni di gas in Italia esiste già: con il biometano si può produrre una quantità di gas quattro volte superiore a quella che si estrae dalla piattaforme entro le 12 miglia, creando più lavoro e opportunità per i territori. “Il vero grande giacimento italiano da sfruttare – dichiara Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente – non è sotto i nostri mari ma nei territori, e nella valorizzazione del biogas e del biometano prodotti da discariche e scarti agricoli”.

All’allarme, sollevato sul referendum del 17 aprile sulle trivellazioni in mare entro le 12 miglia, su un’Italia messa in ginocchio senza il gas estratto da quelle trivelle e costretta ad aumentare le importazioni dall’estero via nave, Legambiente risponde che sono tutte bugie, citando numeri e studi. Il gas estratto nelle piattaforme oggetto del referendum non arriva al 3% dei consumi nazionali. E, com’è noto, il gas nel nostro Paese arriva attraverso i gasdotti.

“I numeri sono chiarissimi – prosegue Zanchini – già oggi si produce elettricità in Italia con impianti a biogas che garantiscono il 7% dei consumi. Ma il potenziale per il biometano, ottenuto come upgrading del biogas e che può essere immesso nella rete Snam per sostituire nei diversi usi il gas tradizionale, è in Italia di oltre 8miliardi di metri cubi. Ossia il 13% del fabbisogno nazionale e oltre quattro volte la quantità di gas estratta nelle piattaforme entro le 12 miglia oggetto del referendum. Il problema è che questi interventi sono bloccati proprio dalle scelte del Governo”.

Legambiente ha messo a confronto i dati sulle estrazioni di gas nei mari italiani con il potenziale di sviluppo del biometano in Italia, calcolato dal Cib (Consorzio italiano biogas), e i risultati fanno comprendere il grande vantaggio che l’Italia trarrebbe da questa scelta. Si potrebbero, infatti, realizzare impianti distribuiti in tutto il Paese per produrre biogas e biometano, dalla digestione anaerobica dei rifiuti o di biomasse e scarti agricoli, con vantaggi rilevanti nei territori, sia in termini economici che occupazionali, che di risoluzione dei problemi di smaltimento dei rifiuti. Secondo i dati dell’Isfol (Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori) gli occupati nelle piattaforme oggetto del referendum sono 3mila, ossia già oggi meno dei 5mila occupati nel biogas, con la differenza che questi ultimi possono arrivare a superare i 12mila occupati stabili e con potenzialità maggiori proprio al Sud‎ e nelle aree agricole. Ma il problema, denuncia Legambiente, è che questi investimenti sono bloccati da barriere assurde. In primis il fatto, incredibile, che il biometano non possa essere immesso nella rete Snam. Da anni viene, infatti, ritardata l’approvazione di un decreto che dovrebbe permettere qualcosa di assolutamente scontato e nell’interesse generale. Uno stop che ha come unica motivazione quella di non aprire alla concorrenza nei confronti di quei gruppi che distribuiscono gas, come Eni, che sono proprio coloro che possiedono larga parte delle concessioni di gas nei nostri mari. Non si comprende la ragione dei rinvii da parte del Governo Renzi, come dei provvedimenti che hanno tagliato gli incentivi alle rinnovabili, se non con una politica che ha guardato solo a favorire le fossili come quella che, a partire dal decreto Sblocca Italia, ha caratterizzato l’azione del Governo. Del resto, a dimostrare i privilegi di cui godono le estrazioni di idrocarburi è un dato che ha dell’incredibile: 20 delle 26 concessioni che estraggono gas entro le 12 miglia dalla costa non pagano le royalties. La ragione sta nel fatto che sotto una certa quantità l’estrazione è “gratis”, come se quelle risorse non appartenessero agli italiani ma fossero proprietà privata dei gruppi energetici. “Altro che referendum inutile – aggiunge Edoardo Zanchini -. In Italia è in corso un vero e proprio conflitto tra interessi. Fino ad oggi il Governo Renzi, con lo Sblocca Italia e le scelte contro le rinnovabili, è stato dalla parte dei grandi gruppi energetici che controllano petrolio e gas. Il 17 aprile si vota anche per dare un segnale chiaro al Governo, perché l’interesse dei cittadini italiani è quello di cambiare questa realtà fatta di rendite e privilegi e di puntare sulle fonti rinnovabili per creare lavoro in Italia, opportunità per i territori e fermare davvero i cambiamenti climatici”.

 

Fonte: ilcambiamento.it

Ecosistema Urbano 2015, la classifica di Legambiente dei capoluoghi più vivibili

Verbania, Trento, Belluno, Bolzano, Macerata e Oristano sono le città con le migliori ecoperformance.ecosistema-urbano-2015-legambiente

Anche quest’anno Legambiente ha pubblicato il rapporto sulla vivibilità ambientale dei capoluoghi di provincia italiani. Il rapporto, giunto alla sua 22esima edizione, è realizzato in collaborazione con il Sole 24 Ore e con l’Istituto di Ricerche Ambiente Italia. Il giudizio di Legambiente è sostanzialmente negativo:

“Città ingessate, statiche e pigre. Aree urbane che arrancano e faticano a rinnovarsi in chiave sostenibile ed essere culle di una rigenerazione urbana capace di migliorare la qualità dei singoli e della comunità. I passi avanti fatti fino ad ora sono, infatti, troppo pochi: se da una parte nelle città italiane si registrano lievi eco-performance soprattutto sul fronte della raccolta differenziata, delle energie rinnovabili e si assiste ad un lieve calo degli sforamenti nelle concentrazioni di NO2, di PM10 e di ozono grazie anche a condizioni metereologiche favorevoli alla dispersione degli inquinanti; dall’altra parte manca, invece, il coraggio e la voglia di puntare sulla mobilità nuova per uscire dalla morsa di traffico e smog e sugli eco-quartieri per rigenerare le periferie e rilanciare il patrimonio edilizio”

Il rapporto evidenzia come ci siano grandi differenze tra Nord e Sud. Le città che guidano la classifica sono tutte del Nord e cioè Verbania, Trento, Belluno e Bolzano. Tra le grandi città in top-ten ce ne è solo una, Venezia, mentre le migliori performance sono registrate nelle solite Trento e Bolzano e in centri con meno di 80mila abitanti, come le già citate Verbania e Belluno, più Macerata, Oristano, Sondrio, Mantova e Pordenone. Le peggiori performance si registrano in città de Meridione, in particolare le ultime cinque sono: la calabrese Vibo Valentia in posizione n° 101, e poi quattro siciliane, cioè Catania (posizione n° 100), Palermo (102), Agrigento (103) e Messina (104). I 104 capoluoghi di provincia sono stati confrontati tra loro sulla base di 18 indicatori:
– tre indici riguardano la qualità dell’aria: concentrazioni di polveri sottili, biossido di azoto e ozono

– tre indici sono relativi alla gestione delle acque: consumi idrici domestici, dispersione della rete e depurazione

– due indici sui rifiuti: produzione e raccolta differenziata

– due indici sul trasporto pubblico: il primo sull’offerta, il secondo sull’uso che ne fa la popolazione

– cinque indici sulla mobilità: tasso di motorizzazione auto e moto, modale share, indice di ciclabilità e isole pedonali

– un indice sull’incidentalità stradale

– due indici sull’energia: consumi e diffusione rinnovabili

Per la classifica finale sono stati utilizzati due indici su diciotto che utilizzano dati pubblicati dall’Istat, si tratta degli indici relativi agli incidenti stradali e ai consumi energetici domestici.

Qui di seguito la classifica dei capoluoghi di provincia italiani per vivibilità ambientaleclassifica-capoluoghi-per-vivibilita-ambientale

Fonte: ecoblog.it

Dossier Legambiente Ecomafie 2015: corrotti e inquinatori, un business da 22 miliardi l’anno

Nel Sud Italia gli illeciti, nel Nord la corruzione: la fotografia di Legambiente di un Paese inquinato, corrotto ed inquinatore. E’ stato pubblicato ieri il rapporto Ecomafia 2015 di Legambiente, relativo ai dati raccolto nel corso dell’anno 2014 in Italia; realizzato col contributo di Cobat, ed edito dalla casa editrice Marotta e Cafiero, il rapporto di quest’anno si apre con una notizia positiva che fa da buon auspicio per il futuro prossimo: l’approvazione della legge n. 68 del 22 maggio 2015, la cosiddetta Legge Ecoreati, e che ha introdotto i delitti contro l’ambiente nel Codice Penale. Il rapporto Ecomafia 2015 disegna un quadro generale peggiorativo rispetto all’Italia fotografata nel 2013: lo scorso anno infatti il business dell’ecomafia è ulteriormente cresciuto: un business che, scrive Legambiente, si attesta attorno ad un valore di 22 miliardi di euro, 29.293 reati accertati. Il rapporto indica come siano aumentate le infrazioni nel settore dei rifiuti (+26%) e del cemento (+4,3) alimentate dal fenomeno della corruzione. Secondo il rapporto si può tranquillamente parlare di “un boom” di infrazioni accertate nel ciclo dei rifiuti, che superano la soglia delle 7mila, per la precisione 7.244, quasi 20 al giorno. Alto è stato anche il numero di inchieste di traffico organizzato di rifiuti (art. 260 Dlgs 152/2006), ben 35 nel 2014, facendo salire il bilancio a 285 a partire dal 2002. Secondo l’associazione ambientalista si parla di circa reati 80 al giorno, poco meno di 4 ogni ora, per un fatturato criminale che è cresciuto di 7 miliardi rispetto all’anno precedente raggiungendo la ragguardevole cifra di 22 miliardi, cui ha contribuito in maniera eclatante il settore dell’agroalimentare, con un fatturato che ha superato i 4,3 miliardi di euro: l’approvazione del ddl sugli ecoreati è quindi un passo importante ma non può essere l’unico necessario a ridurre il  business criminale a danno di salute e ambiente, oltre che della legalità. In particolare i traffici di rifiuti corrono anche lungo le rotte internazionali dove a farla da padrone sono i materiali di scarto destinati illegalmente al riciclo o a un approssimativo recupero energetico: rottami di auto e veicoli soprattutto (38%) per il recupero dei materiali ferrosi, scarti di gomma e/o pneumatici (17,8%), e poi metalli, plastica, Raee e tessili.001

Così la stessa associazione ambientalista nella presentazione del rapporto:

“Cresce l’incidenza criminale nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Puglia, Sicilia, Campania e Calabria), dove si è registrato più della metà del numero complessivo di infrazioni (ben 14.736), con 12.732 denunce, 71 arresti e 5.127 sequestri. Si registra un calo dei reati in Campania (-21% circa), dovuto forse ai tanti riflettori accesi di recente sulla regione, e un aumento degli illeciti in Puglia, col 15,4% dei reati accertati (4.499), 4.159 denunce e 5 arresti. Numeri dovuti al capillare lavoro di monitoraggio e controllo svolto in tutta la regione dalle forze dell’ordine (in particolare da Carabinieri, Guardia di finanza e Corpo forestale dello Stato), coordinate operativamente da diversi anni grazie a un Accordo quadro promosso e finanziato dalla Regione Puglia. Crescono i reati nel ciclo dei rifiuti (+ 26%) e le inchieste sul traffico organizzato di rifiuti (art.260 Dlgs 152/2006), che arrivano addirittura a 35. Aumentano anche gli illeciti nel ciclo del cemento: 5.750 reati (+4,3%), realizzati soprattutto in Campania e poi in Calabria, Puglia e Lazio.”schermata-2015-07-01-alle-11-22-56

Secondo quanto afferma Raffaele Cantone, Presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, intervistato nel rapporto da Toni Mira “Gli appalti pubblici nel settore dell’ambiente sono tra quelli più esposti alla corruzione e alla criminalità organizzata”: sono ben 233 le inchieste ecocriminali in cui la corruzione ha svolto un ruolo cruciale: la Lombardia è la prima regione dove il fenomeno corruttivo si è maggiormente diffuso (31 indagini penali), seguita subito dopo dalla Sicilia (28 inchieste), la Campania (27), il Lazio (26) e la Calabria (22). Dal Mose di Venezia ad alcuni cantieri dell’Alta velocità, dai Grandi eventi alle ricostruzioni post terremoto, dalla gestione dei rifiuti all’enogastronomia e alle rinnovabili, il fenomeno è purtroppo nazionale.

Fonte: ecoblog.it