Greenpeace: «Il governo giapponese mente sull’impatto di Fukushima su lavoratori e bambini»

A pochi giorni dall’ottavo anniversario del disastro di Fukushima, una nuova indagine di Greenpeace Giappone fornisce nuovi dettagli sugli effetti dell’incidente nucleare avvenuto l’11 marzo del 2011. E denuncia scorrettezze da parte del governo giapponese.

Aerial radiation survey with a drone conducted by Greenpeace in Namie, Fukushima prefecture.

A pochi giorni dall’ottavo anniversario del disastro di Fukushima, una nuova indagine di Greenpeace Giappone fornisce nuovi dettagli sugli effetti dell’incidente nucleare avvenuto l’11 marzo del 2011. L’indagine, spiega l’associazione ambientalista, rivela come «il governo giapponese stia deliberatamente ingannando gli organismi e gli esperti delle Nazioni Unite che si occupano di violazioni dei diritti umani».

Il rapporto “Sul fronte dell’incidente nucleare di Fukushima: lavoratori e bambini”, diffuso dall’organizzazione ambientalista, rivela che esistono ancora alti livelli di radiazioni sia nelle zone di esclusione che nelle aree aperte, anche dopo gli enormi sforzi di decontaminazione. Il lavoro realizzato da Greenpeace documenta inoltre quanto siano estese le violazioni del governo in materia di diritti umani regolati da convenzioni e linee guida internazionali, in particolare per quanto concerne lavoratori e bambini.

«Nelle aree in cui operano alcuni di questi addetti alle bonifiche, i livelli di radiazione rilevati sarebbero considerati un’emergenza se fossero registrati all’interno di un impianto nucleare», afferma Shaun Burnie, esperto sul nucleare di Greenpeace Germania. «Questi lavoratori non hanno praticamente ricevuto nessuna formazione sulla tutela da radiazioni. Poco protetti e mal pagati, sono esposti ad alti livelli di radiazioni e se denunciano qual è la situazione rischiano di perdere il posto di lavoro. I relatori speciali delle Nazioni Unite per i diritti umani hanno assolutamente ragione nel mettere in guardia il governo giapponese su questi rischi e violazioni»

Dall’indagine di Greenpeace in Giappone, come spiega la stessa organizzazione in una nota, emerge che:

● I livelli di radiazione nella zona di esclusione e le aree di evacuazione di Namie e Iitate rappresentano un rischio significativo per i cittadini, bambini inclusi. I livelli sono da cinque a oltre cento volte più alti del limite massimo raccomandato a livello internazionale e rimarranno tali per molti decenni e nel prossimo secolo.

● Nella zona di esclusione di Obori in Namie, i livelli medi registrati di irradiazione erano pari a 4,0 μSv all’ora. Questi livelli sono così alti che se un operatore lavorasse lì per otto ore al giorno durante un intero anno, potrebbe ricevere una dose equivalente a più di cento radiografie del torace.

● In una foresta situata di fronte all’asilo e alla scuola della città di Namie, dove sono state revocate le ordinanze di evacuazione, il livello medio di radiazioni era di 1,8 μSv all’ora. Tutti i 1.584 punti misurati hanno superato l’obiettivo di decontaminazione a lungo termine fissato dal governo giapponese di 0,23 μSv all’ora. Nel 28 per cento di questa area, la dose annuale di radiazioni a cui sarebbero esposti i bambini potrebbe essere 10-20 volte superiore al massimo raccomandato a livello internazionale.

● Lo sfruttamento dei lavoratori è un fenomeno molto diffuso, compreso il reclutamento di persone svantaggiate e senzatetto a cui non viene effettuata alcuna seria formazione in materia di radioprotezione. Spesso vengono falsificati i certificati di identificazione o sanitari e si attuano registrazioni ufficiali non affidabili.

«Il rapporto- spuega Greenpeace – arriva a un mese dalla stesura di una serie di severe raccomandazioni che il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia ha indirizzato al governo giapponese. Se attuate, queste raccomandazioni porrebbero fine alle attuali politiche condotte a Fukushima e avrebbero come effetto il ripristino degli ordini di evacuazione, il pieno risarcimento agli sfollati e la piena applicazione di tutti gli obblighi relativi al rispetto dei diritti umani nei confronti degli sfollati e dei lavoratori».

«Alla radice del disastro nucleare di Fukushima, con le violazioni dei diritti umani che ne conseguono, c’è la pericolosa politica energetica promossa dal governo giapponese», dichiara Kazue Suzuki, della campagna Energia di Greenpeace Giappone. «Quello che la maggioranza dei giapponesi chiede è una transizione verso le fonti rinnovabili. Eppure, il governo sta cercando di riavviare i reattori nucleari e allo stesso tempo aumentare drasticamente il numero di centrali a carbone, il che contribuirà ad alimentare i cambiamenti climatici», conclude Suzuki.

Fonte: ilcambiamento.it

Così Amazon uccide la dignità dei lavoratori e l’economia locale

Sfruttamento dei lavoratori, aumento della povertà, crisi dei piccoli negozianti, impoverimento dell’economia locale. Massimo Angelini riassume le drammatiche conseguenze legate alla crescita del colosso dell’ecommerce e invita tutti a dissociarsi da quello che oggi si presenta come il monopolio in più rapida espansione e commercialmente più aggressivo. Italia che Cambia sostiene la sua iniziativa “Amazon addio”.

“Amazon addio”. Questo il nome dell’iniziativa lanciata da Massimo Angelini e rilanciata da Comune-info contro la più grande Internet company al mondo, una delle più grandi società del pianeta.

“Amazon – scrive Massimo Angelini – sta guadagnando una posizione di monopolio mondiale straordinaria e pericolosa: la sua crescita, accompagnata da una progressiva concentrazione e automazione dei processi di distribuzione, sempre più di frequente viene associata:

– alla chiusura di negozi e librerie, e alla conseguente perdita di posti di lavoro;

– a una riduzione della qualità del lavoro, sempre più misurato, controllato, malpagato, precario, e meno tutelato;

– all’elusione della tassazione nei paesi dove opera, compresa l’Italia”.

“In questo scenario – si legge ancora – chiude il piccolo commercio, si perdono posti di lavoro, si erodono garanzie per quelli che restano, si mette a rischio la posizione dei lavoratori del commercio e della logistica, ma anche quella dei produttori ai quali, in progresso di tempo e crescendo la posizione di monopolio, più facilmente il prezzo di uscita delle merci potrà essere imposto al ribasso.amazon

Mentre alcuni si compiacciono dell’efficienza, della comodità e del relativo risparmio – perché è vero che i prodotti inviati attraverso Amazon arrivano presto e spesso sono venduti a un prezzo ribassato – c’è una parte di mondo che diventa più povero, meno tutelato, ricattabile: se a un risparmio di tempo e denaro individuali corrisponde un maggior costo sociale (oltre che personale) in termini di dignità dei lavoratori e posti di lavoro, allora il bilancio è certamente negativo. E lo è per tutti, anche per chi persegue i soli propri interessi individuali, perché una società più povera, in termini economici, morali, di sicurezza è un costo per tutti”.

“Poiché i monopoli – tutti – generano maggiore povertà, favoriscono la concentrazione dei capitali e contribuiscono ad allargare la forbice che separa una minoranza progressivamente più ridotta e più ricca da una maggioranza più allargata e sempre più povera, proponiamo un gesto di resistenza e di schieramento a partire dalla dissociazione da quello che oggi si presenta come il monopolio in più ampia e rapida espansione e commercialmente più aggressivo: Amazon”.

PER ADERIRE ALL’INIZIATIVA CLICCA QUI!

https://comune-info.net/2018/04/amazon-addio/

fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/04/amazon-uccide-dignita-lavoratori-economia-locale/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Biciclette, un milione di occupati in Europa entro il 2020. Lo studio “Ciclismo per la crescita”

L’industria delle due ruote e tutte le attività ad essa connesse, cicloturismo in primis, rappresentano uno dei settori più vivaci dell’economia europea. Secondo lo studio della Federazione Europea dei Ciclisti,ad oggi nel vecchio continente sono più di 650 mila i lavoratori del settore e nel 2020 saranno un milione. Investire nella bici fornisce il migliore ritorno economico nel settore dei trasposti381392

L’ultimo studio della Federazione Europea dei Ciclisti(ECF) dal nome “Ciclismo per la crescita” sviscera i dati di uno dei settori economicamente più vivaci del vecchio continente. In Europa l’indotto dell’industria della bicicletta occupa più di 650mila lavoratori, più di quelli impiegati nel settore estrattivo minerario (615 mila addetti) e più del doppio di quello siderurgico (31 mila lavoratori). La parte del leone la fa il settore del cicloturismo, che vede impegnati più di mezzo milione di addetti, a seguire quello della vendita e riparazione (80587 lavoratori), poi quello della costruzione delle infrastrutture (23417 addetti), vendita e riparazione (22629 lavoratori) e infine quello dei servizi (4224 addetti).
Durante la presentazione dello studio a Bruxelles, Kevin Mayne (direttore del settore sviluppo dell’ECF) ha lanciato un messaggio ai governi europei e al nuovo presidente Juncker: “Investire sul ciclismo su due ruote è la scelta più giusta e i benefici a lungo termine si vedranno sui bilanci della spesa sanitaria, in quello dei trasporti e nel cambiamento climatico. Adesso siamo in grado di dimostrare che ogni nuova pista ciclabile costruita crea nuovi ciclisti e questo contribuisce alla crescita dei posti di lavoro. Investire nella bicicletta fornisce il migliore ritorno economico di qualsiasi altro investimento fatto nel settore dei trasposti”.  Nel rapporto è incluso anche un piano di azione e i relativi benefici che potrebbe apportare all’economia europea. Il piano d’intervento si spinge fino al 2020 dove, a fronte di un raddoppio degli investimenti da parte della Comunità Europea e di piani nazionali per incentivare l’uso delle due ruote (per esempio sgravi fiscali per i ciclisti), il numero dei lavoratori sale fino a quota un milione. Inoltre, a parità di investimenti, il tempo di permanenza nella aziende di un lavoratore dell’industria delle due ruote è tre volte superiore a quello dei lavoratori dell’industria automobilistica. Lo studio si chiude ricordando che il settore del ciclismo non richiede un alto livello di qualificazione per potervi accedere e questo gli permette di offrire una oggettiva opportunità per l’ inclusione europea sopratutto in questi anni di crisi economica.

Fonte: ecodallecitta.it

La bella storia di Marco e del suo riscatto personale e sociale

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La bella storia che vi raccontiamo oggi è quella di Marco: la storia di un riscatto personale da un passato difficile e di un successo lavorativo che, da semplice operaio, lo ha portato a diventare socio e, infine, responsabile della cooperativa per cui lavora. Nel settembre 2003, Marco viene assunto da una cooperativa sociale di Rimini, grazie a due soci della cooperativa che collaboravano con la comunità in cui Marco era all’epoca inserito.“Al tempo”, ricorda, “venivo da un passato di tossicodipendenza e stavo terminando il mio percorso in comunità. Mi ero già reso conto che il lavoro, per me, era una cosa urgentissima, ma forse ancora non immaginavo quanto. Mi ero separato da mia moglie, avevo paura di quello che mi aspettava, ma ero anche fermamente deciso a voltare pagina, volevo a tutti i costi riscattarmi, per me e per mio figlio, che allora aveva solo 4 anni”.

“Ricordo bene che mi misero in guardia più di una volta: che non sarebbe stato facile, perché già altri della mia comunità avevano provato e qualcuno si era perso per strada”. Ma Marco sapeva che questa era un’occasione unica e che non andava sprecata. Si è rimboccato le maniche ed ha imparato diversi lavori, poiché la cooperativa offre numerosi servizi, che vanno dalla raccolta differenziata alle pulizie civili ed industriali, dalle affissioni pubblicitarie alla manutenzione stradale e segnaletica verticale.

E, come racconta lui stesso, il fatto di lavorare in un’impresa sociale – oltre a dargli una seconda possibilità –  ha avuto un ruolo fondamentale nel trasformare la sua vita. “Mi ci è voluto un po’ per mettermi a regime e lavorare con affidabilità: fidandomi di chi mi dava il lavoro e facendo in modo che si fidassero di me. Non sono state poche le crisi, non ho mollato neanche nei momenti più bui, e alla fine ci sono riuscito. Adesso posso dire che il lavoro mi ha restituito anche più di quello che speravo”.

 “Qualche anno più tardi“, continua Marco, “dopo aver raggiunto una certa sicurezza per me e per chi mi stava attorno, non ero più concentrato solo su di me e ho iniziato a guardarmi intorno. Ho iniziato a capire la funzione di una cooperativa sociale, il fatto che i soci, pur essendo proprietari dell’azienda, non si dividono nessun utile a fine anno, perché l’unico obiettivo è quello di creare nuovi posti di lavoro. E’ stato allora che ho capito veramente il valore dell’opportunità’ che mi era stata data”.

“Ho scelto di diventare socio, per partecipare più attivamente e dare anche ad altri l’occasione del riscatto che avevo avuto io”. E poi è arrivata una sorpresa inaspettata: proposta di diventare membro del Consiglio d’Amministrazione: “E’ stata una possibilità che mi è capitata da qualche mese e che ho voluto cogliere. Un impegno importante, di grande responsabilità, che mi fa sentire ancora più coinvolto e mi consente, in un certo senso, di restituire alla cooperativa un po’ di quanto ho ricevuto. Fra i miei impegni personali nel C.d.A. c’è anche quello di tenere unite le persone fra i diversi settori di lavoro, fra chi lavora in ufficio e chi è sulla strada e fra la direzione e gli operai”.

“Oggi come oggi, sono davvero contento del mio lavoro, mi sento affezionato alle persone che ho più vicine, ho costruito dei rapporti di lavoro seri, diventati poi anche belle amicizie, grazie al fatto che ogni giorno si lavora fianco a fianco e ci si aiuta”.

E conclude: “In cooperativa, è vero, ci sono tanti aspetti da migliorare, ma credo che con un po’ di pazienza, comprensione e con la coerenza ai nostri impegni, possiamo superare, com’è già successo, anche i momenti più difficili”.

Fonte: buonenotiziei.t

Allarme amianto a Genova: all’Ansaldo 135 casi di mesotelioma

Fra il 1994 e il 2010 sono stati registrati 135 casi di mesotelioma fra i lavoratori e gli ex lavoratori136193809-586x390

Genova potrebbe scoppiare un nuovo caso amianto. Il processo Eternit ha scoperchiato il vaso di Pandora di un’industria che per anni ha negato l’evidenza per non doversi confrontare con i costi delle bonifiche. Si è fatto finta di niente, come all’Olivetti o alla Solvay, ditte nelle quali non si contano i morti per mesotelioma. Ora è un’intera città, anzi una regione, a confrontarsi con il dramma dell’amianto e del mesotelioma pleurico. Negli ultimi giorni la Regione Liguria e il Comune di Genova hanno ricevuto un dossier che spiega come l’incidenza del mesotelioma pleurico sia quattro volte superiore alla media nazionale. Lo studio effettuato dal Centro operativo regionale del registro mesoteliomi è stato coordinato da Valerio Gennaro e ha analizzato l’impatto di quella malattia suddividendo per le più importanti aziende attive in provincia. I risultati sono inequivocabili: dal 1994 al 2010 sono stati registrati 135 casi di mesotelioma fra lavoratori ed ex lavoratori di Ansaldo, in modo particolare fra coloro che hanno prestato servizio nella caldareria. Ma se si considera il periodo sino al 2012 si contano un centinaio di casi anche nelle acciaierie Ilva, più una decina di ammalati alla Stoppani. Si sta cercando di capire quanti casi siano emersi fra i dipendenti della Fincantieri.

Naturalmente, considerati i lunghi tempi di latenza della malattia (che varia dai 15 ai 45 anni), è probabile che l’incidenza quadrupla rispetto alla media nazionale sia, purtroppo, una statistica in difetto. Il dossier è diventato oggetto di un vertice tenutosi ieri mattina a Palazzo Tursi fra i rappresentanti della giunta, il governatore Claudio Burlando e il deputato genovese del Pd Mario Tullo.

 

fonte: Il Secolo XIX

Sciopero dei lavoratori tessili in Bangladesh, Dacca paralizzata dalle proteste

Dacca la capitale del Bangladesh è paralizzata da tre giorni per lo sciopero dei lavoratori delle fabbriche tessili181420059

Oltre 200 mila lavoratori a Dacca in Bangladesh protestano da almeno 3 giorni contro le condizioni di lavoro a cui sono obbligati a sottostare. Le proteste di questi giorni hanno decretato la chiusura temporanea di 300 fabbriche di abbigliamento. In sostanza gli operai tessili chiedono che il loro stipendio salga a 8 mila taka, ossia 72 euro mensili contro l’offerta dei proprietari delle fabbriche che hanno proposto un aumento a 3 mila taka mensili pari a 28 euro. Ha detto Mustafizur Rahman vice premier del Bangladesh che ha spiegato che durante le proteste ci sono stati feriti dopo le cariche della polizia messe in atto per disperdere i manifestanti:

La situazione è estremamente volatile. La polizia ha sparato proiettili di gomma e gas lacrimogeni per disperdere i lavoratori indisciplinati.

Proteste a Dacca, i lavoratori tessili caricati dalla polizia

Con più di 4.000 fabbriche che sfruttano il lavoro di di 3,5 milioni di persone – la maggior parte dei quali sono donne – il Bangladesh è diventato il secondo più grande esportatore di abbigliamento al mondo dopo la Cina, con le spedizioni di abbigliamento che rappresentano l’80 per cento del sui 27 miliardi dollari (20 miliardi di euro) in esportazioni annuali. Le proteste per i salari bassi e per le condizioni di lavoro disumane sono divenute più intense dopo l’incendio devastante del Rana Plaza dello scorso 24 aprile quando persero la vita più di 1000 lavoratori.

In Bangladesh i lavoratori tessili attendono un risarcimento181653755

Dal momento che il crollo di un edificio a Dhaka, che ha ucciso più di 1.000 lavoratori del settore tessile, le vittime e le loro famiglie attendono ancora di di essere risarciti. Le trattative non sono state concluse a Ginevra lo scorso 12 settembre a causa delle numerose assenze delle aziende coinvolte nelle morti degli operai del rana Plaza e della fabbrica di Tazereen distrutta da un incendio il 24 novembre 2012. Ha detto Reaz-Bin-Mahmood, vice-presidente della Bangladesh Garment associazione di produttori e esportatori e che rappresenta 4.500 fabbriche:

I lavoratori hanno attaccato le nostre fabbriche e ne hanno incendiate almeno due e centinaia di fabbriche sono 

Abiti Puliti risponde a Piazza Italia181420051

Intanto prosegue il botta e risposta tra l’azienda di abbigliamento Piazza Italia e Abiti Puliti la Ong che si batte per il rispetto dei diritti dei lavoratori nel tessile. Ecoblog ha pubblicato la precisazione di Piazza Italia in merito alle notizie diffuse dalle Ong internazionali dell’assenza ai negoziati di Ginevra della firma italiana. Ma Abiti Puliti mi ha contattata via Facebook e ha rilasciato quanto segue:

Campagna Abiti Puliti

da quando è avvenuto l’incendio alla Tazreen lo scorso 24 novembre 2012, la Campagna Abiti Puliti ha contattato e fornito a @PiazzaItalia tutti gli elementi e le proposte concrete per esprimere una politica di responsabilità aziendale a fronte di un fatto gravissimo, che non è stato casuale.

Esso è il frutto di un sistema industriale a bassissimo costo, quello bengalese, di cui beneficiano tutte le imprese internazionali. Sia che si riforniscano direttamente, sia che lo facciano indirettamente, tramite agenti e intermediari, come ci ha dichiarato Piazza Italia nell’unico incontro dello scorso 14 maggio.

Come ribadito in più occasioni, e con comunicazioni accurate, sono state rese note le risposte di tutte le aziende che sono state contattate a seguito dell’incendio. Piazza Italia, di cui sono stati rinvenuti e fotografati prodotti a marchio (le foto sono in nostro possesso e sono state inviate all’azienda), è fra queste. Come correttamente specificato nelle nostre comunicazioni (http://www.abitipuliti.org/…), l’azienda ha negato di avere produzioni nonostante i campioni rinvenuti e, dopo avere per alcuni mesi dichiarato la sua disponibilità a partecipare al fondo di risarcimento, si è tirata indietro non partecipando agli incontri internazionali e proponendo una esigua somma a scopo umanitario destinata alla nostra campagna, che evidentemente non possiamo accettare. Quello che le vittime meritano e noi con forza chiediamo è un risarcimento equo, trasparente e negoziato con i sindacati, non un semplice gesto umanitario per lavarsi la coscienza.

Dal confronto avuto con Piazza Italia emerge, peraltro, una posizione contraddittoria secondo la quale da una parte Piazza Italia non conosce esattamente in quali stabilimenti vengono confezionati i suoi prodotti perché la scelta dei fornitori sarebbe in capo all’agente che opera senza informarli in merito e dall’altra afferma con certezza di non avere mai fatto confezionare capi alla Tazreen. Non si comprende quindi come faccia ad affermare da una parte che “firma accordi di produzione solo con aziende di Trading che garantiscono il rispetto di una serie di standard di sicurezza” e dall’altra che non è assolutamente coinvolta nel caso Tazreen.

Fonte:  DW, Radio Vaticana

Fukushima, duemila lavoratori rischiano il cancro

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Quasi duemila operai che lavorarono nella centrale nucleare di Fukushima nei giorni e nelle settimane seguite dal disastro nucleare, sono stati esposti a livelli tali di radiazioni che adesso rischiano il cancro alla tiroide. In seguito all’incidente nell’impianto, avvenuto nel marzo 2011, la Tepco ha condotto controlli su 19.592 lavoratori. Gli esami hanno stabilito che 1.973 operai lavorarono in un ambiente con indici di radiazioni superiori ai 100 millisievert annui (la Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni raccomanda livelli inferiori ai 20-100 millisievert). Il dato è superiore di 10 volte alla stima precedente della società che gestisce l’impianto sul numero di possibili vittime da cancro e arriva dopo che l’azienda era stata pesantemente criticata per aver fornito dati troppo ottimistici. Soltanto qualche giorno fa l’ex capo della centrale nucleare di Fukushima, Masao Yoshida, colui che autonomamente decise di raffreddare i reattori danneggiati dal sisma/tsunami del 2011 con acqua di mare violando gli ordini dei superiori, è deceduto in un ospedale di Tokyo per un cancro all’esofago. Yoshida, 58 anni, si era dimesso dal suo incarico nel dicembre 2011 a causa della malattia, ma soltanto dopo aver avviato gli sforzi per portare sotto controllo la struttura. La Tepco, annunciando la morte, ha escluso legami tra cancro ed esposizione radioattiva. Di recente ha destato nuovi timori il balzo della radioattività alla centrale nucleare di Fukushima, registrato nei campioni di acqua prelevati da un pozzo di osservazione vicino all’impianto. Le conseguenze del peggior disastro nucleare dai tempi di Chernobyl sembrano dunque ancora lontane dall’essere contenute.

Fonte: il cambiamento