Viaggio al centro della terra per scoprire l’origine degli tsunami

Un team di scienziati raggiungerà, per la prima volta, il punto dove si scontrano le placche tettoniche51902461-586x424

Venerdì scorso un team di sismologi ha intrapreso una missione di studio della crosta terrestre al largo del Giappone. Lo scopo è di comprendere l’origine dei terremoti. L’imbarcazione che ospita i ricercatori e la torre di perforazione di 121 metri capace di penetrare a 7.000 metri sul fondo del mare si chiama Chiku, ovverosia Terra. Partita dal porto di Shimizu, la nave riprenderà un lavoro di perforazione cominciato nel 2007 e riproposto con regolarità nell’Oceano Pacifico. I ricercatori studieranno la faglia Nankai anche nota come la “faglia del mare del sud”, dove la placca del mare delle Filippine scivola sulla placca eurasiatica. L’intensa attività geologica della zona viene costantemente monitorata poiché potrebbe essere l’epicentro di scosse potenzialmente devastanti, molto più potenti di quella di magnitudo 9 che l’11 marzo 2011 ha provocato lo tsunami che ha scatenato l’incidente nucleare di Fukushima con epicentro a circa 1000 km a nord est della faglia Nankai. Il Governo giapponese ha rivelato lo scorso anno che una scossa della Nankai associata a un tsunami potrebbe provocare circa 320mila vittime sulle coste giapponesi. L’obiettivo dei ricercatori è riuscire a raggiungere i 5200 metri sotto il livello del mare, laddove le placche si scontrano. Sarà la prima volta che un sondaggio raggiungerà direttamente una zona sismica, laddove si genera l’energia che provoca i movimenti della crosta terrestre. Gli scienziati piazzeranno dei rilevatori nella crosta terrestre che saranno collegati ai sistemi d’analisi sulla terraferma:

Vogliamo studiare come la crosta terrestre si muove negli istanti che precedono i terremoti in modo da poterli prevenire più facilmente, ha dichiarato Omata, uno degli scienziati del team di lavoro. Situato nel punto di incontro di ben quattro placche tettoniche, il Giappone subisce, ogni anno, il 20% dei sismi più potenti registrati dai sismografi di tutto il mondo.

Fonte: Le Parisien

Multa a Shell di 1.1 milione di dollari per aver violato il Clean Air Act in Alaska

L’EPA multa la Shell con 1.1 milione di dollari per aver violato i permessi del Clean Air Act durante le estrazioni di petrolio e gas in Alaskashell-594x350

Dopo le ispezioni dell’EPA, United States Environmental Protection Agency, risulta che l’Agenzia federale ha rilevato e documentato le violazioni durante i due mesi della stagione di perforazione nel 2012 gestiti dalle navi-piattaforma Discoverer e Kulluk a Chukchi e nel mare di Beaufort al largo di North Slope in Alaska. La Shell ha accettato di pagare una sanzione 710 mila dollari per per le violazioni della Discoverer e una pena di 390 mila dollari per le violazioni della Kulluk. EPA ha rilasciato i permessi della Clean Air Act alla Shell nei primi mesi del 2012. I permessi riguardano i limiti di emissione, i requisiti di controllo dell’inquinamento e di monitoraggio dei registri, relazioni sulle navi e le loro flotte di supporto dei rompighiaccio, navi antiversamento e navi di approvvigionamento. Non è la prima volta che negli Stati Uniti sono elevate multe salate ai produttori di petrolio. Già nel 2010 la BP pagò una multa da 15 milioni di dollari per l’inquinamento causato dalle raffinerie in Texas e per la stessa raffineria nel 2005 pagò una penale da 50 milioni di dollari dopo un incidente che causò la morte di 15 persone e oltre 170 feriti. C’è da aggiungere che Shell è al centro di una campagna mediatica da parte delle associazioni ambientaliste, Greenpeace in testa, che si stanno battendo affinché proprio le esplorazioni e le trivellazioni in Artico da parte di Shell non siano messe in atto. Dopo lo stop dovuto a cause tecniche sul finire del 2012 le attività sono riprese quest’anno. Greenpeace propone di fermare le trivellazioni Shell in Artico, fragile ecosistema che contribuisce a governare con i suoi ghiacci il clima del Pianeta.

Fonte:  EL

 

Nuove batterie low-cost ‘riaccendono’ corsa a rinnovabili

Una nuova generazione di batterie ricaricabili low-cost potrebbe riaccendere la corsa alle energie alternative come l’eolico e il solare. Si tratta di nuove batterie a flusso capaci di produrre e immagazzinare energia senza le costose membrane normalmente impiegate per separare i reagenti al loro interno. Le hanno messe a punto i ricercatori del Massachusetts Institute of Technology di Boston, che su Nature Communications spiegano come questi dispositivi potrebbero favorire la diffusione delle fonti rinnovabili risolvendo il problema della forte variabilità che caratterizza la loro produzione.

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All’interno delle nuove batterie sono contenuti due liquidi (una soluzione di bromo e una di idrogeno) che vengono pompati attraverso un canale tra i due elettrodi per generare delle reazioni elettrochimiche che servono a produrre e immagazzinare energia. Per la prima volta non sono state usate delle membrane per separare i due liquidi, ma è stato sfruttato un particolare fenomeno, il flusso laminare, che ha consentito di far scorrere le due soluzioni in parallelo senza che provocassero reazioni indesiderate. In questo modo sono stati superati due importanti ostacoli che finora avevano limitato lo sviluppo di queste batterie: i costi troppo elevati e la scarsa affidabilità. Entrambi i problemi erano riconducibili alle membrane, elementi particolarmente costosi e facilmente corrodibili per azione dei reagenti liquidi della batteria. I ricercatori del Mit hanno anche sviluppato un modello matematico che descrive le reazioni chimiche che avvengono all’interno della batteria. Secondo i loro calcoli, il dispositivo potrebbe produrre energia a 100 dollari per kilowattora, un costo considerato appetibile per le società di servizi pubblici secondo gli esperti del Dipartimento per l’energia degli Stati Uniti.

Fonte:ANSA.it

Pannelli fotovoltaici sul tetto della Casa Bianca installati questo weekend

Riqualificazione energetica alla Casa Bianca: questo weekend saranno installati nuovi pannelli fotovoltaici175634437-594x350

Sono iniziati nel weekend di metà agosto i lavori per la riqualificazione in grado di migliorare l’efficienza energetica complessiva della Casa Bianca. Barack Obama sostenitore delle energie rinnovabili e a pochi mesi dalle manovre antidumping contro il fotovoltaico cinese ecco arrivare pannelli solari americani sul tetto dell’edificio più importante d’America. Il bando per l’installazione di pannelli solari risale al 2010 quando Steven Chu era ancora segretario dell’Energia ma l’installazione avviene solo oggi a espletamento delle procedure amministrative: in sostanza saranno installati tra i 20 e i 50 pannelli solari a dimostrazione che anche gli edifici storici possono essere riqualificati in termini di efficienza energetica. La produzione di energia dovrebbe ammortizzare entro 8 anni l’investimento. Steven Chu disse nel 2010:

Questo progetto riflette il forte impegno del presidente Obama per la leadership degli Stati Uniti nell’ energia solare e per i posti di lavoro che si verranno a creare. La distribuzione delle tecnologie a energia solare in tutto il paese aiuterà l’America a condurre l’economia globale negli anni a venire.

Purtroppo la Storia ci ha consegnato pagine ben diverse. Comunque non è la prima volta che sul tetto della Casa bianca sono installati pannelli solari: il presidente Jimmy Carter ne aveva fatti installare 32 alla fine del 1970 per fornire acqua calda, ma il presidente Ronald Reagan li rimosse nel 1986. Poi, nel 2003, il presidente George W. Bush ha installato un impianto fotovoltaico su un edificio per la manutenzione con due unità termiche solari per il riscaldamento della piscina. Due campagne degli attivisti hanno fatto pressioni su Obama all’inizio del suo primo mandato per ripristinare i pannelli solari sul tetto.

Fonte:  Washington Post

 

Commento di 5 minuti per l’ambiente:

caspita veloci anche in America a rilasciare le autorizzazioni…..dal 2010 ad oggi!!!

A Fukushima trovato un lago di acqua radioattiva sotto la centrale nucleare

Un lago sotterraneo contenente più di 5 mila tonnellate di acqua radioattiva è stato scoperto sotto la centrale nucleare di Fukushima Daiichi, come ha ammesso la TEPCO173797143-594x350

Secondo il comunicato il trizio radioattivo è pari a 8,7 milioni di bequerel per litro, ossia 145 volte sopra i limiti. L’acqua si è accumulata in una cavità al di sotto del secondo reattore nucleare dopo lo tsunami causato dal sisma dell’11 marzo 2011 e che a causato l’incidente nucleare alla centrale ancora in atto. Gli esperti giapponesi hanno già espresso preoccupazione per l’alto livello del trizio radioattivo riscontrato in mare nelle prossimità della centrale e dovuto a perdite non controllate. La settimana scorsa i rappresentanti di TEPCO hanno per la prima volta ammesso la fuga di acqua radioattiva nell’Oceano Pacifico. Riferisce l’Asahi Shimbun che si sta valutando se l’acqua radioattiva dalla vasca sia filtrata in mare e se così fosse si pone la necessità di impermeabilizzare il terreno. Il 27 luglio, TEPCO aveva annunciato che un livello estremamente alto di cesio, pari a 2,35 miliardi di becquerel per litro d’acqua è stato rilevata nell’acqua accumulata nella vasca. Un funzionario della TEPCO ha riferito che sono al lavoro per controllare le perdite nel terreno e per evitare ulteriori perdite in mare. Resta di fatto che la centrale nucleare è ancora in equilibrio precario e che sembra davvero difficile mantenere il controllo e sopratutto gestirlo.

Fonte:  Ria, Asahi

Fracking per il gas in una installazione artistica a Liverpool

Al FACT di Liverpool è in funzione una trivella per il fracking in miniatura, comprensiva di rumori, luci, odori, fiamme di flaring e piscina per gli esausti, per fare conoscere in anticipo agli inglesi come verrà ridotta la loro campagna se questi progetti fossili dovessero realizzarsiFracking-futures-586x379

Per la prima volta il fracking entra in una galleria d’arte. E’ successo al FACT di Liverpool, dove il duo francese di “ingegneri artisti”  HeHe ha riprodotto in scala un sito di trivellazione. Non si tratta solo di un modello didattico, perchè lo scopo dell’opera è fornire l’esperienza di cos’è l’attività di fracking (1), dal rumore, alle vibrazioni, alle luci, agli odori, alla sensazione di terribile calore della fiamma del flaring (2). L’installazione è comprensiva anche di una piscina per i fanghi di trivellazione. Il video sotto dà un’idea dell’opera. E’ una profonda visione distopica, anche se il duo artistico afferma di non prendere posizione pro o contro il fracking, ma semplicemente di farlo conoscere nel proprio giardino di casa. Non a caso l’esibizione è a Liverpool, perchè il nord dell’Inghilterra sta per essere interamente bucherellato alla ricerca di “trilioni di piedi cubi di gas”, come amano dire gli industriali. Sono state già investite oltre 160 milioni di sterline, mentre il ministro conservatore Hosborne ha annunciato riduzioni di tasse per il fracking, facendo infuriare gli ambientalisti.

E’ significativo l’ironico commento di un lettore sul sito del FACT:

«Quanto è realistica l’esperienza? Avete consultato le comunità locali prima di procedere? Avete corrotto le autorità locali per avere i permessi? Avete nascosto, con la scusa del segreto commerciale, l’esatta composizione chimica dei fanghi? Avete pagato scienziati addomesticati e messo su falsi gruppi di pressione? Avete fatto false affermazioni sulla sicurezza del flaring?»

Vedere e toccare con mano che cos’è il flaring prima che inizi a devastare le campagne inglesi come ha fatto in Pennsylvania potrebbe essere un buon antidoto per la popolazione.

(1) Rispetto alle normali trivellazioni il fraking o fratturazione idraulica, inietta sotto terra una mistura di acqua, sabbia e composti chimici ad alta pressione per fratturare le rocce compatte e permettere al gas di fuoriuscire.

(2) Il flaring è la combustione del metano in sovrapressione per ragioni di sicurezza. In alcuni stati è proibita per legge, ma  in North Dakota, negli USA ne stanno facendo un uso spropositato, a causa dell’impetuosa crescita del gas da fracking

Fonte: ecoblog

 

Lavori pubblici in V Municipio con materiali ecosostenibili

Si è conclusa la prima fase dei lavori di consolidamento del sottosuolo di via Dulceri(Tor Pignattara): nel sottosuolo della via interessata, è stato utilizzato un nuovo calcestruzzo, che consente un significativo risparmio ambientale oltre che economico. Presto un convegno per illustrare le nuove tecniche di riempimento.375635

Con la prima metà di luglio si è conclusa la fase dei lavori di consolidamento del sottosuolo di via Dulceri (quartiere Tor Pignattara). Nei giorni scorsi, infatti, sono stati effettuati gli interventi di riempimento e consolidamento delle cavità presenti nel sottosuolo. Per tale opera si è scelto un materiale innovativo, ovvero Mixeco, realizzato con inerti di riciclo a marcatura CE. Si tratta di un’innovazione introdotta per la prima volta dal V Municipio e per l’occasione al momento dei lavori erano presenti il Presidente Giammarco Palmieri, i componenti della giunta territoriale e l’Assessore ai LL PP del Comune di Roma, Paolo Masini. Il materiale utilizzato è un calcestruzzo alleggerito che ha permesso di risolvere un delicato problema del territorio, con un risparmio non solo economico, ma anche ambientale derivato dall’uso di materiale inerte totalmente riciclato, il tutto a parità di caratteristiche qualitative del prodotto. “La soluzione adottata verrà introdotta nel piano strategico studiato per le aree del municipio che hanno analoghe problematiche sul territorio, si pensi alle cavità di via Filarete”, ha detto il Presidente del Municipio Palmieri. “La presenza dell’Assessore Masini – ha aggiunto Palmieri – è stata da noi fortemente voluta proprio per dimostrare come la scelta da noi promossa possa essere diffusa, con beneficio per la città, in molte altre zone capitoline”. Secondo Stefano Veglianti, vicepresidente del V Municipio con delega al Lavori Pubblici, “le pubbliche amministrazioni devono cercare soluzioni sempre più innovative, che siano in linea con la ricerca di una crescente ecosostenibilità. Questo tanto più quando ciò comporti un significativo risparmio anche in termini economici. Nei prossimi 5 anni di governo – ha aggiunto Veglianti . questa sarà una regola fondamentale da perseguire nella realizzazione delle opere dei lavori pubblici”. Inoltre, l’Assessore Masini ha risposto positivamente all’invito del Presidente Palmieri e dell’Ass. Veglianti di organizzare in autunno un convegno sulle problematiche del dissesto idrogeologico della città e delle innovazioni tecniche di riempimento, come quella introdotta dal V Municipio.

Fonte: eco dalle città

Cinque anni di vita in meno nella Cina del nord per inquinamento da Carbone

Per la prima volta uno studio collega il maggiore inquinamento del nord della Cina con una riduzione dell’ aspettativa di vita di ben cinque anniInquinamento-aria-Cina-586x389

Uno studio congiunto dell’università di Pechino, del MIT e di altri istituti, mostra per la prima volta una chiara evidenza dell’impatto dell’inquinamento da carbone sull’aspettativa di vita: oltre cinque anni di vita in meno per maggiore mortalità da malattie respiratorie nella Cina del nord. Per motivi climatici, i 500 milioni di cinesi che vivono a nord del fiume Huai hanno  in media un’esigenza di riscaldamento più che doppia rispetto agli abitanti del sud; da vari decenni, il governo fornisce loro gratuitamente il carbone per il riscaldamento. Questo “regalo avvelenato” ha prodotto livello di inquinamento sensibilmente più alti: 550microgrammi al metro cubo di particolato totale (quindi non solo PM10) al nord rispetto ai 350 del sud. Il livello di produzione industriale è analogo, per cui la differenza sta nell’inquinamento domestico da riscaldamento. Di conseguenza, la mortalità per malattie respiratorie è più alta del 38% e conduce ad un’ aspettativa di vita ridotta di ben 5 anni e mezzo. “Tutti sanno che non è piacevole vivere in un ambiente inquinato”, ha commentato uno degli autori dell’articolo, “ma essere in grado di dire con una certa precisione qual è il costo in salute e la perdita di aspettativa di vita fornisce un elemento in più nella ricerca di politiche che equilibrino la crescita economica con la qualità dell’ambiente.” Essendo l’autore un economista, non poteva certo spingersi molto più in là con le dichiarazioni, ma è come se avesse detto: ora non ci sono più scuse, perché sappiamo per certo che l’inquinamento uccide,

fonte: ecoblog

Acqua pubblica, l’Europa apre ma l’Italia non ascolta

Per la prima volta l’Europa sembra mostrare aperture verso l’acqua pubblica, dopo il grande consenso dell’Iniziativa dei cittadini europei (Ice) Right2Water. In Italia invece continua l’ostilità del governo e dell’Autorithy verso gli esiti dei referendum. Quest’ultima in particolare ha deliberato una modalità di restituzione dei profitti di gestione ai cittadini estremamente favorevole per i gestori.acqua_europa

In Italia, vuole il luogo comune, ci piace arrivare in ritardo anche quando siamo all’avanguardia. I fatti, purtroppo sembrano confermare l’affermazione. Mentre l’Europa mostra i primi segnali di apertura verso l’acqua pubblica, da noi che per primi ci siamo opposti alle privatizzazioni con un referendum, lo stato sembra remare contro la ripubblicizzazione con tutte le proprie forze, calpestando apertamente la volontà popolare. Qui Europa. Il Commissario Europeo Michel Barnier si è recentemente dichiarato contrario alla privatizzazione del servizio idrico e ha firmato una dichiarazione che va incontro all’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) Right2Water, sottoscritta da un milione e mezzo di cittadini in tutta Europa (è possibile firmarla su www.acquapubblica.eu) Con una dichiarazione ufficiale del 21 giugno scorso, Barnier ha escluso l’acqua dalla direttiva sulle concessioni e rassicurato i cittadini dell’Unione Europea: “Capisco bene la preoccupazione che deriva da una privatizzazione dell’acqua contro la vostra volontà, anche io reagirei allo stesso modo”. Qui Italia. Se fino a ieri i fautori italiani delle privatizzazioni continuavano a ripetere come un mantra ”ce lo chiede l’Europa”, beh, adesso l’Europa non lo chiede più. Eppure la linea istituzionale non sembra esere cambiata così tanto. Il nuovo governo Letta si muove in perfetta sintonia con i passati esecutivi e l’Autorithy continua a mostrare un atteggiamento ostile verso gli esiti referendari, nonostante i pronunciamenti della Corte costituzionale, del Consiglio di Stato e del TAR della Toscana. Il 25 giugno scorso, infatti, l’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas ha approvato l’ennesimo provvedimento che elude l’esito dei referendum del 2011. Nel deliberare sulle modalità di restituzione ai cittadini della “remunerazione del capitale investo”,illegittimamente percepito dai gestori nel periodo compreso tra luglio 2011 e la fine di quell’anno, l’AEEG ha costruito un metodo che garantirà ai gestori un esborso minimo assai minore di quanto dovuto visto che saranno detratti gli oneri finanziari, quelli fiscali e gli accantonamenti per la svalutazione crediti. Una decisione che va contro ogni logica. Già ai tempi dei referendum la Corte costituzionale aveva specificato che qualora il referendum avesse avuto successo i profitti sull’acqua (la cosiddetta remunerazione del capitale investito) sarebbero dovuti immediatamente sparire dalle bollette. Ciò non era avvenuto e il Consiglio di Stato aveva osservato, in un parere pubblicato a fine gennaio scorso, come l’applicazione degli esiti referendari “non sia stata coerente – […] – con il quadro normativo risultante dalla consultazione referendaria”. Infine anche il TAR della Toscana, nella sentenza di accoglimento del ricorso presentato dal Forum Toscano dei Movimenti per l’Acqua, aveva stabilito che “il criterio della remunerazione del capitale (…) essendo strettamente connesso all’oggetto del quesito referendario, viene inevitabilmente travolto dalla volontà popolare abrogatrice…”. Ma non c’è sentenza o referendum che tenga, quando dall’alto la volontà è quella di mantenere lo status quo. L’ennesima palese violazione dei referendum ha fatto insorgere il popolo dei referendum. In un comunicato il Forum italiano dei movimenti per l’acqua ha dichiarato: “Di fronte all’ennesima dimostrazione della palese intenzione di non voler rispettare la volontà popolare e mettere in discussione gli esiti del referendum come Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua ribadiamo la nostra richiesta di dimissioni dei vertici dell’Authority.” La strada per la ripubblicizzazione e l’esclusione dei profitti dall’acqua è ancora lunga. Per una volta, cerchiamo di non restare indietro.

Fonte: il cambiamento

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