Osservatorio Waste Watcher 2018: “Ogni italiano spreca 36 kg di cibo l’anno”

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Solo il settore della distribuzione genera una produzione di spreco di 2,89 kg/anno pro capite, vale a dire 55,6 gr a settimana e 7,9 gr al giorno. Il 92% degli intervistati si sente in colpa per il cibo sprecato. Nei primi 20 anni di Last Minute Market, lo spin off dell’Università di Bologna diventato realtà di eccellenza europea nel recupero degli sprechi alimentari, arriva la nuova “fotografia” dello spreco alimentare in Italia. I dati reali, innanzitutto: sul piano della distribuzione lo spreco del cibo grava per 9,5 kg/anno ad ogni mq di superficie di vendita negli ipermercati e per ben 18,8 kg/anno ad ogni mq nei supermercati. Tradotto per ogni consumatore italiano significa una produzione di spreco di 2,89 kg/anno pro capite, vale a dire 55,6 gr a settimana e 7,9 gr al giorno solo sul piano distributivoIl 35% di questo spreco potrebbe essere recuperabile a scopo alimentazione umana.

Sono i dati del progetto Reduce promosso dal Distal (Dipartimento Scienze e Tecnologie Agroalimentari) dell’Università di Bologna con l’Università della Tuscia e il Ministero dell’Ambiente, nell’ambito della campagna Spreco Zero di Last Minute Market. Il progetto Reduce attraverso i Diari di Famiglia ha esaminato anche i dati reali dello spreco domestico del cibo in Italia: la vera “voragine” degli sprechi perché nelle nostre case gettiamo ogni anno qualcosa come 36 kg annui di alimenti pro capite. Un danno economico secondo 9 italiani su 10 (93%), e di forte impatto diseducativo sui giovani (91%) alla luce dei dati del Rapporto 2018 dell’Osservatorio Waste Watcher di Last Minute Market / Swg, illustrato oggi a Bologna da Andrea Segrè, fondatore LMM e campagna Spreco Zero, Luca Falasconi, curatore del progetto 60 Sei ZERO Distal Università di Bologna – Min. Ambiente, Maurizio Pessato, presidente Swg e vice presidente Vicario Assirm (Associazione aziende di ricerche di mercato), Stefano Mazzetti presidente rete Sprecozero.net e Matteo Guidi AD Last Minute Market, che da varie stagioni sostiene i progetti di recupero attivi per iniziativa di Last Minute Market, consentendo di recuperare prodotti per un valore complessivo di circa 22 milioni di euro con il coinvolgimento, fra il 2007 e il 2016, di 132 Enti beneficiari diretti, 113 donatori, 52 Comuni. Per un recupero di 5.579.944,65 kg di alimenti, 314.041 pasti, 851.219,25 farmaci e 13.738 libri. Un bilancio lusinghiero che sigla i festeggiamenti per i vent’anni di LMM, con iniziative in programma dal novembre 2018 al 5 febbraio 2019, Giornata Nazionale di Prevenzione dello Spreco alimentare. Sprecare, dunque, che tristezza! Lo dichiarano all’Osservatorio Waste Watcher ben 9 italiani su 10 si rammaricano (91%), che ammettono anche i loro sensi di colpa (92%) per il cibo gettato. 4 italiani su 5 giudicano un’assurdita’ irresponsabile buttare il cibo ancora ancora buono. E 4 su 10 dichiarano di aver ridotto gli sprechi nell’ultimo anno. Ma come hanno fatto? È un plebiscito: controllando cosa serve davvero prima di fare la spesa (96%) ma anche congelando il cibo cucinato in eccesso (92%). 

Nella pratica quotidiana il 63% degli intervistati dichiara di gettare il cibo una volta al mese (17%) o anche meno frequentemente (46%). Il 15% sostiene di gettare cibo una volta ogni due settimane, il 15% una volta a settimana e solo l’1% della popolazione ritiene di gettarlo quotidianamente o in misura di 4/5 volte a settimana. Le ragioni sono intuibili: il cibo è scaduto (44%) o ha fatto la muffa (41%), non ha un buon odore / sapore (39%) o era stato acquistato in quantità eccessiva (36%). Italiani e buone pratiche: ecco le contromisure antispreco: il 56% dei cittadini se ha cucinato troppo conserva il cibo che è avanzato, il 46% (1 cittadino su 2) appena un alimento è scaduto controlla che sia ancora buono prima di buttarlo, e nel caso lo utilizza, il 41% si assicura che il cibo a rischio di guastarsi venga mangiato prima, il 30% compila una lista della spesa per non comprare più del necessario. Cosa si getta, nelle case degli italiani? La verdura e frutta fresca guidano questa ‘hit’ infausta, seguite da pane fresco, cipolle e aglio, latte e yogurt, formaggi, salse e sughi. Tutti ‘confessano’ di aver buttato negli ultimi 7 giorni almeno un etto di pane e pasta, salse e sughi, frutta, yogurt, prodotti surgelati o per la colazione. Ma anche dolci, legumi, bevande alcoliche …

Come invertire la tendenza e far scattare un personale impegno sul fronte della prevenzione/riduzione degli sprechi alimentari? Secondo il 96% degli italiani urge un attento controllo su quanto serve prima di fare la spesaMa il 94% propone anche di congelare il cibo che non si riuscirebbe a mangiare a breve, di fare attenzione alle quantità di cibo che vengono cucinate e di verificare che i cibi siano realmente scaduti prima di buttarli. L’aspetto innovativo riguarda pero’ i provvedimenti che gli italiani auspicano da parte di della governance, per contrastare lo spreco alimentare: in pole position iniziative di sensibilizzazione, rivolte alle scuole per 9 italiani su 10 (90%), e agli stessi cittadini per evidenziare il danno economico legato allo spreco (88%) e il danno ambientale (88%).  E quali sono le tecnologie più corteggiate, per la prevenzione dello spreco? Al top i sistemi di pianificazione della spesa (85%), i packaging intelligenti che cambiano colore (84%) e i sistemi di controllo delle temperature del frigo (84%). Ai figli, invece, cosa si insegna? A non sprecare il cibo, chiaramente (86%) e a scegliere innanzitutto la qualità (86%), quindi la stagionalità del cibo (85%) e un po’ meno il rispasmio nell’acquisto (81%).  E come ha influito la sensibilizzazione di questi anni? Sostanzialmente senza differenze per il 57% degli intervistati, mentre per 4 italiani su 10 lo spreco è diminuito (39%). Significa che parecchio resta da fare perché comportamenti virtuosi scattino nei restanti 6 italiani che sono in larga misura consapevoli della questione, ma non hanno ancora adottato abitudini di prevenzione/riduzione dello spreco del cibo a casa loro.

Mangiare è un atto di giustizia e di civismo: verso noi stessi, verso gli altri, verso il mondo – spiega il fondatore Spreco Zero Andrea Segrè – I paradossi del cibo sono evidenti: 815 milioni di individui sulla terra soffrono la fame e 1 persona ogni 3 è malnutrita. Ma intanto una persona su 8 soffre di obesità. A breve prenderanno il via le iniziative della campagna Spreco Zero per i primi 20 anni di Last Minute Market, un progetto nato fra l’autunno 1998 e la primavera ’99 che vogliamo celebrare con molte iniziative fino al 5 febbraio 2019, 6^ Giornata nazionale di Prevenzione dello spreco. Tutti possiamo dare il nostro contributo all’obiettivo #famezero #sprecozero acquistando solo ciò che serve realmente, compilando liste precise che non cadono nelle sirene del marketing, scegliendo alimenti locali e di stagione basati sulla Dieta Mediterranea, consultando etichette e scadenze, utilizzando al meglio frigo, freezer e dispensa per gli alimenti senza stiparli alla rinfusa”.

Arrivano intanto due importanti novità: la nuova edizione del  Premio Vivere a Spreco Zero, testimonial l’artista Giobbe Covatta: “un riconoscimento all’Italia sostenibile – spiega Luca Falasconi, curatore del progetto 60 Sei ZERO – che valorizza le buone pratiche e iniziative virtuose adottate sul territorio nazionale da soggetti pubblici e privati, premiando le esperienze più rilevanti e innovative in modo tale da favorirne la diffusione e la replica sul territorio. La sensibilizzazione sui temi dello spreco di cibo e dell’educazione alimentare passa anche e soprattutto attraverso gli esempi concreti di buone pratiche: conoscerli, valorizzarli e promuoverli è certamente un passo determinante verso la riduzione degli sprechi alimentari e una maggiore consapevolezza dei consumatori nell’approccio al cibo, dall’acquisto alla sua conservazione. Tutti potranno mandare le loro segnalazioni o autocandidarsi dal sito www.sprecozero.it entro domenica 11 novembre”.

Anche i cittadini potranno partecipare al contest fotografico con le loro buone pratiche antispreco, inviando l’immagine e un testo con hashtag #sprecozero su twitter e instagram. Le premiazioni sono previste il 28 novembre a Bologna, nell’ambito dell’edizione 2018 della Campagna “Spreco Zero” e all’interno del progetto 60 Sei ZERO sostenuto dal Ministero dell’Ambiente.  E ha preso il via su Caterpillar Radio2 Rai la campagna di educazione alimentare e prevenzione degli sprechi “Piatto pulito, buon appetite!”, nove mesi di collegamenti ogni martedì alle 19.20 su Radio2 Rai. Massimo Cirri e Laura Troja dagli studi di Caterpillar si collegheranno con I promotori della campagna per uno “storytelling” radiofonico settimanale sulle iniziative e novità legate a questi temi.

L’attenzione alla lotta a tutti gli sprechi è una priorità per la salvaguardia del nostro nostro pianeta – commenta Stefano Mazzettipresidente della rete di Comuni Sprecozero.net – Ritengo fondamentale il ruolo degli amministratori locali proprio in virtù della stretta relazione che hanno con i cittadini e con il mondo delle imprese. Ogni azione qualificata di approfondimento delle politiche antispreco, purché supportata da dati e informazioni scientifiche, è di estrema utilità affinchè le varie iniziative siano efficaci. Nel caso specifico dello spreco alimentare l’osservatorio Waste Watcher ci consente di misurare il fenomeno e di valutare l’impatto delle azioni di contrasto messe in campo a vari livelli dagli enti territoriali”. “Dopo 20 anni di progetti operativi sulla lotta allo spreco alimentare e non solo – osserva Matteo Guidi, AD Last Minute Market – dal 2010 Last Minute Market entra anche nelle case dei cittadini con la Campagna europea di sensibilizzazione “Spreco Zero”. Consapevoli che oltre il 50% dello spreco si origina tra le mura domestiche, abbiamo voluto coinvolgere i cittadini attraverso progetti di comunicazione e sensibilizzazione, e attraverso l’Osservatorio Waste Watcher ci proponiamo di indagare le dinamiche sociali, comportamentali e gli stili di vita che generano e determinano lo spreco delle famiglie, per agire in ottica di prevenzione generando conoscenza e cultura sulla riduzione dello spreco alimentare delle famiglie”.

Fonte: ecodallecitta.it

Pomodoro italiano: il lato oscuro della produzione e di una inchiesta vera a metà

RFI con Al Jazeera e Internazionale, finanziati dalla Fondazione Bill & Melinda Gates, hanno pubblicato un reportage sul lato oscuro del pomodoro italiano. Peccato che l’inchiesta non abbi approfondito quel che accade anche in Francia

Il pomodoro italiano, il nostro oro rosso, viene ispezionato da tre grandi testate: RFI, Al JazeeraInternazionale, dove è stata pubblicata l’inchiesta in italiano non troppo documentata ma ricca di testimonianze, firmata da Mathilde Auvillain e Stefano Liberti e realizzata mediante il programma The Innovation in Development Reporting Grant Programme dello European Journalism Center (EJC), finanziato dalla Bill & Melinda Gates Foundation. L’inchiesta punta il dito sugli accordi sottoscritti nel 2000 con il Ghana per la riduzione dei dazi delle importazioni dal nostro Paese. Tra le merci che giungono nel Paese africano il pomodoro che con il concentrato che arriva dalla Cina a basso prezzo ha letteralmente raso al suolo la produzione locale. Dal Ghana noi importiamo tra gli altri prodotti l’ ananas messo nella lista della Coldiretti dei 10 prodotti esteri più contaminati. Quando leggo certi attacchi mirati con bersagli ben identificati (in questo caso pomodoro italiano) la prima domanda che mi viene è: cui prodest? Scavando nei meandri della rete scopro che nel 2007 FIAN – FOODFIRST INFORMATION & ACTION NETWORK una ONG attiva da 28 anni, pubblica il rapporto Righ to Food of tomato and poultry farmes che consiste in una indagine condotta sul campo con interviste agli allevatori ghanesi in collaborazione con l’associazione degli allevatori e coltivatori. Già allora l’economia ghanese era al collasso a causa delle importazioni di pasta di pomodoro da Italia, Cina, Usa, Spagna, Turchia, Grecia, Portogallo e Cile e di polli da Europa Usa e Africa. Nel mentre si giunge all’inchiesta italo-francese i polli si perdono per strada: perché gli autori non menzionano anche questa situazione incresciosa? Dall’Europa non inviamo un prodotto pregiato come il pomodoro ma gli scarti del pollo, come zampe, collo, ali che non piacciono al consumatore europeo. Poiché smaltirli costa,conviene venderli al mercato ghanese a prezzo bassissimo, aiutati da sovvenzioni e dazi inesistenti e guadagnarci così un po’su. Peraltro c’è chi si è chiesto come mai l’industria della trasformazione del pomodoro non abbia attecchito in Ghana, sebbene si producesse pomodoro locale, e la risposta non è stata scontata, come si legge nel rapporto del 2010:

Eppure attualmente rese la maggior parte degli agricoltori sono ben al di sotto di dieci tonnellate per ettaro (Robinson e Kolavalli 2010, 19). Per ottenere maggiori rendimenti si richiede una migliore irrigazione, miglioramento della zootecnia e un maggiore uso di ibridi o di semi certificati al contrario di semi auto-estratti. Sistemi di miglioramento della gestione sarebbero necessario per la maggior parte degli agricoltori in modo da strutturare la produzione di pomodoro come impresa.

Domanda aperta: chi detiene il maggior numero di brevetti sui semi di pomodoro altamente efficienti? chi avrebbe interesse a spaccare le esportazioni europee di pomodoro nonché della Cina a favore di una distribuzioni di semenze? No che sia sbagliato, intendiamoci, ma perché farlo denigrando l’Italia e il Meridione? quando le sovvenzioni in agricoltura sono europee e quando l’agroalimentare italiano e il Made in Italyè il più contraffatto e violato al mondo? E ancora: la maggior parte dei pomodori che si consumano in Francia dall’inizio di quest’anno arrivano da Marocco, accordo per cui l’Italia si è espressa negativamente il che fa immaginare una forma di pressione mediatica in atto? Lo squilibrio è più evidente quando nell’inchiesta finanziata dalla Fondazione Gates mira direttamente alla piaga del caporalato in Puglia e Campania, le terre italiane dove non si coltiva più pomodoro in Italia, il record lo detiene, dicevamo la Sicilia. La testimonianza la fornisce Prince Bony lavoratore agricolo ghanese intervistato dagli autori:

Quello che Prince ignora è che il frutto del suo lavoro al nero, nei campi di pomodori del sud Italia, rischia di spingere a loro volta gli agricoltori dell’Upper East Region, nel nord del Ghana, ad abbandonare le loro terre. Quelle stesse terre che un tempo erano anche le sue.

Appena un mese fa Libera ha diffuso il Secondo Rapporto Agromafie e Caporalato, redatto dall’Osservatorio Placido Rizzotto che racconta storie di lavoratori schiavi dal Piemonte alla Sicilia:

Sulle condizioni dei lavoratori impiegati nel settore agroalimentare, i dati sono scoraggianti: secondo Flai Cgil 400.000 lavoratori trovano lavoro tramite i caporali, di questi 100.000 subiscono situazioni di grave assoggettamento con condizioni abitative e ambientali “paraschiavistiche”. Il dato positivo è che, con l’introduzione nel codice penale del reato di caporalato, 355 caporali sono stati arrestati o denunciati, 281 solo nel 2013. Le condizioni di lavoro in molti degli epicentri del caporalato sono di grave sfruttamento, addirittura il 60% di lavoratori non ha accesso ai servizi igienici e all’acqua corrente, il 70% è affetto da malattie di cui non soffriva prima dell’inizio del ciclo di lavoro. Il caporalato costa allo Stato italiano ben 60 milioni di euro l’anno. Il salario giornaliero dei lavoratori è inferiore di circa il 50% rispetto ai contratti nazionali, per non parlare delle “tasse” che i lavoratori sono costretti a corrispondere ai caporali per trasporto, acqua e cibo, oltre a medicinali e altri beni di prima necessità.

E’ vero è una piaga, ma non possiamo fare di tutta l’erba un fascio, ci sono aziende e cooperative che lavorano nella legalità: perché mirare dritto al legame Ghana-immigrazione-pomodoro italiano sostenuto però dall’Europa? Facciamo un po’ di chiarezza, perché il pomodoro industriale in Italia è un comparto ampio che vale oltre 3 miliardi di euro e che nel Polo distrettuale del centro Sud vede il 65% della trasformazione. Il pomodoro in Italia si coltiva da Nord a Sud, anche nella Pianura Padana, sopratutto tra Parma e Piacenza; il primo produttore di pomodori in Italia è la Sicilia che nel 2012 ha quasi raggiunto le 5 milioni di quintali; segue la Campania con 668 mila quintali. Veniamo alla produzione del pomodoro nel distretto del Nord dove si produce pomodoro da industria, ovvero proprio quello destinato alla trasformazione: siamo nelle regioni dell’ Emilia Romagna, Lombardia, Veneto, Piemonte e Provincia autonoma di Bolzano. Altrove , come in Sicilia o Campania si produce anche pomodoro da mensa, destinato cioè al consumo a tavola.

E gli autori specificano:

L’Italia, terza agricoltura europea dopo la Francia e la Germania, si contende con la Spagna il primato nella produzione di ortaggi. Negli ultimi dieci anni, sulla base dei dati FAOSTAT, l’Italia ha prodotto in media 6 milioni di tonnellate di pomodori ogni anno. Secondo la FAO, l’ammontare medio degli aiuti europei al settore del pomodoro era nel 2001 di 45 euro alla tonnellata. Inoltre, secondo Oxfam, l’Unione europea sovvenziona la produzione totale di pomodoro in Europa per circa 34,5 euro a tonnellata; una sovvenzione che coprirebbe il 65% del prezzo di mercato del prodotto finale. Ma chi si rende conto a Bruxelles del paradosso di sovvenzionare un prodotto destinato all’esportazione, che fa dumping sulle produzioni locali in Africa?

Il 40% dei francesi consuma pomodoro fresco anche in inverno e proprio una parigina, Emile Loreaux che di professione fa la fotografa ha prodotto un inchiesta, senza finanziamento alcuno e correndo molti rischi, dal titolo je suis une tomate, dove ha letteralmente seguito il viaggio che affronta un pomodoro, in questo caso dalla Spagna ai mercati del Nord Europa. La scoperta è stata sconcertante: marocchini e lavoratori dell’est Europa sfruttati come schiavi nelle serre spagnole per portare pomodori da tavola fuori stagione ai francesi. Anche in Francia si coltivano pomodori sopratutto nel più mite Sud e sotto serra dove ci sono varietà come il ciliegino e o l’insalataro. in Inverno in Francia arrivano sul mercato pomodori dal Marocco e dalla Spagna. E i francesi esportano poco. Noi italiani esportiamo pomodoro da mensa meno del previsto, ci dice FreshPlaza: Germania (33%), Austria (17%), Regno Unito (10%), Svizzera (8%) e Francia (6%).L’Ismea ci dice che le piazze più importanti fuori dall’Europa per i trasformati industriali sono il Giappone e l’Australia. E il Ghana dov’è?

Scrive ancora Freshplaza sul pomodoro industriale trasformato:

Nel 2012 i volumi di pomodoro trasformato hanno segnato quota 47 milioni di quintali (23 mln q.li al Sud Italia + 24 mln q.li al Nord Italia). L’Italia comincia ad esportare più trasformati di pomodoro di quanto ne importi: crescita a doppia cifra (+20%) per l’export verso Africa e Asia, mentre calano le importazioni di concentrato dalla Cina. Le esportazioni di pomodoro pelato hanno segnato un -7% in volume, ma un +7% in valore. Per quanto riguarda le passate, segnano un aumento del 7% il termini di volume esportato, mentre rimane stabile il segmento del concentrato di pomodoro.

Lo scorso gennaio viene lanciato un appello da padre Alex Zanotelli e Vittorio Agnoletto per fermare gli Epa accordi di partneriato economico con 7 paesi africani Botswana, Namibia, Camerun, Ghana, Costa d’Avorio, Kenya e Swaziland. Si badi bene, europei, c’è anche la Francia e non solo l’Italia poiché:

La conseguenza sarà drammatica per i paesi Acp: l’agricoltura europea (sorretta da 50 miliardi di euro all’anno) potrà svendere i propri prodotti sui mercati dei paesi impoveriti. I contadini africani, infatti, (l’Africa è un continente al 70 per cento agricolo) non potranno competere con i prezzi degli agricoltori europei che potranno svendere i loro prodotti sussidiati. E l’Africa sarà ancora più strangolata e affamata in un momento in cui l’Africa pagherà pesantemente i cambiamenti climatici.

Siamo ai medesimi dati pubblicati nella prima inchiesta nel 2007. Già nel 2013 Mathilde Auvillain su TerraEco aveva provato a sdoganare la storia degli immigrati ghanesi affamati dalle esportazioni di pomodoro italiano e sfruttati dal caporalato pugliese : caparbietà di cronista o tesi a sostegno di obiettivi diversi? La Puglia è impegnata a smantellare il lavoro nero con una serie di iniziative tra cui equapulia, una etichetta che certifica la produzione legale dell’intera filiera agroalimentare. A oggi sappiamo che in Ghana si lavora per il rilancio dell’agricoltura con nuovi programmi tra cui l’uso, per ora sperimentale e a cura dell’Università del Ghana, del Enviro Dome Greenhouse System per produzioni orticole tutto l’anno in atmosfera controllata. La produzione annuale di pomodori da mensa, ossia quelli che si consumano a tavola, nel 2013, secondo i dati riferiti dal Ministro per l’agricoltura del Ghana Mr. Clement Kofi Humado:

di oltre 300.000 tonnellate di pomodori e il 90 per cento è stato consumato localmente. Tuttavia, il Paese è dipeso in gran parte dalle importazioni regionali per le verdure durante la bassa stagione, con importazioni comprese tra 70.000 e 80.000 tonnellate di pomodori freschi provenienti dai paesi limitrofi. Per raggiungere l’autosufficienza nella produzione di pomodori, il ministero sta collaborando con l’Università del Ghana per la ricerca adattativa in pomodori alto valore e di altre colture orticole sotto i sistemi protetti.

Più pesante la bilancia delle importazioni di pollame, per cui il ministro Humado ha detto:

Per quanto riguarda il pollame il totale delle importazioni di carne è passato da 97.719 tonnellate nel 2012 a 183.949 tonnellate nel 2013, pari all’80% delle importazioni e negli ultimi cinque anni è costato al paese una media di 200 milioni di dollari all’anno. Al fine di affrontare la situazione, il governo si è impegnato a far rispettare le norme per frenare le importazioni eccessive eccessive di pollame malsano e altri prodotti a base di carne promuovendo programmi per l’allevamento locale di polli.

Ma di tutto ciò non c’è traccia nel reportage finanziato dalla Fondazione Gates.

NOTA:
Journalism Grant è un programma sostenuto dalla Fondazione Bill & Melinda Gates:

Progetti di comunicazione innovativi saranno premiati con notevoli finanziamenti, con l’obiettivo di sostenere i giornalisti, redattori e le parti interessate allo sviluppo per effettuare una ricerca approfondita, emozionante, e anche sperimentale con riferimento a stato dell’arte, metodologie e tecniche di narrazione giornalistica.

In un momento in cui molti organi di informazione devono affrontare vincoli finanziari, il programma di concessione mira a consentire un miglioramento dei media e di andare oltre le solite strategie di comunicazione per impostare una nuova e distintiva agenda per la copertura.

Ma chi controlla poi cosa i giornalisti andranno a pubblicare?

Fonte: ecoblog.it