Italian sounding: dal Barolla al Montecino il vino taroccato invade i mercati

Sui mercati emergenti i vini contraffatti dilagano, limitando un business che potrebbe essere superiore agli attuali 5 miliardi di euro

Cinque miliardi di euro, questo il giro d’affari del vino italiano nel mondo. Un export che nel 2013 ha fatto registrare un + 7% rispetto al 2012. Ma questa cifra potrebbe essere decisamente superiore senza la concorrenza sleale dei vini taroccati che vengono prodotti e venduti con nomi che evocano quelli della grande tradizione italiana. A Vinitaly, l’importante kermesse enologica in corso di svolgimento a Verona, Coldiretti ha esposto gli esempi più eclatanti dell’italian sounding ovverosia del fenomeno di contraffazione dei prodotti doc e dop italiani. Dribblare le norme vigenti a danno della produzione italiana è piuttosto semplice: basta proporre un nome “evocativo” su mercati non evoluti e a clienti che non riconoscono la differenza fra un Barolla e un Barolo, fra un Vinoncella e un Valpolicella, fra un Cantia e un Chianti, fra un Montecino e un Montalcino. I wine kit per il vino fai da te con i quali autoprodurre Lambrusco, Gewurztraminer, Frascati, Sangiovese o Primitivo, arrivano da Canada, Stati Uniti e Svezia e vengono venduti con tanto di marchi Doc’s. Uno dei più grandi produttori di wine kit, Vinecowine vende i kit di Verdicchio, Chianti, Barolo, Amarone, Valpolicella. La società fa capo a Andrew Peller, il secondo produttore vinicolo del Canada.

L’Italia non può tollerare che nell’Unione Europea del rigore nei conti si permetta che almeno venti milioni di bottiglie di pseudo vino siano ottenuti da polveri miracolose contenute in wine kit che promettono in pochi giorni di ottenere le etichette più prestigiose,

ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.

Al di là delle frodi e delle contraffazioni, l’altro grande problema è dato dal fatto che le normative europee non consentono l’aggiunta di acqua come avviene, peraltro, in altri stati del nuovo mondo, come il Sud Africa. Oltre ai già citati Barolla, Vinoncella e Cantia, la lista dei vini taroccati esposti nei padiglioni 6 e 7 è allungata da dal Barbera bianco prodotto in Romania, dal Chianti californiano, dal Bordolino in versione bianca e rossa, al Mersecco e al Kressecco. Ci sono poi il Marsala sudamericano, Il Fernet Capri prodotto in Argentina. Proprio sui mercati emergenti, dove non si è ancora affermata una cultura del vino e in cui i consumatori non hanno gli strumenti adeguati per riconoscere il vero made in Italy, per i truffatori si aprono praterie. Tocca alle istituzioni e alla politica mettersi al lavoro per limitare i danni e permettere al made in Italy di massimizzare i profitti di una produzione enologica unica al mondo.Bold Italian Dinner Hosted By Scott Conant, Amanda Freitag, Debi Mazar & Gabriele Corcos - Food Network South Beach Wine & Food Festival

Fonte: Coldiretti

Foto © Getty Images

Cibo made in Italy: è boom sui mercati esteri. E la crisi diventa un’opportunità

Il cibo italiano piace sempre di più e, in tempi di crisi, fuori dai confini nazionali, diventa ciò che l’alta moda, le auto di lusso e i prodotti di design sono stati in passato: un sistema di business.

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Nonostante l’erosione di quote di mercato generate dall’italian sounding, ovverosia dal cibo italiano taroccato, dal Parmesan statunitense ai formaggi Asiago prodotti nel Wisconsin (dove sì ci sono belle montagne e vacche floride, ma siamo abbastanza lontani dagli altipiani veneti), l’industria alimentare italiana è l’unica che fa segnare un segno positivo. E che segno! Un incremento da record del 5,7% con una particolarità non trascurabile: quella di essere l’unico comparto produttivo con il segno più. Le buone notizie vengono soprattutto dall’Oriente dove il cibo italiano è un “cult”, tanto quanto lo sono gli abiti di Valentino e Armani, anch’essi vittime di pesanti azioni di plagio e contraffazione. I numeri provengono da un’analisi di Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi al fatturato dell’industria italiana nel gennaio 2013: a fronte di una diminuzione generale del 3,4% e di una diminuzione del 5,5% del mercato interno, l’export cresce dell’1,2% e la spesa per gli alimentari del 5,7% (comprendendo mercato interno ed estero). Non c’è da stupirsi, dunque, se qualcuno chiede una poltrona di ministro per personaggi come Carlin Petrini e Oscar Farinetti che con Slow Food ed Eataly hanno avuto l’intuizione di promuovere il cibo italiano nel mondo. Come il turismo anche l’enogastronomia non è delocalizzabile, ma in questo particolare momento storico mentre il primo annaspa, il secondo conquista quote di mercato sempre più vaste. In gennaio l’export alimentare ha fatto registrare un + 8,7%, risultato che conferma il trend 2012, annata chiusa con un fatturato di 31,8 miliardi di euro per il settore agroalimentare. Il vino è naturalmente il prodotto più esportato con un valore di 4,7 miliardi di euro, seguito da ortofrutta, pasta e olio di oliva, vale a dire gli alimenti base della dieta mediterranea. L’Italia vince sul mercato globale anche grazie al primato continentale in termini di sicurezza alimentare, visto che soltanto lo 0,3% dei prodotti presenta tassi di residui chimici oltre i limiti consentiti. E quando accade gli sforamenti sono comunque cinque volte inferiori alla media europea, dove il tasso di irregolarità è dell’1,5%. Controlli della qualità e strategie di marketing e in un panorama che gioca al risparmio (vedi lo scandalo della carne di cavallo) diventano i punti cardine per trasformare la crisi in opportunità. Mentre all’estero la concorrenza abbassa la guardia, il cibo e il vino italiani di qualità si lanciano alla conquista del mondo.

Fonte: Coldiretti