In Islanda la rivoluzione è tornata!

Migliaia di persone in piazza nella più grande manifestazione della storia dell’isola, il premier “rottamatore” Sigmundur Gunnlaugsson costretto a dimettersi travolto dallo scandalo dei Panama Papers, già ribattezzata “la più grande fuga di notizie di sempre”. La rivoluzione è tornata! Cosa sta succedendo ora in ‎Islanda?

Oltre diecimila persone che manifestano in piazza, quasi 30mila che firmano una petizione online. È una mobilitazione popolare impressionante, la più grande della storia d’Islanda. Persino maggiore delle rivolte del 2008-2009, quando a cadere fu il governo di Geir Haarde, colpevole della crisi; oggi si dimette il premier Sigmundur Gunnlaugsson, coinvolto in un intreccio di società offshore e conflitti d’interessi fatto emergere dai Panama Papers. Se ne va senza lasciare dichiarazioni, lasciando ad un suo ministro il compito di annunciare la decisione. Esce dal palazzi di governo con la testa china e lo sguardo spento; a fianco a lui una folla diecimila persone rumoreggia per la fine di un’era mai veramente iniziata: quella del “rottamatore” d’Islanda, il premier salito al potere promettendo una netta rottura col passato, che si è presto dimostrato parte integrante del sistema finanziario speculativo che quel passato l’ha costruito.

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Cosa è accaduto?

Sigmundur Gunnlaugsson, premier islandese di centro-destra, è stato il primo leader mondiale a cadere sotto i colpi dei Panama papers, i quasi 12 milioni di documenti segreti trapelati dal Mossak Fonseca, studio legale panamense specializzato nella creazione di società offshore in paradisi fiscali. Fra gli oltre 12mila clienti dello studio (con quasi 150mila aziende create) spiccano i nomi di molti politici, capi di stato e banche di tutto il mondo. La stampa internazionale l’ha già ribattezzata “la più grande fuga di notizie di sempre”. Ed effettivamente lo è, almeno per la mole di dati. Dai documenti risulta chiaramente il premier islandese utilizzava una società offshore mai dichiarata pubblicamente, la Wintris Inc. fondata nel 2007 insieme alla moglie per nascondere le proprie ricchezze milionarie, e che si trovava in posizione di conflitto d’interessi negli scandali bancari del 2008. La società di Gunnlaugsson aveva infatti contratto un grosso credito (4,2 milioni di dollari) nei confronti delle tre principali banche islandesi che con l’arrivo della kreppa, la crisi, e la successiva nazionalizzazione delle banche il credito era rimasto insoluto. Dai documenti emerge che il premier aveva venduto la sua metà di società alla moglie per 1 dollaro l’ultimo giorno del 2009, appena un giorno prima che entrasse in vigore la nuova legge sul conflitto d’interesse. Dal 2013 come primo ministro aveva poi lavorato agli accordi legati al debito delle banche, trovandosi a legiferare su un debito che lo riguardava in prima persona. Non è ancora chiaro se il premier abbia tratto vantaggio o meno dalla sua posizione. L’11 marzo, quando sono iniziati a trapelare i primi rumors sulle sue aziende, Gunnlaugsson è stato intervistato dalla stampa svedese. Alla domanda esplicita del giornalista che gli chiede se avesse mai posseduto una società off shore, Gunnlaugsson risponde: “io di persona? No. Beh, alcune società islandesi con cui ho lavorato avevano legami con società off shore […] ma ho sempre dichiarato al fisco gli asset miei e della mia famiglia. E quindi non c’è mai stato nessun asset nascosto, in nessun luogo […]. Posso confermare di non aver mai nascosto nessun asset”. Quando il giornalista insiste, il premier si alza e se ne va. Dopo che le voci erano diventate prove evidenti, Gunnlaugsson, in un’intervista televisiva diffusa lunedì, aveva comunque affermato che non intendeva dimettersi. Ma la pressione mediatica e una massiccia mobilitazione di persone (10.000 in piazza e 28.000 che hanno firmato la petizione online chiedendo le dimissioni) hanno avuto infine la meglio.

La misera fine del “rottamatore” d’Islanda

La parte più tristemente ironica dell’intera vicenda è che Gunnlaugsson era salito al potere grazie ad una campagna elettorale incentrata sulla rottura col passato. Era il “nuovo che avanza”, il leader giovane che non aveva niente a che fare con gli scandali che in passato avevano coinvolto la classe dirigente islandese. Quando nel 2008 le banche erano fallite infatti, un’enorme sollevazione popolare aveva portato alla caduta del governo e aveva fatto emergere le collusioni fra finanza speculativa e classe politica corrotta. Il sogno del turbocapitalismo islandese, che aveva in pochi anni trasformato il Paese in un centro finanziario internazionale, stravolto l’economia dell’isola e la vita dei suoi abitanti, era crollato fragorosamente nel giro di pochi giorni. Il brusco risveglio aveva portato con sé un attivazione della popolazione senza precedenti, che scossasi dal torpore non si era accontentata della caduta del governo, ma aveva continuato ad attivarsi ottenendo nel giro di pochi mesi risultati incredibili come il rifiuto di socializzare il debito enorme delle banche e la riscrittura di una costituzione partecipata. Sfruttando la voglia di rinnovamento che attraversava l’isola Gunnlaugsson si era proposto nelle vesti dell’innovatore ed il suo partito – il Partito Progressista, lo stesso che pochi anni prima sotto la guida di David Oddson aveva condotto il Paese sull’orlo del fallimento – aveva vinto le elezioni del maggio 2013 , caratterizzate dall’astensione e la frammentazione dei voti (in pratica una sconfitta della politica tradizionale). Da premier Gunnlaugsson aveva più volte criticato gli speculatori finanziari che si sono arricchiti con la crisi in Islanda. E va ammesso che, forse sulla spinta di una popolazione decisamente ostile all’economia finanziarizzata, il suo governo aveva approvato provvedimenti importanti, come il taglio sugli interessi dei fondi speculativi  o una iniziativa parlamentare per togliere alle banche private la capacità di creare denaro dal nulla. Ma che il governo di Gunnlaugsson non rispecchiasse le reali esigenze di cambiamento degli islandesi in molti lo sapevano già. Pochi giorni dopo l’elezione Birgitta Jonsdottir, attivista islandese e attuale leader del Partito Pirata che è primo nei sondaggi elettorali, mi scrisse un’e-mail in cui mi diceva: “Sfortunatamente i nostri compagni islandesi non hanno capito che quella finestra di cambiamento successiva ad una crisi è sempre molto breve. Non siamo riusciti a spingerci dentro tutti i cambiamenti necessari sufficientemente in fretta, ma penso che il nuovo governo sia talmente terribile che ci saranno agitazioni sociali il prossimo anno e vedremo se riusciremo a costruire sulla consapevolezza appresa durante la scorsa crisi”.
Di anni ne sono passati tre, ma adesso il tempo sembra maturo perché si apra una nuova “finestra di cambiamento”.

Il ritorno delle rivolte in Islanda!

10mila persone, in un’isola che ne conta appena 300mila, sono tante. Eppure questo è il numero di manifestanti che a partire dal pomeriggio del 4 aprile si è raccolto davanti all’Althingi, il parlamento islandese.

E 28mila persone, il 10 per cento dell’intera popolazione, ha firmato una petizione chiedendo le dimissioni del premier. Inoltre già prima dello scandalo i sondaggi davano al 70 percento l’insoddisfazione verso la coalizione di governo.

Non è una novità che gli islandesi siano reattivi agli stimoli sociali. Anzi si può dire che gli isolani negli ultimi anni hanno dimostrato una maturità e un’apertura mentale invidiabili: un esempio su tutti l’iniziativa che alla fine di agosto 2015 ha coinvolto dodicimila islandesi nell’offrire accoglienza nelle proprie case ai rifugiati siriani. Un segno piuttosto lampante che l’attivazione sociale iniziata con le rivolte del 2008 è sedimentata in una nuova mentalità, lontana anni luce dall’individualismo e lo spirito di competizione ostentati durante gli anni della crescita sfrenata.

Cosa accadrà adesso?

Nelle ore confuse che seguono alle dimissioni del premier, le redini “ad interim” del Paese sono passate a Sigurður Ingi Jóhannsson. Ma c’è già chi si augura un nuovo governo. Ad esempio Birgitta Jonsdottir che ha affermato al Telegraph: “Le persone in Islanda sono sconvolte, sono arrabbiate e vogliono le dimissioni del governo”.
“Come nazione abbiamo bisogno di rafforzare le fondamenta su cui poggia la nostra società” continua Birgitta. “La buona notizia è che l’Islanda ha già pronta una nuova costituzione che è stato sottoposta a referendum nazionale nel 2012 e in seguito ignorata dal parlamento, invece di essere ratificata. Questa nuova costituzione ci aiuterà a rafforzarci attraverso una riforma democratica tanto necessaria che gli islandesi hanno chiesto e voluto sviluppare a seguito della crisi economica nel 2008, e che avrebbe evitato situazioni come quella attuale”. Secondo i sondaggi precedenti allo scandalo il Partito Pirata Islandese guidato da Birgitta Jonsdottir è il primo partito con circa il 40% delle preferenze. Le sue quotazioni adesso più che mai sono in forte crescita. Se si andasse al voto, le probabilità di vedere un governo che sia diretta emanazione dello spirito delle rivolte contro il governo e le banche del 2009 sarebbero molto alte. Risuonano le parole dello storico Islandese Arni Daniel, che incontrai a Reykjavik nel 2012: “I cambiamenti epocali hanno bisogno di tempo. Con le nostre proteste abbiamo introdotto una rottura forte nel sistema, che ha dato inizio ad un nuovo ciclo. Il sistema attualmente al potere ha ricucito questa rottura a livello istituzionale, riportando la situazione ad un punto vicino al precedente, ma non può fermare il processo cui abbiamo dato inizio”.

 

Tratto da Islanda chiama Italia

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/04/islanda-rivoluzione-e-tornata/

 

Energia dal magma in Islanda: 36 MW di potenza elettrica con una sola trivellazione

Grazie alle più alte temperature raggiunte dal vapore, migliora il rendimento, producendo molta più energia di quella ottenibile con una trivellazione simile fatta con il fracking.

In Islanda, per la prima volta è stata dimostrata la fattibilità di ottenere energia geotermica direttamente dal magma.
L’ Iceland Deep Drilling Project è un progetto pubblico-privato per la valorizzazione dell’energia geotermica, di cui l’Islanda come è noto è all’avanguardia. Nel 2008-2009 durante una trivellazione nella zona di Frafla fu raggiunta una sacca di magma. Invece di chiudere il buco con il cemento per trivellare altrove, gli sviluppatori hanno pensato di valorizzare l’investimento valutando la possibilità di utilizzare il magma come sorgente di energia. Il foro è stato quindi messo in sicurezza e attrezzato per poter utilizzare l’energia termica per ottenere vapore. Il flusso di vapore è ora stabile a circa 450 °C e fornisce una potenza termica che potrebbe garantire 36 MW di energia elettrica quando verrà convogliato in una turbina. L’alto rendimento del sistema è dovuto all’ elevata temperatura dell’energia in ingresso, come è noto a chi abbia un minimo di dimestichezza con la termodinamica (1) . Parlando di trivelle, è appena il caso di fare notare che un pozzo di tight oil da fracking necessita di investimenti molto maggiori e può produrre nella sua vita utile circa 900000 barili di greggio, equivalenti a circa 5000 TJ di energia. Una volta che il pozzo è esaurito restano solo i disastri ambientali. Il pozzo islandese potrà produrre la stessa quantità di energia in soli quattro anni e mezzo(energia elettrica che può essere messa subito in rete e non deve essere trasportata da un oleodotto per migliaia di km) e poi potrà produrla per un tempo virtualmente infinito, trattandosi di una fonte rinnovabile. In altre parole, i trivellatori dovrebbero iniziare a guardarsi intorno alla ricerca di “giacimenti di magma” invece che di shale oil…

(1) Il limite superiore di rendimento di qualsiasi macchina termica è pari a 1-(T2/T1), dove T1 è la temperatura del calore in ingresso e T2 quella del calore in uscita. Poichè T1 non può diventare infinita e T2 non si può annullare il rendimento è sempre minore di un numero minore di uno Per approfondire, è opportuno cercare “Ciclo di Carnot” sui motori di ricerca.

Fonte:ecoblog

“Islanda chiama Italia”. Intervista ad Andrea Degl’Innocenti

L’ascesa e la caduta del sogno islandese, dalla nascita della società neoliberale fino alle vicende più recenti, che hanno visto gli abitanti dell’isola ribellarsi contro i propri governanti corrotti, contro i banchieri senza scrupoli, contro l’intera comunità internazionale che premeva per il pagamento di un debito ingiusto, contratto da banche private. Abbiamo intervistato Andrea Degl’Innocenti, autore del libro “Islanda chiama Italia”.islanda_chiama_italia

Il racconto della ascesa e della caduta del sogno islandese, dalla nascita della società neoliberale, fino alle vicende più recenti, che hanno visto gli abitanti dell’isola ribellarsi contro i propri governanti corrotti, contro i banchieri senza scrupoli che avevano condotto il paese al collasso, contro l’intera comunità internazionale che premeva per il pagamento di un debito ingiusto, contratto da banche private. In circa tre anni di mobilitazioni gli islandesi hanno ottenuto risultati straordinari come la caduta del governo, le dimissioni delle principali autorità di controllo, la stesura di una nuova costituzione partecipata. La recente storia dell’Islanda riassume perfettamente, la parabola di ascesa e declino del sistema sociale contemporaneo. Per saperne di più di questo Paese e della ‘rivoluzione silenziosa’portata avanti dagli islandesi, abbiamo intervistato Andrea Degl’Innocenti, autore di “Islanda chiama Italia” (Ed. Ludica, 2013)

Di che cosa parla il tuo libro?

Di varie cose in realtà, è un po’ un’inchiesta, un po’ un reportage, un po’ un racconto. Parla di questa isoletta senza esercito sperduta nell’Oceano Atlantico la cui gente si è ribellata contro i propri governanti corrotti, contro il potere dei ricchissimi banchieri e contro l’intera comunità finanziaria internazionale che pretendeva da loro il pagamento di un debito ingiusto. Ma parla anche del mio viaggio su quell’isola, nel maggio 2012, a raccogliere informazioni e fare interviste, a conoscere i protagonisti delle vicende di cui stavo scrivendo e a capire come sono andate le cose e quali messaggi se ne possano trarre. Infine parla di come anche qui da noi le cose stanno cambiando, piano piano, senza destare attenzione né scalpore ma costantemente.

In che cosa è consistita la rivoluzione islandese e quali risultati ha portato?

La cosiddetta rivoluzione islandese si è composta in realtà di varie fasi. Una prima fase, a cavallo fra la fine del 2008 e l’inizio del 2009, è stata caratterizzata da una stagione di forti proteste popolari anti-establishment. La rabbia, nata dall’improvviso e inaspettato – almeno per la popolazione – crollo delle banche e tracollo della nazione, si focalizzava soprattutto contro il governo, la banca centrale, le autorità di controllo ed i ricchissimi “Nuovi vichinghi” (la nuova classe dirigente islandese emersa in seguito alla privatizzazione del sistema finanziario). Tale fase è terminata con una vittoria schiacciante: il governo fu costretto a dimettersi, e con lui anche il governatore della Banca centrale, molti dei nuovi vichinghi fuggirono all’estero. Una seconda fase è stata invece quella caratterizzata dalla lotta contro il debito. Dato che gli islandesi non hanno salvato le banche (neanche avrebbero potuto in realtà, viste le dimensioni), alcuni paesi stranieri hanno iniziato ad esigere dallo stato il pagamento dei debiti che queste banche fallite avevano contratto all’estero. Così, il governo aveva preparato un piano di restituzione che però pesava direttamente ed in maniera insostenibile sui cittadini. La gente tornò in piazza, ed anche in questo caso ebbe la meglio. Vennero indetti ben due referendum e la gente si oppose fermamente alla restituzione del debito contratto dai banchieri privati. Infine c’è una terza fase, che cronologicamente si mescola con le prime due ma che è tematicamente distinta. È la fase delle proposte, del cambiamento, della novità. Con lo slancio fornito dai movimenti e dalla partecipazione popolare, gli islandesi hanno scritto una nuova costituzione partecipata (che però è ancora in attesa del via libera definitivo del parlamento, nonostante sia stata approvata con un referendum dalla maggioranza della popolazione), hanno introdotto leggi per tutelare la libertà d’espressione in rete, hanno riscoperto usanze e tradizioni antiche.innocenti

Per documentarti sei stato in Islanda, cosa hai potuto osservare direttamente durante questo viaggio e quali sensazioni hai avuto?

È stato un viaggio bellissimo. Sono partito assieme ad un amico, Marco. Quando siamo arrivati all’aeroporto eravamo evidentemente un po’ spaesati e senza che dicessimo niente una signora è venuta da noi, ci ha chiesto dove dovevamo andare e si è offerta di darci un passaggio assieme al marito fino al centro di Reykjavik (la capitale nonché unica città vera e propria dell’isola, teatro principale delle rivolte), che dista almeno 40 minuti di auto. Questo ci ha fatto capire fin da subito il carattere degli islandesi: gente estremamente aperta, gentile, ospitale, curiosa.

Una volta a Reykjavik abbiamo avuto modo di conoscere i principali protagonisti delle rivolte, persone splendide e disponibilissime a fare una chiacchierata davanti ad una birra. Salvor, una attivista di Attac, ci ha persino dato le chiavi della sua casa nuova in riva al mare, in cui si sarebbe trasferita col compagno pochi giorni dopo la nostra partenza. La cosa strana, almeno vista con gli occhi di un italiano che è sempre vissuto in grandi città, è che, essendo circa 300mila abitanti, lì tutti si conoscono. Parlare del premier o di questo o quel ministro significa spesso parlare del tuo vicino di casa. Basti pensare che gli islandesi non usano i cognomi e gli elenchi telefonici sono ordinati in base al nome di battesimo.

C’è qualcosa che ti ha colpito in particolare?

Molte cose in realtà. La natura bellissima e preponderante, l’acqua, il fuoco, il ghiaccio. Ma forse la cosa che mi ha colpito di più in assoluto sono state proprio le persone. Gente schietta e pragmatica, ma che al tempo stesso crede negli elfi e in un mondo magico in cui la natura è una sorta di divinità. Quando dicevo agli islandesi che l’acqua in Italia è privata e abbiamo dovuto fare un referendum per provare a ripubblicizzarla strabuzzavano gli occhi e mi guardavano increduli. L’acqua è sacra da loro. E poi l’ospitalità: sarà perché di stranieri ne vedono pochi, soprattutto nei villaggi più sperduti, ma l’accoglienza islandese è una cosa straordinaria. Ti racconto un altro aneddoto, giusto per rendere l’idea. Stavamo viaggiando in macchina verso i fiordi dell’ovest, una delle zone più belle e meno turistiche dell’isola. Per ore ed ore abbiamo guidato in mezzo alla natura selvaggia, priva di tracce umane finché, verso le dieci di sera, siamo giunti in un villaggio di pescatori. Non mangiavamo dalla mattina, ed il viaggio era ancora lungo, per cui ci siamo messi alla ricerca un posto per cenare. Allora fermiamo un signore per strada e gli chiediamo dove potevamo mangiare qualcosa, e lui dispiaciuto ci dice che a quell’ora l’unica trattoria del paese è già chiusa da un pezzo. “Se volete però, posso offrirvi qualcosa a casa mia, io e la mia famiglia abbiamo già cenato ma ci è rimasto qualcosa. Sono solo avanzi eh, ma a quest’ora non troverete di meglio”. Gli “avanzi” erano, in ordine sparso: una grigliata di carne che sarebbe bastata a dieci persone, patate, insalata, dolce, birra e caffè. Mentre mangiavamo, vari bambini venivano curiosi a parlare con gli “stranieri”, in perfetto inglese. Ci chiedevano di Cavani e del Napoli, la loro squadra italiana preferita, e ci insegnavano a pronunciare Eyjafjallajökull (il nome del vulcano che nel 2011 paralizzò i cieli di mezzo mondo). Prima di andare via, ci danno persino del merluzzo secco da mangiare durante il viaggio, nel caso ci venisse fame.

Qual è attualmente la situazione in Islanda?

È una situazione complessa, con molte sfaccettature. Economicamente il paese è in netta ripresa, ma forse il ritrovato benessere rischia di affievolire quel movimento di protesta che ha ottenuto risultati così straordinari. La rabbia del popolo è ancora tanta, ma l’attuale assenza di un movimento coeso fa sì che questa rabbia e la voglia di cambiamento si disperdano o vengano incanalate in maniera tendenziosa dai politicanti di mestiere. Un esempio sono le ultime elezioni, in cui ha vinto una coalizione di centro-destra, che ha cavalcato la rabbia anti-euro e anti debito per i propri scopi. Al tempo stesso però, altri segnali dimostrano che sono in atto dei cambiamenti di grossa portata nella mentalità e nelle abitudini delle persone. Cambiamenti che però, come mi ha detto lo storico islandese Arni Daniel, avranno bisogni di tempo per essere messi a sistema.

“Islanda chiama Italia”. Perché questo titolo? Pensi che il nostro Paese potrebbe e dovrebbe seguire l’esempio dell’Islanda?

Ti ringrazio per la domanda, visto che una delle critiche che viene rivolta più spesso al caso islandese è quella di non essere applicabile. Non credo che esista un modello islandese applicabile su larga scala. Le caratteristiche dell’isola sono troppo peculiari per poterlo permettere. Questo però non significa che dalla vicenda non si possa trarre niente. Ci sono dei messaggi relativi alla sovranità popolare, al diritto di decidere del proprio destino, ai percorsi di partecipazione democratica che sono indipendenti da contesto specifico e possono essere d’ispirazione anche per noi. E infatti, gli stessi concetti che sono alla base della vicenda islandese hanno ispirato e dato origine a molti altri movimenti nel mondo, dagli indignados spagnoli ai vari movimenti occupy. Anche in Italia sono sorte e stanno sorgendo realtà che criticano fortemente il sistema attuale e propongono soluzioni alternative. Nell’ultimo capitolo del libro cerco di raccogliere alcuni frammenti di queste complesse realtà e di metterle a sistema, provando a immaginare come potrebbe funzionare una società diversa, più giusta ed equa.

Fonte: il cambiamento