Plastica, quale futuro? Intervista a Giorgio Quagliuolo

Intervista a Giorgio Quagliuolo, Presidente di Corepla sullo smaltimento della plastica: obiettivo 2020, rifiuti zeroSONY DSC

A margine del convegno organizzato da Corepla e Legambiente sul riciclo della plastica, questa mattina a Roma, abbiamo intervistato il Presidente di Corepla Giorgio Quagliuolo: una vita spesa a maneggiare materie plastiche, un “amore”, come lui stesso ha rivelato, per questo materiale che si tramuta nell’impegno di una vita, prima come imprenditore ed oggi proprio come presidente Corepla.

“Partiamo dal presupposto che sono un imprenditore che lavora nel settore della plastica, ho fatto anche il metalmeccanico e sono presidente di Corepla, che si occupa del riciclo di imballaggi in plastica, sono il Presidente di Unionplast, associazione di Confindustria che raccoglie i produttori e trasformatori di materie plastiche: è chiaro che la plastica è centrale nella mia esistenza. E’ veramente un materiale che amo. E’ chiaro che la plastica ha delle criticità, siamo ben consapevoli di questo, che cerchiamo di risolvere mettendo in atto quelle azioni che ci consentono le tecnologie disponibili, cercando di modificare ed implementare l’impianto normativo in modo da consentirci di dare sostenibilità sia ambientale che economica al materiale che amiamo.”

Con il convegno di oggi mi sembra che su questo abbiate ricevuto un importante appoggio da Legambiente, quindi da una parte dell’ambientalismo associazionista militante. Una novità per un imprenditore di un settore che spesso ha trovato un avversario nella realtà dell’ambientalismo.

“Con Legambiente ci sono state nel passato parecchie incomprensioni, un passato che non è stato sicuramente improntato da rapporti di grande cordialità. Nonostante questo l’evento di oggi lo abbiamo fortemente voluto, fortemente cercato: è stato il mio personale ‘pallino’, è un anno che ci lavoriamo e penso che sia stato un discreto successo. Almeno, io sono soddisfatto di come sono andate le cose: ritengo molto importante che ci sia quantomeno un confronto sereno, pacato e cordiale con il movimento ambientalista e penso che oggi questo sia emerso in maniera chiara.”

Quali sono i vostri obiettivi industriali? Nel corso del convegno si è puntato molto sulla“riconversione energetica” e meno sul riciclo e sul riuso. Ho forse mal interpretato?

“Ha parzialmente ben interpretato. Per noi la riconversione energetica è indispensabile fin dove non si riesce a trovare una soluzione tecnologica che porti al riciclo. Oggi quasi la metà delle plastiche non è riciclabile, è inutile che ci stiamo a raccontare delle storielle. […] Possiamo intervenire in due modi: o mettiamo in atto degli incentivi o dei sistemi punitivi per cui si obbliga gli utilizzatori a richiedere imballaggi riciclabili, e questo potrebbe essere una soluzione (però vorrebbe dire una regolamentazione del mercato difficile da applicare in un paese liberale come l’Italia) oppure troviamo delle forme di gestione dei rifiuti differenti da quelle che esistono oggi. Dobbiamo dare sostenibilità sia economica che ambientale a quello che oggi non è riciclabile: mi domando quanto sia vantaggioso a livello ambientale raccogliere, selezionare e poi mandare a bruciare delle plastiche che non sono riciclabili. Queste operazioni comportano movimento di mezzi, di attrezzature, di macchinari, tutta roba che consuma energia, che brucia petrolio, che crea danno ambientale. E, alla fine, la plastica finisce comunque bruciata. Allora: non vale forse la pena termovalorizzare da subito quello che oggi non è riciclabile liberando risorse che possono essere destinate ad aumentare la raccolta differenziata e a fare ricerca per rendere riciclabile quello che oggi non lo è?

Quale è il vostro obiettivo?

“L’obiettivo finale è riciclare tutto, questo è indiscutibile e vorrei che fosse chiaro. Nel percorso per arrivare a questo dobbiamo gestire in maniera differente le materie che oggi non sono riciclabili, liberando risorse per poter rendere sostenibile ciò che facciamo e fare ricerca.”

Su questi temi, da parte della politica avete avuto un orecchio attento?

“Ni. Qualche orecchio è attento, qualche orecchio fa finta di essere attento e qualche orecchio proprio ha l’otite.”

Fonte: ecoblog.it

Biciclette controsenso: l’intervista a Giulietta Pagliaccio Presidente FIAB: “Le strade sono di tutti”

Giulietta Pagliaccio Presidente FIAB spiega a Ecoblog.it le ragioni della necessità del controsenso per le biciclette e del perché sia una questione di sicurezza per tutti coloro che sono su strada.

Dopo un iter durato dal 2012 si è infranta pochi giorni fa la proposta di modifica al Codice della Strada per rendere effettivo il controsenso ciclabile o senso unico eccetto bici. L’emendamento che ha cancellato il controsenso ciclabile è stato approvato in Commissione Trasporti della Camera dei Deputati su proposta di Scelta Civica. In sostanza si dava la possibilità ai ciclisti:

di procedere nel senso inverso a quello delle auto in strade ben specifiche – aree 30 km/h su vie a senso unico sufficientemente larghe e sempre a discrezione del sindaco, in funzione alle esigenze del traffico locale.

Delle conseguenze di questa scelta politica ne ho discusso con Giulietta Pagliaccio, Presidente della Fiab Federazione Italiana Amici della Bicicletta associazione che accorpa oltre 20 mila iscritti.giulietta-620x350

D.: Qual è la differenza tra controsenso ciclabile e contromano?

R.: Il controsenso ciclabile è un flusso diverso della circolazione peraltro già contemplato nel Codice della Strada, dove in taluni casi viene previsto un senso unico per le vetture e un controsenso per i mezzi pubblici, ad esempio. Il contromano è una infrazione.

D.: Ricordo che da ragazzina quando frequentavo gli Scout, la prima cosa che mi dissero fu di camminare controsenso lungo le strade frequentate da veicoli e ciò per metterci nella condizione di massima visibilità con gli automobilisti. Vale anche per le biciclette?

R.: Il controsenso ciclabile in strade ben specifiche con velocità massima di 30 km/h, individuate dall’amministrazione locale e ritenute idonee rende la strada più sicura per tutti, per ciclisti, automobilisti e pedoni. Posso portare dati alla mano l’esempio di Bruxelles per cui i ciclisti godono dell’85% delle strade con senso unico ciclabile, ossia per 400 Km di percorso. Ebbene sono stati analizzati gli incidenti avvenuti sulle strade a percorrenza tradizionale e a percorrenza con regime di senso unico eccetto bici e la maggior parte degli incidenti, il 95% si è verificato sulle strade con traffico tradizionale mentre appena il 5% degli incidenti è avvenuto sulle strade in regime di controsenso ciclabile. Non conosciamo i dati e le motivazioni che hanno indotto la Commissione a ritenere l’emendamento una proposta non valida

D.: E allora, secondo Lei da dove nasce l’esigenza di cancellare un emendamento così utile?

R.: C’è un problema di fondo che sta dietro le modifiche del Codice della Strada e in cui l’auto viene considerata come il mezzo principale della mobilità. Le strade delle città si sono evolute e si affacciano nuovi utenti e dunque il CdS non è più attuale, tant’è che si chiede al pedone di prestare attenzione agli automezzi e non viceversa. Oggi ci si muove a piedi, in bicicletta o con altri mezzi e chi si muove in auto deve prestare molta attenzione. Ma ci aspettiamo tutti che le strade siano libere da impicci. Secondo me si è fatta una tempesta in un bicchiere d’acqua poiché gli automobilisti temono di perdere dei privilegi, ma la strada è di tutti.

D.: Si potrebbe risolvere la mobilità per ciclisti con un aumento delle piste ciclabili?

R.: Sicuramente le piste ciclabili sono utili in alcune situazioni: in una strada a grande scorrimento, ad esempio; nei entri cittadini ci può però essere una pacifica convivenza con le zone a velocità limitata 30 km/h, alla presenza di segnaletica adeguata e al controsenso ciclabile.

D.: A coloro che sostengono che allora i ciclisti dovrebbero pagare le tasse per avere il diritto alla strada cosa risponde?

R.: Generalmente un ciclista ha anche un automobile e mediamente è un cittadino che paga le tasse. La mobilità è un diritto di tutti e tutti devono muoversi in sicurezza. Per ciò proponiamo strade o aree in cui il traffico sia limitato ai 30 km/h e dunque la bassa velocità con il senso unico che rende il ciclista bel visibile eleva lo standard di sicurezza.

D.: Come pensate allora di recuperare l’emendamento perduto?

R.: Mi auguro che l’emendamento non sia passato per una svista. A settembre torneremo alla carica con attività di lobby e con l’On.Paolo Gandolfi il proponente dell’emendamento. Il popolo dei ciclisti è sempre più numeroso e sempre più rispettoso delle regole.

Foto | Fiab

Fonte: ecoblog.it

CO2: perché non se ne parla (quasi) più? Intervista a Gianni Silvestrini

Le emissioni di gas serra hanno raggiunto un nuovo record mondiale, ma in Italia pochi sembrano ancora interessati a parlarne. Come mai? Eco dalle Città lo ha chiesto a Gianni SIlvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club ed esperto internazionale di energia e cambiamento climatico379359

 

Di emissioni di CO2 e cambiamento climatico, tranne alcune eccezioni come il recente allarme di Luca Mercalli, si parla meno di qualche anno fa. Eppure, i dati parlano di concentrazioni record di gas serra in atmosfera e di rischi concreti di un surriscaldamento del Pianeta e di un aumento degli eventi meteorologici estremi. Perché allora tanto disinteresse? Eco dalle Città lo ha chiesto a Gianni SIlvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club ed esperto internazionale di energia e cambiamento climatico.

Nel quadro globale di aumento delle emissioni climalteranti (con il nuovo record della CO2 atmosferica raggiunto ad aprile), l’Europa e l’Italia devono ormai considerarsi “incolpevoli”, visti i loro risultati recenti in termini di riduzione dei gas serra?

Negli ultimi anni, la crescita della CO2 a livello globale è stata esponenziale, fino a raggiungere un ritmo del 2,8% annuo, anche se dopo gli ultimi segnali i tempi potrebbero essere finalmente maturi per una inversione di tendenza. Mi riferisco soprattutto al recentissimo annuncio di Obama, che bypassando il Congresso ha varato un decreto anti-inquinamento che prevede un taglio del 30% dell’anidride carbonica emessa dalle centrali elettriche entro il 2030, rispetto ai livelli del 2005. In questo scenario, l’Europa ha fatto buoni passi avanti, e altri ne potrà fare se i prossimi impegni al 2030, con un obiettivo del -40% che al momento sembra abbastanza condiviso, saranno all’altezza. Anche l’Italia ha visto un continuo calo del gas serra, sia per effetto della crisi che per l’incremento delle rinnovabili elettriche (FER, ndr) e dell’efficienza energetica. Ma il nostro paese potrebbe comunque fare di più, perché ad esempio la crescita delle FER è stata scomposta e va regolamentata, o perché le rinnovabili termiche sono indietro. Vedremo cosa si riuscirà a fare con il testo sull’efficienza energetica degli edifici, di prossima uscita, anche se le anticipazioni non fanno pensare a un provvedimento molto ambizioso.

Quale dovrebbe essere il nostro ruolo rispetto ai paesi emergenti? E i suddetti paesi emergenti, che per inciso hanno ancora emissioni pro capite inferiori rispetto ai paesi occidentali, hanno il “diritto” di inquinare, a questo punto della storia dell’umanità?

In realtà molto sta cambiando nell’atteggiamento dei paesi cosiddetti emergenti, e non tanto perché l’Europa eserciti il suo ruolo diplomatico, ma perché loro stessi non possono non sapere che non contribuiscono anche loro, la partita è persa. Paesi come il Sud Africa, il Brasile, il Cile, diversi stati del Nord Africa, etc, stanno iniziando a modificare il loro atteggiamento rispetto al cambiamento climatico e alle emissioni perché a loro conviene fare così. Perché il mercato va in quella direzione. La Cina stessa, del resto, sta lanciando segnali sempre più forti in questo senso: nel 2013, la nuova potenza rinnovabile annua ha superato quella proveniente dal carbone, e gli obiettivi relativi alle rinnovabili diventano sempre più ambiziosi. Pechino non sta cambiando rotta per le spinte dell’UE, ma perché deve fronteggiare un inquinamento urbano spaventoso e favorire la green economy.

I gas serra – e il cambiamento climatico in generale – sembrano scomparsi o quasi dal dibattito mediatico e politico nazionale? È un’impressione giusta? E come si spiega questo fenomeno?

La tendenza in effetti è quella. E in parte si spiega con la campagna portata avanti da una parte dei media che si ostina a far passare informazioni sbagliate, ad esempio facendo credere che la comunità scientifica sia divisa a proposito della questione del cambiamento climatico. Però credo che nei prossimi mesi e nei prossimi anni, grazie a una serie di appuntamenti internazionali che riporteranno l’attenzione su questi temi (la Conferenza di Parigi sul clima del 2015 e, ancora prima, la riunione preparatoria di New York, ndr), anche i media italiani dovranno tornare ad occuparsi di emissioni e cambiamento climatico.

Si spiega con questo deficit di informazione il fatto che i cittadini “profani” sembrano più indifferenti alle questioni riguardanti la salute del clima che ad altre problematiche di carattere ambientale? Se, ad esempio, sul riciclo dei rifiuti c’è un’attenzione sempre più diffusa, difficilmente sulle scelte di consumo incide la consapevolezza delle emissioni legate al ciclo di vita di un prodotto (al massimo si ragiona di efficienza e rinnovabili nell’ottica di un risparmio economico più o meno immediato): come mai?

In effetti l’informazione ha avuto un ruolo chiave da questo punto di vista, anche se in realtà gli italiani dovrebbero essere estremamente attenti a certe questioni, visto che il nostro paese è interessato da fenomeni meteorologici e idrologici direttamente legati al cambiamento climatico. Ripeto però che c’è la speranza concreta che la situazione cambi, e che il problema dei gas serra diventi appannaggio e interesse di tutti.

Passando a una questione più tecnica, al di là dei vari meccanismi incentivanti per le rinnovabili e l’efficienza, come sta andando il Mercato delle emissioni?

Il Mercato delle emissioni (meccanismo basato sulla quotazione monetaria delle emissioni e sul commercio delle quote di emissione tra stati diversi, per il rispetto di ciascuno di questi dei vincoli ambientali imposti dal protocollo di Kyoto, ndr) non ha funzionato perché, sotto pressione dell’industria, gli stati sono stati troppo generosi e la CO2 ha finito col raggiungere una quotazione troppo bassa. C’è da riflettere sul fallimento del meccanismo e sulla sua rimodulazione, ad esempio introducendo una carbon tax a livello europeo (in Italia se ne parlerà perché il tema è presente nella delega fiscale).

(Foto mediterraneo.blog.rai.it)

 

Fonte: ecodallecittà.it

Con i cambiamenti climatici parassiti tropicali si muovono verso nord a 10 km all’anno

Insetti, acari, funghi e vermi si muovono dai tropici verso nord occupando habitat un tempo troppo freddi per le loro esigenze. La loro diffusione nelle zone temperate, unitamente alla crescita della popolazione, pone una seria minaccia alla sicurezza alimentare globaleSpostamento-parassiti-verso-nord-586x390

Una ricerca delle Università di Exeter e Oxford  appena pubblicata su Nature Climate Change mostra che i cambiamenti climatici stanno modificando gli habitat di centinaia di specie parassite: insetti, aracnidi, batteri e funghi. La velocità media di deriva dai tropici verso nord è di 2,7 ± 0,8 km all’anno a partire dal 1960; tuttavia ci sono differenze significative tra le centinaia di specie parassite prese in esame dall’indagine, come si può vedere dal grafico in alto, ottenuto dai dati originali della ricerca. E’ importante sottolineare che la ricerca ha preso esclusivamente in considerazione specie parassite che colpiscono i raccolti agricoli o gli allevamenti, con un’attenzione particolare a quelle di maggiore impatto economico negativo. Secondo gli autori, le osservazioni confermano che queste migrazioni siano guidate dai cambiamenti climatici, dal momento che i parassiti si inseriscono progressivamente in habitat che un tempo erano troppo freddi per le loro esigenze. Come ha affermato uno degli autori in un’intervista al Guardian, «Se i parassiti continuano a marciare verso i poli  man mano che la terra si riscalda, l’effetto combinato di una popolazione mondiale in crescita e la maggiore perdita di raccolti a causa dei parassiti porrà una seria minaccia alla sicurezza alimentare globale.» Già oggi una quota pari al 10-16% dei raccolti è persa per l’ “attacco” combinato di funghi, virus, batteri, insetti e vermi. Uno dei più temibili parassiti è il fungo del riso (Magnaporthe grisea) che distrugge ogni anno una quantità di raccolto in grado di sfamare 60 milioni di persone; le condizioni ideali di crescita del fungo sono: temperatura superiore ai 25-28 °C, suolo arido ed eccesso di fertilizzazione azotata. Cambiamenti climatici e agricoltura industriale ci stanno insomma preparando la tempesta perfetta.

 

Fonte. ecoblog

 

Stessa temperatura, comfort climatico diverso: può dipendere dal cattivo isolamento

A parità di temperatura dell’aria e di altre condizioni ambientali, la sensazione di calore può variare da un ambiente all’altro. Eco dalle Città ripropone l’intervista a Lorenzo Pagliano, esperto di comfort climatico: «Le superfici a bassa temperatura possono far diminuire la cosiddetta temperatura operativa, che sarebbe una media pesata della temperatura dell’aria e di quella delle superfici dell’ambiente, da cui dipende prevalentemente il comfort indoor»375800

Venti gradi sono venti gradi. Eppure, anche se il termometro non mente, a volte la stessa temperatura in ambienti diversi viene percepita in modo differente dalla stessa persona, anche a parità di condizioni di umidità. Succede, ad esempio, che entrando in un negozio dove la temperatura dell’aria è di 20 gradi, si avverta una sensazione di freddo, mentre in un negozio vicino, in condizioni di umidità sostanzialmente uguali, ci si senta a proprio agio alla stessa temperatura. Ma come si spiega questo fenomeno? La presenza di superfici particolarmente fredde all’interno di un certo ambiente può essere una delle cause della diversa percezione di calore in un ambiente piuttosto che in un altro. «Le superfici a bassa temperatura – spiega Lorenzo Pagliano, ricercatore ed esperto in comfort climatico – possono far diminuire la cosiddetta temperatura operativa, che sarebbe una media pesata della temperatura dell’aria e di quella delle superfici dell’ambiente, da cui dipende prevalentemente il comfort indoor». Se in una stanza, in un ufficio o in un negozio, quindi, ci sono delle superfici non ben isolate e quindi a temperatura più bassa dell’aria circostante, chi vi soggiorna può avvertire una sensazione di freddo, rispetto a un ambiente ben isolato termicamente. «È il caso, ad esempio di vetri ad elevata trasmittanza termica (cioè basso isolamento, come vetri semplici o vetri doppi non basso emissivi), pareti non ben isolate termicamente e ponti termici, come telai di finestre non ben isolati», aggiunge Pagliano. In queste condizioni, anche con l’aria a 20 gradi centigradi la temperatura operativa può essere significativamente inferiore, spingendo gli utenti ad alzare il termostato dei termosifoni. Con conseguenze importanti non solo sul piano dei costi, ma anche di emissioni inquinanti, come sottolineato dalle ordinanze anti-smog che nelle ultime settimane sono intervenute anche sulla temperatura massima all’interno degli edifici. Significativi, inoltre, i vantaggi in termini di risparmio di combustibile. «Migliorare l’isolamento termico di un edificio riduce la spesa energetica in due modi – sottolinea l’esperto – direttamente, limitando le perdite attraverso l’involucro, e indirettamente, perché consente di ottenere il comfort climatico con temperature dell’aria più basse». Anche sul ricambio d’aria, necessario a qualsiasi temperatura per ragioni igieniche, si ottengono dei benefici con un migliore isolamento. Buttare fuori aria a 23°C anziché 20 costa più energia, perché viene perso più calore – conclude Pagliano – Questa perdita si riduce in caso di ventilazione meccanica con recupero di calore sull’aria in uscita, ma al momento pochi edifici sono attrezzati in questo modo». A parità di altre condizioni ambientali, dunque, l’isolamento termico migliora il comfort, permettendo di risparmiare in termini di combustibile e di emissioni in atmosfera. Anche i costi di impianto, infine, diminuiscono: se prima di cambiare la caldaia si procede a isolare bene l’edificio, si potrà installare un impianto di potenza inferiore, e quindi meno costoso, rispetto a quello precedente. Un discorso analogo vale anche per il teleriscaldamento, dato che con un ambiente meglio isolato si risparmia sul costo dello scambiatore e sulla parte di tariffa legata alla potenza.

Fonte: eco dalle città