Cambiamo Agricoltura: il nuovo Ministro delle Politiche agricole punti a transizione agroecologica

CambiamoAgricoltura è una coalizione nata nel 2017 per chiede una riforma della PAC che tuteli tutti gli agricoltori, i cittadini e l’ambiente. Sostenuta da oltre 70 sigle della società civile è coordinata da un gruppo di lavoro che comprende le maggiori associazioni del mondo ambientalista e del biologico italiane. E’ inoltre supportata dal prezioso contributo di Fondazione Cariplo

La Coalizione CambiamoAgricoltura augura buon lavoro al nuovo Ministro alle politiche agricole, alimentari e forestali, Stefano Patuanelli, ed auspica che il cambio alla guida del Ministero di Via XX Settembre determini un rilancio della transizione agro-ecologica della nostra agricoltura.

Nella sua agenda il Ministro Patuanelli avrà alcuni appuntamenti importanti, primo fra tutti l’avvio del tavolo di concertazione con le parti sociali ed economiche e la società civile per la redazione del Piano Strategico Nazionale della PAC (Politica Agricola Comune) post 2020, atteso da oltre un anno. Il Trilogo UE dovrebbe completare l’iter della riforma della PAC entro il mese di maggio e la partita della prossima programmazione, che sarà operativa dal gennaio 2023, si sposterà completamente nel terreno dei singoli Stati membri. Molti Stati hanno già avviato da tempo il confronto con le Associazioni agricole e ambientaliste, mentre il nostro paese è rimasto fermo al palo, nonostante ripetuti solleciti inviati dalla Coalizione #CambiamoAgricoltura, rimasti inascoltati. Le Strategie UE “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030”, con i loro obiettivi sfidanti (riduzione del 50% dei pesticidi e antibiotici, riduzione del 20% dei fertilizzanti chimici, aumento della superficie in agricoltura biologica fino al 25% a livello europeo, aumento fino almeno al 10% delle aree agricole destinate alla conservazione della biodiversità) impongono un cambio di rotta all’agricoltura italiana, per fare della sostenibilità ambientale e sociale un punto di forza delle produzioni “Made in Italy”.

Per la Coalizione #CambiamoAgricoltura l’Italia ha le carte in regola per puntare ad obiettivi più ambiziosi, come il 40% di superficie agricola utilizzata certificata in agricoltura biologica entro il 2030, e l’utilizzo degli aiuti PAC condizionati alla ristrutturazione delle filiere della zootecnia intensiva, per affrontare la crescente insostenibilità di questo comparto, in particolare in Pianura Padana, e scegliendo senza remore la strada  della transizione agroecologica per tutta l’agricoltura, l’unica in grado di coniugare la salute dell’uomo con quella dell’ambiente, nell’ottica di “One Health”.

Per questo sarà importante l’imminente approvazione da parte del Parlamento della nuova Legge sull’agricoltura biologica e il Ministero dovrà assicurare il massimo impegno per la sua rapida e concreta attuazione. Un altro impegno prioritario per il nuovo Ministro, condiviso con i suoi colleghi della Salute e della Transizione Ecologica, è l’approvazione del nuovo Piano di Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, ormai scaduto dal febbraio 2018. Si tratta del principale strumento per l’attuazione della Direttiva UE sui pesticidi, 2009/128/CE, fondamentale per poter raggiungere gli obiettivi delle Strategie UE “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030”.

La Coalizione #CambiamoAgricoltura è disponibile su tutti questi temi e sul futuro dell’agricoltura italiana ad un confronto e collaborazione costruttiva con il nuovo Ministro ed invierà per questo nei prossimi giorni una richiesta d’incontro.

CambiamoAgricoltura è una coalizione nata nel 2017 per chiede una riforma della PAC che tuteli tutti gli agricoltori, I cittadini e l’ambiente. Sostenuta da oltre 70 sigle della società civile è coordinata da un gruppo di lavoro che comprende le maggiori associazioni del mondo ambientalista e del biologico italiane (Associazione Consumatori ACU, Accademia Kronos Onlus, AIDA, AIAB, Associazione Italiana Biodinamica,CIWF Italia Onlus, FederBio, ISDE Medici per l’Ambiente, Legambiente, Lipu, Pro Natura, Rete Semi Rurali, Slow Food Italia e WWF Italia). E’ inoltre supportata dal prezioso contributo di Fondazione Cariplo.

Fonte: ecodallecitta.it

Il consumo di carne da allevamenti intensivi è insostenibile per il pianeta

Dal 1961 al 2010 la popolazione globale di animali macellati è passata da circa 8 a 64 miliardi, cifra che raddoppierà a 120 miliardi entro il 2050 se prosegue l’attuale ritmo di crescita. Il consumo di carne a questi livelli NON è sostenibile.

Nel 1961, poco più di tre miliardi di persone mangiavano una media di 23 kg di carne all’anno. Nel 2011, sette miliardi di persone mangiavano 43 kg di carne. Dal 1961 al 2010 la popolazione globale di animali macellati è passata da circa 8 a 64 miliardi, cifra che raddoppierà a 120 miliardi entro il 2050 se prosegue l’attuale ritmo di crescita.

Tony Weis  – The ecological Hoofprint

Basterebbero questi pochi  dati per capire che il consumo di carne è insostenibile. Ci sono ormai letterature sterminate, studi di ogni tipo che lo dimostrano. Insostenibile dal punto di vista ambientale, energetico, agricolo, sanitario e per chi ha a cuore la questione, anche dal punto di vista della sofferenza degli animali. Ma parlare di alimentazione è sempre difficile perché è un aspetto molto personale. Si creano fazioni irriducibili fra onnivori, vegetariani, vegani con lotte di religione dalle varie parti. Ci sono però alcuni fatti innegabili a prescindere dalla propria convinzione, cultura o usanza alimentare. E’ infatti impensabile che la produzione e consumo di carne possa continuare a livelli esponenziali. Già ora l’impronta ecologica degli allevamenti è pesantissima e per il futuro non ci sono semplicemente abbastanza terre e cibo per sfamare gli eserciti di miliardi di animali che verranno e i danni all’ambiente derivanti, se si pensa anche solo alle emissioni climalteranti dei bovini derivanti dalla loro digestione. Il saldo dal punto di vista energetico è sempre negativo per quello che riguarda la carne. Il cibo che alimenta gli animali con cui si alimentano le persone, infatti potrebbe essere direttamente dato alle persone e saltare un passaggio. Già solo agendo in questo modo si risolverebbero tutti i problemi di fame nel mondo all’istante e si smetterebbero di sentire queste assurde teorie che dicono che la gente muore di fame perché siamo troppi. Non siamo troppi, bensì siamo in pochi ad avere troppo e tanti ad avere poco o niente.  Si potrebbe fare un esempio emblematico su tutti: le piantagioni di soia del Brasile, che vanno in gran parte ad alimentare gli animali degli allevamenti intensivi, si creano continuando a distruggere la foresta amazzonica e facendo danni incalcolabili, sia perché si distrugge per sempre una preziosa e inestimabile biodiversità, sia perché si diminuisce la capacità di assorbimento di CO2.  E quella soia è destinata anche al consumo di carne di maiale in Cina che ne mangia la metà a livello mondiale, con un aumento vertiginoso. Già ora siamo al collasso, cosa potrà succedere se anche i paesi cosiddetti emergenti volessero mangiare carne al nostro ritmo e quantità? Considerando che stiamo parlando di miliardi di persone.  Migliaia di animali stipati in lager producono un inquinamento da deiezioni pesantissimo e poi hanno bisogno di vari trattamenti medicinali, con conseguente ulteriore grave inquinamento delle falde.  Questi animali, che vivono in maniera aberrante, sono in condizioni igieniche pessime e ad ogni momento è in agguato qualche epidemia che può trasmettersi alle persone come purtroppo già verificatosi. Torturare e uccidere milioni di animali non è qualcosa di cui andare fieri, per non parlare poi dell’aspetto della salute dove la carne non è certo un toccasana per il nostro organismo e molte malattie dipendono proprio da un consumo eccessivo. Non si tratta quindi di lotte di religione o simili; il consumo di carne, soprattutto da allevamenti intensivi, è insostenibile da ogni lato lo si guardi. Volenti o nolenti, non per motivazioni spirituali o etiche ma per la mera sopravvivenza delle persone e del pianeta stesso, si dovrà arrestare e invertire la rotta su di una produzione e consumo di carne che già ora è un problema drammatico.

Fonte:ilcambiamento.it

Sulla TAV Lione Torino i 10 dubbi dei francesi

I francesi fanno i conti alla TAV Lione Torino e scoprono che l’opera progettata 10 anni fa oramai è diventata insostenibile perché troppo costosa.no-tav-594x350

I francesi iniziano a fare i conti sul progetto Lyon-Turin, conosciuto da noi come TAV. E 20 anni dopo il lancio del progetto che dovrebbe partire nel 2014 si iniziano a accumulare molte buone ragioni che inducono a rinunciare si accumulano. Le Parisien pubblica le 10 ragioni che impongono uno stop al progetto poiché la Lione-Torino è diventata obsoleta e le necessità di trasporto merci e viaggiatori da venti anni a oggi sono notevolmente cambiate. Ecco come.

  1. La linea Parigi-Milano è troppo lunga
    La Torino-Lione dovrebbe consentire il collegamento da Parigi a Milano tanto veloce quanto attraente. Ma la realtà è ben diversa e il viaggio in Treno a Alta velocità dura 5 ore. I viaggiatori continueranno a preferire l’aereo.
  2. Previsioni del traffico merci in ribasso
    La principale giustificazione per la Torino-Lione è il togliere il trasporto merci dalla strada per passarlo su rotaia, requisito ecologico sancito dalla Convenzione delle Alpi del 1991. Studi di settore annunciarono l’aumento del traffico merci tanto da giustificare la nuova infrastruttura. Ma dal 1994, la tendenza si è invertita al punto che nel 2012 il traffico era più o meno equivalente a quello del … 1988! La prospettiva di crescita slitta così al 2035.
  3. La linea attuale è sottoutilizzata
    Secondo i suoi promotori, la Torino-Lione dovrebbe servire a mettere le merci dei camion sui treni. Tuttavia, una linea ferroviaria (quella che passa attraverso il Moncenisio) esiste già e centinaia di milioni di euro vengono spesi per la sicurezza. Oggi questa linea è usata solo circa un quarto della sua capacità, stimata tra i 15 e i 20 milioni di tonnellate di merci all’anno, equivalenti a quasi il totale delle merci che viaggia ora attraverso le gallerie stradali del Fréjus e del Monte Bianco.
  4. I Tunnel svizzeri sono sufficienti
    Nel 1994 la Svizzera ha avviato la costruzione di due gallerie ferroviarie: il Lötschberg, commissionato nel 2007 e il Saint-Gothard pronto nel 2016. Il traffico di sposterà sull’asse nord-sud a causa dell’evoluzione del trasporto merci. Infatti ci sono meno merci dall’Europa e il traffico si è spostato dall’Asia verso i Porti di Genova e Rotterdam il che spiega il calo strutturale del traffico nella zona di Lione-Torino.
  5. Il finanziamento rimane incerto
    Venti anni dopo che il progetto è iniziato, rimane una grande incognita: il suo finanziamento. Dopo che l’Europa ha pagato il 50% del lavoro preparatorio del tunnel internazionale, la Francia e l’Italia si basano su aiuti europei per la somma di 40% per la sua realizzazione. Ma come ha sottolineato a Bruxelles dopo il vertice franco-italiano, il 3 dicembre 2012, questo aiuto non è sempre concesso. Inoltre, la Francia dovrà pagare € 12 miliardi di euro per il progetto complessivo.
  6. Il costo stimato si impenna
    Secondo la Corte dei Conti che si è espressa su una stima intermedia nel novembre del 2012: “i costi previsti saranno in forte aumento”. I lavori preliminari sarebbero dovuti costare 320 milioni di euro lievitati al 2 dicembre 2010 a 901 milioni di euro. Sul bilancio complessivo compreso l’accesso al tunnel, la Corte dei conti ha constatato che l’aumento dal 2002 da 12 a 24/26 miliardi di euro.
  7. Il progetto è insoddisfacente
    Lamentando la mancanza di visibilità sull’evoluzione dei costi, la Corte dei conti nel parere evidenzia come “il controllo di questa operazione non soddisfi i requisiti necessari di rigore”.
    Nella Dichiarazione congiunta dei Ministri dei Trasporti francese e italiano il 3 dicembre si dice anche che è il progetto è pronto solo per “avviare discussioni sulla struttura giuridica, economica e finanziaria”.
  8. I politici eletti cambiano idea
    Se un parere favorevole unanime sulla Lione-Torino c’è stato oggi possiamo dire che non esiste più. Gli ambientalisti svizzeri, italiani francesi sono ora contrari alla realizzazione del tunnel internazionale. Una posizione confermata dal gruppo ambientale nella regione Rhône-Alpes, una componente importante della maggioranza della comunità particolarmente coinvolta nella regione di progetto. Dominique Dord, vice sindaco di Aix-les-Bains ed ex tesoriere della UMP, ha annunciato, nel frattempo, che non si dovrebbe contare su di lui “per difendere l’indifendibile”.
  9. I residenti resistono
    Nonostante l’esercito in Val di Susa si continua a resistere.
  10. I pasticci si accumulano
    Il progetto è stato recentemente segnato da varie stranezze e il gruppo favorevole ai lavori dal lato filo-francese nel 2012 è stato indagato per i conflitti di interesse. Poco dopo l’ex direttore generale della società italiana LTF Paolo Comastri è stato condannato nel 2011 per turbativa d’asta in primo grado per fatti risalenti al 2004. Infine, Philippe Essig, ex presidente della SNCF ha detto nel mese di gennaio, che il tunnel “non è necessario oggi e non lo sarà per molto tempo”, aggiungendo che spera “prevalga il buon senso e le nostre risorse ai veri problemi dei francesi.”

Fonte. Ecoblog