L’apicoltore nomade Giorgio Baracani: “Salvare le api significa salvare l’uomo”

Il 75% di quello che noi mangiamo è frutto dell’impollinazione delle api. Eppure siamo tempestati di notizie non proprio confortanti sulla loro sorte, a causa dell’utilizzo dei prodotti chimici in agricoltura e dei cambiamenti climatici. Ne abbiamo parlato con Giorgio Baracani, membro del CONAPI e “apicoltore nomade”.

Se c’è una persona a cui il fato, o chi per lui, ha indicato il mestiere della vita, costui è Giorgio Baracani. Originario dell’Emilia Romagna, nella zona tra Bologna e Imola, le api gli sono letteralmente entrate in casa. Proveniente da una famiglia di agricoltori, a diciannove anni si imbatte nel primo sciame di api presso il vigneto dei nonni e, pazientemente, lo recupera. Poco tempo dopo, è il padre muratore a scovare uno sciame in una intercapedine, durante la demolizione di una parete di un’abitazione. “Era settembre e tutti gli agricoltori della zona mi dissero: questo sciame è spacciato, non sopravviverà all’inverno”, ci racconta. Lo sguardo ci sembra comunicare le stesse emozioni di allora: la scintilla di una sfida da vincere a tutti i costi. Da trentacinque anni, Baracani è apicoltore ed ora membro del CONAPI, il Consorzio Nazionale Apicoltori. Se ha fatto sopravvivere quello sciame trovato nell’intercapedine? Rispondetevi da soli…

Lo abbiamo incontrato durante l’ottava edizione di Scirarindi, mentre presentava il documentario tratto dal progetto “Hunger for Bees” e il libro, sempre parte del progetto, “La Rivoluzione delle api”. In questi lavori si cerca di analizzare il rapporto tra l’agricoltura moderna e le api, in un surf incognito che va dai rischi di una totale scomparsa delle api, di cui ultimamente sentiamo spesso parlare, fino alle proposte per nuove opportunità rigenerative e di convivenza costruttiva tra l’uomo e le api.  Il documentario è un viaggio tra diverse realtà italiane ed estere che mettono in relazione il mondo delle api e il mondo agricolo. Tra gli esempi virtuosi nel nostro Paese è citato quello del comune di Malles, in Alto Adige, dove i cittadini hanno scelto attraverso un referendum di avere un comune libero da pesticidi, e quello dell’agricoltura nomade dello stesso Baracani. Viene inoltre documentata l’esperienza di paesi stranieri come l’India, dove le api portano un beneficio e un benessere agli agricoltori in termini di maggiore disponibilità di cibo e di salute. Il libro amplia la riflessione su altri temi legati al mondo delle api, tra cui l’inquietante ipotesi dei droni e della sostituzione delle api con macchine elettriche “capaci” di sostituirle totalmente. Il virgolettato è d’obbligo e, nel video, vi diremo il perché.

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L’importanza delle api

Le api non rappresentano solamente un mezzo per una catena industriale e imprenditoriale, ma sono il simbolo di un ecosistema e del suo complesso ingranaggio circolare. «Hanno una funzione molto più importante nell’ecosistema, piuttosto che nella produzione – ci spiega Baracani, – esse sono infatti il motore e l’elemento fecondante dei fiori, sono gli esseri che portano il polline da un fiore all’altro e ci garantiscono la nutrizione, attraverso l’impollinazione e la produzione agricola conseguente. Il 75% di quello che noi mangiamo è frutto dell’impollinazione delle api. Una dieta senza le api vorrebbe dire una dieta poverissima, fatta solo di qualche cereale e poco altro».

“Se scomparissero le api all’uomo non resterebbero più di quattro anni di vita”. Una frase che abbiamo ascoltato spesso e che non è così lontano dalla realtà. Mondo agricolo e mondo delle api sono così strettamente interconnessi. Appare sempre più evidente che alcuni insetticidi e pesticidi sono la causa della progressiva scomparsa delle api. Come accade spesso oggi in diverse dinamiche sociali, il cane si sta mordendo la coda: l’agricoltura e l’uomo hanno un disperato bisogno delle api per la propria sopravvivenza, e i nostri modelli miopi ne mettono in pericolo la stessa sussistenza. Baracani, per ovviare al problema dei pesticidi in natura, ha trovato nel problema una soluzione: quello dell’agricoltura nomade.

«La zona dove vivo e opero è fortemente vocata a diversi tipi di coltivazione: dalla viticoltura, alla frutticoltura fino all’orticoltura. Ci sono tante filiere, che purtroppo rappresentano una miriade di problemi per le api. Per ovviare a ciò, mi sono dovuto organizzare con un’apicoltura di tipo nomade: colgo l’attimo della fioritura dell’erba medica e delle varie colture da seme per l’impollinazione, per poi andare da un altra parte perché, finite le fioriture, cominciano i trattamenti chimici sulle coltivazioni. Mi sposto in altre zone dove ci sono altre fioriture, dove non vengono fatti i trattamenti nel momento in cui porto le api».

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Le possibili proposte

Non esiste una soluzione sistemica, al momento, per cambiare radicalmente questa situazione, se non abbandonare quasi completamente l’utilizzo della chimica in agricoltura. Forse ci arriveremo, ma la strada è lunghissima. Ma non tutto è perduto e, nel nostro piccolo, possiamo mettere in campo delle azioni per aiutare le api. «Come CONAPI abbiamo pensato ad una serie di proposte – ci racconta Giorgio – la prima è di tipo più strutturale e politico e riguarda la PAC, la Politica Agricola Comunitaria, che eroga finanziamenti per sostenere l’agricoltura e la produzione agricola.  
L’agricoltore è individuato e visto come il custode del territorio, ed è una grande verità. Però quando le api stanno male, siamo sicuri che il territorio sia presidiato e coltivato proprio bene? Potrebbero essere utilizzate le api nelle aziende agricole per monitorare l’efficacia dei finanziamenti destinati all’agricoltura e delle misure agro-ambientali destinate all’agricoltura. La seconda riguarda noi e la nostra capacità di scelta come consumatori e cittadini. Ogni giorno noi andiamo a votare e non lo sappiamo: con le nostre scelte di acquisto alimentare. In questi momenti, scegliere dei prodotti che derivino da filiere virtuose può orientare le scelte future degli agricoltori. Se queste filiere sono premiate, gli agricoltori saranno sempre più intenzionati a intraprendere dei metodi di coltivazione rispettosi dell’ambiente, della persona e delle api. Una terza proposta riguarda il quotidiano: tanti di noi hanno un orto, un giardino, un terrazzo con delle piante. Possiamo gestirli in maniera sostenibile, senza pesticidi, e possiamo scegliere quelle piante che possono fornire delle fioriture utili agli insetti, tra cui le api, fonti di polline e di nettare.  Tutto ciò non rappresenta la soluzione definitiva al problema, sono una goccia dell’oceano: ma partire dal minuscolo può sempre fare la differenza per iniziare a cambiare le cose».Fonte: https://www.italiachecambia.org/2019/11/apicoltore-nomade-giorgio-baracani-salvare-api-significa-salvare-uomo-meme-30/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Imidacloprid per fermare la Xylella in Puglia, stop dell’Ue: “Uccide le api”

Imidacloprid

Stop all’uso di Imidacloprid sugli ulivi pugliesi colpiti da Xylella. Un decreto del governo Gentiloni ne aveva imposto l’impiego per fermare la diffusione del batterio.

I rischi per l’ambiente e gli insetti impollinatori sono però troppo alti: l’Unione Europea ha bloccato il decreto del precedente esecutivo.

Scopriamo il percorso che ha portato al blocco del provvedimento.

Imidacloprid: lo stop Ue

La motivazione dello stop dell’Unione Europea al decreto Martina che imponeva il ricorso all’Imidacloprid sulle piante infette da Xylella è molto semplice:

«Rischi per le api in caso di usi esterni dell’Imidacloprid».

I pesticidi neonicotinoidi, è ormai risaputo, sono dannosi per le api. Per questo sono stati di recente vietati in Ue, anche se l’uso è ancora consentito nelle serre permanenti. L’Imidacloprid è, insieme a clothianidin e thiamethoxam, uno dei pesticidi banditi sul territorio europeo, per la coltivazione all’aperto. Ecco perché il decreto Gentiloni, che ne imponeva l’impiego sugli ulivi pugliesi, non doveva essere approvato. Spiegano da Bruxelles:

«Le autorità italiane erano tenute a presentare dati di conferma per gli usi ancora consentiti. Inoltre era previsto un riesame dei nuovi dati scientifici relativi ai rischi per le api derivanti dall’uso di Imidacloprid entro due anni».

Riesame che non è ancora arrivato. Un portavoce della Commissione Ue ha rincarato la dose:

«Le autorità italiane avrebbero dovuto notificare alla Commissione europea l’inserimento di un pesticida soggetto a restrizioni nell’elenco delle sostanze potenzialmente utilizzabili contro la cicala vettore della Xylella fastidiosa contenuto nel decreto del febbraio 2018 sulle misure di emergenza contro il batterio».

La Commissione, ha aggiunto il portavoce, “è a conoscenza del fatto che nel decreto ministeriale in questione l’Imidacloprid è elencato tra le sostanze che potrebbero essere usate. Tuttavia questo utilizzo richiederebbe innanzitutto un’autorizzazione specifica da parte delle autorità italiane, che non è stata ancora emessa, pertanto il suo uso è vietato. Esiste inoltre l’obbligo per le autorità italiane di notificare la misura alla Commissione”.

Il decreto del governo Gentiloni

Insomma, il “decreto Martina” non doveva essere emanato. Il provvedimento, che porta il nome dell’ex ministro dell’Agricoltura del governo Gentiloni, imponeva l’obbligo di utilizzare gli insetticidi in Puglia, per contrastare la diffusione di Xylella fastidiosa sugli ulivi.

Contro il decreto, in Europa hanno presentato esposti sia Diem25, il movimento fondato da YanisVaroufakis, e il Movimento 5 Stelle. Diem25 sosteneva che il decreto fosse illegittimo, perché mai notificato a Bruxelles. Rosa D’Amato, eurodeputata pentastellata, aveva inoltre presentato un’interrogazione sull’argomento il 23 aprile.

«Le nostre denunce sono state confermate – ha dichiarato D’Amato all’indomani della pronuncia UE – Questopesticida è nocivo per le api e di conseguenza comporta gravi rischi per l’agricoltura e l’economia del territorio. La vicenda dimostra ancora una volta come, fin dal principio, le autorità italiane si siano piegate alle lobby dei pesticidi. Abbiamo più volte denunciato i rischi connessi all’uso intensivo di queste sostanze, oggi i fatti e la stessa Efsa ci danno ragione. Serve un cambiamento di paradigma per affrontare davvero la crisi dell’agricoltura e dell’economia pugliesi, concentrando le misure per combattere la xylella sulla promozione di trattamenti e coltivazioni biologiche. Il nuovo governo rimedierà agli errori del precedente».

Accogliendo le istanze di M5S e Diem25, l’Ue ha di fatto bloccato il decreto Martina.

Imidacloprid e gli altri neonicotinoidi: tutti i rischi per gli impollinatori

Le evidenze scientifiche che condannano l’impiego dei pesticidi neonicotinoidi sono ormai numerose. Troppe per essere ignorate. E infatti l’Unione Europea, come accennato, ha vietato l’impiego all’aperto di Imidacloprid e altre sostanze simili. Quali sono le conseguenze dell’uso di questo tipo di pesticidi sulle api? Le ricerche sul tema sono diverse. Ricordiamo per esempio che l’Università svizzera di Berna ha dimostrato come i neonicotinoidi causano una diminuzione del 39% nella produzione dello sperma dei maschi di Apis Mellifera. Inoltre, il 32% dei fuchi maschi esposti atali pesticidi non abbia raggiunto i 14 giorni di età, momento in cui questi insetti raggiungono la maturità sessuale. Il Centre for Ecology and Hydrology (CEH) di Wallingford, nel Regno Unito, ha inoltre dimostrato che i neonicotinoidi fanno diminuire drasticamente la presenza di api selvatiche. Fino al meno 30 per cento è stato registrato nei campi di colza.

Fonte: ambientebio.it

Ogm, meno insetticidi più diserbanti

Un nuovo report mostra che l’uso dei diserbanti nelle coltivazioni dei prodotti geneticamente modificati è aumentato, con ripercussioni negative sull’ambiente. I risultati su Science Advancesgm

Sebbene da una parte l’adozione ormai diffusa di coltivazioni di prodotti geneticamente modificati (Ogm) abbia diminuito l’utilizzo degli insetticidi, dall’altra ha provocato l’aumento di quello dei diserbanti, perché le piante infestanti sono diventate sempre più resistenti. A rivelarlo, su Science Advances, è il più grande studio sulla relazione tra colture geneticamente modificate e uso di pesticidi, condotto da un team di esperti della University of Virginia, che ha analizzato i dati annuali di più di 5mila agricoltori di soia e 5mila di mais negli Stati Uniti dal 1998 al 2011. “Il fatto che abbiamo a nostra disposizione 14 anni di dati rende questo studio molto speciale”, ha spiegato Federico Ciliberto, della University of Virginia. “Abbiamo osservato costantemente gli stessi agricoltori e visto quando hanno adottato semi geneticamente modificati e come hanno cambiato l’uso di sostanze chimiche”.

Dal 2008, le coltivazioni di prodotti geneticamente modificati di mais e soia hanno rappresentato più dell’80% del totale Usa: il mais è stato modificato con due geni, uno che uccide gli insetti che mangiano i semi e l’altro che permette al seme di tollerare il glifosato, l’erbicida comunemente usato nei diserbanti come il Roundup, per combattere le infestanti. I germogli di soia, invece, sono stati modificati con un solo gene resistente al glifosato. Non sorprende, quindi, il fatto che inizialmente i coltivatori di mais che piantavano i semi geneticamente modificati usavano così meno insetticidi – circa il 11,2% in meno – e meno erbicidi – l’1,3% in meno – degli agricoltori che non piantavano semi di mais geneticamente modificati. Le coltivazioni di soia, invece, hanno registrato nel tempo un significativo aumento dell’uso di erbicidi (28% in più) rispetto ai coltivatori biologici. Ciliberto attribuisce questo aumento alla proliferazione di erbe infestanti resistenti al glifosato. “In principio”, spiega l’esperto, “c’è stata una riduzione dell’uso di erbicidi, ma nel tempo l’uso di altri prodotti chimici è aumentato in quanto gli agricoltori sono stati costretti a dover aggiungere nuove sostanze chimiche quando le piante infestanti hanno sviluppato una resistenza al glifosato”.

Tuttavia, lo studio ha trovato prove sostanziali del fatto che entrambi i coltivatori (di mais e soia) hanno aumentato l’uso di erbicidi nel corso degli ultimi cinque anni dello studio, evidenziando quindi che la resistenza delle piante infestanti è un problema crescente. Dal 2006 al 2011, la percentuale di ettari spruzzati con solo il glifosato si è ridotta da oltre il 70% al 41% per quanto riguarda la soia e da più del 40% al 19% perle coltivazioni di mais. Questa diminuzione non è altro che il risultato del ricorrere ad altre sostanze chimiche, che possono danneggiare la biodiversità e aumentare l’inquinamento dell’acqua e dell’aria. “L’evidenza suggerisce che le piante stanno diventando sempre più resistenti e gli agricoltori sono costretti a usare sempre più prodotti chimici aggiuntivi”, spiega ancora l’esperto.

Il team americano ha misurato l’impatto ambientale globale dei cambiamenti nell’uso dei prodotti chimici che hanno portato all’adozione di colture geneticamente modificate, utilizzando un indice chiamato “quoziente di impatto ambientale” (Eiq), notando come l’uso più ampio di erbicidi sia preoccupante. “Non ci aspettavamo di vedere una prova così forte”, conclude Ciliberto.

Via: Wired.it

 

“Eden” tossico per le api: pesticidi nelle piante ornamentali

Il 79 per cento delle piante ornamentali analizzate sono risultate contaminate da pesticidi killer delle api. Alcuni campioni addirittura da sostanze illegali in Europa. Questi i risultati di un nuovo rapporto di Greenpeace International “Eden tossico: i loro veleni nel tuo giardino”, che evidenzia l’ampio uso di pesticidi dannosi per le api nel settore della florovivaistica. Le piante analizzate sono state acquistate in negozi di giardinaggio, supermercati e centri del fai da te in dieci Paesi europei per un totale di oltre 35 varietà di piante molto diffuse come viola, campanula e lavanda, note per attirare le api.eden_tossico

Il 79 per cento delle piante ornamentali analizzate sono risultate contaminate da pesticidi killer delle api. Alcuni campioni addirittura da sostanze illegali in Europa. Questi i risultati di un nuovo rapporto di Greenpeace International “Eden tossico: i loro veleni nel tuo giardino”, che evidenzia l’ampio uso di pesticidi dannosi per le api nel settore della florovivaistica. Le piante analizzate sono state acquistate in negozi di giardinaggio, supermercati e centri del fai da te in dieci Paesi europei per un totale di oltre 35 varietà di piante molto diffuse come viola, campanula e lavanda, note per attirare le api. Il 98 per cento dei campioni conteneva residui di insetticidi, erbicidi o fungicidi. Molti campioni erano contaminati da un “cocktail” di pesticidi diversi. Insetticidi ritenuti pericolosi per le api sono stati trovati in 68 piante (il 79 per cento dei campioni). In quasi la metà dei campioni sono stati rilevati residui di almeno uno dei tre insetticidi neonicotinoidi – il cui uso è stato limitato nell’Unione europea per evitare gli impatti sulle api – in alcuni casi ad alte concentrazioni: il 43 per cento conteneva imidacloprid, l’8 per cento il thiamethoxam, mentre il clothianidin è stato trovato nel 7 per cento del totale. «I fiori sui nostri balconi o nei nostri giardini possono contenere pesticidi tossici, che mettono a rischio api e altri impollinatori. Finché si continueranno a utilizzare pesticidi killer delle api per la coltivazione di piante e fiori, tutti noi possiamo essere complici inconsapevoli di una contaminazione ambientale che mette a rischio le api» dichiara Federica Ferrario, responsabile Campagna Agricoltura di Greenpeace Italia. Tra le sostanze rilevate dallo studio, in 12 delle 86 piante ornamentali analizzate (il 14 per cento del campione) sono stati rilevati pesticidi non autorizzati nell’UE, tra cui due tossici per le api. Non è chiaro se si tratti di applicazioni illecite effettuate in Europa o di importazioni da Paesi dove gli standard sono inferiori a quelli dell’UE. Anche se da questo studio non è possibile trarre conclusioni definitive sull’impatto di queste sostanze tossiche sulle api, è plausibile che api e altri impollinatori possano essere esposti a concentrazioni rischiose quando visitano queste piante. «Il bando parziale in vigore su alcuni neonicotinoidi non basta a proteggere le api e gli altri impollinatori. È necessario subito un divieto assoluto dei pesticidi dannosi per le api, che sia il primo segnale di un cambio radicale dell’attuale modello agricolo industriale basato sulla chimica di sintesi» conclude Ferrario. La presenza di residui di antiparassitari non autorizzati in piante ornamentali vendute in Europa evidenzia la necessità di un maggior rigore dei sistemi di monitoraggio e gestione delle filiere nel settore florovivaistico. Questa però è solo la cima dell’iceberg. Quello che serve è lo sviluppo e la promozione di pratiche agricole ecologiche, che garantiscano ambienti salubri e sicuri all’interno di aziende agricole e giardini, dove insetti e biodiversità possano prosperare.

Leggi qui la sintesi del rapporto in italiano.

Fonte: il cambiamento.it

Neonicotinoidi: due insetticidi tossici per il cervello dei bambini

L’EFSA propone l’abbassamento dei livelli guida per l’esposizione a due neonicotinoidi: acetamiprid e imidacloprid che possono avere effetti negativi sul sistema nervoso umano in fase di sviluppopesticidi-620x350

L’EFSA propone per due insetticidi neonicotinoidi, l’acetamiprid e imidacloprid di abbassare i livelli guida per les’posizione ammissibile poiché possono avere effetti negativi sul sistema nervoso dei bambini. I neonicotinoidi sono quella casse di insetticidi sotto accusa anche per essere la causa della mora delle api, per cui l’Europa ha espresso una moratoria per tre pesticidi killer delle api. L’Autorità sulla sicurezza alimentare ha anche richiesto ulteriori ricerche per stabilire ulteriori dati a supporto della neurotossicità dei due prodotti attualmente in commercio. La richiesta del panel di esperti sull’uso dei prodotti fitosanitari e residui il PPR dell’EFSA è per la richiesta di ridefinizione in Europa dei livelli per cui si rendano obbligatori studi dìsulla neurotossicità quale parte integrante del processo di autorizzazione. L’EFSA nel merito ha accolto la richiesta della Commissione europea elaborando il parere scientifico grazie ai recenti studi di Kimura-Kuroda e ai dati già disponibili su acetamiprid e imidacloprid rispetto alla possibilità di danno nei confronti del sistema nervoso umano in fase di sviluppo e sopratutto nei confronti del cervello. I danni che possono arrecare i due neonicotonoidi acetamiprid e imidacloprid secondo quanto rilevato dal panel di esperti scientifici del PPR riguardano l’effetto negativo sullo sviluppo dei neuroni e strutture cerebrali come la memoria e l’apprendimento e hanno allertato la comunità scientifica concludendo che alcuni degli attuali livelli guida potrebbero risultare elevati rispetto all’esposizione ammissibile e dunque andrebbero ridotti.

Fonte:  Efsa

 

Pesticidi sugli aerei: la denuncia di un ex steward con il morbo di Parkinson

Numerosi casi di morbo di Parkinson fra il personale della Qantas hanno indotto Brett Vollus a denunciare il suo caso alle autorità giudiziarie454593381-586x365

La denuncia arriva da Brett Vollus, 52 anni, 27 dei quali passati al servizio della compagnia aerea australiana Qantas. L’ex steward ha il morbo di Parkinson e, dopo il pensionamento anticipato, ha deciso di portare davanti ai giudici il proprio caso. Vollus ha saputo dal suo neurochirurgo che molti suoi colleghi si sono rivolti a lui per lo stesso problema. A causare il morbo di Parkinson sarebbe stato, secondo lo steward, l’utilizzo di insetticidi nelle cabine, per giunta sotto istruzione delle autorità pubbliche:

Non ci sono precedenti del morbo di Parkinson nella sua famiglia e lui pensa di averla contratta a causa dell’esposizione all’insetticida che veniva vaporizzato nelle cabine, sugli aerei a lunga percorrenza, almeno una volta ogni quindici giorni per la durata di diciassette anni. La letteratura medica stabilisce un legame fra il Parkinson e altre malattie neuromotrici e gli insetticidi, un legame chiaramente dimostrato,

ha spiegato il suo avvocato Tanya Segelov. Il caso verrà portato davanti alla Corte Suprema dello stato del Nuovo Galles del Sud nel 2014 e potrebbe avere ripercussioni in tutto il mondo visto che la vaporizzazione di insetticidi prosegue in numerosi Paesi, prima del decollo e talvolta persino dopo che l’imbarco è stato effettuato. Le prime direttive dell’Oms su questa materia sono datate 1961. Il ministero della Salute australiano afferma di rispettare le direttive Oms e che i prodotti utilizzati a bordo sono ritenuti inoffensivi dall’Autorità australiana di controllo dei pesticidi e dei medicamenti veterinari. Le autorità australiane hanno sottolineato come senza questi insetticidi si correrebbe il rischio di far diffondere infezioni gravi come la febbre gialla e la malaria.

Fonte:  Le Monde

Fipronil il quarto insetticida letale per le api nel parere dell’EFSA

Mentre l’Europa senza il voto dell’Italia pone il bando su tre insetticidi valutati come letali per le api, ecco che un nuovo parere dell’EFSA mette in guardia su una quarta molecola, il fipronil.

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L’EFSA ha reso pubblico lunedì 27 maggio l’opinione sui rischi per le api del fipronil, pesticida della BASF in commercio come Régent.

Il giudizio è duro:

L’insetticida Fipronil, utilizzato per trattare le sementi di mais, rappresenta un elevato rischio acuto per le api mellifere.

I precedenti pareri resi da EFSA dall’inizio del 2013 sul thiamethoxam, clothianidin e imidacloprid hanno portato la Commissione europea a proporre agli Stati membri il ritiro per due anni delle tre molecole in questione. Dopo il voto degli Stati membri (l’Italia si è espressa contraria), Bruxelles ha confermato il 24 maggio l’entrata in vigore della moratoria dal 1 ° dicembre.

In ogni caso ecco le conclusioni di EFSA che riguardano i punti di esposizione:

·                                 rischio da deriva di polveri: è stato individuato un elevato rischio acuto derivante dal mais. Quanto ad altre colture, tra cui il girasole, non è stato possibile eseguire valutazioni complete del rischio né, quindi, stabilire il livello di rischio derivante dall’esposizione alle polveri rilasciate dalla semina a file;

·                                 nettare e polline: gli studi disponibili (di campo e semi-campo) presentavano punti deboli ed erano perciò insufficienti per stabilire il livello del rischio per le api mellifere associato all’utilizzo del Fipronil come trattamento dei semi di girasole e di mais. Tuttavia il rischio per le api da miele connesso all’uso autorizzato del Fipronil sugli ortaggi è stato ritenuto basso, poiché questi non sono appetibili quanto a contenuto di polline e nettare;

·                                 sono state individuate diverse lacune nei dati disponibili in relazione ad altre potenziali vie di esposizione.

Fonte:  Le monde

 

INQUINAMENTO DA MERCURIO: anche le lampadine a basso consumo!!!

Inquinamento da mercurio: in arrivo la convenzione internazionale di Minamata.

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Sono 147 le Nazioni che hanno approvato a Ginevra il primo trattato internazionale vincolante sulla riduzione dell’uso e delle emissioni di mercurio. Lo annuncia il Programma delle Nazioni unite per l’ambiente, dopo lunghi negoziati in Svizzera. Il trattato sarà firmato a ottobre prossimo alla conferenza di Minamata, (in Giappone). Toccherà poi agli Stati ratificare entro tre anni il trattato per farlo entrare pienamente in vigore. La convenzione porterà così il nome di Minamata, città in cui negli anni ’50 del secolo scorso gli abitanti furono avvelenati da inquinamento da mercurio causato da un’industria chimica locale.

Il nuovo accordo ONU mira a ridurre la produzione e l’utilizzo del mercurio, soprattutto nella fabbricazione di prodotti e nei processi industriali. Disciplina la questione dello stoccaggio e del trattamento dei rifiuti contenenti mercurio. Punta anche ad aumentare i controlli sulle emissioni e a limitare l’uso di mercurio in un numero elevato di prodotti, dal bando globale dei termometri (in Italia già in vigore), alle amalgama dentali usate per le otturazioni, alluso nelle lampadine a basso consumo. Entreranno poi in vigore rigidi controlli nelle miniere, cementifici ed anche nelle centrali termoelettriche a carbone. Insomma, la Convenzione stabilisce limiti concreti alle emissioni di mercurio.

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“Trovare un accordo su obiettivi globali non è semplice, – ha commentato il direttore esecutivo del Programma ONU  Achim Steiner- ma nessuna delegazione voleva lasciare Ginevra senza una bozza di trattato”. Definendo la convenzione come “fondamenta per una risposta globale”, Steiner ha detto di sperare che venga “applicata il più presto possibile”. C’è, tuttavia, chi è scontento delle misure concordate dalle nazioni. Joe DiGangi, scienziato consigliere del gruppo Ipen, ritiene che l’accordo rappresenti “un primo passo” ma non sia non abbastanza per ridurre le emissioni globali. Tra le carenze del documento ha citato l’assenza della richiesta che ogni Paese dichiari come ridurrà le emissioni di mercurio. Infatti, alcuni paesi sviluppati hanno espresso la loro opposizione alla Convenzione col fine di limitare il proprio contributo finanziario per l’implementazione di progetti volti all’eliminazione delle emissioni di mercurio. Anche diversi paesi emergenti hanno reso note le loro opposizioni al progetto: in questi Paesi è alquanto elevato infatti il numero di centrali a carbone, che emettono una ingente quantità di mercurio. Ostilità anche da parte della lobby delle miniere d’oro, che negli ultimi anni hanno visto crescere il giro di affari e, di conseguenza, le emissioni. Secondo uno studio dell’UNEP del 2012 il settore estrattivo aureo rappresenta il 35% totale delle emissioni di mercurio.

Il mercurio è un metallo pesante, estremamente tossico per gli esseri umani. Si accumula nell’organismo e può provocare danni al sistema nervoso, a quello immunitario e, in particolare, a quello riproduttivo. Essendo molto volatile si trasmette attraverso l’atmosfera. È così che ogni anno 200 tonnellate di mercurio giungono nell’Artico e contaminano i pesci di cui si nutrono gli esseri umani. Il mercurio trova principale impiego nella preparazione di prodotti chimici industriali e in campo elettrico ed elettronico. Viene usato nei termometri, barometri, sfigmomanometri, coulombometri, pompe a diffusione e molti altri strumenti da laboratorio, scelto perché liquido, opaco e di alta densità. Tra i suoi impieghi in campo elettrico ed elettronico rientrano la realizzazione di interruttori, elettrodi, pile. In campo medico, l’amalgama di mercurio con altri metalli è usato per realizzare le otturazioni dentali. Nelle “celle a mercurio” viene utilizzato un elettrodo di mercurio liquido per condurre l’elettrolisi del cloruro di sodio in acqua, per produrre cloro gassoso e idrossido di sodio. Il mercurio è stato usato anche come liquido di raffreddamento in alcuni tipi di centrale elettronucleare e per realizzare telescopi a specchio liquido. Ha trovato impiego anche nella purificazione dei minerali di oro e argento, attraverso la formazione di amalgama. Questo utilizzo, altamente inquinante e nocivo per l’ambiente e i minatori, è ancora diffuso nelle miniere d’oro del bacino del Rio delle Amazzoni, in Brasile. I vapori di mercurio sono usati in alcuni tipi di lampade a fluorescenza. Grazie alla elevata tensione superficiale è un liquido che non penetra nelle porosità aperte dei comuni materiali da costruzione. Questo permette di misurare la distribuzione della porosità aperta dei materiali mediante porosimetria ad intrusione di mercurio. Ancora più vasti sono gli utilizzi dei composti chimici del mercurio: catalizzatori, coloranti, insetticidi. Molti degli usi comuni in passato, compresi erbicidi e farmaci, sono stati abbandonati per la tossicità del mercurio.

Fonte: QuotidianoLegale