Capitan Acciaio in viaggio per l’Italia per insegnare il valore della raccolta differenziata

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Riparte da Salerno il tour nazionale promosso dal Consorzio RICREA per informare ed educare i cittadini. Laboratori e quiz a premi con protagonisti gli imballaggi in acciaio come barattoli, scatolette, lattine, bombolette, tappi e chiusure.

Capitan Acciaio è pronto a tornare nelle piazze italiane per educare grandi e bambini a una corretta raccolta differenziata. Cosa si può ottenere con il riciclo di 2.000 barattoli, 50 bombolette o 5 fusti in acciaio? Rispettivamente il telaio di una bicicletta, una fontanella urbana e una panchina. Gli imballaggi in acciaio, materia prima permanente che si ricicla all’infinito senza perdere le proprie qualità, sono i protagonisti del tour itinerante promosso da RICREA, il Consorzio Nazionale senza scopo di lucro per il Riciclo e il Recupero degli Imballaggi in Acciaio, uno dei sei consorzi di filiera che compongono il Sistema CONAI. Dopo il successo ottenuto lo scorso anno, RICREA rimanda in campo il supereroe Capitan Acciaio nel viaggio lungo la penisola, per informare i cittadini sulle qualità degli imballaggi in acciaio ed educarli a una corretta raccolta differenziata. Il tour partirà l’8 maggio da Salerno, per poi fare tappa a Bari, Genova, Torino e Milano, e proseguire in altre città italiane.
Barattoli, scatole, scatolette, lattine, fusti, secchielli, bombolette, tappi e chiusure in acciaio sono i protagonisti di un percorso circolare virtuoso e senza fine: da materia prima a imballaggio, a rifiuto differenziato, raccolto e avviato al riciclo per nascere a nuova vita, all’infinito – spiega Domenico Rinaldini, Presidente di RICREA – Abbiamo voluto organizzare queste nuove giornate di sensibilizzazione per migliorare gli ottimi risultati raggiunti e informare i cittadini sulla ‘convenienza ambientale’ della raccolta differenziata degli imballaggi in acciaio”.
Negli ultimi 20 anni l’Italia ha avviato a riciclo complessivamente 5,6 milioni di tonnellate di imballaggi in acciaio, un quantitativo sufficiente per realizzare le carrozze di un treno lungo da Roma a Parigi composto da 50.700 vagoni, o 56.300 Km di binari ferroviari, pari ad oltre il doppio dell’intera linea ferroviaria italiana, con percentuali di riciclo sull’immesso al consumo che dal 2009 hanno superato quota 70%.

Nelle piazze principali delle città Capitan Acciaio sarà a disposizione per aiutare i cittadini a scoprire i vantaggi della raccolta differenziata e il valore del riciclo dell’acciaio, il materiale più riciclato in Europa. Sarà inoltre proposto il laboratorio ludico-ricreativo “RICREA il tuo giocattolo”, in cui bambini e ragazzi potranno creare il proprio giocattolo attraverso il riuso creativo degli imballaggi in acciaio; gli adulti invece potranno mettere alla prova la loro cultura sulle buone pratiche di raccolta differenziata con quiz a premi dedicati.
Maggiori informazioni su Capitan Acciaio in tour sulla pagina Facebook dedicata: facebook.com/CapitanAcciaio

Fonte: ecodallecitta.it

 

In viaggio da quattro anni per cambiare vita e insegnare ai ragazzi

Quattro anni fa Claudio Piani ha deciso di lasciare il suo lavoro a Milano per iniziare un nuovo percorso di vita: è partito per un lungo viaggio e ha attraversato diversi Paesi, fino ad innamorarsi della Cina, dove ora insegna educazione fisica. Lo abbiamo intervistato e ci ha raccontato la sua esperienza ed i progetti per il futuro. Arrivare in Australia via terra e trasferirsi in Cina per insegnare pallacanestro ai ragazzi: è ciò che ha fatto Claudio Piani, trentenne milanese laureato in scienze motorie che, nel 2014, ha deciso di lasciare il suo impiego e di partire per andare a lavorare un anno in Australia, muovendosi via terra da solo, facendo l’autostop. Spesso, durante il viaggio, ha lavorato in cambio di un alloggio o di un pasto o per raccogliere i soldi necessari per il proseguimento del viaggio, mentre una volta giunto in Australia è riuscito a fare tanti lavori diversi che gli hanno permesso di coprire il viaggio di ritorno. È stato durante questo lunghissimo viaggio durato ben 859 giorni – da agosto 2014 a dicembre 2016, per un totale di 78.268 km percorsi e 33 nazioni attraversate – che Claudio ha attraversato due volte la Cina, all’andata e al ritorno, e se ne è innamorato.Viaggio_in_Australia

Viaggio in Australia

Tornato a Milano, riprende a lavorare in ambito sportivo, ma cresce in lui il desiderio di tornare in Cina per viverci e lavorare almeno un anno e per poterlo conoscere in modo più approfondito, così come aveva fatto in Australia. Comincia quindi a cercare informazioni e scopre che in Cina c’è una forte richiesta di insegnanti stranieri di educazione fisica, calcio e pallacanestro (lo sport più praticato del paese, più del ping-pong che, comunque, rimane “sport nazionale”) e che gli stipendi sono molto concorrenziali rispetto all’Italia. I requisiti richiesti sono: età tra 25 e 40 anni, laurea in scienze motorie (anche triennale), madrelingua inglese o conoscenza dell’inglese, fedina penale pulita e da due a tre anni di esperienza nel campo dell’insegnamento. I contratti prevedono 20-25 ore di lavoro di settimanali, stipendio dai 1500 ai 3500 dollari circa al mese, ferie pagate, assicurazione sanitaria, appartamento garantito e rimborso spese a fine contratto. Un sogno per qualsiasi laureato italiano: lavorare in Cina per un anno gli permetterebbe anche di risparmiare qualche soldo per visitare il paese durante le festività e le vacanze scolastiche.Piani2

La decisione è presa e Claudio comincia ad espletare le lunghe pratiche burocratiche italo-cinesi finché ad agosto 2017 arriva il visto provvisorio e può partire, ma stavolta in aereo. Destinazione finale Shenzhen, città di 13 milioni di abitanti nella provincia meridionale di Guangdong, affacciata sul mare e non lontana da Hong Kong. Nelle prime tre settimane a Shenzhen, Claudio abita in albergo del centro città (pagato dall’agenzia di intermediazione tra scuole cinesi e insegnanti stranieri) e, dopo aver completato nuove pratiche e fatto colloqui col provveditorato, ottiene il visto ufficiale e il permesso di lavoro annuale. Gli viene assegnato un contratto presso la “Shenzhen Bao’An Primary School” – una scuola elementare del quartiere di Bao’An, distante 30 km dal centro di Shenzhen – come insegnante di basket alle classi quarte e quinte. Shenzhen, che si affaccia sul delta del Fiume delle Perle e sul Mar Cinese Meridionale, nel 1978 contava solo 30.000 abitanti, quasi tutti pescatori e commercianti, mentre oggi è una delle capitali dell’import-export cinese e una delle città con il maggior numero di “expats” occidentali (cioè gli occidentali che risiedono e lavorano in Cina). Oggi Claudio vive e lavora nel distretto di Bao’An, uno dei quartieri “storici” di Shenzhen, ed ha trovato il giusto compromesso tra autentica “vita cinese” e “vita all’occidentale”. A Bao’An Claudio è l’unico “bianco” del suo rione, è lo “straniero” che suscita la curiosità della comunità locale, mentre quando va in centro città diventa uno dei numerosi e “normali” stranieri che vivono a Shenzhen. Abbiamo chiesto a Claudio di raccontarci meglio le sue esperienze di viaggio e di vita.

Claudio perché, tra tutte le nazioni che hai attraversato durante il tuo lungo viaggio a piedi, hai scelto come meta lavorativa proprio la Cina?

Le ragioni sono state diverse. La prima e principale è stato l’enorme fascino che questa nazione ha inaspettatamente generato in me. Il sentimento di sicurezza nel visitarla, la curiosità per ogni aspetto della sua vita così diversa da quella occidentale ed infine la varietà ambientale e sociale delle sue regioni. In secondo luogo, la Cina per me era una nazione conveniente per lavorarci. Lo sport più popolare è la pallacanestro, esattamente la disciplina che insegnavo in Italia; in più gli stipendi sono buoni ed il costo della vita piuttosto basso, permettendomi di risparmiare facilmente soldi utili per i prossimi viaggi. Esattamente come fatto in Australia. Infine, vivere in Cina mi permette di essere in un “punto strategico” per visitare alcune regioni e nazioni che desidero vedere, ad esempio Filippine, Sri Lanka e Tibet.Piani7

La tua famiglia ti ha sostenuto nelle tue scelte di partire per il tuo primo viaggio in Australia così lungo a piedi e, una volta tornato in Italia, di ripartire per lavorare un altro anno in Cina?

Ormai sono passati quasi quattro anni da quando ho iniziato a vivere questa condizione di “semi-nomadismo”. Chi mi conosceva e mi voleva bene sapeva che, prima o poi, questo sarebbe successo. Sicuramente nessuno, io compreso, si aspettava che questa fase di vita si prolungasse così a lungo. Sento di essere stato rispettato e sostenuto sia dalla mia famiglia che dai miei amici. Nonostante spesso io manchi loro (e loro manchino a me), sanno che sto facendo qualcosa che desidero fare e che mi rende felice.

Comunichi in inglese con i tuoi colleghi, superiori e, soprattutto, coi bambini oppure c’è sempre con te un traduttore o sono previsti corsi/esami obbligatori di cinese per gli “expats”?

Comunico in inglese con tutti anche se in pochissimi intorno a me parlano inglese. La direttrice della scuola, ad esempio, non lo parla e nemmeno quasi tutti i miei colleghi di educazione motoria. Condivido l’ufficio insieme agli insegnanti di inglese: almeno lì posso chiacchierare con qualche collega. Con i bambini vale stesso discorso. Parlo in inglese e non dispongo di nessun assistente che traduca in cinese. I bambini non sempre capiscono, ma è proprio qui che nasce la mia personale crescita “comunicativa” come insegnante. Devo dimostrare più dettagliatamente, il mio tono di voce ha un ruolo cruciale, la mia mimica facciale e la mia gestualità diventano elementi imprescindibili. È un’esperienza che mi arricchisce quotidianamente. Nessun corso di cinese è obbligatorio per gli “expats” e sta alla coscienza di ognuno impegnarsi nell’apprendimento della lingua cinese o meno.Shenzhen

Shenzhen

Cosa ti affascina di più di Shenzhen e della vita e della cultura cinesi?

Sono molto affascinato dalla cultura cinese, ma purtroppo Shenzhen ne offre poca. Avrei preferito finire in altre città, ad esempio Kunming o Chengdu, dove la vita è più “cinese” e meno centrata sul business, come qui. Fortunatamente insegno e vivo in quartiere periferico della città, dove riesco a respirare appieno la realtà tradizionale e dove non incontro troppo stranieri. Quella cinese è una società molto sicura, estremamente comunitaria. Le persone qui sono allegre e rilassate, per quanto possa sembrare il contrario. È un mondo totalmente diverso dal nostro e nel quale è impossibile immergersi al 100%, anche se si parla la lingua locale. È un mondo che una persona dall’animo curioso necessita di conoscere.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro: ti fermerai in Cina più di un anno o c’è già un’altra nazione all’orizzonte nella quale vorresti vivere e lavorare?

Dopo cinque mesi di permanenza qui in Cina posso affermare che un anno credo sia sufficiente a soddisfare tutti i miei bisogni. Sto vivendo la realtà cinese, sto lentamente imparando la lingua e racimolando qualche soldo. Mi piacerebbe tornare in Italia ancora una volta via terra (magari in moto questa volta), magari aprendo una sorta di raccolta fondi per un ospedale in Nepal. Da lì in poi si vedrà, anche se mi piacerebbe fermarmi un po’ in Italia, magari in una regione diversa dalla mia per provare una vita diversa, ma nel mio paese – il più bello di tutti..!

Informazioni dettagliate e consigli utili per chi vorrebbe lavorare in Cina sono disponibili sul blog di Claudio “Piani per la Cina”

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/01/viaggio-cambiare-vita-insegnare-ragazzi/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

 

«Il nostro modo per essere felici? Insegnare la libertà ai bambini»

La storia di Stefania, Federico, Veronica e Livia: “Non trovavamo noi stessi, ora siamo felici”. Sono tornati al loro paese d’origine e hanno fondato una cooperativa che applica un metodo all’avanguardia nell’educazione dei piccoli mettendo il bambino al centro.cooperativa_kiriku

“Siamo felici”. E si vede. Stefania, Federico, Veronica e Livia sono quattro trentenni normali con una storia eccezionale. Persone “sistemate” e “tranquille” che decidono di lasciare tutto – carriera, lavoro, università, città, certezze e incertezze – per dedicare anima e corpo ai propri sogni, fare delle proprie passioni un mestiere, investire nei più piccoli e insegnargli la libertà. E lo fanno in un piccolo paese della Valtellina: Tirano, un comune di circa dieci mila abitanti in provincia di Sondrio. “Solo partendo dal piccolo può avvenire il vero cambiamento”, mi racconta Stefania con non poca convinzione. Lei, Stefania, classe ‘86, università di lingue orientali a Venezia e un futuro proiettato nella carriera accademica: “Volevo diventare professore, lavorare nell’università. Avevo lasciato il mio paesino per studiare e mai avrei pensato di farci ritorno. Poi la morte di mio padre mi ha portato a riflettere e a rivoluzionare completamente le mie priorità. Mi sono chiesta: voglio davvero questo? E’ davvero questa la mia vita?”. Così Stefania decide di lasciare Venezia per tornare al suo paese natale. E qui inizia a ripensare la propria vita, i propri bisogni e a seguire i propri desideri. Federico è un batterista, nove anni impiegato (con successo) in un’azienda di impianti agroalimentari: “Il giorno in cui mi sono licenziato sono andato in ufficio, mi sono sfilato la giacca e l’ho lanciata contro la scrivania e me ne sono andato. E’ stato memorabile”. Nel suo dna una passione smodata per la musica e una forte attrazione per l’insegnamento: “Ma non quello accademico, ho provato anche a iscrivermi all’università poi al secondo anno ho lasciato. Non faceva per me”. Così, dopo aver sbattuto anche la seconda porta in faccia alla “strada più sicura”, decide di seguire Stefania in Valtellina e di fare delle proprie passioni un lavoro. Veronica, invece, lascia una frenetica vita a Milano e molte, moltissime, strade: “Avevo fatto del viaggiare il mio lavoro, pensavo fosse quello che volevo ma mi mancava sempre qualcosa. Come Stefania, mai avrei pensato di trovare quel qualcosa tornando a casa, riaffacciandomi alla mia vecchia vita. Per me il paese era un capitolo chiuso”. Invece, proprio lì,  tra i monti e la natura, le vecchie amicizie e i soliti luoghi riscopre le proprie origini: “ritornando ho sentito le mie radici affiorare, ora sono davvero felice”. E a casa ritrovano anche Livia, pure lei partita per Milano alla ricerca di un lavoro e di un perché. “Mi sono iscritta all’università, ho dato tutti gli esami ma non sono mai riuscita a prendere la laurea. Non riesco a trovare interesse in quel pezzo di carta”. Dai lavori si è sempre licenziata: “Cercavo me stessa, un modo per esprimermi e non riuscivo a trovarlo. L’unica cosa che sapevo è che volevo fare qualcosa con le persone, per le persone. Avevo bisogno di relazioni umane”. Quattro storie come tante (forse), da cui però nasce un progetto come pochi: una cooperativa sociale in cui si parla il linguaggio dei più piccoli e in cui si insegna la libertà. “In un modo o nell’altro tutti e quattro eravamo molto attratti dall’insegnamento – afferma Federico – Io insegnavo già batteria ai bambini. Sono un operatore del metodo Ritmìa® (pratica di propedeutica musicale per l’infanzia riconosciuta dal Ministero dell’Istruzione, ndr). Mi dà molta gioia farlo. Da qui a farne un mestiere il passo è stato breve.” “Tornare piccoli ci ha fatto scoprire noi stessi”, prosegue Veronica. Il piccolo paese dell’infanzia, i bambini con cui confrontarsi quotidianamente, la voglia di coltivare i propri sogni, il ritorno alla natura: “Abbiamo riscoperto nelle nostre radici una strada per il nostro futuro. E’ da qui che siamo ripartiti”. Oggi la cooperativa Kirikù compie un anno: “Siamo partiti investendo 1.500 euro a testa e tutte le nostre energie. La burocrazia è la cosa più estenuante da affrontare ma ce la stiamo mettendo tutta e per ora sembra che ce la stiamo facendo”. In effetti le soddisfazioni non mancano: “Facciamo doposcuola tutti i giorni, in estate organizziamo campi estivi, teniamo laboratori e letture animate, corsi di musica e teatro. E’ bellissimo poter fare delle proprie passioni il proprio lavoro”, racconta Federico. “Ora seguiamo circa 40 bambini – continua Stefania – ci relazioniamo con i genitori e le scuole, la collaborazione aumenta di giorno in giorno e anche con le varie istituzioni i rapporti sono ottimi. Il nostro metodo sembra trovare sempre più sostenitori… del resto basta osservare i bambini per capire che funziona!”. In cosa consiste il metodo Kirikù? “Un po’ di Maria Montessori, un po’ di Rudolph Steiner. Ma anche un po’ di Gianni Rodari, di Bruno Munari e di Gianfranco Zavalloni. Insomma, ci accostiamo al mondo dell’infanzia con rispetto e fiducia cercando di mettere in atto quella “pedagogia della lumaca” proposta da Zavalloni come modello per un nuovo cammino educativo basato sul rallentamento”, mi spiega Livia. “Come tutti loro anche noi crediamo che la libertà sia alla base dell’educazione del bambino – prosegue Veronica -. Libertà intesa come capacità di agire e relazionarsi nel rispetto di sé stessi e degli altri. Libertà conquistata tramite momenti di gioco guidato, di laboratori creativi, di attività libere supervisionate e di rilassamento a stretto contatto con la natura. Libertà che pone il bambino al centro dell’azione e gli permette di essere protagonista attivo e creativo dei percorsi suggeriti”. “L’anno scorso siamo stati ospitati per i nostri campi estivi negli spazi di Legambiente – aggiunge Livia – poter svolgere il nostro lavoro a contatto con la natura, in luoghi in cui si può interagire in libertà con l’ambiente e gli animali è un’esperienza meravigliosa, per noi e per i bambini”. “Nel futuro sogniamo di potere avere una nostra sede, di ampliare ulteriormente le nostre offerte e magari anche la stessa cooperativa – conclude Stefania – Chiunque avesse voglia di partecipare a questo percorso o di condividere con noi il proprio tempo e le proprie conoscenze è il benvenuto”.

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Qui la mappatura della scuola che cambia

Fonte: ilcambiamento.it