Radon? No grazie

Tra i rischi di cui negli anni si è parlato di più relativamente alla possibile insalubrità delle abitazioni c’è il gas radon, un gas radioattivo di origine naturale che può arrivare alle case dal suolo o da materiali da costruzione. Ecco tutti i suggerimenti pratici per neutralizzare questo pericolo.gasradon

E’ generato dal decadimento radioattivo del radio, è un gas incolore, inodore e insapore e i suoi atomi possono disintegrarsi a loro volta formando polonio, bismuto e piombo. I prodotti di decadimento si accumulano progressivamente negli spazi chiusi e durante la respirazione possono penetrare nei polmoni, depositarsi sul tessuto polmonare e irradiarlo, dando origine in alcuni casi ad un processo cancerogeno. La principale fonte di immissione di radon nell’ambiente è il suolo, insieme ad alcuni materiali di costruzione. Il settore specialistico di ARPAT, l’Agenzia per la Protezione Ambientale della Regione Toscana, ha prodotto una serie di schede informative sulle principali tecniche di mitigazione impiegate per ridurre la concentrazione di radon negli edifici esistenti, sempre che tale concentrazione sia risultata elevata rispetto al livello di riferimento. Nel caso del patrimonio edilizio esistente, gli interventi devono essere scelti caso per caso, considerando il livello di radon negli ambienti, l’efficacia dei sistemi di mitigazione, la loro fattibilità e accettabilità da parte degli occupanti, e infine i costi per la realizzazione degli stessi. Non di rado un intervento per essere risolutivo deve essere basato su più sistemi realizzati in successione o contemporaneamente, sia per conseguire una maggiore efficacia nella riduzione della concentrazione di radon, sia per ovviare a difficoltà indotte dalla scelte costruttive precedenti, che non consentono di impiegare un solo sistema per tutto l’edificio. I principi di funzionamento delle tecniche di mitigazione sono basati sulla riduzione dell’ingresso del radon dal suolo nell’edificio mediante diversi sistemi, utilizzati singolarmente o in combinazione. Quando non è previsto un intervento complessivo di ristrutturazione o ampliamento dell’edificio, ma lo scopo è solo di ridurre la concentrazione di radon, è opportuno procedere gradualmente, realizzando prima gli interventi che sono meno costosi e invasivi, per valutare se questi da soli possono essere risolutivi. I sistemi sono basati sulla sigillatura delle vie di accesso, sulla ventilazione naturale o forzata del vespaio ove esistente, oppure la depressurizzazione del suolo sotto l’edificio nel caso di fondazione a platea. Queste tecniche possono essere realizzate con diversi sistemi alternativi, ed è anche possibile utilizzare la ventilazione degli ambienti interni. La scelta del tipo di sistema dipende sia dalla concentrazione di radon e dal fattore di riduzione che si vuole ottenere, che dalla fattibilità tecnica e economica di un determinato tipo di intervento. Prima di procedere alla scelta, è pertanto necessario acquisire informazioni sull’edifico, i materiali da costruzione, il suolo e l’attacco a terra (vespaio o platea), gli impianti di ventilazione o climatizzazione, le canalizzazioni, l’eventuale presenza di sistemi di drenaggio dell’acqua sotto l’edificio. Negli edifici dove è presente un vespaio, la soluzione più semplice è aumentare la ventilazione naturale del vespaio, e se ciò non è sufficiente, installare un sistema di ventilazione forzata. Negli edifici con fondazione a platea, la tecnica più utilizzata è la depressurizzazione del suolo sotto l’edificio mediante l’installazione di un pozzetto radon sotto o vicino all’edificio, collegato ad un impianto di estrazione dell’aria. La sigillatura delle vie di accesso deve essere sempre realizzata, a prescindere dal tipo di intervento scelto, in quanto contribuisce a ridurre le infiltrazioni del gas all’interno. Altre tecniche di mitigazione, come la ventilazione degli ambienti interni e la pressurizzazione dell’edificio, oppure la pressurizzazione del suolo sotto l’edificio, sono stati impiegati meno frequentemente, e l’efficacia valutata su una casistica limitata.

Consulta e scarica le schede in Pdf che trovi allegate.

RADON: VENTILAZIONE

RADON: CANTINE

RADON: DEPRESSURIZZAZIONE

RADON: ESTRAZIONE ARIA

RADON: DRENAGGIO

RADON: CALORE

RADON: SIGILLATURA

RADON: INTERNI

RADON: EDIFICIO

RADON: POZZETTI

Fonte: ilcambiamento.it

 

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Hamburger artificiale: per gli assaggiatori è insapore

Che gusto ha. Com’è stato “coltivato”. Perché è stato creato l’hamburger sintetico 89936127-586x406

Cotto e mangiato in diretta televisiva, l’hamburger più famoso della Storia, quello creato in vitro partendo dalle cellule staminali di un manzo, pare non sappia di nulla o, al massimo, di seppia. Non di manzo. Questo, almeno, è quanto hanno dichiarato i suoi assaggiatori. Il piatto – viste le modalità di preparazione – è stato ribattezzato Frankenburger, omaggiando il lungagnone con le tempie bullonate partorito dalla fantasia di Mary Shelley. In studio erano presenti il padre dell’hamburger artificiale, il ricercatore olandese di Maastricht, Mark Post, e due critici culinari, l’americano Josh Schonwald e l’austriaca Hanni Ruetzler.  Pare che il risultato non sia stato troppo esaltante: i 140 grammi di carne sono risultati privi di grasso, dunque non invitanti come i loro omologhi tradizionali.

Si avvicina alla carne ma non cosi succulento. La consistenza è perfetta ma me l’aspettavo più soffice,

ha detto Ruetzler che ha riconosciuto come il prodotto vada migliorato sotto il profilo del gusto. Post ha spiegato come sia proprio il gusto l’aspetto più sofisticato e difficile da raggiungere: dalle cellule staminali di una mucca sono state sviluppate 20mila fibre di puro muscolo di manzo in soli tre mesi. Nell’impasto è stato aggiunto succo di barbabietola rossa e zafferano, più sale, uova in polvere e pane grattugiato. La ricerca è un investimento sul futuro. Non a caso il principale finanziatore è Sergey Brin di Google. In Cina la domanda di carne cresce a vista d’occhio e gli allevamenti di bestiame hanno un impatto estremamente pesante su clima e ambiente. Per ogni chilo di carne tradizionale sono necessari fra i 4 e i 10 chili di mangimi che richiedono acqua, fertilizzanti e pesticidi, un costo che diventerà insostenibile qualora i Paesi in via di sviluppo diventassero “carnivori” quanto l’Occidente. Il 30% della superficie terrestre coltivata è impiegata per ottenere mangimi per animali. La carne sintetica richiederebbe il 99% in meno di della terra utilizzata per alimentare il bestiame e tra l’82 e il 96% di acqua in meno, con una produzione di gas serra che subirebbe una riduzione fra il 78 e il 95%. Secondo uno studio dell’Università di Oxford l’allevamento di bestiame tradizionale produce più gas serra di tutto il sistema di trasporti mondiale. Secondo Post partendo dalle cellule staminali, ovverosia dalle cellule indistinte che potenzialmente possono trasformarsi in ogni tipo di tessuto, si può ottenere un quantitativo di carne milioni di volte superiore a quello di un singolo capo di bestiame.

Fonte:  Agi