Il ricatto occupazionale di Fiat e degli inquinatori contro qualsiasi provvedimento di difesa ambientale

Si rivela il fronte del NO ai ventilati provvedimenti di tassazione delle auto più inquinanti. E non si tratta solo dei produttori di automobili… ma anche dei sindacati.

La storia recente è una lunga sequela di aggressioni e all’ambiente e alle persone da parte di industrie, multinazionali e imprenditori senza scrupoli che pur di mantenere i loro privilegi e aumentare a dismisura i loro profitti, ricattano e tengono sotto scacco società e politica. Ai grandi inquinatori si sono aggiunti i sindacati, che ovviamente devono difendere i loro posti di lavori e i loro stipendi; quindi, visto che le vittime sono l’ambiente e la salute delle persone, poco interessa a loro e sono diventati gli alleati d’acciaio di quelli che una volta chiamavano i padroni ed erano la controparte.

Alle timide proposte da parte del Movimento 5 Stelle di tassare le auto più inquinanti, subito è arrivata una levata di scudi da tutto il settore progressista compatto: sindacati, partiti politici, dalla Lega al PD, che lavorano alacremente per la distruzione ambientale e ovviamente gli industriali, che si sentono colpiti da eventuali provvedimenti.  Il fronte del progresso è pure riuscito a gridare all’attacco del Made in Italy visto che tra le automobili più colpite ci sarebbero le Fiat (Fiat che di italiano ormai ha ben poco). Invece di dire alla Fiat di adeguarsi a parametri più ambientali, di produrre macchine meno inquinanti, ci si schiera a sua difesa. Ambiente e salute dei cittadini mica sono così importanti come gli yacht dei dirigenti della Fiat; loro devono assolutamente continuare a comprarseli, a flotte, senza scocciature di sorta.

E così la Fiat si è espressa duramente contro eventuali provvedimenti  del governo in materia ambientale sulle automobili, minacciando addirittura la revisione dei prossimi investimenti in Italia. Invece di dire “Bene, ci adegueremo senz’altro poichè l’ambiente e la salute delle persone sono per noi fondamentali”  (così come recitano nelle loro pubblicità riempite di ogni possibile falsità), ricattano immediatamente. In un contesto di fantascienza, il governo gli potrebbe rispondere: “Non vi volete adeguare? Date un pessimo esempio agli italiani e a tanti vostri clienti, confermando che dell’ambiente non vi interessa nulla. Non volete investire in Italia? Non importa, la mobilità del futuro ha bisogno di aziende e persone lungimiranti, pronte a capire il cambio di paradigma, quindi i dinosauri possono starsene a casa. Ci saranno di sicuro altre ditte che prenderanno il vostro posto con automezzi meno inquinanti o con sistemi di mobilità più efficienti e assumeranno le eventuali persone che saranno lasciate a casa da voi che di certo non ci farete una bella figura”.

Smettendo di fantasticare e tornando alla realtà, davvero la Fiat dovrebbe essere lasciata al suo destino preistorico. Parliamo di un’azienda che continua a puntare su carri armati con le ruote che girano in città dove non si riesce a parcheggiare nemmeno un monopattino. Un’azienda che speriamo paghi con una crisi irreversibile la sua proverbiale stupidità, cecità e arroganza. E non si dica “poveri lavoratori”, perché nel settore ambientale, energetico e della mobilità del futuro potrebbero lavorare moltissime persone in più dello stitico settore automobilistico tradizionale, così come dettagliatamente descritto nelle pagine di questo giornale in decine di articoli. Ma di solito in grandi inquinatori rispondono che loro una politica per l’ambiente ce l’hanno. Normalmente aderiscono a qualche blandissimo programma  studiato apposta da strateghi del business e offerto su di un piatto d’argento da sedicenti gruppi, aziende o associazioni ambientaliste che si inventano di piantare degli alberelli a compensare qualche grammo di CO2 e offrire il tutto a uso e consumo di chi vuole darsi la tipica riverniciatina verde. E così l’azienda inquinatrice mette il bollino e diventa amica dell’ambiente con tanto di foto, diploma e stretta di mano. L’associazione, gruppo, ditta sedicente ambientalista intasca molti soldi e si sente anche paladina dell’ambiente. Il risultato è che gli inquinatori continuano ovviamente a fare quello che facevano prima se non peggio, forti della copertura del bollino e gli uomini d’affari vestiti da ambientalisti fanno tanti soldi, scrivono libri e tengono conferenze pagate a peso d’oro su come è bello e giusto difendere l’ambiente e diventare straricchi allo stesso tempo (con i soldi degli inquinatori, ovviamente). L’ambiente e la nostra salute non hanno più bisogno né dei grandi inquinatori con tutti i loro servitori e nemmeno di chi gli fornisce sempre l’auto lavaggio verde.  Non è più possibile accettare queste forme di presa in giro ai nostri danni.

Fonte: http://www.ilcambiamento.it/articoli/il-ricatto-occupazionale-di-fiat-e-degli-inquinatori-contro-qualsiasi-provvedimento-di-difesa-ambientale?idn=27&idx=29812&idlink=5

Diritti umani e clima: multinazionali del carbone sul banco degli imputati

Si apre domani la prima inchiesta che potrebbe arrivare a portare sul banco degli imputati le maggiori compagnie dei combustibili fossili, che sono tra i principali responsabili dei cambiamenti climatici e degli eventi meteorologici estremi.

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La Commissione per i diritti umani delle Filippine ha annunciato che domani 10 dicembre (Giornata mondiale per i diritti umani) aprirà un’inchiesta che potrebbe mettere sul banco degli imputati i grandi inquinatori. Tra le cinquanta compagnie sotto inchiesta compaiono le italiane Eni ed Italcementi, insieme ad  ExxonMobil, BP, Shell e Chevron. Fanno tutte parte delle novanta realtà considerate responsabili della maggior parte delle emissioni di CO2 e di metano, come ha mostrato la ricerca “Carbon Majors”, pubblicata nel 2014 dopo aver superato il vaglio della peer review.

QUI il testo integrale del rapporto.

Proprio a poche ore dalla conclusione del summit sul clima di Parigi, parte dunque un’indagine che potrebbe portare alla ribalta delle cronache internazionali sviluppi non ancora del tutto immaginabili. La Commissione per i diritti umani delle Filippine ha aperto l’inchiesta in seguito ad una petizione promossa da Greenpeace insieme ad altre 14 organizzazioni che ha raccolto oltre centomila firme. Tra i sottoscrittori della petizione ci sono i sopravvissuti al tifone Haiyan nel 2013 che ha ucciso 6.300 persone nelle sole Filippine producendo 13 miliardi di dollari di danni. «L’iniziativa rappresenta un punto di svolta nella lotta contro i cambiamenti climatici» ha affermato Kumi Naidoo, direttore esecutivo di Greenpeace International. «Si apre un nuovo filone nella battaglia contro le compagnie dei combustibili fossili, responsabili dei disastri causati dal riscaldamento globale. Ci auguriamo che altre commissioni per i diritti umani in tutto il mondo intraprendano inchieste analoghe». Le Filippine, un insieme di isole nel Pacifico meridionale, sono particolarmente vulnerabili all’impatto dell’innalzamento del livello dei mari e agli eventi meteorologici estremi causati dall’aumento dei gas serra. E proprio per questo la Commissione ha deciso di procedere nella direzione dell’inchiesta. Malgrado la evidente emergenza legata all’utilizzo dei combustibili fossili e all’altissimo rischio cui sono esposte le isole del Pacifico, il governo filippino  ha approvato di recente oltre 50 centrali a carbone che saranno costruite nel paese nei prossimi anni e che, evidentemente, rappresentano la risposta dell’esecutivo alla domanda di approvvigionamento energetico. Considerando che una centrale a carbone ha una vita media di 40-45 anni, ciò significa che le Filippine continueranno sicuramente a immettere nell’atmosfera i residui della combustione del carbone mentre il mondo sta “discutendo” su come superare l’utilizzo delle fonti energetiche più inquinanti.

Fonte: ilcambiamento.it

 

Dossier Legambiente Ecomafie 2015: corrotti e inquinatori, un business da 22 miliardi l’anno

Nel Sud Italia gli illeciti, nel Nord la corruzione: la fotografia di Legambiente di un Paese inquinato, corrotto ed inquinatore. E’ stato pubblicato ieri il rapporto Ecomafia 2015 di Legambiente, relativo ai dati raccolto nel corso dell’anno 2014 in Italia; realizzato col contributo di Cobat, ed edito dalla casa editrice Marotta e Cafiero, il rapporto di quest’anno si apre con una notizia positiva che fa da buon auspicio per il futuro prossimo: l’approvazione della legge n. 68 del 22 maggio 2015, la cosiddetta Legge Ecoreati, e che ha introdotto i delitti contro l’ambiente nel Codice Penale. Il rapporto Ecomafia 2015 disegna un quadro generale peggiorativo rispetto all’Italia fotografata nel 2013: lo scorso anno infatti il business dell’ecomafia è ulteriormente cresciuto: un business che, scrive Legambiente, si attesta attorno ad un valore di 22 miliardi di euro, 29.293 reati accertati. Il rapporto indica come siano aumentate le infrazioni nel settore dei rifiuti (+26%) e del cemento (+4,3) alimentate dal fenomeno della corruzione. Secondo il rapporto si può tranquillamente parlare di “un boom” di infrazioni accertate nel ciclo dei rifiuti, che superano la soglia delle 7mila, per la precisione 7.244, quasi 20 al giorno. Alto è stato anche il numero di inchieste di traffico organizzato di rifiuti (art. 260 Dlgs 152/2006), ben 35 nel 2014, facendo salire il bilancio a 285 a partire dal 2002. Secondo l’associazione ambientalista si parla di circa reati 80 al giorno, poco meno di 4 ogni ora, per un fatturato criminale che è cresciuto di 7 miliardi rispetto all’anno precedente raggiungendo la ragguardevole cifra di 22 miliardi, cui ha contribuito in maniera eclatante il settore dell’agroalimentare, con un fatturato che ha superato i 4,3 miliardi di euro: l’approvazione del ddl sugli ecoreati è quindi un passo importante ma non può essere l’unico necessario a ridurre il  business criminale a danno di salute e ambiente, oltre che della legalità. In particolare i traffici di rifiuti corrono anche lungo le rotte internazionali dove a farla da padrone sono i materiali di scarto destinati illegalmente al riciclo o a un approssimativo recupero energetico: rottami di auto e veicoli soprattutto (38%) per il recupero dei materiali ferrosi, scarti di gomma e/o pneumatici (17,8%), e poi metalli, plastica, Raee e tessili.001

Così la stessa associazione ambientalista nella presentazione del rapporto:

“Cresce l’incidenza criminale nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Puglia, Sicilia, Campania e Calabria), dove si è registrato più della metà del numero complessivo di infrazioni (ben 14.736), con 12.732 denunce, 71 arresti e 5.127 sequestri. Si registra un calo dei reati in Campania (-21% circa), dovuto forse ai tanti riflettori accesi di recente sulla regione, e un aumento degli illeciti in Puglia, col 15,4% dei reati accertati (4.499), 4.159 denunce e 5 arresti. Numeri dovuti al capillare lavoro di monitoraggio e controllo svolto in tutta la regione dalle forze dell’ordine (in particolare da Carabinieri, Guardia di finanza e Corpo forestale dello Stato), coordinate operativamente da diversi anni grazie a un Accordo quadro promosso e finanziato dalla Regione Puglia. Crescono i reati nel ciclo dei rifiuti (+ 26%) e le inchieste sul traffico organizzato di rifiuti (art.260 Dlgs 152/2006), che arrivano addirittura a 35. Aumentano anche gli illeciti nel ciclo del cemento: 5.750 reati (+4,3%), realizzati soprattutto in Campania e poi in Calabria, Puglia e Lazio.”schermata-2015-07-01-alle-11-22-56

Secondo quanto afferma Raffaele Cantone, Presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, intervistato nel rapporto da Toni Mira “Gli appalti pubblici nel settore dell’ambiente sono tra quelli più esposti alla corruzione e alla criminalità organizzata”: sono ben 233 le inchieste ecocriminali in cui la corruzione ha svolto un ruolo cruciale: la Lombardia è la prima regione dove il fenomeno corruttivo si è maggiormente diffuso (31 indagini penali), seguita subito dopo dalla Sicilia (28 inchieste), la Campania (27), il Lazio (26) e la Calabria (22). Dal Mose di Venezia ad alcuni cantieri dell’Alta velocità, dai Grandi eventi alle ricostruzioni post terremoto, dalla gestione dei rifiuti all’enogastronomia e alle rinnovabili, il fenomeno è purtroppo nazionale.

Fonte: ecoblog.it