Mal’Aria edizione speciale: le città peggiori sono Torino, Roma, Palermo, Milano e Como

Nuovi dati raccolti da Legambiente nel report Mal’aria edizione speciale, in cui l’associazione stila una “pagella” sulla qualità dell’aria di 97 città italiane sulla base degli ultimi 5 anni – dal 2014 al 2018. Giorgio Zampetti: “Serve una politica diversa che non pensi solo ai blocchi del traffico e sporadiche misure”

Che aria si respira nelle città italiane e che rischi ci sono per la salute? Di certo non tira una buona aria e con l’autunno alle porte, unito alla difficile ripartenza dopo il lockdown in tempo di Covid, il problema dell’inquinamento atmosferico e dell’allarme smog rimangono un tema centrale da affrontare. A dimostrarlo sono i nuovi dati raccolti da Legambiente nel report Mal’aria edizione speciale nel quale l’associazione ambientalista ha stilato una “pagella” sulla qualità dell’aria di 97 città italiane sulla base degli ultimi 5 anni – dal 2014 al 2018 – confrontando le concentrazioni medie annue delle polveri sottili (Pm10, Pm2,5) e del biossido di azoto (NO2) con i rispettivi limiti medi annui suggeriti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): 20µg/mc per il Pm10; 10 µg/mc per il Pm2,5; 40 µg/mc per il NO2. Limiti quelli della OMS che hanno come target esclusivamente la salute delle persone e che sono di gran lunga più stringenti rispetto a quelli della legislazione europea (limite medio annuo 50 µg/mc per il Pm10, 25 µg/mc per il Pm2,5 e 40 µg/mc per il NO2) e il quadro che emerge dal confronto realizzato da Legambiente è preoccupante: solo il 15% delle città analizzate ha la sufficienza contro l’85% sotto la sufficienza. Delle 97 città di cui si hanno dati su tutto il quinquennio analizzato (2014 – 2018) solo l’15% (ossia 15) raggiungono un voto superiore alla sufficienza: Sassari (voto 9), Macerata (8), Enna, Campobasso, Catanzaro, Grosseto, Nuoro, Verbania e Viterbo (7), L’Aquila, Aosta, Belluno, Bolzano, Gorizia e Trapani (6). Sassari prima della classe con voto 9 in quanto dal 2014 al 2018 ha sempre rispettato i limiti previsti dall’OMS per le polveri sottili (Pm10 e Pm2,5) e per il biossido di azoto (NO2) ad eccezione degli ultimi 2 anni in cui solo per il Pm10 il valore medio annuo è stato di poco superiore al limite OMS; analoghe considerazioni con Macerata (voto 8), in quanto pur avendo sempre rispettato nei 5 anni i limiti, per il Pm2,5 non ci sono dati a supporto per gli anni 2014, 2015 e 2016 che quindi la penalizzano. Le altre città sopra la sufficienza, pur avendo spesso rispettato i limiti suggeriti dall’OMS mancano di alcuni dati in alcuni anni, a dimostrazione che per tutelare la salute dei cittadini bisognerebbe comunque garantire il monitoraggio ufficiale in tutte le città di tutti quegli inquinanti previsti dalla normativa e potenzialmente dannosi per la salute.

La maggior parte delle città – l’85% del totale – sono sotto la sufficienza e scontano il mancato rispetto negli anni soprattutto del limite suggerito per il Pm2,5 e in molti casi anche per il Pm10. Fanalini di coda le città di Torino, Roma, Palermo, Milano e Como (voto 0) perché nei cinque anni considerati non hanno mai rispettato nemmeno per uno solo dei parametri il limite di tutela della salute previsto dall’OMS. Dati che Legambiente lancia oggi alla vigilia del 1 ottobre, data in cui prenderanno il via le misure e le limitazioni antismog previste dall’«Accordo di bacino padano» in diversi territori del Paese per cercare di ridurre l’inquinamento atmosferico, una piaga dei nostri tempi al pari della pandemia e che ogni anno, solo per l’Italia, causa 60mila morti premature e ingenti costi sanitari. Il Paese detiene insieme alla Germania il triste primato a livello europeo. Per questo con Mal’aria edizione speciale Legambiente chiede anche al Governo e alle Regioni più coraggio e impegno sul fronte delle politiche e delle misure da mettere in campo per avere dei risultati di medio e lungo periodo. Un coraggio che per Legambiente è mancato alle quattro regioni dell’area padana (Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto) che, ad esempio, hanno preferito rimandare all’anno nuovo il blocco alla circolazione dei mezzi più vecchi e inquinanti Euro4 che sarebbe dovuto scattare questo 1 ottobre nelle città sopra i 30 mila abitanti. Una mancanza di coraggio basata sulla scusa della sicurezza degli spostamenti con i mezzi privati e non pubblici in tempi di Covid, o sulla base della compensazione delle emissioni inquinanti grazie alla strutturazione dello smart working per i dipendenti pubblici.

“Per tutelare la salute delle persone – dichiara Giorgio Zampetti, Direttore Generale di Legambiente – bisogna avere coraggio e coerenza definendo le priorità da affrontare e finanziare. Le città sono al centro di questa sfida, servono interventi infrastrutturali da mettere in campo per aumentare la qualità della vita di milioni di pendolari e migliorare la qualità dell’aria, puntando sempre di più su una mobilità sostenibile e dando un’alternativa al trasporto privato. Inoltre serve una politica diversa che non pensi solo ai blocchi del traffico e alle deboli e sporadiche misure anti-smog che sono solo interventi palliativi. Il governo italiano, grazie al Recovery Fund, ha un’occasione irripetibile per modernizzare davvero il Paese, scegliendo la strada della lotta alla crisi climatica e della riconversione ecologica dell’economia italiana. Non perda questa importante occasione e riparta dalle città incentivando l’utilizzo dei mezzi pubblici, potenziando la rete dello sharing mobility e raddoppiando le piste ciclopedonali. Siamo convinti, infatti, che la mobilità elettrica, condivisa, ciclopedonale e multimodale sia l’unica vera e concreta possibilità per tornare a muoverci più liberi e sicuri dopo la crisi Covid-19, senza trascurare il rilancio economico del Paese”.

“L’inquinamento atmosferico nelle città – aggiunge Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente –  è un fenomeno complesso poiché dipende da diversi fattori: dalle concentrazioni degli inquinanti analizzati alle condizioni meteo climatiche, passando per le caratteristiche urbane, industriali e agricole che caratterizzano ogni singola città e il suo hinterland. Nonostante le procedure di infrazione a carico del nostro Paese, nonostante gli accordi che negli anni sono stati stipulati tra le Regioni e il Ministero dell’Ambiente per ridurre l’inquinamento atmosferico a cominciare dall’area padana, nonostante le risorse destinate in passato e che arriveranno nei prossimi mesi/anni con il Recovery fund, in Italia manca ancora la convinzione di trasformare concretamente il problema in una opportunità. Opportunità che prevede inevitabilmente dei sacrifici e dei cambi di abitudini da parte dei cittadini, ma che potrebbero restituire città più vivibili, efficienti, salutari e a misura di uomo”.

Focus Mal’aria: Tornando ai dati del report Mal’aria edizione straordinariai giudizi che ne seguono per le 97 città analizzate sono il frutto quindi del “rispetto” o “mancato rispetto” del limite previsto per ciascun parametro (inteso come concentrazione media annuale) rispetto a quanto suggerito dall’OMS per ogni anno analizzato. Tra gli altri dati che emergono: per le polveri sottili la stragrande maggioranza delle città abbia difficoltà a rispettare i valori limite per la salute: infatti per il Pm10 mediamente solo il 20% delle 97 città analizzate nei cinque anni ha avuto una concentrazione media annua inferiore a quanto suggerito dall’OMSpercentuale che scende drasticamente al 6% per il Pm2,5 ovvero le frazioni ancora più fini e maggiormente pericolose per la facilità con le quali possono essere inalate dagli apparati respiratori delle persone. Più elevata la percentuale delle città (86%) che è riuscita a rispettare il limite previsto dall’OMS[1] per il biossido di azoto (NO2). Il non rispetto dei limiti normativi imposti comporta l’apertura da parte dell’Unione europea di procedure di infrazione a carico degli Stati membri con delle conseguenze economiche per gli stessi.

Focus auto: Nel report Legambiente, inoltre, dedica un focus sulle auto come fonte principale di inquinamento in città e ricorda che le emissioni fuorilegge delle auto diesel continuano a causare un aumento della mortalità, come è emerso anche da un recente studio condotto da un consorzio italiano che comprende consulenti (Arianet, modellistica), medici ed epidemiologi (ISDE Italia, Medici per l’Ambiente) e Legambiente, nonché la piattaforma MobileReporter. Lo studio in questione stima per la prima volta in assoluto la quota di inquinamento a Milano imputabile alle emissioni delle auto dieselche superano, nell’uso reale, i limiti fissati nelle prove di laboratorio alla commercializzazione.  Se tutti i veicoli diesel a Milano emettessero non più di quanto previsto dalle norme nell’uso reale, l’inquinamento da NO2 (media annuale) rientrerebbe nei limiti di qualità dell’aria europei (già nel 2018). Invece il mancato rispetto ha portato alla stima di 568 decessi in più per la sola città di Milano, a causa dell’esposizione “fuorilegge” agli NO2 per un solo anno. Quindi per Legambiente si dovrebbero bloccare tutti i veicoli diesel troppo inquinanti, persino gli euro6C venduti sino ad agosto 2019. Lo studio si inquadra nella più ampia iniziativa transfrontaliera sull’inquinamento del traffico urbano Clean Air For Health (https://cleanair4health.eu/), progetto lanciato dall’Associazione europea sulla salute pubblica (EPHA) che coinvolge healthcare partner in diversi Stati Membri.

Proposte: Per aggredire davvero l’inquinamento atmosferico e affrontare in maniera concreta il tema della sfida climatica, servono misure preventive, efficaci, strutturate e durature. Tutto quello che non sta avvenendo in Italia. Per questo Legambiente torna a ribadire l’urgenza di puntare su una mobilità urbana sempre più condivisa e sostenibile, di potenziare lo sharing mobility e raddoppiare i chilometri delle piste ciclabili, un intervento, quest’ultimo, già previsto nei PUMS, i Piani urbani per la mobilità sostenibile, che i Comuni devono mettere in campo al più presto. Legambiente ricorda che la Legge di Bilancio 2019, che ha visto stanziare i primi bonus destinati ai veicoli elettrici (auto e moto), ha permesso di sperimentare la micromobilità elettrica, mentre con la Legge di Bilancio 2020 è stato possibile equiparare i monopattini con la ciclabilità urbana a cui si è aggiunto il bonus mobilità senz’auto. Tutte misure convergenti e allineate che sono proseguite, anche in tempo emergenziale attraverso i “decreti Covid-19”, con la definizione di nuovi percorsi ciclabili urbani, la precedenza per le bici e le cosiddette “stazioni avanzate”.

Fonte: Legambiente

La città del futuro o sarà in salute o non sarà

Prendendo spunto dai segnali lanciati dalla pandemia e dal conseguente lockdown, Paolo Piacentini riflette sui possibili modelli di città del futuro. La necessità è riappropriarsi degli spazi togliendoli al cemento e alle auto, non solo per abbattere i livelli mortali di inquinamento, ma anche per offrire alle persone nuovi luoghi di socialità.

 “L’emergenza di agenti patogeni zoonotici è correlata al deterioramento dell’ambiente e alle interazioni tra uomo e animali nel sistema alimentare”. È l’Agenzia Europea per l’Ambiente a dirlo. Che facciamo dunque? Le diamo credito o no? È arrivata l’ora di smettere di mettere la testa sotto il cuscino e continuare a far finta di nulla. Non si muore di solo covid, anzi, si muore soprattutto di inquinamento in un ambiente insalubre dove, per di più, il virus ha maggiori possibilità di sviluppo e diffusione. Non è certo la prima volta che l’Agenzia Europea per l’Ambiente ci fornisce questi dati, ma non c’è nulla da fare, le priorità sembrano essere sempre altre.

È dimostrato che gli spazi verdi in città aiutano a mitigare le temperature e ad abbattere gli inquinanti. È dimostrato che le città senz’auto sono più salubri, ma la salute di un agglomerato urbano si costruisce creando una condizione di benessere diffuso che va dalle periferie più degradate fino al centro. Il compito più nobile della politica, oggi più che mai, dovrebbe essere quello di costruire benessere psico-fisico e sociale, attento anche alle persone e alla comunità. Una città che vive la salute come dimensione pubblica vede i cittadini partecipi nella cura quotidiana degli spazi collettivi che le istituzioni devono impegnarsi a riconsegnare come bene comune.

Spazi collettivi generatori di salute urbana sono i giardini, i parchi, gli spazi ciclabili. Deve essere garantita la fruizione pedonale dei luoghi, la prossimità dei servizi alla persona. Una città che si libera dal dominio dell’auto privata, che si fa prossima alle persone, che riorganizza e amplifica gli spazi verdi è una città che costruisce la sua salubrità. Una città solidale è una città che non crea distanze sociali ma che cresce in una nuova dimensione comunitaria legata a uno stato di benessere che non esclude la malattia, ma la confina nell’ineluttabile finitezza e fragilità della condizione umana.

Una città in salute è anche quella che rimette al centro lo spazio pubblico e costringe in un angolo una finta rigenerazione urbana padroneggiata dalla speculazione privata. Quello che sta accadendo a Roma in questi giorni, con l’ennesimo minacciato sfratto a Scup Sportculturapopolare, rientra in un modello economico che intacca la salute pubblica. Un centro sociale che diventa punto di riferimento per un intero quartiere, che organizza spazi di socialità popolare, che porta in città cibo pulito e a chilometro zero, che assiste persone disabili, determina benessere diffuso.

La salute, come ci ricorda l’OMS, è uno stato di benessere psico-fisico generale che va dalla persona alla comunità. Se la politica decide di sposare un patto per la salute tra istituzioni e cittadini, l’atto che ne consegue è la costruzione di un nuovo modello di città in cui lo spazio pubblico diffuso viene rimesso al centro.

La città delle persone e per le persone dovrebbe essere la grande rivoluzione del futuro. Bisogna avere tanto coraggio per contrastare un potere economico e finanziario che va in direzione opposta, ma che con il covid ha mostrato – a chi ha occhi per vedere – le sue enormi contraddizioni. Questa è la grande sfida di cui mi sento parte con passione, tutto il resto rischia di essere noia e le città moriranno.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/09/citta-del-futuro-in-salute/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Cambiamo aria! Nelle nostre case respiriamo troppi inquinanti

Siamo al paradosso, lo spiegano anche l’Inail e la Società Italiana di Medicina Ambientale. Nelle nostre case sono presenti inquinanti in quantità tali da rendere, complice la scarsa ventilazione, l’aria indoor addirittura più inquinata di quella esterna. Ma qualche accorgimento si può adottare per attenuare il problema.9946-10738

Nelle nostre abitazioni la presenza di fonti inquinanti e di una scarsa ventilazione degli ambienti interni può portare a un inquinamento indoor a volte addirittura superiore a quello esterno. Lo affermano, per esempio, anche l’Inail e la Sima (Società Italiana di Mecicina Ambientale), che incoraggiano a evitare determinate sostanze chimiche di sintesi per attenuare l’emergenza. La Sima ha formulato anche un decalogo di buone pratiche che potete scaricare qui.

L’aria interna è fondamentalmente la stessa di quella esterna, ma cambiano quantità e tipi di contaminanti. I principali inquinanti dell’aria indoor, agenti chimico-fisici (gas di combustione, particolato atmosferico aerodisperso, composti organici volatili COV, idrocarburi policiclici aromatici, fumo passivo da combustione di tabacco, radon) e biologici (batteri, virus, pollini, acari, residui biologici e composti allergenici) hanno effetti sul sistema respiratorio, provocano allergie e asma, disturbi a livello del sistema immunitario. Hanno inoltre effetti nocivi sul sistema cardiovascolare e sul sistema nervoso oltre che su cute e mucose esposte. Gli agenti biologici inquinanti negli spazi indoor sono molto eterogenei e comprendono pollini e spore delle piante, batteri, funghi, alghe e alcuni protozoi. La loro presenza è ricollegabile a un eccesso di umidità e ad una ventilazione inadeguata che causa la concentrazione degli inquinanti, sia chimici sia biologici, e permette di controllare la temperatura e l’umidità all’interno degli edifici. Infatti, sono numerosi gli studi che hanno individuato una relazione tra la ventilazione delle case e le condizioni di salute delle persone che le abitano.

L’aria indoor può inoltre essere in generale più inquinata rispetto all’aria ambiente perché gli inquinanti esterni vengono intrappolati e si accumulano, oltre che per la presenza di inquinanti propri delle abitazioni. Inoltre, le varie attività umane (cottura dei cibi, pulizia della casa, ecc.) contribuiscono alle emissioni di ulteriori inquinanti.

La qualità dell’aria negli ambienti interni diventa quindi cruciale per la salute e il benessere soprattutto nei Paesi sviluppati. Si calcola che ogni persona trascorra tra l’80 e il 90% della propria giornata all’interno di edifici, respirando circa 22.000 volte.

Ma vediamo insieme, in particolare, cosa sono i COV, un gruppo di sostanze capaci di evaporare a temperatura ambiente e di provocare effetti sulla salute sia acuti (a breve termine) che cronici (a lungo termine), tra cui le più note sono gli idrocarburi (benzene e derivati, toluene, o-xilene, stirene, cloroformio, diclorometano, clorobenzeni, ecc…), i terpeni, gli alcoli (etanolo, propanolo, butanolo e derivati), i chetoni, le aldeidi (in cui rientra la formaldeide, indicata come la principale causa di una scadente o cattiva qualità dell’aria e classificata dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro nel gruppo 1 dei cancerogeni, cioè nei cancerogeni certi per l’uomo per inalazione).
Le principali fonti di emissione dei COV sono:

– materiali da costruzione (es. pitture, impregnanti, cere, colle e adesivi, tessuti e tappezzerie, ecc…);
– prodotti per la pulizia della casa e l’igiene personale (es. profumatori per ambiente, detergenti per stoviglie, anti-tarme, alcuni deodoranti e cosmetici, ecc…);

– emissioni industriali e da automobili;

– eccetera.

Limitare l’esposizione ai COV in casa si può:

> controllando le fonti: è bene limitare i prodotti o i materiali che li contengono, scegliendo alternative più sostenibili, sia per l’uomo che per l’ambiente;

> ventilando i locali sia durante sia dopo l’uso di prodotti che li contengono;

> rimuovendo dalla casa i prodotti non utilizzati e riponendo quelli ancora utilizzabili in un luogo ben areato e lontano dalla portata di bambini;

> evitando l’uso di deodoranti e/o profumatori per la casa;

> riducendo l’uso dei pesticidi;

> acquistando solo i prodotti strettamente necessari e limitando al minimo l’uso di prodotti con benzene e cloruro di metilene (prodotti per la verniciatura e lo stoccaggio di prodotti combustibili, sverniciatori, prodotti per la rimozioni di adesivi e vernici spray) e percloroetilene (utilizzata nel lavaggio a secco, si raccomanda di ventilare gli abiti prima di riporli negli armadi).

Per chi volesse approfondire, buona ulteriore lettura!inail1

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Fonte: ilcambiamento.it

Gli inquinanti nelle acque di Milano potrebbero arrivare alla falda profonda. Lo studio del Mario Negri

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La ricerca ha osservato che i depuratori non trattengono numerose sostanze chimiche che dagli scarichi industriali, zootecnici o umani finiscono nell’acqua del capoluogo lombardo. “Si rischia in futuro anche l’interessamento della falda profonda, con possibili effetti sulla qualità dell’acqua potabile e sulla salute umana”

Uno studio condotto dall’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri in collaborazione con il Servizio Idrico di MM (ex Metropolitana Milanese e finanziato da Fondazione Cariplo, ha valutato l’inquinamento dei cosiddetti nuovi inquinanti (comprendenti farmaci, droghe, disinfettanti, prodotti chimici per la cura della persona, sostanze perfluorurate e plastificanti, oltre a caffeina e nicotina) nel sistema acquifero della grande area urbana milanese e della loro distribuzione nel corso di 5 anni. Le acque dei fiumi che percorrono l’area Milanese, le acque fognarie prodotte dalla città di Milano e le acque delle falde da cui si estraggono le acque potabili, sono state analizzate per verificare la presenza di circa 80 sostanze. Le analisi dei fiumi in ingresso e in uscita dalla città, l’Olona, il Seveso e il Lambro, hanno mostrato che Milano scarica ogni giorno nei fiumi circa 6.5 kg di farmaci, 1,3 kg di disinfettanti e di sostanze chimiche utilizzate per la cura della persona, 200 g di sostanze perfluorurate, 600 g di plastificanti e 400 g di droghe di abuso, oltre a circa 13 kg di nicotina e caffeina. Il che, ad esempio, significa circa 2,5 tonnellate all’anno di farmaci, quasi mezza tonnellata di prodotti chimici per la cura della persona, 1,6 quintali di droghe d’abuso. Secondo Sara Castiglioni, che dirige l’Unità di biomarkers ambientali dell’Istituto Mario Negri: “Tutte queste sostanze vengono utilizzate quotidianamente in quantità elevate e possono essere immesse nell’ambiente tramite gli scarichi urbani. Parte del carico di inquinanti deriva dai depuratori che ricevono le acque fognarie prodotte dalla città di Milano contenti inquinanti in notevoli quantitativi. I depuratori contribuiscono a ripulirli prima del loro scarico nell’ambiente ma solo parzialmente e molti inquinanti, in particolare i farmaci, le droghe e i prodotti chimici utilizzati per la cura della persona permangono nelle acque trattate e sono riversati in canali e fiumi con ripercussioni sugli ecosistemi. A ciò si aggiungono anche altre fonti di inquinamento, tra cui gli scarichi diretti delle attività zootecniche ed industriali.
“La contaminazione dei fiumi – spiega Ettore Zuccato, Capo Laboratorio di Tossicologia Alimentare,- impatta sull’ambiente ma anche sull’uomo, dato che l’inquinamento dei fiumi è correlato a quello delle falde acquifere. Fortunatamente al momento il trasporto di inquinanti sembra riguardare più la falda superficiale e meno la profonda, da cui si ottiene l’acqua per il consumo umano e quindi ad oggi la qualità dell’acqua può definirsi buona. Si rischia però in futuro anche l’interessamento della falda profonda, con possibili effetti sulla qualità dell’acqua potabile e sulla salute umana. Al momento i dati mostrano che non ci siano rischi associati a queste sostanze ed è con un monitoraggio continuo che sarà possibile garantire la qualità della nostra acqua. Tra gli interventi possibili vi è la regolamentazione degli scarichi in ambiente, migliorando le capacità di rimozione dei depuratori e controllando gli scarichi diretti, ma anche sensibilizzando i consumatori a una maggior attenzione per utilizzo e smaltimento di farmaci e di altri prodotti chimici che possono inquinare l’ambiente”.
“Questi studi – aggiunge Enrico Davoli, alla guida del Laboratorio di Spettrometria di Massa, Dipartimento Ambiente e Salute, dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri – sono importanti poiché misurano quanto le reti acquifere delle grandi città, delle ‘regioni urbane’, siano vulnerabili e come sia importante la conoscenza del loro stato di salute per tutti i processi di pianificazione del territorio e delle risorse disponibili e per programmare interventi”.
I risultati dello studio sono disponibili on-line:
(https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0043135417310424),
e saranno pubblicati su Water Research, Volume 131, 15 marzo 2018, pag. 287–298.

Fonte: ecodallecitta.it

Un tessuto nanotech contro l’inquinamento

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Si chiama The Breath il tessuto multistrato che sfrutta le nanotecnologie per catturare gli inquinanti presenti nell’atmosfera. Questa tecnologia può essere utilizzata per purificare l’atmosfera, il tutto a impatto zero, senza consumare energia, ma soltanto sfruttando il naturale riciclo dell’aria. Il tessuto può essere utilizzato per produrre pannelli pubblicitari anti-smog oppure supporti informativi per gli edifici pubblici, pannelli didattici o divisori in ufficio.

Realizzata dalla start up pavese Anemotech che l’ha brevettata, questa innovativa tecnologia di purificazione dell’aria verrà introdotta sul mercato nella seconda metà del 2016 ed è già stata testata allo Stadio di San Siro e a Expo 2015.

The Breath, come spiega Gianmarco Cammi, direttore operativo di Anemotech e co-inventore del tessuto, è “composto da due strati esterni in tessuto idrorepellente con proprietà battericide, antimuffa e antiodore e uno strato intermedio in fibra adsorbente carbonica addittivata da nanomolecole, capace di separare, trattenere e disgregare le microparticelle inquinanti come gli ossidi di azoto e i composti organici volatili”. La quota di riduzione dell’inquinamento atmosferico è quantificabile in un 20%.

Fonte:  The Breath | Ansa

Immagine | Youtube

“Brindisi come una bomba”, la lettera di PeaceLink al Commissario europeo Vella

PeaceLink scrive al commissario europeo per l’ambiente Karmenu Vella per difendere il diritto alla salute dei cittadini. “Alcuni inquinanti superano di milioni di volte la soglia di legge consentita”381081

Nuova iniziativa di PeaceLink presso la Commissione Europea, questa volta per difendere il diritto alla salute e all’ambiente dei cittadini di Brindisi. La richiesta è di esaminare la situazione della città alla luce della Direttiva Europea sulle Emissioni Industriali 2010/75/EU, ed è rivolta al nuovo Commissario europeo per l’ambiente, gli affari marittimi e la pesca, il maltese Karmenu Vella. Ecco il testo della lettera:

Brindisi è una bomba. Si può trovare nel suo ambiente ogni tipo di agente inquinante e l’impatto sulla popolazione è estremamente importante, come riportato nel Report BMC Pregnancy and Childbirth sulle malformazioni neonatali di bambini nati da madri che vivono a Brindisi. Nella discarica brindisina di Micorosa, ad esempio, sono stati trovati – ne ha dato informazione l’Espresso – importanti quantità di agenti inquinanti: cloruro di vinile in quantità di 7,7 milioni volte oltre il limite; 1,1 dicloretilene 198 milioni di volte superiori al limite; benzene 50.000 volte oltre il limite, diossina 40 volte oltre il limite. Con questa lettera, intendiamo inoltre portare all’attenzione della Commissione Europea il fatto che Brindisi sia sede di una serie di grandi impianti industriali, i cui effetti sulla popolazione sono critici e potenzialmente molto pericolosi”.
In allegato trovate la lettera originale in inglese e la traduzione in italiano.

IL TESTO DELLA LETTERA IN ITALIANO

Marco Alvisi, Salute Pubblica

Antonia Battaglia, Peacelink

Alessandro Marescotti, Presidente nazionale di Peacelink

Maurizio Portaluri, Oncologo nel Servizio Pubblico Nazionale

Ornella Tarullo, Peacelink


19 novembre 2014 – Redazione Peacelink

La centrale di brindisi

Autore: noalcarbonebrindisi.blogspot.com
Fonte: noalcarbonebrindisi.blogspot.com

Copyright © noalcarbonebrindisi.blogspot.com

http://www.peacelink.it

 

 

Lettera Brindisi indirizzata al commissario Vella – italiano [0,07 MB]

 

 

Lettera Brindisi indirizzata al commissario Vella – inglese [0,06 MB]

 

 

 

Fonte: ecodallecitta.it

“Le centrali a biomasse sono tutte illegali”

“Gli impianti a biomasse emettono inquinanti e quindi vìolano platealmente la norma che prevede di mantenere buona la qualità dell’aria nell’ambiente, laddove lo sia, e migliorarla negli altri casi. Per questo tali impianti sono illegali”. Il chimico Federico Valerio va all’attacco e ribadisce: “Non è questa la strada”.biomassa

Vi ricordate il dossier di Nomisma? La società di ricerca in campo energetico e ambientale affermava in quel documento che le biomasse risultano più inquinanti del gasolio, oltre che del gpl e del metano. Ma c’è chi lo ripete da molto più tempo ed è rimasto per lo più inascoltato. Si tratta del chimico Federico Valerio, già membro della Società Italiana Chimici e di Medici per l’Ambiente e Responsabile scientifico dell’Osservatorio Salute – Ambiente istituito dal Comune di Genova. Valerio ha diretto per anni il Dipartimento di chimica ambientale dell’Istituto Tumori di Genova e sull’argomento la sa molto lunga, più di molti altri. Lo abbiamo intervistato.

Dottor Valerio, lei si definisce scienziato preoccupato. Perché?

«Il concetto deriva dalla “Union of Concerned Scientists”, che è un’associazione internazionale di scienziati e ricercatori in tema ambientale, che si occupa, da qui il termine inglese, di tematiche ambientali e di salute. Ma allo stesso tempo, il termine “concerned” significa anche preoccupazione, perché di fronte ai continui allarmi e disastri ambientali si fa poco o nulla per prevenirli e risolverli totalmente. E la storia delle biomasse rientra in questa mia preoccupazione».

Qual è la situazione dei rifiuti in Italia e della loro gestione?

«Le nuove tendenze derivano dalla raccolta differenziata, che permette di recuperare i rifiuti e di immetterli in nuovi cicli produttivi, evitando così gli sprechi e creando altresì nuovi posti di lavoro. Ormai tutti quanti abbiamo capito che la strada da percorrere è questa, per cui la discarica da una parte o l’inceneritore dall’altro, dove spesso converge tutto senza differenziare, sono scelte antiche e sorpassate. L’Italia in questo senso ha accusato forti ritardi rispetto al resto d’Europa».

Come mai l’Italia è lenta nel cambiare? E’ una questione politica o prettamente tecnica? 

«Sicuramente è politica, basti pensare a questa anomalia tutta italiana. Non tutti sanno che nelle tasse previste per l’elettricità, c’è una voce (Componente A3), pari al 7% del valore della bolletta, che copre i costi per la promozione della produzione di energia da fonti rinnovabili e assimilate. Ovvero quel 7% viene destinato anche alle biomasse, che beneficiano così di un vero e proprio finanziamento statale. Tutte queste centrali, inceneritori compresi, esistono perchè permettono affari sicuri, grazie agli incentivi quindicennali generosamente regalati loro, con i “certificati verdi”, certificati pagati da tutti gli italiani, con l’apposita tassa fissata sulla bolletta della luce».

Quante sono le centrali a biomasse in Italia?

«Sono ormai un centinaio le centrali elettriche alimentate direttamente o indirettamente con biomasse, ovvero prodotti vegetali (cippato di legno, scarti alimentari, oli di mais, sansa di olive, eccetera) e scarti animali (pollina, scarti di macellazione, deiezioni da allevamenti suini e bovini). Inoltre, ci sono quindici inceneritori che oggi producono elettricità bruciando materiali di origine organica (scarti alimentari, materiali cellulosici, sfalci, potature e altro ancora). In Italia, nel 2009, complessivamente, risultava installata una potenza elettrica, alimentata a biomasse, pari a 1.728 mega watt».

Lei nel suo blog scrive che le centrali a biomasse sono tutte illegali. Perché?

«Esatto. La questione è semplice ed andrebbe approfondita da un punto di vista legale. In Italia esiste il Decreto Legislativo 155/2010 che, tra le sue finalità, prevede di “mantenere la qualità dell’aria ambiente, laddove buona, e migliorarla negli altri casi“. E’ una finalità chiara, sensata e, sostanzialmente, rispettata fino a qualche anno fa. L’illegalità è dovuta al fatto che tutti questi impianti, una volta entrati in funzione, hanno peggiorato la qualità dell’aria dei territori che li ospitano con l’immissione in atmosfera di importanti quantità di ossidi d’azoto, polveri sottili e ultra sottili, idrocarburi policiclici aromatici, diossine. Tutte le statistiche dimostrano che, da alcuni decenni, a parità di produttività, le emissioni inquinanti inviate nell’atmosfera del nostro Paese, sono drasticamente diminuite. Questo risultato è stato ottenuto migliorando i combustibili (gasolio a basso tenore di zolfo, benzina senza piombo), sostituendo olio combustibile e carbone con gas naturale. Questa tendenza, che ha comportato un progressivo miglioramento della qualità dell’aria del nostro Paese, si è interrotta con il proliferare di grandi e piccole centrali alimentate con biomasse, oltre ai “termovalorizzatori” di rifiuti urbani, in tutti i casi combustibili poveri e altamente inquinanti. Dunque, è inevitabile che tutti questi inquinanti provochino un sicuro peggioramento della qualità dell’aria e un proporzionale aumento di rischio sanitario per la popolazione esposta. Questo significa che il rispetto delle concentrazioni di inquinanti nei fumi, ammessi dalla Legge, è una condizione necessaria, ma non sufficiente, al rilascio delle autorizzazioni per la realizzazione e l’entrata in servizio di questi impianti. L’autorizzazione ha valore solo se il progetto dimostra anche che l’entrata in funzione dell’impianto “mantiene la qualità dell’aria ambiente, laddove buona, e la migliora negli altri casi“. E questa duplice norma cautelativa è stata fatta propria solo dall’Emilia Romagna. Pertanto, ipotizzo che gran parte delle attuali autorizzazioni rilasciate ad impianti alimentati a biomasse, oltre che molti inceneritori per rifiuti urbani, siano illegittime».

Allora, se gli impianti a biomasse sono inquinanti e illegali, perché continuano ad esistere e a funzionare?

«Il problema è una mistificazione costruita ad arte. Negli USA, per esempio, fino alla fine degli anni 90, per la costruzione degli inceneritori c’erano degli incentivi pubblici, terminati i quali non se ne costruirono più. In nord Europa, invece, oggi, si continuano a bruciare rifiuti perché sono costretti a tenere in vita gli impianti al fine di ammortizzare i costi e gli investimenti fatti in passato. Ecco perché l’Olanda spinge per avere i nostri rifiuti. A Genova, per esempio, ci siamo battuti contro la costruzione del termovalorizzatore dopo una importante sollevazione popolare. Il contratto, che era già pronto, stipulava che il Comune di Genova si sarebbe impegnato a produrre un tot di centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti l’anno e, se non si fosse raggiunta tale quantità, il Comune stesso avrebbe pagato una penale, che sarebbe stata a sua volta scaricata sulle tasse dei rifiuti dei genovesi. Poi, da un punto di vista ambientale, non è questione di essere scienziati o meno, un inceneritore trasforma un rifiuto urbano in una serie di composti inquinanti che in parte vengono immessi nell’ambiente e in parte diventano rifiuti tossici da smaltire».

Tutto ciò che è biomassa è dunque illegale? O si salva qualcosa?

«Al momento non ho nessun elemento negativo nei confronti della produzione del biometano, che è il prodotto dell’attività metabolica di microorganismi che, in assenza di ossigeno, utilizzano biomasse vegetali ed animali, quali fonti di cibo. E’ un processo naturale, vecchio un miliardo di anni, all’origine del gas naturale (metano) che usiamo quotidianamente e che continua ancora oggi nei terreni acquitrinosi, nei sedimenti lacustri, nell’apparato digestivo dei ruminanti. Con la raffinazione si passa dal biogas al biometano, e questa energia può essere immessa praticamente in rete. C’è infatti un progetto europeo che prevede che tutto il biometano prodotto possa essere utilizzato e distribuito in tutta Europa e, nel lungo periodo, può diventare un ottimo strumento per liberarci dalla dipendenza del gas ucraino e siberiano».

Fonte: ilcambiamento.it

 

Broccoli contro lo smog: velocizzano l’espulsione degli inquinanti dal corpo umano

Uno studio della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health di Baltimora ha promosso il broccolo ad alimento anti-smog per eccellenza, dopo uno studio su 291 cittadini cinesi che vivono nelle zone più a rischio. Grazie a una bevanda a base di broccoli il tasso di escrezione del benzene è aumentato del 61%379536

Che alcuni cibi aiutassero a ripulire il nostro organismo e a disintossicarlo dallo smog era noto. Che potessero farlo in modo tanto rapido ed efficacie è invece la scoperta dei ricercatori della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health di Baltimora, che hanno condotto uno studio per verificare gli effetti dell’assunzione quotidiana di una bevanda a base di concentrato di broccoli sul corpo umano. Lo studio ha coinvolto 291 cittadini cinesi, tutti residenti in un’area fra le più inquinate del Paese, la provincia di Jiangsu. Alle persone che si sono sottoposte all’esperimento è stata somministrata ogni giorno la bevanda di broccoli, e i risultati sono stati sorprendenti: il tasso di escrezione del benzene dall’organismo è aumentato del 61% rispetto a quello misurato prima di sottoporsi alla “cura”, durata tre mesi.
Il segreto di questi super-poteri del broccolo sarebbe racchiuso nel sulforafano, sostanza già nota per le sue proprietà benefiche anti-tumorali negli animali.  Il broccolo non è però l’unico alimento in grado di purificare l’organismo dagli inquinanti atmosferici. Tutti gli alimenti cosiddetti nutraceutici sono validi alleati nella lotta agli effetti dello smog: la categoria comprende comprende i cosiddetti cibi funzionali(alimenti che forniscono calorie utili, ad esempio l’olio extravergine di oliva, le proteine vegetali della soia e del lupino e il cioccolato amaro), gli integratori alimentari (come gli omega-3, acidi grassi polinsaturi estratti dal pesce), i probiotici(colture di batteri che colonizzano l’intestino migliorandone la funzionalità) e i prebiotici (sostanze organiche non digeribili in grado di favorire la crescita di batteri probiotici). Secondo i ricercatori a capo dello studio, l’alimentazione non è ancora sfruttata a sufficienza nella prevenzione dell’inquinamento atmosferico. Accanto alle misure volte a ridurre le concentrazioni di inquinanti, andrebbero investite più risorse anche per educare i cittadini a proteggersi da soli, con ciò che la natura ha già messo a disposizione.

Fonte: ecodallecittà.it

L’ufficiale che rifiutò di inquinare il mare

Un ufficiale di Marina si oppone allo sversamento in mare di liquidi oleosi inquinanti e viene sottoposto a sanzioni e costretto al congedo. Lui ha combattuto nelle aule giudiziarie e oggi racconta la sua storia.inquinamento_mare

Fonte: Il Tirreno. Abbiamo deciso di rilanciare l’articolo comparso sul quotidiano toscano Il Tirreno perchè racconta una storia che dice molto di questa Italia con cui oggi ci ritroviamo a fare i conti. E la riportiamo anche per dare conto dell’esistenza di persone come David Grassi, che speriamo possano essere tantissime e trovare il coraggio di farsi sentire.

LIVORNO. Invece di abbassare la testa e obbedire rispondendo: «Signorsì, signore», ha guardato il superiore negli occhi e ha risposto: «No, signor capitano, questo non lo possiamo fare. E se lo dovesse fare lei, sappia che ho già fatto delle foto e alcuni filmati che invierò a chi di dovere, anche alla stampa se necessario, per denunciare quello che è successo a bordo». L’ordine che l’ufficiale David Grassi, insieme ad altri due colleghi, si è rifiutato di eseguire e che ha cambiato la sua vita per sempre, era quello di sversare in mare migliaia di litri di liquidi oleosi, provenienti dal motore, che si erano accumulati nella sentina; in barba alla tutela dell’ambiente, al rischio inquinamento e al regolamento internazionale che prevede, anche per le navi militari, di svuotare le sostanze inquinanti nel porto più vicino e con l’intervento di una ditta specializzata. Era il 23 febbraio 2002 e l’allora tenente di vascello nato a Oristano ma residente da 4 anni a Livorno, aveva appena compiuto 30 anni, era imbarcato sulla nave da guerra “Maestrale” impegnata nella missione Eduring Freedom nel corno d’Africa. E soprattutto pensava che le battaglie più importanti le avrebbe combattute in mare, non certo nelle aule di un tribunale, tantomeno per riavere indietro la propria dignità dopo essere stato condannato – per quel «No» – a 15 giorni di arresto e a una macchia che ne ha pregiudicato la carriera fino al congedo, avvenuto due anni fa. Invece la guerra civile dell’ufficiale ambientalista è durata 12 anni, un quarto della sua esistenza, e si è conclusa con una (parziale) vittoria: il Tar di Genova, tribunale al quale si era rivolto per far sentire valere le proprie ragioni, giovedì scorso ha cancellato quella sanzione disciplinare ma non gli ha riconosciuto il risarcimento danni che aveva chiesto tramite il avvocato. «In questo lasso di tempo – racconta Grassi che adesso lavora come ingegnere civile e nel tempo libero allena i ragazzi di atletica e basket della Libertas Livorno – ho perso molte cose, sia a livello personale, familiare e professionale. Ma tornando indietro rifarei quello che ho fatto, forse non proprio tutto. Ma certamente non ubbidirei a quell’ordine. Perché? Perché è in certe situazioni che vieni fuori chi sei davvero, da dove vieni, e i valori che ti hanno insegnato i tuoi genitori. E in quel momento non potevo far altro che comportarmi in quel modo senza abbassarmi alle prepotenze ma reagendo con coscienza. Eppure, dico anche che l’affetto e l’attaccamento nei confronti della Marina Militare non sono mai cambiati. Nonostante tutto continuo a credere che le persone nelle quali mi sono imbattuto siano una minoranza e che quel tipo di mentalità sia in via di estinzione».

Fonte: il cambiamento

Canada, maggiore esposizione agli inquinanti e rischio di leucemia per chi vive sottovento agli impianti di sabbie bituminose

Le concentrazioni di noti inquinanti cancerogeni da 10 a 100 volte i valori di riferimento, con un aumento del rischio di cancro del 25%.Inquinanti-sottovento-Canada-sabbie-bituminose

Lo studio delle università della California e del Michigano appena pubblicato su Atmospheric Environment non lascia adito a dubbi: in Alberta il trattamento delle sabbie bituminose causa un aumento delle leucemie nelle zone sottovento. Il grafico in alto mostra la concentrazione di alcune sostanze inquinanti in tre aree residenziali situati sottovento rispetto ai venti prevalenti nel cosiddetto Industrial Heartland (Ind. 1,2, e 3) in un’area rurale lontana dagli impianti petrolchimici (Bkgd. 1) ed un’altra più vicina (Bkgc. 2). Le differenze nel livello di inquinanti sono molto più elevate,  rispetto a quanto potrebbe sembrare a prima vista perchè il grafico è logaritmico (1)da dieci a cento volte in più rispetto ai valori di riferimento. Lo studio ha esaminato anche l’impatto sulla salute dei canadesi, trovando una maggiore incidenza di leucemie e linfomi tra la popolazione più esposta (grafico in basso). Chi vive nei pressi degli stabilimenti petroliferi ha un 25% di probabilità in più di ammalarsi e tale rischio è aumentato negli anni con il crescere della produzione industriale. Il dato è molto significativo, tenuto conto che le registrazioni relative ai tumori non sono sempre molto precise e non hanno molte informazioni correlate (storia lavorativa, durata della residenza in zona). La conclusione dei ricercatori, pur nel linguaggi o misurato di un articolo scientifico, è netta: “suggeriamo che una riduzione immediata delle emissioni di noti cancerogeni come il benzene e l’1,3-butadiene sia prudente e giustificata”.Incidenza-cancro-Alberta

(1) Si tratta di un cosiddetto box-whisker plot (grafico “a scatole e baffi”). Le scatole rappresentano la metà della popolazione di valori, la linea orizzontale è la mediana e i baffi denotano il valore minimo e massimo. Quando il minimo o il massimo sono molto scostati rispetto al resto della popolazione sono indicati come punti singoli (outliers). L’unità di misura è parti per trilione (10^12) in volume (pptv).

Fonte: ecoblog