Come l’industria influenza la ricerca scientifica

Alice Fabbri, membro dell’associazione “No Grazie Pago Io” (un gruppo di operatori sanitari e medici che non accettano nulla dalle lobby e dalle industrie), analizza gli studi recenti che mostrano come l’industria, in più campi e ambiti, influenzi la ricerca scientifica in modo massiccio.

Gli studi sponsorizzati dall’industria tendono a produrre ricerche che favoriscono il prodotto dello sponsor enfatizzandone i benefici o minimizzandone i rischi. Diversi studi hanno esplorato questo problema documentando come lo sponsor può influenzare la progettazione, i metodi, la conduzione e la pubblicazione degli studi scientifici.(1-3)

La sponsorizzazione industriale può agire però anche a un livello superiore influenzando l’intera agenda della ricerca scientifica, ovvero il primo passo nella conduzione di uno studio in cui le domande di ricerca vengono formulate.
Una revisione pubblicata sull’American Journal of Public Health ha identificato 36 studi che hanno esplorato l’influenza della sponsorizzazione industriale sull’agenda della ricerca in diversi campi scientifici e settori industriali: industria farmaceutica, alimentare, chimica, mineraria, del tabacco, dell’alcool.(4) La revisione ha evidenziato come le industrie tendono ad adottare strategie simili in diversi settori. L’industria privilegia linee di ricerca che si concentrano su prodotti o attività che possono essere commercializzati. Ad esempio, l’industria farmaceutica tende a sponsorizzare studi su farmaci o dispositivi medici con un focus su patologie che colpiscono paesi ad alto reddito. Le multinazionali tendono inoltre a sponsorizzare ricerche su temi che possano distrarre dai potenziali rischi dei propri prodotti per proteggersi da regolamentazioni governative. Ad esempio, negli anni ‘80 l’industria del tabacco ha finanziato progetti di ricerca sulla qualità dell’aria interna agli ambienti per distogliere l’attenzione dai rischi del fumo passivo. I risultati di questi studi sono stati presentati dall’industria del tabacco in contesti legislativi per sostenere le proprie posizioni e ostacolare così lo sviluppo di politiche sul fumo. La distorsione dell’agenda della ricerca è particolarmente allarmante da una prospettiva di salute pubblica perché può condurre alla produzione di evidenze focalizzate solo su determinate soluzioni e distogliere l’attenzione dal considerare altre possibili strategie di sanità pubblica. Attraverso l’influenza sull’agenda della ricerca, gli interessi industriali hanno quindi il potenziale per influenzare il dibattito pubblico e l’elaborazione di politiche. Sono urgenti strategie per contrastare tale fenomeno, compresa una maggiore trasparenza sulle fonti di finanziamento degli studi, maggiori finanziamenti per la ricerca indipendente, e linee guida rigorose per regolamentare l’interazione degli istituti di ricerca con gli sponsor commerciali.

1. Barnes DE, Bero LA. Why review articles on the health effects of passive smoking reach different conclusions. JAMA 1998;279:1566-70
2. Bero L, Oostvogel F, Bacchetti P, Lee K. Factors associated with findings of published trials of drug-drug comparisons: why some statins appear more efficacious than others. PLoS Medicine 2007;4(6):e184
3. Lundh A, Lexchin J, Mintzes B, Schroll JB, Bero L. Industry sponsorship and research outcome. The Cochrane database of systematic reviews. 2017;2:Mr000033
4. Fabbri A, Lai A, Grundy Q, Bero L. The influence of industry sponsorship on the research agenda: a scoping review. Am J Public Health 2018;108(11):e9-e16

Fonte: ilcambiamento.it

Big Pharma colonizza i “mercati emergenti”. Grazie alle ong

Grazie alle Ong, le grandi industrie farmaceutiche hanno colonizzati in paesi in via di sviluppo meglio definiti «mercati emergenti». Bene, dunque, per loro che aumentino i malati, perché i sani sono consumatori mancati.pharma-1

La scienza medica in Occidente e nei cosiddetti “mercati emergenti” (è la definizione che ne danno le multinazionali e le loro varie agenzie di servizi) è totalmente nelle mani delle grandi industrie farmaceutiche, a loro volta ormai emanazioni dei consorzi finanziari globali e sotto il loro completo e costante controllo. Come potremmo dire? Tutti insieme costituiscono una delle filiali o ramificazioni dell’Impero Globale.

“Cosa facciamo stasera, prof?”

“Quello che facciamo tutte le sere, Mignolo, tentiamo di conquistare il mondo!”

Per conquistare il mondo con i farmaci, oltre ad avere in mano l’istruzione e la carriera dei medici presenti e futuri, bisogna che aumentino gli ammalati. Ogni persona sana è un consumatore mancato, un cliente perso. Ora, bisogna dire che lo sviluppo industrial-capitalistico ha già fatto tutto il possibile per ammalarci, dai pesticidi agli additivi e conservanti sintetici, dai rifiuti tossici al cloro nell’acqua potabile, dagli allevamenti intensivi ai telefoni cellulari, dal trasporto privato di persone e merci e conseguente intasamento di strade con milioni di auto e camion che intasano l’aria di melma tossica, tutto il suo progresso nuoce alla salute umana e non. Adesso però tocca alle multinazionali del capitalismo global-farmaceutico fare l’impossibile: ottenere che ogni umano o animale domestico sulla faccia deturpata del pianeta diventi loro cliente. Non uno di meno!

La malattia cronica e inguaribile (ma curabile, naturalmente) è quella che prediligono e, se non c’è, non si scoraggiano. Con l’aiuto della “scienza”, dei media e dell’OMS si può benissimo inventarla. Colesterolo, pressione sanguigna, diabete, per esempio, si prestano particolarmente a trattamenti a vita di pazienti (anche troppo) occidentali. Basta far sì che gli “scienziati” al vertice delle scientifiche istituzioni (corporazioni) e al vertice delle varie agenzie sanitarie sovranazionali decidano di abbassare il tasso dei suddetti, colesterolo ecc. e tutti diventiamo ammalati cronici. Dimostrando così senza più ombra di dubbio alcuno che la scienza è

Chi crea l’opinione, per esempio, nel caso del colesterolo che deve abbassarsi sempre di più (chissà se possiamo vivere anche senza di esso, se continua così lo sapremo presto) è la European Society of Cardiology (Società Europea di Cardiologia), che definisce sé stessa una no-profit. Ma guarda. Si vede che sono tutti volontari che, finito il lavoro, si dedicano alla cura dei cardiopatici indigenti. No. Forse la parola “Società” è più appropriata. Sapete, quelle aziende dove ci si associa per fare profitti tutti insieme. Infatti, se andate a vedere il programma del loro congresso, troverete una parte “fieristica” dedicata all’industria. L’industria del farmaco e suoi annessi e connessi. Lì ci sono tutte, anche quelle che non avete mai sentito nominare. A questo punto, credere o non credere a ciò che dice la scienza è solo questione di fede, come credere alle fate, al malocchio o, se vogliamo fare un salto di qualità, come credere in un Dio o nell’altro. Non ho niente contro gli dei, né contro le fate. L’importante è che non facciano male a nessuno, né loro né i loro credenti. Per quel che riguarda la scienza medica, avrei molti dubbi sulla sua innocuità. Tutte quelle pilloline per abbassare colesterolo, pressione e glicemia, per esempio, non sono affatto prive di effetti collaterali anche gravi. Che a volte neanche il nostro medico conosce, anche perché non ha il tempo di informarsi su tutte le nuove medicine che quotidianamente i piazzisti del farmaco gli propongono.

Ma passiamo ora ai “mercati emergenti”. Anche lì si può contare sul no-profit, ovvero sulle ONG, per salvare milioni di persone dalla malattia.

“In cosa investiamo, stasera, prof?”

“Investiamo nella malaria, Mignolo”

Quella della malaria e dei suoi rimedi è una storia particolarmente interessante da molti punti di vista.

Esiste una pianta, l’Artemisia annua, che cresce in Asia e che è usata da secoli nella fitoterapia cinese, in grado di curare la malaria. E’ una pianta medicinale priva di effetti collaterali e che funziona egregiamente. L’uso fitoterapico della pianta naturale, cioè delle sue foglie, risulta anzi molto più efficace dei medicinali sintetici a base del suo principio attivo.

Già negli anni Ottanta-Novanta del secolo scorso i cinesi, quando cominciarono la loro personale conquista economica dell’Africa (in forma di collaborazione, a differenza dell’Occidente, benché sul modello sviluppista che l’Occidente ha imposto al mondo), si portarono dietro l’Artemisia Annua e i suoi semi come prevenzione e rimedio contro la malaria e, dato che il suo uso si diffondeva nel continente, la progredita scienza industrial-mercantile si diede da fare a cercare un rimedio per questa epidemia di medicina naturale, del tutto in contrasto con il suo progresso. Così, utilizzando l’Artemisia Annua (non sono riusciti a farne a meno, anche se ci hanno sicuramente provato), hanno creato dei medicinali sintetici a base di Artemisina, principio attivo della pianta. L’Artemisina è tossica, a differenza della pianta. Succede. La vita non è semplificabile, come sembrano credere gli scienziati dello “sviluppo” e degli affari. L’Artemisia Annua è un organismo vivente, le sue componenti innumerevoli e le loro relazioni imperscrutabili. Però, mentre la pianta uno se la poteva coltivare dietro casa o in un barattolo sul balcone, i medicinali a base di Artemisina li deve comperare. Oppure il suo governo li deve comperare per lui. A basso prezzo però, perché con grande spirito filantropico la Sanofi  Aventis rinuncia al brevetto. Difficile brevettare il principio attivo di una pianta naturale, e comunque non si può brevettare la pianta che lo produce e che uno può coltivarsi sul balcone. Ma si può, con l’aiuto di Medici Senza Frontiere e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, far esultare i media per la bontà e la buona volontà delle multinazionali farmaceutiche. “Nasce l’antimalarico senza brevetto, così l’Africa potrà curarsi da sola” era il trionfante titolo de La Repubblica nel 2007.

Non è che magari l’Africa si è sempre curata da sola, prima che arrivassimo noi ad ammalarla? Comunque il basso prezzo era garantito anche dal fatto che il nuovo e strepitante medicinale veniva prodotto in Marocco, sempre per aiutare l’Africa. Peccato che non funzioni e, nonostante la cura venga protratta per sempre più tempo e a dosi sempre più alte, il Plasmodium Falciparum, il parassita della malaria, se la ride dell’Artemisina, mentre probabilmente il fisico dei pazienti trattati non ci trova niente da ridere. In più, c’è sempre il rischio che la gente torni alle tisana di foglie di Artemisia Annua e che guarisca. Alla fine però un rimedio lo hanno trovato, e che rimedio: il vaccino. Così, malati o sani, tutti diventano clienti, pardon, pazienti.  E che il vaccino non funzioni è un vantaggio: invece di sostituirsi ai farmaci a base di Artemisina, vi si assomma. Vaccino più trattamento con farmaci, che bel mercato procura la malaria. Che il vaccino non funziona lo dicono tutti, compresa l’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Perché non funziona? Perché la malaria non è un virus né un batterio, è un parassita. Hanno provato ad iniettarlo morto nei “pazienti” e, naturalmente, non li ha immunizzati, ora provano con quello vivo e il risultato (il risultato della sperimentazione che loro riferiscono) è di un’immunizzazione che non arriva al 40% pur schiaffando in corpo ai bambini (africani) ben quattro dosi di vaccino. In compenso aumentano gli effetti collaterali: meningite e… malaria. E se lo dicono loro…
E allora? Niente paura, la moderna scienza fa volare gli asini. Dopo questi bei risultati, dati dalla sperimentazione sui bambini africani del vaccino RTS,S detto anche Mosquirix, della Glaxo, si passa a una più larga sperimentazione e “Ghana, Kenya e Malawi guidano la sperimentazione del vaccino contro la malaria”, esultano la Nazioni Unite, e “Il primo vaccino della malaria arriva in Ghana, Kenya e Malawi” esultano gli uomini d’affari.

Esultano per gli stessi motivi, non avranno anche gli stessi obiettivi?

Manca ancora qualcuno, ma se vuotiamo il sacco viene fuori. La filantropia mondiale. Prima di tutto, lo avrete indovinato, la Bill & Melinda Gates Foundation. Dicono di aver speso (investito) due miliardi di dollari per combattere la malaria, e dicono di star facendo pressione sui governi di qua e di là dal mare perché ne spendano anche loro. Poi abbiamo PATH, una ONG internazionale che si occupa di “medicina” a tutto campo, dai farmaci e dai vaccini agli strumenti diagnostici a quelli digitali. PATH e la Bill & Melinda Gates Foundation sono sempre assieme, come lo squalo e la remora. Questa no-profit si occupa di profitti, investimenti, affari, rischi politici ed economici, naturalmente nel campo sanitario  e per la salute delle aziende sanitario-farmaceutiche globali.  Nelle biografie dei suoi capi si parla di milioni di dollari guadagnati, di sviluppo finanziario-industriale. Ci si rivolge ai clienti. Da questo punto di vista PATH è un compendio estremamente istruttivo dell’intreccio tra istituzioni sovranazionali, finanza internazionale e suoi “derivati” come Big Pharma, organizzazioni così dette no-profit e governi (l’ultima ruota del carro). Comunque, per essere una no-profit, PATH di profitti ne fa parecchi anche di suo, dato che ha bilanci e risorse ammontanti a parecchi milioni di dollari.  Poi, se proprio non vogliamo farci mancare nulla, diamo un’occhiata anche alle risorse della benemerita MSF o DWB, ONG internazionale che noi chiamiamo Medici Senza Frontiere. E che distribuisce e somministra artesunato-amodiachina soprattutto ai bambini sotto i cinque anni e alle donne incinta, che nel 2015 si vantava di aver “trattato” 735.000 bambini in Niger, Ciad e Mali, 17.000 nella Repubblica Centrafricana, e ben 1.800.000 persone in Sierra Leone. Inoltre, distribuisce zanzariere trattate con gli insetticidi, sempre per proteggere gli africani dalla malaria. E chi li protegge dagli insetticidi? Siamo seri ed esaminiamo seriamente i vari “trattamenti” che MSF elargisce agli africani. Ci sono vari studi condotti da ricercatori cinesi, cambogiani, britannici, americani, che lavorano in prestigiosi e insospettabili centri di ricerca, i quali dimostrano che l’Artesunato-amodiachina, alle dosi consigliate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità è neurotossico ed epatotossico. Ciononostante, l’OMS continua a consigliarlo e MSF a somministrarlo. Quanto alle zanzariere impestate, immagino che gli africani vadano in giro indossandole dalla testa ai piedi, altrimenti a cosa servono?

Le zanzare non si aggirano solo all’interno delle abitazioni, non ti pungono solo quando sei a letto a dormire. Ma forse servono alle ditte che li producono. Pensate, l’UNICEF fa un congresso annuale con i fornitori di zanzariere impestate contro la malaria; un congresso di affari, dove l’UNICEF è il compratore.  Coi nostri soldi, che passano dalle tasse agli “aiuti allo sviluppo”, e coi soldi degli africani, che passano dai loro governi alle nostre multinazionali e/o alla Banca Mondiale in forma di debito. Naturalmente le aziende delle zanzariere impestate sono grosse compagnie occidentali, gli africani si devono accontentare di qualche briciola e delle zanzariere avvelenate e, poiché non sanno cosa farsene e, fortunatamente, non pensano di indossarle, le usano per pescare, creando senza colpa alcuna altro danno a sé stessi e al mare di cui vivono e di cui viviamo tutti, anche se non ce ne ricordiamo. Una piccola curiosità, per voi che siete curiosi. Le zanzariere avvelenate sono trattate con insetticidi detti piretroidi. Come per l’Artemisina, si tratta di sostanze chimico-sintetiche tossiche e persistenti, che imitano una sostanza naturale, il piretro. Il piretro è un fiore, tossico per gli animali a sangue freddo e solo per loro. Il piretro naturale si usa nell’agricoltura biologica, avendo la precauzione di non farlo finire in corsi d’acqua (i cui abitanti sono tutti a sangue freddo), e di non irrorare a destra e a manca e a qualsiasi ora, per non uccidere gli insetti indiscriminatamente. Dopo alcune ore, comunque, perde anche le sue proprietà tossiche per insetti, rettili e pesci, e non lascia traccia. Il maggior coltivatore mondiale di questa pianta è il Kenia ma l’Africa non se ne giova. Noi prendiamo i suoi fiori di piretro per farci il nostro insetticida biologico e a loro mandiamo le zanzariere impregnate di insetticidi chimico-sintetici tossici. Medici Senza Frontiere non distribuisce il piretro keniota, insegnando agli africani delle zone malariche come usarlo, ma distribuisce, istigata da UNICEF e OMS, le zanzariere delle multinazionali danesi e americane ecc. e gli insetticidi di altra bella gente, che tra l’altro fa anche farmaci. Non domandiamoci perché, non lo sapremo mai con certezza. Imperscrutabile è l’animo e il cervello umano. Qualcos’altro possiamo però sapere. Che il bilancio di MSF Stati Uniti era nel 2017 di 349 milioni di dollari e rotti. Che le spese di Medici Senza Frontiere a livello globale, nel 2017, erano di un miliardo e seicentoquattordici milioni di euro. Quindi, una potenza economica. Non ci meraviglieremo dunque di venire a sapere che la paga base dei suoi direttori USA è di 102.000 dollari l’anno, mentre quella del suo direttore esecutivo britannico è di “solo” 79.716 sterline. Nell’aprile 2017, adesso magari sarà qualcosina di più. Poi si chiamano “volontari”! E’ chiaro che sono volontari, non c’è mica bisogno di costringerli.

Fonte: ilcambiamento.it

Big Pharma e la Fondazione Gates: «Cavie per le industrie farmaceutiche»

Nonostante i profitti annuali si aggirino intorno ai mille miliardi di dollari, l’industria farmaceutica mondiale ultimamente ha avuto un declino critico della quantità dei profitti, e di questo declino ritiene colpevoli le leggi che regolano le sue attività.9640-10412

Vi proponiamo la traduzione integrale, a cura di Sonia Savioli, dell’articolo comparso su Global Research qualche tempo fa.

Nonostante i profitti annuali si aggirino intorno ai mille miliardi di dollari, l’industria farmaceutica mondiale ultimamente ha avuto un declino critico della quantità dei profitti, e di questo declino ritiene colpevoli le leggi che regolano le sue attività. Un gruppo di esperti USA ha calcolato che il costo di realizzazione di una nuova medicina si aggira sui 5.8 miliardi di dollari, il 90 per cento dei quali sono utilizzati per la Fase III della sperimentazione clinica richiesta dalla US Food and Drug Administration e dalle corrispondenti agenzie europee (si tratta di test condotti su ampi gruppi di soggetti umani al fine di confermare i risultati e gli effetti collaterali di nuovi vaccini e altre medicine). La multinazionale di consulenza di affari Mc Kinsey & Company ha definito la situazione “drammatica” e ha chiesto con forza ai dirigenti di Big Pharma di prendere in considerazione soluzioni che vadano oltre il semplice rimaneggiare i costi  di base. In primo luogo la delocalizzazione delle sperimentazioni nei mercati emergenti, dove i test di controllo dei medicinali sono a buon mercato, facili e veloci. E’ in questo specifico contesto che bisogna guardare all’intervento della fondazione Gates nella fornitura di vaccini e contraccettivi. Pesantemente coinvolta negli interessi di Big Pharma, la fondazione Gates per la sua posizione è in grado di facilitare strategie farmaceutiche studiate appositamente per il terzo mondo, dove “per accelerare le trasformazioni degli studi scientifici in soluzioni utilizzabili, noi cerchiamo la strada migliore per valutare e definire potenziali interventi –come, per esempio, candidati per i vaccini- prima che si inizino dispendiosi e lunghi test clinici.”

In un linguaggio chiaro la Fondazione Bill e Melinda Gates promette di dare la sua assistenza a Big Pharma per eludere i regolamenti in vigore in Occidente, proponendo sperimentazioni brevi e a basso costo nelle periferie. Gli strumenti di questa assistenza sono le istituzioni create dalla Fondazione Gates, come la GAVI Alliance, il Global Health Innovative Technologyes Fund, e il Program for Innovative Technology in Health (PATH), partner pubblico-privati che dichiarano di volersi dedicare a salvare vite nel terzo mondo. Ufficialmente indipendenti ma finanziate largamente da Gates per funzionare come strumenti della Fondazione, queste organizzazioni cominciarono a condurre sperimentazioni cliniche su larga scala in Africa e nel sud dell’Asia verso la metà dell’anno 2000. L’Africa presto sperimentò  “un incremento senza precedenti della ricerca sanitaria coinvolgente esseri umani”, in particolare di quelli “afflitti dalla povertà e senza istruzione”. I risultati, come si poteva prevedere, furono letali. Nel 2010 la Fondazione Gates finanziò la Fase III della sperimentazione di un vaccino per la malaria della GlaxoSmithKline, somministrando il trattamento sperimentale a migliaia di bambini in sette paesi africani. Ansiosi di assicurarsi l’approvazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, necessaria per ottenere l’autorizzazione a distribuire il vaccino in tutto il mondo, Glaxo e BMGF (Bill e Melinda Gates Foundation) dichiararono che la sperimentazione aveva avuto un successo strepitoso e la stampa riportò acriticamente la pubblicità. Pochi si presero la briga di dare un’occhiata più da vicino ai documenti riguardanti lo studio clinico, che rivelavano che i risultati della sperimentazione erano di 151 morti e avevano causato “seri effetti collaterali” (paralisi, epilessia, convulsioni) in 1048 dei 5949 bambini tra i 5 e i 17 mesi. Storie simili emergono nell’ambito della campagna finanziata da Gates in Ciad con il vaccino MenAfriVac, dove rapporti non confermati riferiscono che tra i 50 e i 500 bambini vaccinati a forza contro la meningite hanno sviluppato paralisi. Citando altri abusi un giornale sudafricano dichiarò “Siamo cavie per i fabbricanti di medicinali”. E’ stato in India però che il coinvolgimento della BMGF nella collaborazione con Big Pharma per la prima volta è balzato alla pubblica attenzione. Nel 2010 sette ragazzine tribali in Gujarat e Andhra Pradesh morirono dopo le iniezioni di HPV           (vaccino contro il Papillomavirus), facevano parte di uno studio su larga scala finanziato dalla Fondazione Gates e amministrato da PATH. I vaccini, sviluppati da Glaxo e Merck furono somministrati a circa 23.000 ragazzine tra i 10 e i 14 anni, con il pretesto di salvaguardarle dal cancro della cervice che avrebbero potuto sviluppare in tarda età. In seguito, esaminando i dati della sperimentazione, i medici indiani valutarono che almeno 1200 ragazzine avevano subito gravi effetti collaterali o sviluppato patologie autoimmuni come risultato delle somministrazioni. Nessun ulteriore controllo o cura medica fu offerta alle vittime. Le seguenti inchieste rivelarono diffuse violazioni delle norme etiche. Inermi bambine dei villaggi furono spinte a gruppi nella sperimentazione, i loro genitori messi sotto pressione dai rappresentanti di PATH perché firmassero il consenso su documenti che non erano in grado di leggere, vantando falsamente la sicurezza e l’efficacia della medicina. In molti casi le firme furono semplicemente falsificate. Una commissione parlamentare indiana appurò che la campagna vaccinale finanziata da Gates era in realtà una sperimentazione su larga scala, condotta su iniziativa delle aziende farmaceutiche e mascherata da “studio di controllo” allo scopo di aggirare le regole legislative.

La Commissione stabilì che PATH aveva “violato tutte le leggi e i regolamenti governativi sulle sperimentazioni cliniche” con una “evidente violazione dei diritti umani e con l’abuso di bambini”. La Fondazione Gates non si scomodò a rispondere alle accuse ma nella sua “lettera annuale” auspicò ancora più Ricerca e Sviluppo nell’ambito medico nei paesi poveri, e riaffermò la propria fede nel “valore di ciascuna vita umana”.

Creare mercati

Sperimentando il vaccino per il Papillomavirus in India la Fondazione Gates non stava soltanto facilitando i test clinici a basso costo ma stava anche fornendo assistenza nella creazione di nuovi mercati per un prodotto insicuro e inefficace. La versione della Merck del vaccino, chiamata Gardasil, fu introdotta nel 2006 assieme a una poderosa campagna di marketing che produsse vendite annuali per 1.5 miliardi di dollari. Il vaccino fu proclamato “il prodotto dell’anno” da Pharmaceutical Executive, per “aver costruito un mercato sul nulla”. Aiutata dagli entusiastici consensi dei vertici medici, Merck infine convinse gli americani che il Gardasil avrebbe protetto le loro figlie dal cancro della cervice.

In realtà il vaccino è di dubbia efficacia: “la relazione tra infezione da papillomavirus in giovane età e sviluppo del cancro 20 o 40 anni dopo non è provata… Il virus non sembra particolarmente dannoso, dato che quasi tutte le infezioni da papillomavirus vengono risolte spontaneamente dal sistema immunitario. Alcune donne possono sviluppare lesioni cervicali precancerose e forse cancri della cervice. E’ impossibile al momento prevedere in quali donne e perché possa succedere”

Il prestigioso Journal of American Medical Association pose apertamente la domanda se i rischi del vaccino non superassero i potenziali benefici. Man mano che emergevano gli inconvenienti del Gardasil, le donne americane ed europee cominciarono a rifiutare il vaccino; nel 2010 la rivista Fortune dichiarò il Gardasil un “bidone” dal punto di vista economico, dato che le vendite scendevano del 18 per cento all’anno. Il vaccino identico della Glaxo, Cervarix, subiva un identico declino. Miliardi di introiti e di profitti erano bloccati. A questo punto entrò in campo la Fondazione Gates. Il suo principale strumento era la GAVI Alliance, lanciata nel 2000 dalla BMFG (Bill and Melinda Gates Foundation) con “lo scopo dichiarato di alzare il livello del mercato dei vaccini”. La Gavi ebbe i fondi dagli acquisti co-finanziati di vaccini da parte dei Ministri della Sanità del terzo mondo, nell’attesa di trovare “fondi su larga scala necessari per sostenere programmi a lungo termine di immunizzazione” e di “porre le basi che permetteranno ai governi di continuare i programmi di immunizzazione per lungo tempo anche dopo la fine del sostegno di GAVI”. In soldoni: BMGF compra gli stock di medicinali che non hanno incontrato una sufficiente domanda in Occidente, li spedisce nelle periferie a prezzo scontato e porta a casa accordi a lungo termine di forniture ai governi del Terzo Mondo. Nel 2011 GAVI tenne un incontro grandemente pubblicizzato a Dhaka, nel quale, con l’approvazione entusiastica del Segretario Generale dell’ONU Ban Ki Moon, annunciò una campagna mondiale per diffondere il vaccino HPV (Papillomavirus) nel Terzo Mondo “se i paesi (in via di sviluppo) dimostreranno la loro capacità di distribuire il vaccino più di due milioni di donne e bambine in nove paesi potranno essere protette dal cancro della cervice entro il 2015”. La Glaxo adottò un “Modello Globale di Disponibilità di Vaccini” che prevedeva aumenti di prezzi scaglionati per “permettere una transizione ai paesi poveri con l’aiuto di partner come l’UNICEF, l’Organizzazione Mondiale della Sanita, e GAVI”. Nel frattempo PATH si precipitava a completare un progetto su larga scala di cinque anni “per produrre e diffondere informazione in ambito pubblico per l’introduzione dei vaccini HPV” in India, Uganda, Perù e Vietnam. Un rapporto del parlamento Indiano osservò: “Tutti questi paesi hanno dei programmi di vaccinazione statali che, se ampliati per includere il Gardasil, significheranno degli enormi benefici finanziari per i… produttori”. Secondo le dichiarazioni fiscali del 2012 Merck fu in grado di avere un balzo del 35 per cento nelle vendite mondiali di Gardasil, a seguito tra l’altro di “risultati favorevoli in Giappone e nei mercati emergenti” dove “l’aumento delle vendite vede i vaccini al primo posto”. Evidentemente un medicinale che a buona ragione era giudicato con sospetto dagli americani era però buono abbastanza per le donne del terzo mondo. Altri medicinali pericolosi, che non hanno avuto successo sui mercati occidentali, hanno ricevuto attenzioni simili dalla Gates Foundation. Norplant, un contraccettivo sottocutaneo che sterilizza le donne per cinque anni, fu eliminato dal mercato USA dopo che 36.000 donne accusarono gravi effetti collaterali non rivelati dai produttori, tra  cui eccessive emorragie mestruali, vertigini, depressione, nausea, cefalea. Leggermente modificato e rinominato Jadelle, lo stesso medicinale è ora promosso a tutto spiano in Africa da USAID, dalla Fondazione Gates e dai suoi affiliati. Un recente articolo nel sito collaterale della Fondazione Gates, Impatient Optimist, sorvola sui suoi pericoli e afferma falsamente che il medicinale non ha avuto successo negli USA perché inserire e rimuovere il dispositivo era “scomodo”. Con il sostegno della Fondazione Gates, tuttavia, Jadelle “ha giocato un ruolo fondamentale nel fornire gli impianti al terzo mondo”, e presto sarà completato da un secondo clone del Norplant, , l’Implanon della Merck. Un contraccettivo ugualmente pericoloso, il Depo-Provera della Pfizer, recentemente ha ricevuto l’imprimatur della Fondazione Gates per la distribuzione alle donne povere di tutto il mondo. Negli USA e in India i gruppi femministi hanno lottato contro l’approvazione di questo farmaco per decenni, vista la lista allarmante di effetti collaterali, che includono “sterilità, emorragie, diminuzione della libido, depressione, ipertensione, aumento di peso, infezioni vaginali, perdita di capelli, offuscamento della vista, dolori delle articolazioni, crescita dei peli facciali, acne, crampi, diarrea, rash cutanei, stanchezza, gonfiori degli arti e potenzialmente irreversibile osteoporosi. Dopo che la Food and Drug Administration USA cedette alle pressioni dell’industria farmaceutica e approvò il medicinale nel 1992, alcuni studi scoprirono una marcata disparità razziale tra le donne bianche e quelle afro americane nelle prescrizioni di Depo-Provera, che portarono all’accusa che “questa forma di controllo delle nascite a lungo termine è abitualmente prescritta alle donne di colore per privarle della possibilità di controllare autonomamente la loro stessa capacità riproduttiva”. Alle donne americane bianche e alle donne europee, al contrario, questo medicinale viene prescritto solo raramente e il più delle volte come trattamento per l’endometriosi, il che riduce molto il suo potenziale commerciale in occidente. Perciò la Pfizer avrà un enorme beneficio dal programma portato avanti dalla Fondazione Gates, che annunciava a colpi di grancassa, al summit di Londra per la Pianificazione Familiare del 2012, di voler distribuire il medicinale a milioni di donne nell’Asia del sud e nell’africa subsahariana entro il 2016.

Facciamo i calcoli. Se 120 milioni di donne diventeranno nuove consumatrici di Depo-Provera, a un costo medio stimato tra i 120 e i 300 dollari l’anno a donna, il risultato è tra i 15 e i 36 miliardi di nuove vendite all’anno, un bel guadagno a fronte di una spesa di 4 miliardi in ricerca. La pubblicità della Fondazione Gates vuole far credere che il suo aggressivo sostegno a questo discreditato medicinale sia semplicemente una risposta alle richieste delle donne povere. “Molte donne africane vorrebbero usare i contraccettivi sottocutanei ma non possono permetterselo” proclama il presidente e manager di PATH, Steve Davies. L’attivista per i diritti riproduttivi Kwame Fasu non è d’accordo: “Nessuna donna africana accetterebbe che le venisse iniettato, se fosse davvero a conoscenza dei pericolosi effetti collaterali di questo contraccettivo”.

Fonte: ilcambiamento.it