La Scozia indipendente sarà più “green”?

La Scozia potrebbe produrre il 100% di energia elettrica rinnovabile entro il 2023 ad un costo minore che se rimanesse nel Regno Unito, perchè non dovrebbe soggiacere al costo delle nuove centrali nucleari.

Il prossimo 18 settembre gli scozzesi si pronunceranno in un referendum per l’indipendenza del Regno Unito. Quali sono le prospettive energetiche di una futura Scozia indipendente?

La Scozia è uno dei paesi più verdi d’Europa, visto che produce il 40% della sua energia da fonti rinnovabili e punta a raggiungere i due terzi già entro il 2018. Alcuni ritengono che questo obiettivo sia troppo costoso per una Scozia separata dal Regno Unito, ma secondo l’Università di Aberdeen non è così. Con la secessione, la Scozia si chiamerà fuori dal costoso accordo stipulato dal Regno unito per la costruzione di nuove centrali nucleari. Come segnaliamo in un altro post di Ecoblog, il costo dell’elettricità nucleare inglese (112 €/MWh) supera in modo significativo il costo combinato di eolico e fotovoltaico in Germania (circa il 20% in meno). Poichè la Scozia è molto più ventosa della Germania, le prospettive del vento sono piuttosto rosee e si potrebbe addirittura raggiungere il traguardo del 100% di energia rinnovabile entro il 2023 solo con l’eolico on shore (vedi mappa sotto), assai più economico dell’on-shore, senza contare i sistemi di produzione di energia dalle onde e dalla marea. L’obiettivo sarà raggiunto con un costo minore di quello che si sarebbe avuto rimanendo nel Regno Unito. Tutto questo naturalmente riguarda il mondo elettrico, perché la Scozia non è pronta a dare l’addio al petrolio, anzi spera di ottenere benefici dallo sfruttamento dei giacimenti che ricadrebbero nella sua sovranità. Le ambizioni sembrano un po’ esagerate, perchè le risorse sbandierate da Oil€GasUK (da 2 a 3 Gtep) sembrano decisamente gonfiate rispetto ai dati forniti da BP (0,64 Gtep).

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Fonte: ecoblog.it

Maurizio Pallante al Teatro Rossi Aperto di Pisa

Nell’ambito degli eventi culturali e delle iniziative che animano il Teatro Rossi Aperto di Pisa, Maurizio Pallante – massimo esponente della decrescita in Italia – è stato invitato dal Gruppo pisano della Decrescita a tenere una presentazione sull’economia del dono, in vista della Festa del presente che avrà luogo a Pisa il prossimo 5 Maggio.

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In vista della festa del presente organizzata dal Gruppo della Decrescita di Pisa per il prossimo 5 Maggio, Maurizio Pallante, massimo esponente della decrescita in Italia, è stato invitato a tenere una presentazione sull’economia del dono al Teatro Rossi Aperto di Pisa lo scorso 14 Marzo. L’intervento si è posto in continuità con il workshop che ha visto protagoniste a Febbraio numerose personalità della cultura e dell’arte interessate al recupero del Teatro Rossi. Nella platea affollata, ancorché fredda, Pallante ha trattato la rilevanza del dono badando a tracciare una serie di distinzioni che da sempre caratterizzano la sua opera. Anzitutto occorre non confondere fra loro la recessione – fase di stallo generalizzata, quella che viviamo attualmente -, e decrescita. Se la prima è caratterizzata da una riduzione generalizzata ed indiscriminata della produzione delle merci, causando livelli esponenziali di disoccupazione, la seconda è invece una diminuzione guidata e mirata della produzione ed è foriera di occupazione qualificata. Alla base di questo ragionamento Pallante colloca la distinzione, già marxiana, fra bene e merce, in base alla quale le merci sono oggetti di scambio e di vendita, mentre i beni soddisfano bisogni essenziali che non sono sempre, né necessariamente riducibili alla mercificazione. Anche se beni come il gas o il carbone possono essere trasformati in merci, un uso non oculato di questi ultimi è all’origine degli sprechi e del danno ambientale. Inoltre esistono beni che non sono mai trasformabili in merci (come i valori, i principi, gli affetti). Di conseguenza beni e merci non si equivalgono, mentre è fondamentale identificare le funzioni e le finalità che li caratterizzano per capire se la loro produzione soddisfi o meno bisogni reali ed essenziali. In tale contesto si colloca il senso stesso della decrescita: chiedersi, come spesso si usa fare, se il prefisso “de” abbia o meno una valenza negativa è fuorviante, poiché in questione è piuttosto la nozione di “crescita” che si vuole difendere. Si tratta di interrogarsi se il progresso da instaurare sia all’insegna della produzione incontrollata ed indiscriminata di merci, o piuttosto di un aumento selezionato e qualificato di quelle merci che non si mutano in sprechi. Per Pallante la decrescita è espressione della possibilità di costruire un’alternativa sociale ed economica, imperniata sul rilancio della domanda mediante il debito al fine di creare occupazione qualificata. Da dove prendere il denaro? “Il denaro – dice Pallante si può recuperare solo riducendo gli sprechi, che non sono quelli della pubblica amministrazione (perché in questo caso si va a colpire delle persone e quindi si influisce sul salario), bensì quelli che arrechiamo in natura. Bisogna ridurre gli sprechi delle risorse naturali per ridare lavoro, modificando gli stili di vita dei paesi occidentali e recuperando i talenti perduti nel corso delle ultime tre generazioni”. A questo proposito, rifacendosi al filosofo Richard Sennett, Pallante ha ricordato il significato del lavoro manuale come dimensione formativa, che coinvolge tutte le facoltà, affinando particolarmente quelle tattili, che veicolano informazioni più precise di quelle trasmesse dalla vista. In una società basata sulla capacità di collaborare e resa indipendente dal Pil si apre, allora, la possibilità di ricorrere al baratto e al dono come forme alternative allo scambio economico. I doveri sarebbero quelli della gratuità, che comporta l’obbligo di ricevere e di restituire più di quello che si è ottenuto. In questo caso il dono più importante è quello del tempo e la comunità potrebbe diventare la realizzazione più compiuta della collaborazione fondata sul munus, ovvero sul dono. Le idee di Pallante e gli esempi da lui proposti, per lo più concentrati su dimensioni locali (come gli sprechi nei consumi delle abitazioni, l’orto, le attività manuali), fanno capire che in gioco è soprattutto l’affermazione di un diverso paradigma culturale. Si è spesso ripetuto che, al fine di cambiare un modello, occorre proporne un altro altrettanto persuasivo ed indubbiamente il discorso di Pallante fa riflettere su quelli che sono gli scopi dell’economia politica e sulla direzione da intraprendere. Detto altrimenti, il problema che si presenta in una fase di recessione come quella in corso in Italia non si può affrontare prescindendo dalle domande relative a quale crescita ed a quale lavoro siano necessari. Al tempo stesso, se è vero che ogni modello culturale si regge su dei principi e su dei valori, il paradigma del dono prospettato da Pallante si presta anche ad un ulteriore dibattito, come quello sollevato da Tommaso Luzzati nel corso della presentazione pisana. Siamo sicuri che il dono resista alla logica del do ut des e che l’essere vincolato all’obbligo di dare e restituire non produca una regressione a modalità di collaborazione esclusivamente parentali, basate sulla conoscenza reciproca come avviene per la raccomandazione e la corruzione? Gli esempi di autoproduzione e di autosufficienza proposti da Pallante si reggono, ad esempio, sul modello della famiglia, che spesso rappresenta il solo baluardo per chi vive in situazioni di difficoltà. Ma non soltanto la gratuità offerta dalla famiglia non è esente da condizionamenti, che sono meno evidenti di quelli materiali (spesso di natura psicologica), più importante ancora è chiedersi se il dono possa essere immune dall’obbligo. La festa del presente, organizzata dal Gruppo della Decrescita per la prima volta a Pisa (Piazza Santa Caterina) il prossimo 5 Maggio, potrebbe allora essere l’occasione per ripensare questa modalità di interazione liberandola dagli stereotipi con l’esercizio dal vivo.

Fonte: il cambiamento

Debiti Pubblici, Crisi Economica e Decrescita Felice
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