Contro le bottiglie di vetro. La proposta di Paolo Hutter

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Basta con le bottiglie di vetro nei grandi eventi, nei sabba del calcio, nell’animazione ubriaca della movida. Gli incidenti di piazza San Carlo a Torino siano la Cernobil, la Fukushima del predominio della birra in vetro negli eventi affollati. Questa dovrebbe essere una prima acquisizione universale, condivisa e attuabile dopo i 1.500 e passa feriti della serata juventina. A scanso di equivoci, non sto dicendo che il vetro sia stato la causa dell’ondata di panico, né la causa dei ferimenti più gravi. Si discute e discuterà a lungo sulla gestione della serata, sulle piazze , le transenne, le eventualità  responsabilità di comune, questura e prefettura. Si possono avere opinioni diverse sulla possibilità di evitare completamente che si verifichino incidenti del genere. Ci si può perdere in discussioni infinite sull’alcol. Ma un dato è inconfutabile. C’erano per terra migliaia di bottiglie, quasi tutte di birra, che non avrebbero dovuto essere lì e che – perché rotte o calpestate – hanno provocato la maggior parte delle ferite.  E allora, mentre si continua a indagare e discutere sugli altri aspetti, concentriamoci intanto sulla necessaria lotta al pericolo e allo spreco costituito da tutte queste bottiglie di vetro usa e getta. Ci sono vari livelli della questione, ma tutti convergono nella stessa direzione. Il tema della sicurezza si intreccia con quello della gestione dei rifiuti, degli imballaggi, dei consumi. Con dei  paradossi evidenti: per esempio per motivi di sicurezza in casi come il raduno dei tifosi vengono chiusi i cestini per i rifiuti, provocando ulteriori “abbandoni” di bottiglie a terra.

Sarebbe possibile, al contrario, organizzare un efficace e puntiforme sistema di raccolta differenziata delle bottiglie?  Nella baraonda della folla? Ci sono esperienze di “ecofeste”, ma niente si è ancora provato in raduni paragonabili a quelli delle finali calcistiche.  Un altro tema caro a noi ambientalisti è quello delvuoto a rendere: le bottiglie non dovrebbero andare nei rifiuti per essere  poi riciclate, ma ritornare vuote e intatte ai produttori per essere riutilizzate. È una realtà in Germania, se ne parla anche in Italia.

Il sistema potrebbe cambiare anche le  modalità di consumo più spicciole. Persino l’ambulante abusivo ti verserebbe la birra nel bicchiere invece di darti la bottiglia?

Forse. Ma intanto, il vuoto a rendere è di là da venire. E la presenza delle bottiglie di vetro nei luoghi aperti e affollati va contrastata subito, con le ordinanze che sia i questori che i prefetti e i sindaci possono adottare. Mi sono informato, a scanso di equivoci: in orari e luoghi precisi vanno vietate sia la vendita che la somministrazione di bevande attraverso bottiglie di vetro, e va vietato anche il consumo attraverso bottiglie di vetro. Non so quanto sia il caso di estendere il divieto anche alle lattine. Ma non è realistico estenderlo alle bottiglie di plastica.  Anche nel caso della plastica sarebbe, sì, meglio sostituire i sistemi usa e getta con vuoto a rendere. Ma ammettiamolo (anche noi ambientalisti): il pet è infinitamente più leggero e più sicuro del  vetro, è altrettanto riciclabile. Per le bottiglie è l’alternativa realistica. Si spera e si vuole che i diversi materiali post-consumo vengano raccolti separatamente per avviarli a riciclo. Ma se le bottiglie restano a terra finiscono con i rifiuti indifferenziati in discarica o nell’inceneritore e paghiamo per smaltirle: quelle di plastica pesano un decimo di quelle di vetro. Se la bottiglia è inevitabile, che almeno sia di plastica. Anche per la birra? Certo. Ma davvero crediamo che ci siano motivi igienici organolettici o di gusto  per cui è meglio bere la birra dalle bottiglie di vetro? È probabile chel’associazione birra-vetro sia  solo un’abitudine culturale, che può cambiare. Come è cambiata per l’acqua minerale. Come è il caso che cambi dopo gli incidenti di Torino, il capolinea disastroso delle bottiglie di vetro.

Fonte: ecodallecitta.it

Piemonte: calano gli incidenti ma crescono quelli che coinvolgono pedoni e ciclisti

Presentato il rapporto 2014 del Centro di Monitoraggio Regionale della Sicurezza Stradale. Nonostante le riduzioni di incidentalità, nel 2013 il rischio di morire in un incidente stradale in Piemonte rimane superiore a quello rilevato per l’Italia e l’Europa, con 58 morti per milione di abitanti. La riduzione di morti tra pedoni, ciclisti e motociclisti rispetto al 2001 è stata inferiore rispetto alla riduzione del numero complessivo dei morti sulle strade380777

Cala del 9% il numero di morti sulle strade del Piemonte, rispetto al 2012. Secondo le cifre presentate dal Centro di Monitoraggio Regionale della Sicurezza Stradale (CMRSS), prosegue il percorso di miglioramento intrapreso dalla regione da oltre dieci anni. Se nel periodo dal 2000 al 2010 si sono chiusi con una riduzione della mortalità del 42% (il dimezzamento previsto dall’Unione Europea è stato raggiunto con due anni di ritardo, nel corso del 2012), il nuovo decennio vede il Piemonte ben avviato verso il perseguimento dei nuovi obiettivi. Con riferimento al valore 2010 (327 morti), il target piemontese per il 2020 è quello di non superare quota 163. Nonostante le riduzioni di incidentalità, nel 2013 il rischio di morire in un incidente stradale (morti per milione di abitanti) in Piemonte rimane superiore a quello rilevato per l’Italia e per l’Europa, con 58 morti per milione di abitanti. Tre incidenti su quattro avvengono nei centri abitati. Lo studio analizza il fenomeno nelle sue molteplici e variegate componenti e, basandosi sui dati raccolti in tutto il territorio regionale, consente una focalizzazione sugli aspetti critici sui quali concentrare gli sforzi e gli interventi. Le evidenze illustrate nel Rapporto confermano che l’incidentalità stradale in Piemonte risulta essere un fenomeno prevalentemente urbano come numero di episodi. Nel 2013 sulle strade comunali in abitato si contano addirittura più morti sia rispetto all’anno precedente, sia considerando i valori 2010. Di contro, in ambito extraurbano (dove si verifica la maggioranza di incidenti gravi e mortali)le percentuali di riduzione dei sinistri stradali sono molto più marcate: -22% sulle strade provinciali e statali, -23% sulle autostrade. Un dato confortante è rappresentato dall’abbattimento della mortalità sulle arterie autostradali: -52% rispetto al 2010, -17% tra il 2012 e il 2013 (valore quest’ultimo rilevato anche sulle strade provinciali e statali extraurbane). Lo scontro frontale-laterale (quasi 4mila casi nel 2013) è la natura incidentale più frequente, seguita dal tamponamento e dagli investimenti pedonali. La distribuzione temporale degli incidenti stradali nell’arco della giornata mostra che la quota di sinistri che avvengono nelle ore di punta (7:00-9:00 e 17:00-19:00), mediamente si attesta al 39%, salendo al 42% nel corso dei giorni lavorativi e riducendosi al 30% in quelli festivi. In calo anche gli incidenti che hanno visto coinvolte persone anziane (-24% rispetto al 2012). In controtendenza è invece l’aumento della mortalità giovanile: dopo diversi anni di miglioramento, nel 2013 si contano, rispetto al 2012, 6 vittime in più tra i neopatentati (18-21 anni) e 16 tra i giovani di età compresa tra i 22 e i 29 anni (+47%, valore che aumenta al 56% considerando il 2010). “Sebbene i dati che emergono da questo rapporto siano positivi -commenta l’assessore ai Trasporti della Regione Piemonte Francesco Balocco– in questi ultimissimi anni i tagli ai trasferimenti e la conseguente scarsità di risorse hanno ridotto significativamente le iniziative di prevenzione e di sensibilizzazione operate sul territorio piemontese. Il rischio è di un rallentamento nel trend positivo riscontrato negli anni precedenti. La sicurezza stradale rimarrà un tema prioritario della Regione Piemonte e procederemo alla redazione del nuovo programma regionale triennale 2015-2017 che, pur tenendo conto dei limiti di bilancio, fissi le linee guida della nostra azione ed individui nuove modalità di finanziamento anche attraverso forme di partenariato pubblico-privato”.
Migliora anche la situazione relativa agli utenti deboli, con una riduzione complessiva della mortalità del 22%, determinata soprattutto dal calo delle vittime tra i motociclisti (-35%). Ma la riduzione di morti tra i pedoni rispetto al 2001 (-37%) è stata inferiore rispetto alla riduzione del numero complessivo dei morti sulle strade (-54%). Nel 2013 gli incidenti stradali hanno causato tra i ciclisti 22 morti e 1.003 feriti. I ciclisti rappresentano il 9% dei morti; in ambito urbano il 13%. Il maggior numero di incidenti (il 55%) che coinvolgono i ciclisti si verifica nelle intersezioni, in particolare nei pressi di incroci e rotatorie. Nelle rotatorie il numero di incidenti è in aumento (da 93 nel 2010 a 139 nel 2013). Come per i pedoni, anche per i ciclisti nonostante risultati positivi dell’ultimo triennio, nel 2013 il numero di incidenti ed il numero di feriti rimane superiore ai valori del 2001. La riduzione di morti tra i ciclisti rispetto al 2001 (-19%) è stata nettamente inferiore rispetto alla riduzione del numero complessivo dei morti sulle strade (-54%). Come per pedoni e ciclisti, anche la riduzione di morti tra i motociclisti rispetto al 2001 (-15%) è stata nettamente inferiore rispetto alla riduzione del numero complessivo dei morti sulle strade (-54%).

Il rapporto completo è scaricabile all’indirizzo www.sicurezzastradalepiemonte.it


L’incidentalità stradale in Piemonte al 2013 – Sintesi rapporto 2014 [2,00 MB]

Centro di Monitoraggio Regionale della Sicurezza Stradale (CMRSS)

Fonte: ecodallecitta.it

USA, 300 fuoriuscite di petrolio negli ultimi due anni in North Dakota mai rese pubbliche fino ad ora

Il boom del thight oil da fracking ha moltiplicato le trivellazioni e gli oleodotti, che hanno superato i 28000 km, aumentando le probabilità di incidente e contaminazione dell’ambienteDakota-oil-1-586x390

Trecento fuoriuscite di petrolio in meno di due anni nelle campagne del North Dakota: è il lato oscuro del boom petrolifero del tight oil da fracking. La Associated Press ha documentato circa 750 incidenti, finora sconosciuti al pubblico, avvenuti nella filiera del tight oil dal gennaio del 2012, tra cui 300 perdite dagli oleodotti. Questi dati preoccupanti sono venuti alla luce in seguito ad un incidente piuttosto grave che ha causato la fuoriuscita di oltre 20000 barili di greggio all’inizio del mese. Il tight oil è estratto dalla roccia compatta (e non porosa come nel caso del petrolio convenzionale), mediante la contestata tecnica del fracking. I giacimenti sono piccoli, per cui si deve trivellare molto di più, e si devono anche posare molti più km di oleodotti. In North Dakota ci sono oltre 28000 km di oleodotti, oltre il triplo della distanza Roma-Pechino e pari a circa 16 volte il perimetro dello stato americano, un tempo territorio Sioux: è come se ci fossero 150 metri di oleodotto su ogni singolo km² di territorio. Le perdite di petrolio non sono quindi casuali, ma imputabili all’incredibile lunghezza della rete e alla sua crescita tumultuosa (+14% lo scorso anno): la conseguenza inevitabile è una minore qualità delle installazioni e una più scarsa manutenzione. La stessa cosa accade con il gas: le perdite in North Dakota sono pari al 30%, in genere sotto forma di flaring, al punto da illuminare la notte più di una metropoli. Il Dakota Resource Council è un organizzazione ambientalista con una forte base sociale di agricoltori e allevatori molto preoccupati per l’impatto negativo del breve boom dell’olio sul benessere a lungo termine del territorio. Riusciranno a fermare, o almeno a rallentare la devastazione?

Fonte: ecoblog

Sicurezza stradale e Nazioni Unite: la norma ISO 39001 per ridurre i rischi

Oltre 1,3 milioni di morti sulle strade di tutto il mondo. Negli ultimi anni l’aumento di incidenti stradali mortali è stato del 65%; si stima che entro il 2030 questa sarà una delle prime 5 cause di morte a livello mondiale. Il 46% dei feriti e dei morti sulle strade sono pedoni, ciclisti e motociclisti. Cosa si può fare?375836

Esiste un programma delle Nazioni Unite studiato per ridurre gli incidenti gravi e mortali che avvengono sulla strada: “United Nations Decade of Action for Road Safety”. Il progetto si propone entro il 2020 di dare un taglio deciso ai tragici eventi e ai danni che questi provocano alla società attraverso una serie di misure internazionali rivolte a tutti gli operatori della strada spingendo ogni iniziativa utile a ridurre i fattori di rischio. Alla base del programma vi è la definizione della norma internazionale ISO 39001, uno standard che definisce i requisiti per la gestione della sicurezza stradale rivolto a tutti coloro che svolgono un ruolo di responsabilità nella gestione della sicurezza stradale. Trasportatori di beni e persone, progettisti, manutentori e gestori di strade, servizi pubblici, scuole e generatori di traffico possono definire i propri requisiti e attuare misure di miglioramento per rispettarli. Non solo quindi iniziative locali di sensibilizzazione verso la popolazione, ma azioni concrete e misurabili che riducano i rischi e le cause degli incidenti. Attraverso il rispetto dei requisiti della norma, infatti, le compagnie di trasporti, di autobus, i corrieri, le poste, la nettezza urbana possono ambire alla riduzione del numero dei potenziali incidenti e a quella delle assenze per malattia e dei costi per riparazione di autoveicoli oltre che ai rischi di citazione legale per negligenza. I dipartimenti locali per la pianificazione, i progettisti e le imprese di costruzione possono avere vantaggi nelle gare di appaltolimitare i costi di gestione e riparazione e aumentare la sicurezza dell’intero sistema. Anche i servizi pubblici, le scuole, gli ospedali, i parcheggi, i centri commerciali, con l’adozione della norma vedrebbero innanzi tutto vantaggi per la pianificazione e un forte miglioramento delle credenziali di responsabilità sociale. In Giappone e in UK sono diverse le compagnie che hanno già adottato la norma, migliorando le condizioni di sicurezza dei propri dipendenti e dell’intero contesto in cui operano. Anche in Italia, dove pure si sta facendo molta informazione sulla sicurezza, si sente l’esigenza di uno strumento che metta a confronto le diverse realtà operanti sulla strada. “C’è urgenza di intervenire in questo ambito – osserva Luigi Brusamolino, Amministratore Delegato BSI South Europe, l’ente di certificazione che ha ideato con ISO la norma con un approccio sistematico e coerente, che sia in grado di apportare benefici non solo a chi lo adotta ma alla società tutta”. L’Organizzazione Mondiale per la Sanità ha registrato dati allarmanti: oltre 1,3 milioni di morti sulle strade di tutto il mondo e oltre 50 milioni di incidenti gravi ogni anno. Gli incidenti stradali sono la maggiore causa di morte tra i giovani in età compresa tra i 10 e i 24 anni. Negli ultimi anni l’aumento di incidenti stradali mortali è stato del 65%; si stima che entro il 2030 questa sarà una delle prime 5 cause di morte a livello mondiale. Senza interventi mirati si stima che nel 2020 le morti causate da incidenti stradali saranno circa 1,9 milioni all’anno. Il 90% degli incidenti stradali colpisce i Paesi in via di sviluppo nonostante questi abbiano meno della metà della media dei veicoli degli altri. Il 46% dei feriti e dei morti sulle strade sono pedoni, ciclisti e motociclisti. Solo il 15% degli stati ha una normativa relativa a questi fattori di rischio: limiti di velocità, guida in stato di ebbrezza, utilizzo di casco e cinture, seggiolini per bambini. Oltre alla perdita di vite umane e alla devastazione che causano in termini di danni alle attrezzature e alle strutture, gli incidenti stradali costano mediamente ogni anno ai vari Paesi tra l’1 e il 3% del PIL e nei Paesi in via di sviluppo si parla di 100 miliardi di Sterline (fonte Worldbank). Con l’adozione dell’approccio strutturato e olistico proposto dalla ISO 39001, le organizzazioni dovrebbero essere in grado di migliorare i loro risultati nella gestione del traffico, di adeguarsi alle leggi vigenti contribuendo nel contempo ad un alto obiettivo per la società tutta: un minor numero di incidenti stradali. ISO 39001 è il nuovo standard per tutte le organizzazioni che intendono partecipare attivamente alla sicurezza del traffico stradale (RTS). Fornisce un quadro comune di riferimento basato sulle migliori pratiche di gestione per affrontare i rischi per la sicurezza stradale, sia per le municipalità che per tutti gli altri operatori del traffico. Adottando le best practice di gestione definite dalla ISO 39001, le imprese e le aziende possono attivamente contribuire, compatibilmente con il loro ambito di influenza, a ridurre il rischio di morte e di gravi lesioni causate dal traffico stradale. Il nuovo standard è uno strumento prezioso per qualsiasi organizzazione che ne potrà apprezzare i vantaggi, per se stessa e i suoi stakeholder, derivanti da un sistema di gestione della sicurezza stradale; questi includono l’organizzazione e la tutela dei dipendenti, del management, degli investitori e dei clienti.

Fonte: eco dalle città

 

Ennesima fuga di acqua radioattiva a Fukushima, gli incidenti sono ormai quotidiani

Continuano gli incidenti nella centrale di Fukushima: ultimo in ordine cronologico una nuova fuga di 42m³ di acqua radioattiva nella notte tra il 17 e il 18 aprile.8284234184_f8f11ad724_k-586x439

Tepco, Tokyo Electric Power Company che gestisce la centrale nucleare di Fukushima Daiichi, ha notato un abbassamento dei liquidi nel Serbatoio numero 2 la notte del 17 aprile: la perdita si sarebbe consumata proprio nelle vasche per la decantazione di acque radioattive, più precisamente nel passaggio dal Serbatoio 2 a quello, più sicuro, H2; Tepco ha interrotto l’operazione di trasferimento il pomeriggio del 17 aprile per riprenderla la mattina del 18, quando ha verificato che le acque erano passate da 707m³ a 665m³.

L’allarme è scattato immediatamente ma, complice anche la nottata di buio durante la quale si è verificata la perdita, Tepco ad oggi non è in grado di dire con certezza dove sia finito il liquido radioattivo: il capo del team di esperti dell’Agenzia Internazionale per l’energia atomica AIEA Juan Carlos Lentijo aveva già esortato Tepco ad incrementare la stabilità dell’impianto, ma questo nuovo incidente è la dimostrazione che troppo poco è stato fatto. Tra l’altro, secondo l’Agenzia France-Presse, ieri mattina è stato riattivato il sistema di raffreddamento della piscina contenente combustibile esaurito del reattore numero 2, spento dopo l’allarme topi di circa un mese fa. La nuova perdita di acqua radioattiva è avvenuta immediatamente dopo la presentazione di una serie di misure atte a garantire maggior sicurezza, linee guida redatte proprio da Tepco: era la giornata del 17 aprile e la mattina dopo la centrale si sarebbe ritrovata con 42m³ di acqua contaminata in meno. Tepco ha specificato di voler eliminare ogni rischio: evitare che si possano infiltrare animali nei quadri elettrici e trasferire le acque radioattive in vasche più sicure sono le due priorità principali, ma al primo trasferimento di liquami ecco registrare la perdita.

Abbiamo sentito la necessità di agire per evitare il ripetersi di certi incidenti. Naturalmente sarebbe stato meglio farlo prima, ora dobbiamo accelerare questo processo per risolvere le carenze ed i ritardi sin qui accumulati.

ha dichiarato Naomi Hirose, a capo della Tepco, in una conferenza stampa. Secondo l’Agenzia internazionale però il rischio è che ci vogliano almeno 40 anni prima che si consideri il pericolo concluso e la centrale chiusa (sempre se i giapponesi vorranno davvero chiuderla): i danni subiti dall’impianto sono così ingenti che risulta impossibile anche per l’ente internazionale dare un tempo certo per le operazioni di messa in sicurezza. Gli incidenti sono quotidiani: dopo la perdita del 17-18 aprile è toccato a 14 lavoratori, il 19 aprile, entrare erroneamente in contatto con l’acqua radioattiva; gli operai, lavoratori per una ditta incaricata da Tepco, non indossavano protezioni e indumenti atti a garantire la loro sicurezza, ma sono stati accuratamente allontanati dalle domande indiscrete della stampa: spariti nel nulla. Di recente invece sono stati pubblicati i dati relativi alla radioattività da cesio; nelle piscine di due scuole nella zona di Fukushima sono stati rilevate radiazioni da cesio ivi depositato di 100.000 becquerel per chilogrammo: secondo la legge giapponese il governo dovrebbe rimuovere ogni sostanza che superi gli 8.000 becquerel per chilogrammo. Il mantenimento delle strutture provvisorie, a due anni dal disastro, mai sostituite da Tepco con altre definitive, sta provocando incidenti con una regolarità spaventosa: nonostante l’esercizio a minimizzare il problema attuato continuamente dal governo nipponico l’area metropolitana di Tokyo, secondo alcune ricerche citate da Fukushima Diary il livello di contaminazione di quell’area (40 milioni di persone) è più alto di quello della zona di evacuazione di Chernobyl. Il sito di Fukushima Daiichi appare estremamente vulnerabile: il terremoto del 14 aprile a largo della costa di Fukushima, 5,3 della scala Richter, ha dato un’ulteriore colpo alla struttura fatiscente. Roditori, serpenti e animali fanno il resto del lavoro, infiltrandosi e rosicchiando il rosicchiabile, dimostrando giorno dopo giorno la precarietà dei dispositivi attualmente in uso nella centrale e l’inadeguatezza delle misure adottate fino ad ora.

Fonte:  The Asahi Shimbun