Ecomafia 2013, da Legambiente nome e numeri dell’illegalità ambientale

“Il business della criminalità organizzata non conosce recessione e, anzi, amplia i suoi traffici con nuove rotte e nuove frontiere”. È quanto emerge da Ecomafia 2013, il rapporto annuale di Legambiente realizzato grazie al contributo delle Forze dell’ordine.

“Con una lungimiranza e una profondità che politici, imprenditori, istituzioni e cittadini spesso non hanno o fanno finta di non avere, (le mafie) sono riuscite a fare sistema penetrando in tutti i settori della nostra esistenza in maniera globale e totalitaria”.

Carlo Lucarelli, Prefazione rapporto Ecomafia 2013 di Legambiente

34.120 reati, 28.132 persone denunciate, 161 ordinanze di custodia cautelare, 8.286 sequestri, per un giro di affari di 16,7 miliardi di euro gestito da 302 clan, 6 in più rispetto a quelli censiti lo scorso anno. I numeri degli illeciti ambientali accertati lo scorso anno delineano una situazione di particolare gravità. Il 45,7% dei reati è concentrato nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Sicilia, Calabria e Puglia) seguite dal Lazio, con un numero di reati in crescita rispetto al 2011 (+13,2%) e dalla Toscana, che sale al sesto posto, con 2.524 illeciti (+15,4%). Prima regione del Nord Italia, la Liguria (1.597 reati, +9,1% sul 2011). Da segnalare per l’incremento degli illeciti accertati anche il Veneto, con un +18,9%, e l’Umbria, passata dal sedicesimo posto del 2011 all’undicesimo del 2012. Crescono nel 2012 anche gli illeciti contro gli animali e la fauna selvatica (+6,4% rispetto al 2011), sfiorando quota 8.000, a una media di quasi 22 reati al giorno e ha il segno più anche il numero di incendi boschivi che hanno colpito il nostro paese: esattamente +4,6% rispetto al 2011, un anno orribile per il nostro patrimonio boschivo dato che aveva fatto registrare un picco del 62,5% rispetto al 2010. È la Campania a guidare anche quest’anno la classifica dell’illegalità ambientale nel nostro paese, con 4.777 infrazioni accertate (nonostante la riduzione rispetto al 2011 del 10,3%), 3.394 persone denunciate e 34 arresti. E il discorso vale sia per il ciclo illegale del cemento sia per quello dei rifiuti. È un’economia che non conosce la parola recessione quella fotografata da Ecomafia 2013, il rapporto annuale di Legambiente realizzato grazie al contributo delle Forze dell’ordine, con prefazione di Carlo Lucarelli ed edito da Edizioni Ambiente, sulle storie e i numeri dell’illegalità ambientale in Italia, presentato oggi a Roma nel corso di una conferenza stampa che ha visto la partecipazione, tra gli altri, del Ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, del Presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza, del responsabile dell’Osservatorio ambiente e legalità di Legambiente Enrico Fontana, del procuratore nazionale antimafia Giusto Sciacchitano, del Presidente della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati Ermete Realacci e del Presidente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati Donatella Ferranti.

Nel ciclo del cemento bisogna segnalare il secondo posto della Puglia, che per numero di persone denunciate risulta essere la prima regione d’Italia; la leadership tra le regioni del Nord della Lombardia; la crescita esponenziale degli illeciti accertati in Trentino Alto Adige, quasi triplicati in un anno; il balzo in avanti della Basilicata, che con 227 illeciti arriva al decimo posto (nel 2011 era quindicesima). Nel ciclo dei rifiuti spiccano l’incremento dei reati registrato in Puglia (+24%), al terzo posto dopo Campania e Calabria, e il quinto posto raggiunto dalla Sardegna. Anche in questa filiera illegale la provincia di Napoli è al primo posto in Italia, seguita da Vibo Valentia, dove si registra un + 120% di reati accertati rispetto al 2011. “Quella delle Ecomafie – ha dichiarato il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza – è l’unica economia che continua a proliferare anche in un contesto di crisi generale. Che continua a costruire case abusive quasi allo stesso ritmo di sempre mentre il mercato immobiliare legale tracolla. Con imprese illegali che vedono crescere fatturati ed export, quando quelle che rispettano le leggi sono costrette a chiudere i battenti. Un’economia che si regge sull’intreccio tra imprenditori senza scrupoli, politici conniventi, funzionari pubblici infedeli, professionisti senza etica e veri boss, e che opera attraverso il dumping ambientale, la falsificazione di fatture e bilanci, l’evasione fiscale e il riciclaggio, la corruzione, il voto di scambio e la spartizione degli appalti. Semplicemente perché conviene e, tutto sommato, si corrono pochi rischi. Le pene per i reati ambientali, infatti, continuano ad essere quasi esclusivamente di tipo contravvenzionale e l’abbattimento degli edifici continua ad essere una eventualità remota. Anzi, agli ultimi 18 tentativi di riaprire i termini del condono edilizio si è anche aggiunta la sciagurata idea di sottrarre alle procure il potere di demolire le costruzioni abusive”. L’incidenza dell’edilizia illegale nel mercato delle costruzioni è passata dal 9% del 2006 al 16,9% stimato per il 2013. Mentre le nuove costruzioni legali sono crollate da 305.000 a 122.000, quelle abusive hanno subito una leggerissima flessione: dalle 30.000 del 2006 alle 26.000 nel 2013. A fare la differenza sono ovviamente i costi di mercato: a fronte di un valore medio del costo di costruzione di un alloggio con le carte in regola pari a 155.000 euro, quello illegale si realizza con un terzo dell’investimento, esattamente 66.000 euro. Non sarebbe comunque un buon affare se si corresse davvero il rischio della demolizione, ma si tratta di un’eventualità purtroppo remota: tra il 2000 e il 2011 è stato eseguito appena il 10,6% delle 46.760 ordinanze di demolizione emesse dai tribunali. Una goccia nella vera e propria ondata di cemento abusivo che si è abbattuta sul nostro paese: dal 2003 al 2012 sono state 283.000 le nuove case illegali, con un fatturato complessivo di circa 19,4 miliardi di euro. Ma la criminalità ambientale, oltre a coltivare i soliti interessi, sa anche cogliere tutte le nuove opportunità offerte dall’economia: l’Ufficio centrale antifrode dell’Agenzia delle dogane segnala che i quantitativi di materiali sequestrati nei nostri porti nel corso del 2012 sono raddoppiati rispetto al 2011, passando da 7.000 a circa 14.000 tonnellate grazie soprattutto ai cosiddetti cascami, cioè materiali che dovrebbero essere destinati ad alimentare l’economia legale del riciclo, che invece finiscono in Corea del Sud (è il caso dei cascami di gomma), Cina e Hong Kong (cascami e avanzi di materie plastiche, destinati al riciclo o alla combustione), Indonesia e di nuovo Cina per carta e cartone, Turchia e India, per quelli di metalli, in particolare ferro e acciaio. Questi flussi garantiscono enormi guadagni ai trafficanti (coi proventi della vendita all’estero e il mancato costo dei trattamenti necessari per renderli effettivamente riciclabili) e un doppio danno per l’economia legale, perché si pagano contributi ecologici per attività di trattamento e di riciclo che non vengono effettuate e vengono penalizzate le imprese che operano nella legalità, costrette a chiudere per la mancanza di materiali. Come confermato dalle inchieste svolte in Sicilia sul “finto riciclo”, che hanno smascherato le nuove strategie criminali su questo fronte.ecomafie_cava-586x389

L’accentuata dimensione globale delle attività degli ecocriminali, la diversificazione delle loro attività, si accompagnano in maniera sempre più evidente con l’altra piaga che affligge il nostro paese: la corruzione. In costante e inarrestabile crescita. Secondo la Relazione al Parlamento della Dia relativa al primo semestre 2012, le persone denunciate e arrestate in Italia per i reati di corruzione sono più che raddoppiate rispetto al semestre precedente, passando da 323 a 704. E se la Campania spicca con 195 persone denunciate e arrestate, non sfigurano nemmeno la Lombardia con 102 casi e la Toscana a quota 71, seguite da Sicilia (63), Basilicata (58), Piemonte (56), Lazio (44) e Liguria (22). Di mazzette e favori si alimenta, infatti, quell’area grigia che offre i propri servizi alle organizzazioni criminali o approfitta di quelli che gli vengono proposti. Dal primo gennaio 2010 al 10 maggio 2013, sono state ben 135 le inchieste relative alla corruzione ambientale, in cui le tangenti, incassate da amministratori, esponenti politici e funzionari pubblici, sono servite a “fluidificare” appalti e concessioni edilizie, varianti urbanistiche e discariche di rifiuti. La Calabria è, per numero di arresti eseguiti (ben 280), la prima regione d’Italia, ma a guidare la classifica come numero d’inchieste è la Lombardia (20) e al quinto posto della classifica, dopo Campania, Calabria e Sicilia, figura la Toscana. Insomma, a “tavolino” si spartiscono appalti, grandi e piccoli, in quasi tutte le province italiane con un enorme danno per la collettività chiamata a sostenere oneri superiori a quelli che si sarebbero determinati nel rispetto della legge. Così, nel corso del 2012 il numero dei comuni sciolti per infiltrazione mafiosa è salito a 25 (erano 6 nel 2011). Eclatante il caso Calabria: alla pervasiva presenza della ‘ndrangheta la Calabria i suoi cittadini onesti stanno pagando, da troppo tempo, un prezzo insostenibile, come dimostrano sia le inchieste condotte dalla magistratura tra il 2012 e i primi mesi del 2013 sia i decreti di scioglimento dei consigli comunali. Un quadro clamoroso di questa insostenibilità emerge dalle 232 pagine della relazione della commissione guidata dal prefetto Valerio Valenti, che ha portato allo scioglimento del comune di Reggio Calabria (9 ottobre 2012): la debolezza strutturale della macchina amministrativa ha rappresentato “un terreno fertile per la criminalità organizzata, nel tentativo di piegare al proprio tornaconto – anche per mera riaffermazione del principio del predominio territoriale – segmenti della amministrazione pubblica locale”. Ma il comune di Reggio è solamente l’apice di quello che si configura come un vero e proprio “caso Calabria”: nel corso del 2012 sono ben 11, su 25 totali, i comuni sciolti per infiltrazioni mafiose. E nei primi mesi del 2013 sono stati già sciolti tre comuni, tra cui, ancora, quello di Melito Porto Salvo, mentre in altri otto sono ancora al lavoro le commissioni d’accesso. E dalla Calabria la ‘ndrangheta ha inquinato ampio settori dell’economia di tutto il Paese, a partire dal ciclo del cemento e dei rifiuti, come dimostrano anche i recenti arresti avvenuti in Piemonte e Lombardia. A completare il quadro, Ecomafia 2013 descrive anche l’attacco al made in Italy: nel 2012 (grazie al lavoro svolto dal Comando Carabinieri per la tutela della salute, dal Comando Carabinieri politiche agricole, dal Corpo forestale dello stato, dalla Guardia di finanza e dalle Capitanerie di porto) sono state accertati lungo le filiere agroalimentari ben 4.173 reati penali, più di 11 al giorno, con 2.901 denunce, 42 arresti e un valore di beni finiti sotto sequestro pari a oltre 78 milioni e 467.000 euro (e sanzioni penali e amministrative pari a più di 42,5 milioni di euro). Se si aggiungono anche il valore delle strutture sequestrate, dei conti correnti e dei contributi illeciti percepiti il valore supera i 672 milioni di euro. Il controllo delle mafie nasce dalle campagne, passa attraverso il trasporto e il controllo dei mercati ortofrutticoli all’ingrosso, e arriva alla grande distribuzione organizzata. La scalata mafiosa spesso approda poi nella ristorazione, dove gli ingenti guadagni accumulati consentono ai clan di acquisire ristoranti, alberghi, pizzerie, bar, che anche in questo caso diventano posti ideali dove “lavare” denaro e continuare a fare affari.ecomafia_2013

Anche per quanto riguarda la tutela del nostro patrimonio culturale alla minaccia dei clan si sommano altri interessi criminali, inettitudine e scarsa attenzione dei poteri pubblici, che lasciano troppe volte campo libero ai predoni d’arte. Secondo l’Istituto per i beni archeologici e monumentali del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibam-Cnr), la perdita del patrimonio culturale ci costa circa un punto percentuale del Pil, calcolando il solo valore economico e non anche quello culturale che non può essere calcolato. Nel corso del 2012 le forze dell’ordine hanno accertato 1.026 furti di opere d’arte (891 a opera dei carabinieri del Comando tutela patrimonio culturale), quasi tre al giorno, con 1.245 persone indagate e 48 arrestate; e ancora 17.338 oggetti trafugati e ben 93.253 reperti paleontologici e archeologici recuperati, per un totale di oltre 267 milioni di euro di valore dei beni culturali sequestrati. Il dovere della verità. Il 2 marzo del 1994, Legambiente presentava alla procura della Repubblica di Reggio Calabria l’esposto che avrebbe dato il via a una delle vicende più inquietanti legate ai traffici e agli smaltimenti illegali di rifiuti nella storia del nostro paese: quella delle cosiddette “navi a perdere”, o navi dei veleni per il presunto carico di scorie pericolose e radioattive, fatte affondare dolosamente nel Mediterraneo e in particolare al largo delle coste calabresi. Da allora non ci siamo mai stancati di chiedere che i fatti venissero accertati, soprattutto dopo la morte del capitano di fregata Natale De Grazia, avvenuta il 12 dicembre 1995. Una richiesta che sentiamo il dovere di rinnovare, in maniera ancora più forte, grazie all’approvazione da parte dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, di due relazioni di grande valore: quella del 5 febbraio 2013 sul caso De Grazia, e quella del 28 febbraio sul fenomeno delle “navi a perdere”, curate dal presidente della Commissione, Gaetano Pecorella e dall’onorevole Alessandro Bratti. L’impegno perché sia fatta luce sulla morte di Natale De Grazia avvenuta, come denuncia la stessa Commissione, per “causa tossica”, deve essere il primo passo in direzione dell’accertamento più ampio della verità sulle cosiddette “navi a perdere” e sui possibili intrecci con altre vicende, come quelle dei traffici illegali di rifiuti in Somalia. “I numeri e le inchieste riassunte in questo rapporto – ha dichiarato il responsabile dell’Osservatorio ambiente e legalità di Legambiente Enrico Fontana – impongono, l’adozione di un pacchetto di misure indispensabili per contrastare in maniera decisamente più efficace la minaccia rappresentata dai fenomeni di criminalità ambientale che avvelenano il nostro paese. La prima proposta riguarda l’introduzione dei delitti ambientali nel nostro codice penale, con l’approvazione del disegno di legge già licenziato dal governo Prodi nel 2007 e ripresentato in questa legislatura dal presidente della Commissione ambiente della Camera, Ermete Realacci, che consentirà alla magistratura e alle forze dell’ordine di intervenire in maniera adeguata perché frutto di un’attenta e obiettiva valutazione dei fenomeni criminali, delle loro cause e delle loro conseguenze. La riforma del sistema di tutela penale dell’ambiente, prevista peraltro dalla direttiva Ue 99 del 2008 ‘sulla tutela penale dell’ambiente’, che l’Italia ha formalmente recepito ma sostanzialmente disatteso, deve essere accompagnata da un’altra iniziativa legislativa non più rinviabile: l’introduzione di norme che rendano effettiva l’azione di contrasto dell’abusivismo edilizio con la definizione di tempi e modalità certe in cui censire ed eseguire le demolizioni; il rafforzamento del fondo a disposizione dei comuni per procedere agli abbattimenti; sanzioni più severe, fino alla misura estrema dello scioglimento degli enti locali inadempienti”.

Fonte: il cambiamento

Legambiente: Ambiente Italia 2013, serve coraggio per uscire dalla crisi

Mobilità privata ai vertici, industria in crisi, dissesto idrogeologico senza freni, illegalità ambientale al top, concentrazione di polveri e metalli ancora elevati. Ma anche aumento delle rinnovabili, riduzione di rifiuti ed emissioni inquinanti, crescita delle vendite di biciclette. Ecco l’Italia secondo Legambiente

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Le città soffocano per traffico e smog; la raccolta differenziata arranca in buona parte del Paese nonostante i 1.300 comuni ricicloni e il calo nella produzione dei rifiuti; il dissesto idrogeologico incombe sulla vita delle persone e l’economia del Belpaese; l’occupazione cala drammaticamente con il settore manifatturiero e industriale ridotto al lumicino; le ecomafie, intanto continuano a realizzare business milionari a scapito del territorio e dell’intera comunità, dove le diseguaglianze aumentano, con effetti particolarmente gravi nelle regioni del Sud. È questa la fotografia scattata da Legambiente nel rapporto Ambiente Italia 2013 che presenta un’analisi degli ultimi 10 anni di “non governo” del territorio e delle politiche sociali attraverso una serie di indicatori sociali e ambientali. “C’è una sola ricetta per uscire dalla crisi, ed è quella di una Green economy che incrocia le domande e i problemi dei territori, i ritardi del paese e le paure del futuro, le risorse e le vocazioni delle città e che vuole rimettere al centro la bellezza italiana”, ha dichiarato il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza. Secondo il Rapporto, a livello di mobilità, la motorizzazione privata e le percorrenze in auto in Italia sono sempre tra le più alte d’Europa. Nonostante il declino delle nuove immatricolazioni, il tasso di motorizzazione continua a crescere e rimane ai vertici dell’Unione europea e del mondo. Nel 2011 si è ormai sopra le 60 auto ogni 100 abitanti, rispetto alle 50 della Germania e alle 47 della media dell’Unione europea. Anche le percorrenze automobilistiche in Italia sono superiori alla media europea (il 22% in più) e a quelle della maggior parte degli altri paesi europei. Più rilevante, invece, è la differenza per il trasporto pubblico urbano, soprattutto nelle principali città, dove in altri paesi europei è più rilevante sia la quota di movimenti ciclabili sia quella con mezzi pubblici (in particolare tram e metropolitane). Nel 2011 inoltre, per la prima volta, le vendite di biciclette nuove hanno superato in Italia le immatricolazioni di nuove auto. Le nuove immatricolazioni sono passate dalle 42-43 auto ogni 1.000 abitanti degli inizi 2000, a fronte di una media di 38 auto per 1.000 abitanti nell’area euro, al minimo di circa 29 auto ogni 1.000 abitanti raggiunto nel 2011. Le vendite di biciclette invece, storicamente pari a circa i 2/3 delle nuove auto, hanno subito un rallentamento meno vistoso e in quell’anno hanno uguagliato e superato quelle delle auto. Tuttavia, le vendite di biciclette sono largamente inferiori alla media europea. Sul fronte energetico, nel 2012 è proseguita la discesa dei consumi energetici nazionali. La crisi economica e le condizioni meteorologiche, sottolinea il Rapporto, sono importanti fattori della riduzione , dovuta però anche all’introduzione di misure di efficienza energetica che hanno portato i consumi a valori inferiori a quelli del 2000. Il petrolio resta ancora la principale fonte (37,5%), essenzialmente per gli usi come carburante. Il 35% dei consumi derivano dall’impiego di gas naturale mentre il 13,3% è dato dalle rinnovabili e il 9% dall’uso di carbone. Nel bilancio energetico nazionale cresce la produzione da fonti rinnovabili, quasi raddoppiata rispetto a 10 anni orsono. Nella produzione elettrica nazionale, al 2012 le fonti rinnovabili valgono per il 28% della produzione e sono ancora in rapidissima crescita la produzione eolica (+34%) e quella fotovoltaica (+72%). Nel 2011 le emissioni di CO2eq sono stimate a 490 milioni di tonnellate, circa il 5% in meno del livello 1990. Nel 2011 la produzione di energia ha rappresentato il 31% del totale delle emissioni climalteranti italiane, i trasporti il 27%, l’energia per usi civili il 20%, l’energia per l’industria il 14%, l’agricoltura il 7,8%, i processi industriali il 7,5% e, infine, i rifiuti il 4,2%. L’Italia rimane il quarto paese europeo per emissioni dopo Germania, Regno Unito e Francia. Le riduzioni più consistenti si registrano per quei composti di cui è stato eliminato o fortemente ridotto l’utilizzo (come il piombo o l’anidride solforosa) o per cui sono state imposte specifiche misure di controllo e depurazione. Di gran lunga meno efficaci i risultati sulle emissioni polveri sottili – particolarmente rilevanti sotto il profilo sanitario – che si sono ridotte su scala europea del 26% (del 17% in Italia) sul periodo 1990-2010, ma sono cresciute nel 2010 rispetto al 2009 (sia nella Ue sia in Italia). La riduzione delle emissioni di metalli pesanti, in alcuni casi altamente tossici e cancerogeni, è stata rilevante su scala europea, ma molto più bassa in Italia. Anche per gli inquinanti organici persistenti, come i PCB o le diossine, le riduzioni conseguite in Italia sono state meno ampie rispetto a quelle medie europee. Nel settore dei rifiuti, nel 2011 la produzione di quelli urbani ha subito una caduta, grazie ai primi risultati delle politiche degli enti locali ma anche per effetto della riduzione dei consumi, attestandosi (sulla base dei comuni capoluogo) a circa 31,5 milioni di tonnellate. Il pro capite scende a poco più di 510 kg/ab, il valore più basso dal 2000. Negli anni 2000-2009 in Italia la produzione dei rifiuti urbani, si legge nel Rapporto, aveva continuato a crescere con un tasso quasi doppio rispetto al Pil: +11% la produzione dei rifiuti, +5,2% il Pil. Prosegue invece, anche se senza grandi balzi in avanti, la percentuale delle raccolte differenziate stimata al 37% nel 2011, con un modesto incremento sul 2010. Permane ancora un grande scarto tra le regioni settentrionali – in gran parte oltre il 50% – e le regioni centro-meridionali con tassi di riciclo più modesti e nelle regioni meridionali generalmente inferiori al 20% (con la sola eccezione della Sardegna). La tassazione ambientale nel 2011 è stata pari a 43,9 miliardi di euro, composta per il 75% (33 miliardi di euro) da tasse energetiche, e in particolare dalle accise petrolifere, per il 23,5% da tasse automobilistiche (10,3 miliardi di euro) e per il resto (meno di 500 milioni di euro) da tributi di discarica e altre imposte. Le tasse ambientali sono oggi significativamente inferiori rispetto agli inizi degli anni 2000 (nel 2001 erano il 3% del Pil e il 10,5% del totale delle entrate). In tutta l’Unione europea, tra il 1995 e il 2010, l’Italia è il paese con la maggiore contrazione dell’incidenza delle tasse ambientali sul Pil e, assieme a Grecia e Portogallo, dell’incidenza sulle entrate tributarie. L’analisi dei parametri sociali infine, rivela che l’Italia presenta forti diseguaglianze generazionali nell’accesso al lavoro, alla casa e ai sistemi di protezione sociale, con un tasso di occupazione dei giovani sceso dal 24% al 19% tra il 2008 e il 2011, un valore tra i più bassi in assoluto all’interno dell’Unione europea (la media è di oltre il 33%), con quattro regioni italiane (Basilicata, Calabria, Campania e Sicilia) che si collocano tra le regioni europee a più bassa occupazione giovanile. Forte e peggiore di altri paesi mediterranei europei, è il gap tra uomini e donne nell’accesso al lavoro e nel reddito: il tasso di occupazione femminile è il 70% di quello maschile, mentre il reddito femminile è il 54% di quello maschile. In formato ebook, il Rapporto sullo stato dell’ambiente in Italia completo di tutti gli indicatori ambientali e realizzato a cura dell’Istituto Ambiente Italia : http://freebook.edizioniambiente.it/libro/78/Ambiente_Italia_2013

Hanno contribuito al volume: Duccio Bianchi, Monica Brezzi, Giovanni Caudo, Stefano Ciafani, Anna Donati, Enrico Fontana, Monica Frassoni, Arturo Lorenzoni, Giulio Marcon, Aldo Ravazzi Douvan, Fabio Renzi, Edo Ronchi, Giorgio Zampetti, Edoardo Zanchini.

fonte: eco dalle città

“L’Italia oltre la crisi”. Legambiente presenta il rapporto ‘Ambiente Italia’

Forti diseguaglianze generazionali e di genere, tasso di occupazione tra i più bassi in Europa, mobilità privata ai vertici, industria in crisi, dissesto idrogeologico senza freni, illegalità ambientale al top, concentrazione di polveri e metalli ancora elevati. In positivo aumentano le rinnovabili, si riduce la produzione di rifiuti e le emissioni inquinanti, e risultano in aumento anche le vendite di biciclette. È quanto emerge dal rapporto di Legambiente ‘Ambiente Italia 2013’.

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Le città soffocano per traffico e smog; la raccolta differenziata arranca in buona parte del Paese nonostante i 1300 comuni ricicloni e il calo nella produzione dei rifiuti (dovuto alle politiche locali oltre che alla crisi nonostante l’assenza delle politiche nazionali); il dissesto idrogeologico incombe sulla vita delle persone e l’economia del Belpaese; l’occupazione cala drammaticamente con il settore manifatturiero e industriale ridotto al lumicino; le ecomafie, intanto, in splendida forma, continuano a realizzare business milionari a scapito del territorio e dell’intera comunità, dove le diseguaglianze aumentano, con effetti particolarmente gravi nelle regioni del Sud. Che l’Italia stia attraversando un periodo di profonda crisi, è noto. Come è noto anche il fatto che i tagli e i sacrifici, spesso pesantissimi, imposti a tutti non siano riusciti a risolvere la situazione. L’Italia oltre la crisi, edizione 2013 del rapporto di Legambiente [1] realizzato in collaborazione con l’Istituto Ambiente Italia, presenta un’analisi degli ultimi dieci anni di “non governo” del territorio e delle politiche sociali attraverso una serie di indicatori sociali e ambientali e propone idee e proposte concrete per avviare una economia low carbon attenta alle persone e ai territori, perché uscire dalla crisi è possibile e alcuni segnali positivi di cambiamento stanno già emergendo. Ambiente Italia 2013 è stato presentato oggi a Roma in un convegno che ha visto la partecipazione di: Vittorio Cogliati Dezza, presidente Legambiente, Edoardo Zanchini, vice presidente Legambiente, Ermete Realacci, responsabile green economy del Pd, Duccio Bianchi, dell’Istituto di ricerche Ambiente Italia, e gli onorevoli Giulio Marcon e Gea Schirò (Camera dei Deputati). “Questa crisi è figlia di politiche scellerate che hanno considerato l’ambiente come un freno per lo sviluppo economico o un lusso da rinviare a tempi migliori – ha dichiarato il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza -. Dalla crisi che sta attraversando il Paese invece si potrà uscire solo con idee differenti e con il coraggio di cambiare sul serio. Dobbiamo puntare a una alleanza tra lavoro e ambiente per cercare di rispondere adeguatamente alla drammatica situazione attuale per cui aumentano le diseguaglianze e la crisi climatica incombe. Oggi c’è una sola ricetta per uscire dalla crisi, ed è quella di una Green economy che incrocia le domande e i problemi dei territori, i ritardi del paese e le paure del futuro, le risorse e le vocazioni delle città e che vuole rimettere al centro la bellezza italiana”. “Forse addirittura più grave della crisi economica è la mancanza di idee per cambiare la situazione attuale, per restituire una speranza ai precari, ai giovani senza lavoro, a chi vive in città inquinate – ha dichiarato il vice presidente di Legambiente Edoardo Zanchini -. Non possiamo accontentarci di un dibattito politico senza sbocchi tra tagli alla spesa pubblica e agli investimenti e promesse su Imu, Iva e Irpef. Questa prospettiva condannerebbe l’Italia a altri dieci anni di declino, quando c’è invece bisogno di un cambiamento radicale.

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Servono risorse per la ricerca, la cultura, l’istruzione e per la messa in sicurezza del territorio in modo da dare all’Italia gli strumenti per uscire dalla crisi. Non è un sogno, ma una prospettiva lungimirante che passa per l’aumento della fiscalità sulle risorse energetiche, togliendo tutti i sussidi alle fonti fossili, in modo da ridurla sul lavoro, e per una tassazione finalmente adeguata e trasparente sulle risorse ambientali e i beni comuni (dal consumo di suolo ai materiali di cava, all’imbottigliamento di acque minerali alle spiagge), spingendo sul ripristino della legalità e fermando lo sperpero di denaro pubblico destinato a inutili e devastanti grandi opere”. “Misurata sugli 8 indicatori quantitativi dell’Agenda Europa 2020 – ha dichiarato Duccio Bianchi, dell’Istituto di ricerche Ambiente Italia -, l’Italia mostra una forte debolezza rispetto a molte altre società europee soprattutto sul fronte dell’inclusione sociale e della costruzione di una “economia della conoscenza” fondata sull’innovazione tecnologica e scientifica. Ma anche una (inattesa) opportunità sotto il profilo ambientale. Noto – e peggiorato – risulta il gap con gli altri paesi nella spesa in ricerca e sviluppo e nella presenza di industrie e servizi ad alto contenuto tecnologico. Ed è preoccupante che questo avvenga anche nei settori dove oggi l’industria italiana è tra i leader europei: nelle energie rinnovabili (ha il 13% del fatturato europeo ma genera meno del 6% dei brevetti). Con una spesa per l’istruzione in declino, abbiamo solo il 20% dei giovani laureati e scontiamo un quasi drammatico “digital divide”, con solo il 66% degli adulti che utilizza internet (a fronte dell’82% dell’Europa e di quasi il 100% dei paesi nordici). D’altro canto va segnalato come il pilastro della sostenibilità ambientale abbia inevitabilmente “beneficiato” della recessione. Non solo perché sono diminuiti i consumi e quindi i prelievi e le emissioni ambientali. Ma, soprattutto, perché dentro la crisi si è talora avviato un cambiamento che se sostenuto da politiche intelligenti e adeguate potrebbe durare e divenire strutturale”. L’analisi dei parametri sociali rivela che l’Italia presenta forti diseguaglianze generazionali nell’accesso al lavoro, alla casa e ai sistemi di protezione sociale. Tra il 2008 e il 2011 il tasso di occupazione dei giovani è sceso dal 24% al 19%, un valore tra i più bassi in assoluto all’interno dell’Unione europea (la media è di oltre il 33%), con quattro regioni italiane (Basilicata, Calabria, Campania e Sicilia) che si collocano tra le regioni europee a più bassa occupazione giovanile. Il fenomeno che dovrebbe destare maggiore preoccupazione è l’alto livello di giovani che non lavorano né studiano né sono attivi disoccupati (i NEETs). In Italia, il loro livello, già elevato nel 2008 (16,6%), è esploso dopo la crisi raggiungendo il 20% nel 2011. Un valore ben superiore non solo alla media UE (13%), ma anche a quello del Portogallo (12%), della Grecia (17%) o della Spagna (18%). Si è quindi bloccata la mobilità sociale dell’Italia, già non particolarmente elevata.

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L’Italia, come e peggio di altri paesi mediterranei europei, mostra poi un forte gap tra uomini e donne nell’accesso al lavoro (il tasso di occupazione femminile è il 70% di quello maschile) e al reddito. Il reddito femminile è il 54% di quello maschile), sia nell’accesso alle responsabilità politiche e istituzionali e manageriali (dove le donne sono il 50% degli uomini). Particolarmente drammatica è la condizione di esclusione delle donne che si registra nelle regioni meridionali. Nel 2011, il più basso tasso di occupazione femminile in tutta l’Unione europea si registra in tre regioni italiane: Campania, Sicilia e Puglia. Puglia e Campania sono anche le regioni con il più ampio gap occupazionale tra uomini e donne. A livello di mobilità invece, la motorizzazione privata e le percorrenze in auto in Italia sono sempre tra le più alte d’Europa. Nonostante il declino delle nuove immatricolazioni, il tasso di motorizzazione continua a crescere e rimane ai vertici dell’Unione europea e del mondo. Nel 2011 siamo ormai sopra le 60 auto ogni 100 abitanti, rispetto alle 50 della Germania e alle 47 della media dell’Unione europea. Anche le percorrenze automobilistiche in Italia sono superiori alla media europea (il 22% in più) e a quelle della maggior parte degli altri paesi europei. Più rilevante, invece, è la differenza per il trasporto pubblico urbano, soprattutto nelle principali città, dove in altri paesi europei è più rilevante sia la quota di movimenti ciclabili sia quella con mezzi pubblici (in particolare tram e metropolitane). Nel 2011 inoltre, per la prima volta, le vendite di biciclette nuove hanno superato in Italia le immatricolazioni di nuove auto. Le nuove immatricolazioni sono passate dalle 42-43 auto ogni 1.000 abitanti degli inizi 2000 (a fronte di una media di 38 auto per 1.000 abitanti nell’area euro) al minimo di circa 29 auto ogni 1.000 abitanti raggiunto nel 2011. Le vendite di biciclette invece, storicamente pari a circa i 2/3 delle nuove auto, hanno subito un rallentamento meno vistoso e in quell’anno hanno uguagliato e superato quelle delle auto. Comunque le vendite di biciclette sono largamente inferiori alla media europea.

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Sul fronte energetico, nel 2012 è proseguita la discesa dei consumi energetici nazionali. La crisi economica e le condizioni meteorologiche sono importanti fattori della riduzione ma la riduzione è anche il segno dell’introduzione di misure di efficienza energetica che hanno portato i consumi a valori inferiori a quelli del 2000. Il petrolio resta ancora la principale fonte (37,5%), essenzialmente per gli usi come carburante. Il 35% dei consumi derivano dall’impiego di gas naturale mentre il 13,3% è dato dalle rinnovabili e il 9% dall’uso di carbone. Nel bilancio energetico nazionale cresce la produzione da fonti rinnovabili, quasi raddoppiata rispetto a 10 anni or sono. Nella produzione elettrica nazionale, al 2012 le fonti rinnovabili valgono per il 28% della produzione e sono ancora in rapidissima crescita la produzione eolica (+34%) e quella fotovoltaica (+72%). Nel 2011 le emissioni di CO2eq sono stimate a 490 milioni di tonnellate, circa il 5% in meno del livello 1990. Nel 2011 la produzione di energia ha rappresentato il 31% del totale delle emissioni climalteranti italiane, i trasporti il 27%, l’energia per usi civili il 20%, l’energia per l’industria il 14%, l’agricoltura il 7,8%, i processi industriali il 7,5% e, infine, i rifiuti il 4,2%. L’Italia rimane il quarto paese europeo per emissioni dopo Germania, Regno Unito e Francia. Le riduzioni più consistenti si registrano per quei composti di cui è stato eliminato o fortemente ridotto l’utilizzo (come il piombo o l’anidride solforosa) o per cui sono state imposte specifiche misure di controllo e depurazione. Di gran lunga meno efficaci i risultati sulle emissioni polveri sottili – particolarmente rilevanti sotto il profilo sanitario – che si sono ridotte su scala europea del 26% (del 17% in Italia) sul periodo 1990-2010, ma sono cresciute nel 2010 rispetto al 2009 (sia nella Ue sia in Italia). La riduzione delle emissioni di metalli pesanti, in alcuni casi altamente tossici e cancerogeni, è stata rilevante su scala europea, ma molto più bassa in Italia. Anche per gli inquinanti organici persistenti, come i PCB o le diossine, le riduzioni conseguite in Italia sono state meno ampie rispetto a quelle medie europee. Nel settore dei rifiuti, nel 2011 la produzione di quelli urbani ha subito una caduta, grazie ai primi risultati delle politiche degli enti locali ma anche per effetto della riduzione dei consumi, attestandosi (sulla base dei comuni capoluogo) a circa 31,5 milioni di tonnellate. Il pro capite scende a poco più di 510 kg/ab, il valore più basso dal 2000. Negli anni 2000-2009 in Italia la produzione dei rifiuti urbani aveva continuato a crescere con un tasso quasi doppio rispetto al Pil: +11% la produzione dei rifiuti, +5,2% il Pil. Prosegue invece, anche se senza grandi balzi in avanti, la percentuale delle raccolte differenziate stimata al 37% nel 2011, con un modesto incremento sul 2010. Permane ancora un grande scarto tra le regioni settentrionali – in gran parte oltre il 50% – e le regioni centro-meridionali con tassi di riciclo più modesti e nelle regioni meridionali generalmente inferiori al 20% (con la sola eccezione della Sardegna). La tassazione ambientale nel 2011 è stata pari a 43,9 miliardi di euro, composta per il 75% (33 miliardi di euro) da tasse energetiche, e in particolare dalle accise petrolifere, per il 23,5% da tasse automobilistiche (10,3 miliardi di euro) e per il resto (meno di 500 milioni di euro) da tributi di discarica e altre imposte. Le tasse ambientali sono oggi significativamente inferiori rispetto agli inizi degli anni 2000 (nel 2001 erano il 3% del Pil e il 10,5% del totale delle entrate). In tutta l’Unione europea, tra il 1995 e il 2010, l’Italia è il paese con la maggiore contrazione dell’incidenza delle tasse ambientali sul Pil e, assieme a Grecia e Portogallo, dell’incidenza sulle entrate tributarie.

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Il declino del Belpaese negli ultimi 10 anni è evidente in alcuni settori come l’industria, dove dai grandi poli chimici e manifatturieri del passato si è passati ad avere solo grandi aree inquinate da bonificare, zone depresse dal punto di vista occupazionale e nessuna prospettiva di sviluppo del settore. Gli effetti sono ora sotto gli occhi di tutti, da Taranto a Brindisi, da Porto Vesme in Sardegna a Piombino fino alla Ferriera di Servola a Trieste, dai poli chimici o petroliferi di Gela, Augusta-Priolo-Melilli fino a Porto Torres e Terni senza dimenticare la raffineria Api di Falconara e il petrolchimico di Porto Marghera. Tutti poli industriali realizzati durante il boom economico anche in luoghi pregiati che hanno sversato per anni grandi quantitativi di inquinanti nell’ambiente, colpendo duramente il territorio e le comunità, e che pur essendo inseriti sin dal 1998 nel Programma di Bonifica del Ministero dell’Ambiente, risultano ancora ben lontani dal risanamento. Eppure, far ripartire il settore in Italia è possibile, come dimostrano, per esempio, alcune esperienze innovative (dalla Archimede Solar Energy di Massa Martana alla 3Sun in Sicilia che fa pannelli fotovoltaici a film sottile, dalle nuove bioraffinerie a Porto Torres fino a quella di Crescentino). L’illegalità ambientale in questi ultimi 10 anni non è mai diminuita: le infrazioni accertate nel 2001 erano 31.201, oggi, nonostante l’accresciuta sensibilità e la diffusione delle informazioni sulla gravità del problema, sono 33.817. Le persone denunciate o arrestate erano 25.890 mentre oggi sono 28.274. Assai preoccupante, nello stesso periodo, l’aumento dei numeri relativi alle quattro regioni tradizionalmente a rischio (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia) con le infrazioni che passano da 15.708 a 16.116; le persone denunciate o arrestate che passano da 9.794 a 12.824 e i sequestri che salgono da 3.919 a 4.395. Anche nel ciclo dei rifiuti le infrazioni sono aumentate, passando da 1.734 a 5.284 (da 687 a 2.039 nelle 4 regioni a rischio), così come per l’annoso problema (tutto italiano) dell’abusivismo edilizio che grazie ai reiterati annunci di condono edilizio e alla scarsa attuazione della politica degli abbattimenti, ha visto il fenomeno passare dalle 25 mila infrazioni del 2001 alle 27 mila attuali mentre il business totale delle ecomafie è aumentato dai 14,3 miliardi di euro del 2001 ai 16,6 miliardi di euro del 2011. In tema di dissesto idrogeologico, se fino al 2000 le alluvioni e le frane coinvolgevano mediamente 4 regioni ogni anno, negli ultimi dieci anni il numero di territori coinvolti è raddoppiato, passando a 8. Così come sono aumentati i fenomeni meteorici che prima risultavano eccezionali. Nel contempo però la prevenzione tarda ad arrivare. Negli ultimi 10 anni solo 2 miliardi di euro sono stati effettivamente erogati per attuare gli interventi previsti dai Piani di assetto idrogeologico redatti dalle Autorità di bacino (PAI), per uno stanziamento totale di 4,5 miliardi di euro. Decisamente troppo pochi se si considera quanto invece sono costati, in termini di danni, i dissesti che si sono verificati nel corso degli anni. Nell’ultimo ventennio i danni da frane ed alluvione corrispondono a circa 30 miliardi di euro (fonte Ispra) e solo negli ultimi tre anni lo Stato ha speso circa un milione di euro al giorno per coprire solo parte dei danni provocati su tutto il territorio.

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L’Italia oltre la crisi però guarda avanti e presenta una serie di idee e proposte per mettere in moto gli interventi indispensabili per cambiare il futuro.

1) Ridisegnare la fiscalità per spingere l’innovazione ambientale e creare lavoro. Fare delle emissioni di CO2 il criterio per ridefinire accise e Iva che gravano su impianti da fonti fossili, autoveicoli, prodotti e consumi. In questo modo si premia l’efficienza energetica e si spingono gli investimenti, generando nuove risorse da utilizzare per ridurre la tassazione sul lavoro; rivedere canoni e tasse sull’uso dei beni comuni, intervenendo sui regimi di tutela. Per uscire dallo scandalo della gestione di cave, sorgenti di acque minerali, discariche, spiagge. In modo da fermare gli abusi, ridurre gli impatti, premiare l’innovazione; recupero urbano invece del consumo di suolo. Per recuperare miliardi di Euro da utilizzare per interventi  di riqualificazione ambientale e edilizia.

2) Fermare le ecomafie. L’ecomafia è la zavorra che impedisce concretamente alla Green economy di esprimere tutte le sue potenzialità: ogni tonnellata di rifiuti sottratta alle filiere legali è una tonnellata in meno per la filiera del recupero, riuso e riciclo; ogni metro quadrato in più di cemento illegale è un metro quadrato in meno di territorio agricolo o protetto; ogni pala eolica costruita con i soldi o l’intermediazione della mafia è una pala in meno per le imprese pulite delle energie rinnovabili. Sanzioni penali adeguate, misure preventive e patrimoniali, obbligo di ripristino dello stato dei luoghi, ravvedimento operoso o, addirittura, non punibilità se l’artefice del danno all’ambiente si autodenuncia e poi bonifica l’area interessata: ecco quanto prevede la proposta di legge di Legambiente per l’inserimento dei delitti contro l’ambiente nel codice penale.

3) Rilanciare gli investimenti, per rimettere in modo il paese. Tornare a investire per rilanciare l’economia e creare lavoro fermando la politica di tagli trasversali e indiscriminati: le risorse per contrastare il dissesto idrogeologico, investire in ricerca e green economy, realizzare bonifiche partendo dai siti orfani, acquistare treni e autobus, si possono reperire cambiando le priorità di spesa e intervenendo con coraggio sulla spesa pubblica, dove vi sono enormi sperperi di risorse in mala gestione, grandi opere, sussidi alle fonti fossili, armamenti.

4) Premiare l’autoproduzione energetica da rinnovabili e la riqualificazione del patrimonio edilizio. La rivoluzione energetica è già in corso con una produzione arrivata al 28% dei consumi elettrici nel 2012, ma oggi si deve fare un passo avanti per aiutare famiglie e imprese premiando l’autoproduzione da fonti rinnovabili e la gestione di impianti efficienti e puliti attraverso smart grid private e facilitando lo scambio con la rete. Tutti interventi oggi vietati che aprirebbero prospettive straordinarie di riduzione dei consumi da fonti fossili; puntando alla riqualificazione energetica del patrimonio edilizio quale scenario per far uscire dalla crisi il settore delle costruzioni con nuove politiche che diano certezze agli investimenti per ridurre i consumi energetici nelle ristrutturazioni degli alloggi e dei condomini secondo il modello inglese del “green deal”.

5) Mettere al centro le città. Solo investendo nelle città l’Italia può riuscire a muovere un’innovazione che non rimanga un concetto vago e astruso. Ed è la qualità e quantità del welfare, dal trasporto pubblico agli asili, dall’istruzione alla cultura, a determinare la competitività di una economia e di un territorio. Per questo serve una regia e una politica nazionale, per non perdere le risorse dei fondi strutturali europei 2014-2020 e realizzare finalmente interventi di riqualificazione ambientale e sociale delle periferie, per la casa e la mobilità sostenibile.

Fonte-. Il cambiamento