L’inquinamento minaccia il Taj Mahal

Un gruppo di ricercatori ha scoperto l’origine dell’inquinamento da micropolveri che minaccia il monumento indiano. Il Taj Mahal, il più rappresentativo monumento indiano, situato ad Agra, nello stato dell’Uttar Pradesh è minacciato dall’inquinamento. Il mausoleo fatto costruire nel 1632 dall’imperatore moghul Shah Jahan in memoria della moglie preferita Arjumand Banu Begum rischia di perdere quella che è la peculiarità che lo ha reso famoso in tutto il mondo: lo splendore della sua colorazione cangiante, dovuta alle diverse condizioni dell’illuminazione naturale che lo trasformano da bianco in giallo, rosa, arancione a seconda delle varie ore del giorno. Secondo uno studio condotto dal Georgia Institute of Technology, dall’Università del Wisconsin, dall’Indian Institute of Technology di Kanpur e dalla Survey of India hanno dimostrato che diversi tipi di particolati stanno concorrendo a scolorire il mausoleo: dalle polveri dovute alla combustione dei rifiuti e delle biomasse alle micropolveri del traffico stradale. Per individuare le cause del progressivo scoloramento del Taj Mahal i ricercatori hanno utilizzato apparecchiature di campionamento dell’aria da novembre a giugno 2012. I ricercatori hanno poi messo piccoli campioni di marmo incontaminato sulla struttura, in vari luoghi in prossimità della cupola centrale. Dopo due mesi i campioni sono stati analizzati al microscopio elettronico per misurare dimensioni e numero di particelle: le informazioni hanno permesso ai ricercatori di stabilire la composizione delle particelle inquinanti e la loro origine. Si è così capito che le particelle di carbonio provengono dalla combustione del carburante, dalle cucine, dalla fabbricazione di mattoni, dai roghi dei rifiuti, ma anche dallo scarico dei veicoli civili o agricoli. Se n’è quindi dedotto che le particelle inquinanti assorbite dal Taj Mahal non stanno condizionando solamente il monumento, ma tutto ciò che si trova nei dintorni, comprese le superfici naturali.Women laborers plant grass on the sun-scorched law

Fonte:  The Weather Network

© Foto Getty Images

Ogm, il più grande studio mai realizzato

La Global Gmo Free Coalition ha accolto con gioia la notizia dell’inizio del più grande studio mai realizzato su Ogm e pesticidi correlati. Studio che avrebbe dovuto essere realizzato da aziende e autorità prima di immettere gli organismi geneticamente modificati in commercio!ogm_pericoli

Si chiama Factor GMO e sarebbe dovuto essere realizzato molto tempo fa da aziende e istituzioni. Eppure oggi ci troviamo di fronte alla diffusione incontrollata degli ogm senza che in via preventiva siano stati condotti studi che ne attestassero la sicurezza. E ciò spiega gli enormi problemi che stanno emergendo a cose fatte. Factor GMO includerà tre campi di ricerca: carcinogenicità, tossicità e fertilità. L’auspicio è che si arrivi a saperne di più sull’impatto sulla salute del mais RoundUp Ready e del pesticida glifosato con il quale viene cresciuto. Gli erbicidi a base di glifosato sono tra I più diffusi nel mondo. Il RoundUp della Monsanto fa guadagnare alla multinazionale il 20% dei profitti netti. Lo studio fornirà dati sui livelli di pericolosità del glifosato e sui danni che causa alla salute umana. La Global GMO Free Coalition invoca da parte dei governi e delle autorità internazionali maggiore rigore nelle reglamentazioni e nelle autorizzazioni di ogm e pesticidi almeno fino a che lo studio non sarà terminato. Se ciò non avverrà, dicono i promotori della ricerca, le autorità regolatorie si esporranno al rischio di accuse, cause e richieste di risarcimenti. Lo studio Factor Gmo costerà 25 milioni di dollari e la grande alleanza di scienziati che lo promuove ha annunciato che accetterà donazioni e finanziamenti ma non dalle multinazionali del biotech. Prima dell’aprile 2015 servono intanto almeno tre milioni di dollari per verificare innanzi tutto se gli ogm possono provocare infertilità o difetti alla nascita. Poi si proseguirà. E a far parte del team scientifico che porterà avanti lo studio c’è anche la dottoressa Fiorella Belpoggi, direttore del Centro di Ricerca sul cancro Cesare Maltoni dell’Istituto Ramazzini. La dottoressa Belpoggi ha anche partecipato a Londra alla conferenza stampa di presentazione. insieme a Bruce Blumberg e Oxana O. Sinitsyna, valuterà il protocollo e l’esecuzione dell’intero esperimento. Lo studio internazionale “Factor GMO” è il più grande esperimento a lungo termine mai condotto di questo genere. Gli scienziati coinvolti nello studio sono esperti riconosciuti a livello internazionale nei rispettivi ambiti di ricerca, e provengono dall’America, dall’Italia e dalla Russia. Questo studio fornirà importantissime informazioni ai governi, alle agenzie di regolamentazione e ai cittadini di tutto il mondo

Fonte: ilcambiamento.it

Greenfunding, il crowdfunding diventa green

Venerdì 10 ottobre è stata lanciata la prima piattaforma italiana per l’autofinanziamento dal basso esplicitamente green. Si chiama Greenfunding ed è la prima piattaforma di crowdfunding dedicata esclusivamente alle produzione dal basso e all’autofinanziamento di progetti green. Il lancio, da parte dell’associazione Greencommerce, è avvenuto venerdì 10 ottobre e l’obiettivo è quello di dare spazio a produttori, designer, imprenditori, inventori e autori che si confrontano con il mondo della green economy. La novità di questo progetto di crowdfunding è proprio il vincolo “tematico”: niente “trucchi” o forzature, verranno caricati sulla piattaforma solamente i progetti che dimostrino di essere adeguati. Non basterà, insomma, avere un pannello solare sul tetto per alimentare il proprio ufficio, ma occorrerà che l’anima “green” sia centrale e che il basso impatto ambientale sia (possibilmente) certificato. Prima di attivare le campagne di crowdfunding, i proponenti potranno usufruire della consulenza dello staff dell’associazione Greencommerce.

Greenfunding, come funziona la campagna di crowdfunding

Le tappe di una campagna di crowdfunding sono sei: 1) si crea un account su Greenfunding, 2) si carica e si racconta il progetto, 3) si definiscono il budget, il periodo di raccolta dei finanziamenti e le reward, ovverosia le ricompense da offrire ai sostenitori, 4) si invia il progetto a Greenfunding per la revisione, l’approvazione e la pubblicazione, 5) si inizia a condividere il progetto con i propri amici attraverso i social network, 6) si festeggia il raggiungimento dell’obiettivo, si incassa il finanziamento, si dà vita alla propria attività e si distribuiscono le reward. Non ci sono costi di attivazione delle campagne e Greenfunding trattiene una percentuale solamente nel caso in cui la campagna vada a buon fine. Ma c’è un’altra grande differenza rispetto ad altre piattaforme che intervengono solamente nella parte finale del progetto: Greefunding – consapevole delle difficoltà di chi vuole fare impresa rispettando l’ambiente – accompagna i proponenti sin nelle prime fasi. Fra i progetti già caricati vi è B.R.A. – Braccia Restituite all’Agricoltura, nato da un gruppo di giovani che vogliono far nascere un orto urbano nel quartiere di San Salvario (e offrono come reward la consulenza per realizzare orti sul balcone). Accanto alla piattaforma per la raccolta fondi, ci sarà una bacheca nella quale i proponenti potranno postare annunci nei quali si chiedono beni immateriali, materiali o la disponibilità di luoghi.Immagine-620x332

Fonte:  Greenfunding

Sei mosse per ridurre il consumo di acqua

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Avete mai pensato a quanta acqua si risparmierebbe chiudendo il rubinetto ogni volta che ci si lavano i denti? Se non lo avete mai fatto questo è il momento giusto. Secondo una ricerca pubblicata su Nature Geoscience, un utilizzo più parsimonioso nel consumo domestico di acqua, unitamente ad altre “piccole” accortezze, permetterebbe di soddisfare il bisogno idrico globale entro il 2050. Sì, ma come?

La scarsità d’acqua non è un problema che riguarda solo i Paesi in via di sviluppo. In California, per esempio, si sta proponendo un piano di emergenza per il rifornimento idrico di ben 7,5 miliardi di dollari e negli Stati Uniti lo scorso anno i funzionari federali hanno avvertito la popolazione dell’Arizona e del Nevada che entro il 2016 sarà necessario affrontare dei tagli nel rifornimento idrico proveniente dal fiume Colorado. Alla radice del problema, apparentemente insormontabile, non ci sono solo le abitudini domestiche, ma anche le moderne tecniche di irrigazione, l’utilizzo di risorse idriche da parte degli impianti industriali nonché i cambiamenti climatici del pianeta. Lo stress idrico a cui sono sottoposte molte aree è dovuto allo sfruttamento dell’acqua dei fiumi, soprattutto in zone in cui oltre il 40% di tale acqua è già utilizzato; una situazione questa che riguarda circa un terzo della popolazione mondiale e che entro la fine del secolo potrebbe colpirne più della metà, se lo sfruttamento di risorse idriche continuerà a questo ritmo. Per ridurre lo stress idrico, gli autori dello studio hanno quindi individuato sei strategie. Fra le misure “soft” l’introduzione di nuove tecniche di coltura, unitamente ad una maggiore efficienza dei nutrienti agricoli; il miglioramento delle infrastrutture idriche, tramite il passaggio a sistemi di irrigazione a interruttore; l’utilizzo più parsimonioso del consumo di acqua domestica e industriale e, persino, una limitazione nel tasso di crescita della popolazione (da mantenere entro il 2050 al disotto degli 8,5 miliardi), potrebbero diminuire considerevolmente l’utilizzo d’acqua a livello mondiale. Ma i ricercatori hanno individuato anche delle soluzioni “hard” fra cui la possibilità di aumentare lo stoccaggio di acqua nei serbatoi e la desalinizzazione dell’acqua di mare. “Non esiste un unico metodo per affrontare il problema in tutto il mondo”, sostiene Tom Gleeson del Dipartimento di Ingegneria Civile del McGill e fra gli autori dello studio. “Ma, guardando il problema su scala globale, abbiamo calcolato che se quattro di queste strategie sono applicate allo stesso tempo è effettivamente possibile stabilizzare il numero di persone che nel mondo hanno problemi di stress idrico, piuttosto che continuare a consentire a questo numero di crescere, che è ciò che accadrà se continuiamo con il modello di business attuale”. “Riduzioni significative di stress idrico sono possibili entro il 2050”, aggiunge il co-autoreYoshihide Wada del Dipartimento di Geografia fisica dell’Università di Utrecht “ma un forte impegno e sforzi strategici sono necessari perché ciò accada.”

Riferimenti: Nature Geoscience Doi: 10.1038/ngeo2241

Credits immagine: Ian Sane/Flickr

Fonte: galileonet.it

In marcia per il clima

Domenica 21 settembre sarà la giornata mondiale di mobilitazione contro i cambiamenti climatici. In occasione del vertice dei capi di Stato che si svolgerà a New York, la società civile si incontrerà in centinaia di piazze di tutto il mondo, nella più grande manifestazione globale per il clima mai organizzata, la People’s Climate March.nuova copertina per donata con scritta

Tra le piazze previste in tutto il mondo c’è anche Roma. Legambiente, KyotoClub, Italian Climate Network e Power Shift Italia, insieme, hanno risposto all’appello per la mobilitazione e danno appuntamento a tutti coloro che vorranno partecipare alle ore 17 in via dei Fori Imperiali, per unire simbolicamente il Colosseo a New York e dare voce alla società civile che chiede interventi urgenti e concreti contro i cambiamenti climatici. I dati diffusi dall’Onu dicono che nel 2013 si è registrato un nuovo record di gas a effetto serra nell’atmosfera mentre diminuisce rapidamente la capacità della terra e degli oceani di assorbirli. La manifestazione a Roma vedrà biciclette, musica e stand, proiezioni e un collegamento con New York per dare voce a cittadini, famiglie e giovani “che vogliono un modello economico ed energetico diverso, ma anche per promuovere, diffondere e far conoscere le alternative concrete e già integrate nei territori” spiegano gli organizzatori. “I cambiamenti climatici – prosegue Cogliati Dezza – hanno ripercussioni sull’intero pianeta e ci riguardano tutti da molto vicino. A pochi giorni dall’ennesima catastrofe nel Gargano, che ancora una volta ha seminato vittime e distruzione, è ormai evidente che non sono un rischio lontano, ma un dramma con cui occorre fare i conti anche per paesi dell’area mediterranea. I dati riportati dall’Organizzazione meteorologica mondiale sono preoccupanti – aggiunge il presidente di Legambiente – Serve un cambio di passo da parte dei governi, una forte accelerazione, nell’adottare e imporre misure di riduzione delle emissioni e seri ed efficaci interventi di adattamento. Da parte di tutti è necessaria una forte assunzione di responsabilità eppure il nostro governo continua a sostenere politiche energetiche autolesioniste e non riesce a distaccarsi dalle vecchie idee di politica industriale e di governo del territorio, non riuscendo proprio a capire che è un’esigenza popolare e un’opportunità economica muoversi verso un’economia a basse emissioni di co2”.

Fonte: ilcambiamento.it

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Il 40% della spazzatura nel mondo bruciata in modo irregolare

Lo dice uno studio appena pubblicato del National Center for Atmospheric Research. “Gas e particelle così prodotti influenzano la salute umana e il clima”380087

Oltre il 40% dei rifiuti prodotti in tutto il mondo, circa 1,1 miliardi di tonnellate di spazzatura, vengono smaltiti in roghi non regolamentati, che producono emissioni dannose per la salute umana e i cambiamenti climatici. Un nuovo studio condotto dal National Center for Atmospheric Research e pubblicato sulla rivista Environmental Science and Technology, mostra che l’inquinamento da gas e particelle immesse in questo modo nell’atmosfera sia maggiore rispetto a quanto mostrato da documenti ufficiali. In base ai risultati emersi, dai roghi di rifiuti irregolari derivano il 29% delle emissioni globali umane legate delle piccole particelle(inferiori a 2,5 micron di diametro), così come il 10% di mercurio e il 40% di gas idrocarburi policiclici aromatici, inquinanti da cui derivano significative conseguenze per la salute dell’uomo, come funzione polmonare ridotta, disturbi neurologici, cancro e attacchi di cuore. L’impatto sulle emissioni di gas a effetto serra è invece pari al 5% della Co2 prodotta dall’uomo. Per arrivare a questi risultati gli studiosi hanno confrontato i dati di popolazione e la produzione pro capite di rifiuti con i conteggi ufficiali di smaltimento rifiuti per ogni paese del mondo. I responsabili delle maggiori emissioni da incendi di spazzatura sono paesi popolosi in via di sviluppo: Cina, India, Brasile, Messico, Pakistan e Turchia. In particolare, è in aumento la quantità di rifiuti bruciati in villaggi remoti e megalopoli affollate, poiché sempre più persone consumano più beni e nella spazzatura finiscono insieme plastica ed elementi di elettronica così come avanzi di cibo e legno. A differenza delle emissioni da inceneritori commerciali, spesso queste combustioni non vengono denunciate alle agenzie ambientali. “L’inquinamento atmosferico in gran parte del globo è notevolmente sottostimato perché nessuno sta rintracciando la combustione a cielo aperto degli incendi di spazzatura”, spiega Christine Wiedinmyer, autrice dello studio.
(fonte ansa.it)

tratto: ecodallecitta.it

Google premia i giovani scienziati con il Google Science Fair 2014

La scienza sopratutto se giovane viene premiata con una pioggia di dollari attraverso il Google Science Fair 2015.

Google premia i giovani scienziati con il Google Science fair 2014, gara internazionale aperta a ragazzi e ragazze dai 13 ai 18 anni. Il primo premio è spettacolare: un viaggio di dieci giorni alle isole Galapagos con il National Geographic Expeditions mentre il secondo premio prevede un’incredibile esperienza presso lo spazioporto Virgin Galactic e una borsa di studio del valore di $ 50.000. Gli sponsor sono infatti oltre a Google anche LEGO Education, National Geographic, Scientific American e Virgin Galactic. Altri premi prevedono borse di studio da 25 mila dollari o donazioni alle scuole da 10 mila dollari. Questa pioggia di soldi vuole incentivare i giovani di tutto il mondo a dedicarsi a progetti scientifici e a condividere le loro scoperte con il mondo. Dall’Europa arrivano diversi giovani scienziati che presentano progetti particolari come la sveglia olfattoria progettata dal francese Guillame Rolland che frequenta il liceo St Joseph du Loquidy di Nantes che ha presentato una originale sveglia che emana profumi per svegliare in dolcezza; Jovana Kondic, 15 anni dalla Serbia presenta una invenzione decisamente geniale, laInzeolation, ossia zeolite e cellulosa che vanno a costituire un materiale per l’isolamento termico altamente riciclabile; Nina Schönberg, 17 anni dalla Germania presenta un test per riconoscere la cosi detta droga dello stupro; un trio di ragazze irlandesi di 16 anni Ciara Judge, Émer Hickey e Sophie Healy-Thow hanno presentato un progetto per la soluzione alla crisi alimentare con i batteri diazotrofi capaci di aumentare le colture di cereali. L’evento è molto pubblicizzato da Google anche sul canale youtube grazie agli hangout dedicati ai vari temi e presentati da personalità del mondo scientifico. La cerimonia di presentazione si terrà il prossimo 23 settembre mentre il 1° settembre si aprono le votazioni on line.

Fonte: ecoblog.it

Spagna, il progetto Castor provoca i terremoti

Le iniezioni di gas nel centro di stoccaggio sottomarino al largo delle coste spagnole hanno causato circa mille terremoti a partire dallo scorso settembre

In Spagna il caso Castor tiene banco da mesi, ma ora nella questione che vede opposti l’industria estrattiva e gli ambientalisti, sembra essere giunta a un punto di svolta. Perché quello che sta accadendo nella zona di Vinaròs è una situazione senza precedenti. Coerentemente con molte altre ricerche in giro per il mondo, anche gli scienziati e i geologi iberici hanno riscontrato un rapporto di causalità fra l’iniezione di gas nel sottosuolo e le centinaia dieventi sismici registrati nella zona del centro di stoccaggio di Castor. Ma c’è di più. A spiegarlo è Alvaro Gonzalez del Departamento de Ciencias de la Tierra dell’Universidad de Zaragoza: raramente i terremoti causati questo tipo di pratiche superano magnitudo 3, mentre nella zona dei pozzi Castor è stata raggiunta una magnitudo di 4,3. Il progetto Castor ha trasformato un vecchio giacimento petrolifero sottomarino, situato a 21 km dalle coste spagnole e a 1800 metri di profondità, per stoccare sotto il mare l’equivalente di tre mesi di gas nella regione di Valencia, questo per far fronte a eventuali picchi di consumo o a problemi di rottura nei sistemi di approvvigionamento. Sia l’Instituto Geográfico Nacional (IGN) che l’Instituto Geológico y Minero de España(IGME), nello studio pubblicato sul Geophysical Journal International, sono giunti alla stessa conclusione: l’iniezione di gas provoca i terremoti. Ma i ricercatori invitano a mantenere alto il livello di guardia: finora sono state iniettate piccole quantità di gas, ma cosa succederà quando si inizierà a riempire il centro di stoccaggio in maniera più massiccia?SPAIN-QUAKE ENVIRONMENT-GAS

 

Fonte:  El Pais

Foto © Getty Images

Banane OGM finanziate da Bill Gates pronte per il test umano

Il primo test umano al mondo per la banana arricchita con vitamina A dovrebbe iniziare presto con la promessa di portare benessere a milioni di ugandesiJames Dale_bananas

Il progetto è partito dalla QUT Queensland University of Technology e lo dirige James Dale Distinguished Professor e finanziato con 10 milioni di dollari dalla Fondazione Bill e Melinda Gates: nella pratica è una banana geneticamente modificata per produrre più beta carotene che viene poi trasformato dall’organismo umano in vitamina A. Un progetto simile al golden rice che pure prometteva di integrare nella dieta degli abitanti in Paesi in via di sviluppo la carenza di vitamina A. Intanto il prof. Dale gongola dalla pagina del sito dell’Università del Queensland e dice:

La Sperimentazione umana è una pietra miliare significativa per questo progetto che è iniziato nel 2005 e dovrebbe vedere varietà di banane arricchite con pro-vitamina A coltivate dagli agricoltori ugandesi intorno al 2020. Le conseguenze della carenza di vitamina A sono terribili con 650 mila- 700 mila bambini in tutto il mondo che muoiono per la carenza di questa vitamina o che restano ciechi. muoiono di pro-vitamina A ciascun anno e almeno altri 300.000 diventare cieco. Una buona scienza può fare una enorme differenza arricchendo la basilare coltura di banane con la vitamina A

Le banane OGM si presentano esternamente alla stregua di tutti gli altri frutti, con la differenza che la parte interna invece di essere color crema è di color arancione a causa della presenza dei carotenoidi. La sperimentazione umana sarà effettuata negli Usa e durerà 6 settimane e il frutto è già stato testato su gerbilli della Mongolia. L’obiettivo è aumentare il livello di 20 microgrammi per grammo di peso secco, per, come spiega Dale:

migliorare significativamente lo stato di salute dei consumatori africani di banane.

Il professor Dale ha detto che i test iniziali di laboratorio sono state eseguiti al QUT a Brisbane e prove sul campo nel Far North Queensland mentre sono state predisposte le prima prove sul campo in Uganda. Nel corso dei prossimi tre anni sarà coltivata una linea d’elite di banani nell’attesa che in Uganda siano autorizzate sia le colture sia la commercializzazione delle banane OGM. Se dimostrati i benefici sulla salute umana le banane potrebbero poi essere coltivate anche dalla Repubblica Democratica del Congo al Kenya alla Tanzania. La carenza di Vitamina A causa effettivamente tantissimi morti, sopratutto tra i bambini perché è la malnutrizione il vero problema. La Vitamina A o meglio il betacarotene è contenuto in tutta la frutta e gli ortaggi arancioni, gli spinaci, le uova e il latte. Ma come intervenire nell’integrare la vitamina A? L’OMS investe circa 90-100 milioni di dollari all’anno per informare sulla nutrizione diversificata, sostiene gli orti domestici e promuove la coltivazione di piante ricche di pro-vitamina A. Ma non basta poiché la malnutrizione resta. Probabilmente neanche la banana con betacarotene potrà risolvere il problema e allora dovremo convincerci che a essere necessario sarà l’approccio politico globale e non solo tecnico-scientifico.

Fonte:  Italia Fruit, Queensland university of Technology

Foto | QUT

Le foreste del pianeta sono il nostro più grande capitale naturale: proteggiamole!

Il bilancio è pesantemente negativo: 2,2 milioni di km² persi in vent’anni. Per proteggere le foreste occorre ridurre la pressione antropica, fatta soprattutto di piantagioni di palma da olio e soia e allevamenti estensivi

Nell’anno ci sono molte giornate mondiali (qualcuno pensa anche troppe), ma questa è importante, perchè le foreste rappresentano il nostro vero capitale naturale: sono la casa di decine milioni di specie viventi, proteggono il suolo e assorbono fino a un quinto del più pericoloso inquinante prodotto dall’umanità, cioè il biossido di carbonio. La situazione rimane purtroppo particolarmente negativa: negli ultimi vent’anni abbiamo perso almeno il 10% del manto forestale in tutto il pianeta, cioè 2,2 milioni di km², una superficie pari all’intera Repubblica Democratica del Congo. La distruzione boschiva riguarda soprattutto le foreste tropicali, proprio le più ricche in biodiversità e le più fragili. (Dati Forest Resources Assessment della FAO) La maglia nera della deforestazione spetta a dodici nazioni che hanno perso ciascuna oltre 50000 km² tra il 1990 e il 2010, ma tra queste ne spiccano in particolare due: il Brasile, con un’emorragia di oltre mezzo milione di km² e l’ Indonesia che con un saldo negativo di 240000 km² ha rinunciato al 20% del suo capitale naturale. La colpa è da attribuire essenzialmente al sistema agricolo industriale: in America Latina il motore della deforestazione sta negli allevamenti estensivi di bestiame e nella coltivazione della soia destinata agli allevamenti intensivi europei e nordamericani. Nell’Asia insulare il colpevole è invece l’ olio di palma, poiché la foresta viene distrutta per fare posto alle piantagioni. Oltre a rendere più sostenibile il mondo della moda e del tessile, la scelta di mangiare meno carne e scegliere prodotti senza olio di palma sono il modo in cui già da oggi possiamo fare la nostra parte per proteggere le foreste.Deforestazione-2014

Fortunatamente ci sono nazioni che hanno aumentato il proprio stock forestale,  a dimostrazione del fatto che è possibile investire la tendenza. Il paese più attivo è la Cina, che quasi bilancia il Brasile come area riforestata, ma non certo come valore biologico, visto che una foresta temperata vale assai meno in termini di biodiversità rispetto ad una tropicale. Buoni risultati sono stati ottenuti anche in Europa, Nord America e Turchia. Tra i paesi con climi più caldi, è giusto ricordare l’India e il Vietnam, con un guadagno di 45000 km² ciascuno. Quando i cittadini europei dedicheranno ai numeri della deforestazione almeno la stessa attenzione che dedicano all’andamento delle borse, delle tasse o del prezzo della benzina, forse avremo iniziato a fare un passo avanti.

Fonte: ecoblog