WWF su emergenza climatica, guerra e sicurezza alimentare: 10 domande e risposte per sfatare i falsi miti

Sono state pubblicate in vista della Campagna Food4 Future, per dimostrare come il nostro futuro e quello del Pianeta dipendano in gran parte dalle scelte che facciamo a tavola e da un sistema alimentare sostenibile

Per anticipare il lancio della Campagna Food4Future, che mostra come il nostro futuro e quello del Pianeta dipendano in gran parte dalle scelte che facciamo a tavola e da un sistema alimentare sostenibile, il WWF pubblica 10 domande – e risposte – per sfatare i falsi miti sulla sicurezza alimentare e capire come creare un sistema alimentare resiliente ed equo anche in situazioni di crisi. Le conseguenze della guerra in Ucraina, infatti, ci ricordano quanto sia fragile la sicurezza alimentare, basata su modelli di produzione agricoli intensivi. Per affrontare l’attuale crisi dei mercati in molti – fra cui diversi politici – hanno chiesto di aumentare le produzioni cancellando o indebolendo le attuali misure ambientali della Politica Agricola Comune e del Green Deal europeo. L’abolizione del divieto dell’uso di pesticidi in aree di interesse ecologico e l’utilizzo dei terreni a riposo – meno produttivi dal punto di vista agricolo ma essenziali per la conservazione della biodiversità – sono solo alcune di queste richieste irrazionali e controproducenti. La verità è che la produzione alimentare globale è sufficiente per sfamare la popolazione mondiale, ma è mal utilizzata. I veri rischi alla sicurezza alimentare nel nostro Paese non derivano dal conflitto in corso in Ucraina, ma dalle bolle speculative che condizionano produzioni e mercati a partire dalle crisi finanziarie del 2008 e 2011. A questo si aggiungono le gravi conseguenze della crisi climatica, che già pesa in maniera significativa sui sistemi agricoli per effetto di siccità e aumento dei fenomeni meteorologici estremi, che – nel medio e lungo periodo- avrà effetti sempre più gravi sulla produzione delle colture strategiche. 

Le conseguenze della crisi in Ucraina in Italia

La guerra in Ucraina ha messo in crisi il sistema agroalimentare italiano? È da questa domanda che il WWF parte per spiegare che gli effetti della crisi collegata alla guerra sui sistemi agroalimentari in Italia sono limitati solo ad alcune materie prime importate dall’est dell’Europa, in particolare mais e olio di girasole. E che l’unico settore che avrà delle ripercussioni dirette è quello zootecnico, grande consumatore di mais: in UE il 70% delle materie prime per i mangimi degli animali (fra cui mais) è infatti di origine extra UE. Su una possibile carenza di grano, invece, rispondiamo con i dati: le aziende agroalimentari italiane importano dall’Ucraina il 5% del proprio fabbisogno, che può essere soddisfatto dalla produzione europea di frumento che supera attualmente la domanda interna degli Stati membri dell’Unione. L’aumento del costo del grano, duro e tenero, è in atto da ben prima del conflitto in Ucraina ed è causato da una parte dalle speculazioni finanziarie e dall’altra dalla riduzione delle produzioni in Canada, conseguenza della grave siccità che ha colpito il nord America nella stagione 2020-21. Nel 2022 eventuali carenze di grano o altri cereali in Italia potrebbero essere generate dalla grave siccità che sta colpendo il nostro Paese e che avrà ripercussioni sul raccolto di quest’estate. Questo solo è uno di quelli che saranno i più violenti impatti del cambiamento climatico sulle produzioni agricole (basti pensare che, per esempio, la scorsa estate il comparto frutticolo italiano ha avuto una perdita media complessiva del 27%). A strumentalizzare la crisi legata alla guerra sono le lobby dell’agricoltura convenzionale, che mirano a fare pressione sui decisori politici per cancellare o ridimensionare le norme ambientali della nuova Politica Agricola Comune (PAC) e gli obiettivi delle due Strategie UE del Green Deal, “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030”, come l’obbligo delle rotazioni delle colture e quello di destinare alla conservazione della natura almeno il 4% delle superfici utilizzate per i seminativi. L’agricoltura, infatti, dipende dai servizi ecosistemici, che a loro volta dipendono dalla presenza di natura.

Fra le soluzioni che possono garantire più sicurezza al comparto alimentare c’è sicuramente la scelta di consumare meno carne e prodotti di origine animale, che consentirebbe di ridimensionare il comparto della zootecnia intensiva (oggi il 70% della superficie agricola utilizzata in Europa è dedicata a materie prime destinate ai mangimi per la zootecnia intensiva) a favore di una produzione animale più estensiva. Intensificare le produzioni non aumenterà la sicurezza alimentare, mentre soluzioni si trovano nell’agroecologia, pratica che attraverso il rafforzamento della vitalità degli ecosistemi nelle zone rurali, una rinaturalizzazione delle campagne, una migliore integrazione di zootecnia e agricoltura e una riduzione degli input chimici in campo e l’utilizzo di filiere corte – dove c’è relazione diretta fra agricoltori e consumatori-, consente di creare sistemi produttivi integrati e resilienti, contribuisce a regimi alimentari sani, sostenibili, equi, accessibili, diversificati, stagionali e culturalmente appropriati.

È evidente che sistemi agroalimentari locali a filiera corta non sarebbero in grado di soddisfare completamente i fabbisogni alimentari di un Paese con milioni di abitanti, in particolare quando esiste una forte concentrazione della popolazione nelle città lontane dalle aree agricole. Per questo serve cercare il giusto equilibrio tra produzioni locali, diversificate e filiere agroindustriali sostenibili, creando relazioni con reti diffuse di produttori a livello nazionale ed europeo, riducendo la dipendenza dalle importazioni da Paesi extra UE e fissando criteri di sostenibilità ambientale, sociale ed economica nella produzione delle materie prime.  Secondo il WWF, purtroppo il governo italiano non sta promuovendo una vera transizione ecologica della nostra agricoltura, ma sta piuttosto accogliendo le richieste delle associazioni agricole e zootecniche e dei grandi gruppi industriali dell’agrochimica. L’atteggiamento del governo italiano nei confronti della riforma della PAC è sempre stato ostile al cambiamento dei sistemi di produzione, tutelando gli interessi economici acquisiti nel tempo dalle grandi aziende. Questa posizione conservatrice è stata confermata con la redazione di un Piano Strategico Nazionale (PSN) della PAC post 2022 non adeguato alla transizione ecologica della nostra agricoltura. Una visione miope e poco lungimirante del futuro della nostra agricoltura che indica chiaramente una scarsa percezione dei rischi connessi alle crisi ambientali globali. Unica nota positiva della politica agricola del nostro governo è l’investimento sull’agricoltura biologica con un obiettivo al 2030 superiore rispetto alla media europea del 25%, indicato dalle Strategie UE “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030”. 

Fonte: ecodallecitta.it

Alex Zanotelli: “La nonviolenza parte dall’informazione”

Corsa agli armamenti, nucleare, ripudio della guerra, rispetto della Costituzione. Fare informazione su questi temi è fondamentale per creare consapevolezza e stimolare l’impegno di tutti – cittadini, Chiesa e istituzioni politiche – per favorire la cultura della pace e della nonviolenza. Ne è convinto il religioso e attivista Padre Alex Zanotelli, che abbiamo intervistato a margine di un convegno tenutosi a Firenze in occasione del 70esimo anniversario della NATO. Il 6 e 7 aprile hanno avuto luogo in Toscana due importanti eventi per fare un bilancio storico sui 70 anni dalla formazione della NATO: uno a Livorno, città ove la base americana di Camp Darby rappresenta il più grande arsenale USA fuori dal territorio americano e nel cui porto transitano navi a propulsione nucleare (all’insaputa della maggioranza dei cittadini stessi) e l’altro a Firenze. Il titolo del convegno internazionale tenutosi a Firenze, al quale abbiamo partecipato, esprimeva volutamente una domanda alla quale ciascuno di noi deve potersi dare una risposta analizzando i dati reali, al di fuori dalla retorica delle istituzioni e dei mezzi d’informazione tradizionali: “NATO: cultura di pace o cultura di guerra?” Nel corso del convegno, organizzato dal Comitato No Guerra No Nato (1),  è stata resa nota la “Dichiarazione di Firenze” che vi invitiamo a visionare per intendere a fondo gli scopi che questo evento si proponeva. In occasione del convegno fiorentino abbiamo intervistato Padre Alex Zanotelli, religioso e missionario italiano noto per il suo impegno per la pace e la nonviolenza.

Padre Alex Zanotelli a Riace (Foto di Gianmarco Vetrano)

Come può la persona comune contribuire alla diffusione della cultura della nonviolenza?

Dalla mia esperienza in questo periodo in Italia c’è un’atomizzazione della società, voluta dal sistema, che cerca di impedire che le persone si mettano insieme. Se quello della lotta pacifista e nonviolenta non diventa un movimento popolare, non si va da nessuna parte. Abbiamo visto ad esempio adesso in Algeria, quanto è efficace che la gente unita, aldilà delle bandiere , dica “basta”! 

Per fare questo ci vuole capacità organizzativa, ma la gente deve capire prima tutto ciò che avviene. Ecco che l’informazione diventa importante (2). Purtroppo quello che abbiamo fatto qui oggi non sta passando alla gente. Parliamo in fondo fra esperti e gente impegnata, che è bello ma non è sufficiente. Qui dovrebbero giocare dei grossi ruoli sia le scuole, sia la Chiesa. Purtroppo la Chiesa ancora non passa abbastanza all’azione su questi temi. Se la gente comune cominciasse a capire i problemi legati alla corsa agli armamenti, all’estremo rischio che corriamo ad ospitare armi nucleari sul suolo italiano, ad ospitare le basi NATO, è chiaro che comincerebbe a pensare: “Voglio vivere, non voglio mica morire!”. Per cui scatterebbe un meccanismo di forte preoccupazione per la propria incolumità e allora diventerebbe davvero qualcosa di popolare. Penso che sia questa l’unica strada: informare la popolazione adulta e quella dei più giovani, partendo dalle scuole, per arrivare alla Chiesa e ai media. Chiaro però che non è una strada facile. 

Nella sua esperienza quali sono stati i movimenti popolari che hanno prodotto dei risultati tangibili?

L’unico grande movimento che ho visto in Italia e che possiamo chiamare veramente popolare è stato quello dell’acqua, che poi ha portato al referendum del 2011. Ancora la politica non accetta il risultato, ma la cosa importante è che il popolo si è espresso eccome perché ha capito l’importanza dell’acqua come bene comune. Prima o poi anche la politica dovrà accettarlo. Ma ci sono tantissime iniziative con cui davvero si può vincere. Ho citato prima il problema delle banche: basterebbe davvero che il popolo italiano comprendesse prima di tutto la situazione: la gravità del nucleare, che cosa rischiamo. Una volta capito questo basterebbe lanciare una seria campagna contro le banche che investono i loro soldi nel nucleare. Secondo me sarebbe un’iniziativa di un’efficacia senza precedenti. Abbiamo visto in mille maniere come una volta che si iniziano a fare queste cose, funzionano! Però non vengono raccontate. Noi l’abbiamo fatto con la campagna “Banche Armate” e con Nigrizia. Ma quelle che meno di tutte accettano di prendervi parte sono le Parrocchie. Sono poche le diocesi in Italia che hanno preso parte alla campagna.

Come si spiega questa scarsa partecipazione? Qual è il ruolo della Chiesa nella promozione di una cultura della pace?

Il problema, a livello di Chiesa, è che noi abbiamo fatto una separazione tra culto e vita: è come se quello che raccontiamo in chiesa non avesse nulla a che fare con la vita fuori. Quando noi siamo fuori viviamo l’opposto di quello che ci diciamo in chiesa. Se c’è una cosa che è fondamentale, sia a livello biblico, sia in Dio, che non può che essere un Dio di pace, è che dovrebbe portare i credenti a un impegno in sé per una cultura della nonviolenza, ma non c’è questo passaggio. Quando si vuole fare massa critica per i temi legati al ripudio della guerra, al rispetto della costituzione, alla nonviolenza, una delle possibili criticità è la mancanza di conoscenza dei problemi veri, poiché non vengono neppure raccontati nei mezzi d’informazione di massa tradizionali; per i credenti, che certi temi dovrebbero averli particolarmente a cuore, il problema è essere in grado di passare all’azione, facendo il collegamento tra insegnamenti e vita di tutti i giorni. 

1. Il Comitato si è originato da una petizione online per chiedere l’uscita dell’Italia dalla NATO.

2. Qui Zanotelli fa riferimento ad un tema che è stato ampiamente trattato durante il convegno: quello del modus operandi dell’informazione/disinformazione mainstream e allude anche alla nuova rete costituita da Presenza di giornalisti indipendenti e attivisti di cui presto vi parleremo e di cui facciamo parte, che invece si pone il preciso scopo di informare puntualmente e compiutamente il lettore sui temi d’importanza cruciale che riguardano la società.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/04/alex-zanotelli-nonviolenza-parte-informazione/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Rondine, il piccolo borgo dove si costruisce la pace

Grazie al progetto Rondine – Cittadella della Pace’, un piccolo borgo in provincia di Arezzo ospita studenti provenienti da paesi in conflitto tra loro che qui sperimentano una vita di convivenza, di formazione e di studio. L’obiettivo è quello di far riscoprire la persona che si nascondeva dietro lo spauracchio del ‘nemico’ rendendo evidenti le similitudini tra le due parti e l’umanità che le accomuna.

Rondine è un borgo che sorge nei pressi di Arezzo e che negli anni ’50 stava per essere definitivamente abbandonato. La diocesi, però, decise di affidare il borgo ad alcune famiglie molto attive nel territorio e diciotto anni fa successe l’impensabile. Un luogo praticamente deserto diventò occasione di incontro e confronto per decine di ragazze e ragazzi provenienti da Paesi in conflitto tra loro: nacque infatti il progetto ‘Rondine – Cittadella della Pace’.

Questo straordinario esperimento di coabitazione e formazione alla Pace vide la luce un po’ per caso: le famiglie di Rondine, capitanate dal professor Vaccari – oggi presidente dell’associazione – volevano proporre uno spettacolo sulla vita di San Francesco in Russia. Una volta ottenuto il visto si trovarono in una situazione di guerra tra russi e ceceni. Parlavano di Pace in un contesto di guerra. Ebbero quindi il desiderio di contribuire in qualche modo alla Pace ‘nel quotidiano’ e si offrirono di agevolare il dialogo tra le opposte fazioni durante il conflitto. In quel contesto, il rettore dell’università di Grozny chiese ospitalità per alcuni studenti dell’università locale che era stata bombardata. Vaccari si rese disponibile ponendo però una condizione: il borgo di Rondine avrebbe dovuto ospitare anche studenti russi, con l’intento di creare un luogo ‘terzo’ neutro, in cui i due popoli in guerra potessero vivere a stretto contatto abbandonando così gli schemi tipici delle guerre.  “L’obiettivo – ci spiega Davide Berutti, neo Direttore Generale di Rondine – era far riscoprire la persona che si nascondeva dietro lo spauracchio del ‘nemico’ rendendo evidenti le similitudini tra le due parti e l’umanità che le accomuna”.rondine2

Il progetto fu un successo e venne presto replicato con giovani provenienti dai Paesi più disparati: Caucaso, Pakistan, India, Palestina, solo per citarne alcuni.  Questi studenti, appena laureati e provenienti da Paesi in guerra tra loro, si trovano quindi a condividere gli spazi abitativi, aiutati dai formatori di Rondine che li guidano attraverso un percorso sulla gestione del conflitto, sulla comunicazione non violenta e sul riconoscimento dell’altro.

“I ragazzi scoprono che l’identità è qualcosa di più complesso di ‘noi contro loro’ – continua Berutti – si smonta la conflittualità e si da una immagine più genuina della realtà, anche se qui trovano più domande che risposte.
La mensa è in comune, gli studenti pranzano e cenano insieme ed è un momento molto comunitario. I ragazzi si organizzano poi per giocare o suonare, organizzano concerti e sono spesso chiamati in varie parti d’Italia per raccontare la loro esperienza”.

 

La lingua obbligatoria a Rondine è l’italiano. Questo garantisce che si parta tutti dallo stesso livello e non ci siano culture più ‘avvantaggiate’ di altre. Tutti parlano male l’italiano! Per questo i primi tre mesi gli studenti devono frequentare un corso di italiano. A questo punto “c’è una cerimonia di accettazione, i ragazzi prendono un impegno consapevole e danno il via alle attività”.rondine3

È molto formativo dover raccontare e rielaborare il proprio vissuto in presenza del ‘nemico’ che probabilmente nel frattempo è diventato amico. “Vivono un forte contrasto tra la necessità di ribadire la propria identità e la propria sofferenza e il desiderio di non far male al nuovo ‘amico’. Così il lavoro diventa interessante: quando questi giovani torneranno al loro Paese di origine dopo i due anni trascorsi a Rondine, avranno sviluppato la capacità di difendersi senza aggredire, sapranno lottare per i propri diritti senza pretendere che l’altro rinunci ai suoi. In diciotto anni abbiamo accolto oltre centosessanta giovani. La selezione dei partecipanti al progetto avviene con un bando che esplicita chiaramente la sfida che lanciamo; i ragazzi sanno quindi a cosa vanno incontro”.

Rondine provvede a tutte le spese, dal visto al master, dal trasporto al vitto e alloggio. La struttura si mantiene grazie a diversi tipi di sostenitori, micro e major. Ogni studente costa circa venticinque mila euro per un anno. Al progetto lavorano venti persone, alcune full time e altre part time. L’ispirazione è laica: la dimensione religiosa dell’individuo, infatti, viene sottratta dalle strumentalizzazioni, mentre viene proposto il dialogo tra le religioni.  “Qui si fa sempre festa, perché festeggiamo tutte le feste, cristiane, musulmane, ebraiche e così via. Tutti gli studenti si devono sentire liberi di festeggiare le proprie festività e spiegarle agli altri per viverle insieme. All’ultima cena di natale, per esempio, un Ave Maria è stata cantata da una ragazza musulmana”.

Da quando Rondine è stata fondata il mondo è cambiato e di conseguenza sono cambiati anche i progetti portati avanti nella struttura.

“Oggi abbiamo molti progetti nuovi in mente per promuovere la pace – afferma Berutti – vogliamo continuare a seguire i ragazzi anche dopo la residenza italiana, nel momento del loro rientro in patria. Abbiamo già cominciato! Questo anno, ad esempio, abbiamo deciso di seguire per un anno un ragazzo a distanza, con costanza e presenza. L’associazione “rondini d’oro” (formata dagli studenti che hanno concluso la residenza positivamente) – inoltre – chiede di collaborare con noi come soggetto autonomo per concretizzare progetti ispirati a questa esperienza da riproporre nel loro paese”.rondine

E non è tutto. Rondine ha deciso di agire anche sul tessuto italiano attivando e sviluppando alcuni progetti con le scuole, in una duplice forma. Da un lato i ragazzi residenti a Rondine portano nelle scuole italiane la loro esperienza, dall’altro è stato attivato un “quarto anno d’eccellenza liceale”: gli studenti liceali, infatti, possono frequentare il quarto anno proprio nel piccolo borgo Toscano. “Seguono il programma ministeriale la mattina mentre il pomeriggio frequentano percorsi formativi integrativi sulla trasformazione del conflitto, l’innovazione tecnologica e l’integrazione con l’ambiente”.

Questi studenti si trovano a condividere l’esperienza di ventisei colleghi internazionali. L’auspicio è che una volta tornati nei licei di origine, questi ragazzi avranno sviluppato uno sguardo critico sulla complessità del mondo e del territorio su vari temi e in particolare sui fenomeni migratori. I fatti di Parigi non hanno cambiato molto il sentire dei residenti di Rondine. “Sono persone che vivono queste cose nella quotidianità. Chi viene da Gaza, per esempio, non è rimasto troppo scosso. Il dibattito sui fatti di Parigi non è stato su un piano religioso, ma i nostri ragazzi sono rimasti sorpresi del fatto che i media hanno parlato di questi conflitti solo quando hanno coinvolto Paesi europei. Si sono detti: ‘Queste cose da noi capitano tutti i giorni, perché ne parlano solo ora?’”.

 

Il sito di Rondine 

 

 

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/02/io-faccio-cosi-107-rondine-piccolo-borgo-pace/

Inquinamento, New Delhi dichiara guerra allo smog

INDIA-WEATHER-SMOG

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La Corte Suprema indiana ha deciso di sospendere la vendita di veicoli diesel di grossa cilindrata e di aumentare la tassa d’ingresso per i mezzi commerciali a New Delhi. Il divieto di vendere auto con motore diesel oltre i 2000 cc sarà in vigore per tre mesi, almeno fino al marzo 2016 e i giudici indiani hanno anche stabilito che i veicoli commerciali più vecchi di 10 anni non potranno transitare e che la green tax introdotta lo scorso mese sarà elevata al 100%. Un’altra novità è l’obbligo di conversione ai motori a gas per i taxi, ma anche per i veicoli di Uber. Nel 2014 un sondaggio dell’Oms aveva “eletto” New Delhi come la capitale con l’inquinamento atmosferico più elevato del mondo. Attualmente le concentrazioni di Pm10 e Pm2,5 sono superiori a quelle che si registrano in molte delle metropoli cinesi e le autorità hanno deciso di correre finalmente ai ripari. La decisione della Corte Suprema è stata accolta con soddisfazione dai difensori dell’ambiente, mentre la dirigenza della Mercedes Benz, per la quale la regione di New Delhi rappresenta un quarto delle vendite in India, ha dichiarato che queste limitazioni “influenzeranno profondamente” i futuri investimenti.  Dal 1° gennaio 2016 il governo locale introdurrà la formula delle targhe alterne per un periodo di prova di 15 giorni, un provvedimento che bloccherà la circolazione di un milione di veicoli al giorno. La notizia dei provvedimenti anti-inquinamento ha fatto immediatamente crollare del 4,6% il valore di mercato della Tata Motors, il secondo più grande costruttore del Paese. Il settore dell’automotive (che fra aprile e novembre aveva fatto registrare un +9%) non ha preso affatto bene questa misura restrittiva che cerca di arginare i problemi conseguenti all’inquinamento atmosferico dilagante: un giovane su cinque di Delhi (21%) ha una ridotta capacità polmonare e una quota di poco inferiore (19%) si trova in una situazione ancor più critica per quanto riguarda la salute dell’apparato respiratorio.

Fonte: ecoblog.it

Il “regime” Monsanto: la multinazionale che si permette di dichiarare guerra a Iarc e Oms

Lo Iarc attesta che il glifosato è un probabile cancerogeno e la Monsanto, che il glifosato lo utilizza per produrre l’erbicida RoundUp, dichiara guerra a Iarc e Oms mettendo in dubbio il rapporto pubblicato dell’Agenzia per la ricerca sul cancro e lanciando un messaggio che suona minaccioso: «L’Oms ha qualcosa da spiegare».monsanto_glifosato_iarc

L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, lo Iarc (agenzia dell’Oms), pubblica da anni periodicamente monografie con le revisioni e gli aggiornamenti sulle sostanze ritenute sicuramente cancerogene e probabilmente cancerogene per l’uomo. Tali monografie rappresentano l’analisi compiuta dell’evidenza scientifica esistente e sono redatte da quella che viene ritenuta una delle fonti più autorevoli al mondo. Nel rapporto reso pubblico lo scorso 20 marzo lo Iarc ha commesso il “reato di lesa maestà”, secondo la potentissima multinazionale Monsanto. Ha cioè inserito il glifosato tra le sostanze probabilmente cancerogene per l’uomo e sicuramente cancerogene per gli animali (leggi qui il comunicato stampa diffuso dallo Iarc).  Il glifosato è il principio attivo dell’erbicida RoundUp (venduto in 180 paesi) prodotto dalla Monsanto e di centinaia di altri prodotti per l’agricoltura in commercio. Allora Monsanto ha dichiarato guerra attaccando lo Iarc mettendo in discussione la sua autorevolezza. L’azienda statunitense, ha dichiarato il vicepresidente Philip Miller, chiederà all’Oms di far sedere propri esperti ad un tavolo con gli uomini e i consulenti della multinazionale e le agenzie regolatorie per rimettere tutto in discussione. Emerge chiaramente l’obiettivo: pretendere di affermare ed esigere che venga riconosciuto il fatto che consulenti pagati dalle aziende o esperti di parte siedano allo stesso tavolo con scienziati dello Iarc e dell’Oms, con pari autorevolezza e pari voce in capitolo. «Mettiamo in dubbio la qualità di questa classificazione – ha affermato Miller durante una conferenza stampa – l’Oms ha qualcosa da spiegare».  Secondo l’azienda, lo Iarc nella sua analisi ha ignorato gli studi che dimostravano la sicurezza del glifosato, concentrandosi su quelli che la mettevano in dubbio. Ora noi chiediamo: chi ha finanziato gli studi che ne attestano la sicurezza e chi ha finanziato gli studi che ne attestano la pericolosità? Ci sono conflitti di interesse in chi ha fatto parte di gruppi di studio o commissioni piuttosto che di altre? Sapere questo è importantissimo ai fini di un sano esercizio di senso critico.

Tra i primi a chiedere interventi c’è Aiab, Associazione italiana per l’agricoltura biologica.

«L’Italia e l’Unione Europea considerino immediatamente le misure necessarie per proteggere agricoltori e consumatori dal glifosato», ha chiesto Aiab. «Che il glifosato faccia male alla salute dell’uomo e dell’ambiente, che si accumuli nei cibi e nell’acqua, lo sappiamo da anni e da anni combattiamo contro questo e gli altri pesticidi, spacciati per innocui», dichiara il presidente di Aiab Vincenzo Vizioli. «Ora – aggiunge – anche le agenzie dell’Oms indicano vari principi attivi come potenzialmente lesivi della salute in forma grave. Lo studio dello Iarc non solo riporta la probabile cancerogenicità del glifosato, ma rileva la correlazione fortissima con danni riscontrabili sul Dna umano: molti lavoratori esposti hanno sviluppato una alta vulnerabilità al linfoma non Hodgkin».

«Il governo non può ignorare l’allarme lanciato dallo Iarc. Ho presentato un’interrogazione urgente al ministro della salute e a quello delle politiche agricole chiedendo che sia immediatamente recepito il parere dello Iarc e che sia avviata subito un’istruttoria per giungere alla sospensione della distribuzione del pesticida che risulta ampiamente utilizzato nella nostra agricoltura nazionale». Lo ha affermato, in una nota, Loredana De Petris, presidente del gruppo misto e capogruppo di Sel a palazzo Madama.«Questa è la conferma, qualora ce ne fosse stato bisogno – conclude la senatrice – della necessità di non consentire l’utilizzo di sementi ogm nel nostro paese dato che le stesse sono commercializzate insieme al glifosato per l’impiego congiunto in agricoltura».

Intanto anche il rapporto Ispra fa riflettere e dà l’idea di quanto urgente sia intervenire sull’avvelenamento dell’ambiente a causa dei pesticidi. «Sono 175 le sostanze trovate nelle acque superficiali e sotterranee italiane nel 2012 – dice l’ultimo rapporto Ispra – in cima alla lista ci sono gli erbicidi: il loro utilizzo diretto sul suolo, spesso concomitante con le intense precipitazioni meteoriche di inizio primavera, ne facilita la migrazione nei corpi idrici. Rispetto al passato è aumentata significativamente anche la presenza di fungicidi e insetticidi». Nel biennio 2011-2012 sono stati esaminati 27.995 campioni per un totale di 1.208.671 misure analitiche. Le informazioni provengono da 19 regioni e province autonome, con una copertura del territorio nazionale incompleta, soprattutto per quanto riguarda le regioni centro-meridionali e in maniera più accentuata per le acque sotterranee. Sono stati trovati pesticidi nel 56,9% dei 1.355 punti di monitoraggio delle acque superficiali e nel 31% dei 2.145 punti di quelle sotterranee.

Fonte: ilcambiamento.it

L’ultima guerra?

E’ dai tempi della guerra in Cecenia e della guerra in Jugoslavia che sono cominciate ad arrivare notizie su mercenari “islamici” addestrati in Turchia, Arabia Saudita e stati del golfo. Cioè in alcuni tra gli stati più fedelmente e strettamente alleati dell’Impero Euronordamericano. Gli “amici” di allora diventano i nemici di oggi, in un giochetto perverso che costa vite umane ma alimenta due grosse “industrie”: quella della guerra e quella della paura.isis

E del resto, uno dei compiti che si attribuiscono anche ufficialmente le multinazionali della guerra mercenaria, tipo Blackwater (ma sono ormai centinaia le autonominatesi “compagnie di sicurezza”, sorte soprattutto all’inizio di questo millennio), è proprio quello di addestrare milizie ed eserciti alleati dei loro padroni. Non per niente, durante la guerra contro la Libia l’esercito libico catturò “consiglieri militari” anglosassoni e simili: evidentemente, l’addestramento non era ancora completo ed era necessaria la presenza sul campo degli addestratori. Questa gente ha avuto la funzione di cecchini, attentatori, milizie di tagliagole prezzolati per seminare morte e terrore tra i nemici degli interessi economici e politici occidentali. Adesso abbiamo l’ISIS, siamo passati a uno stadio più avanzato della terza guerra mondiale. E’ forse un caso che, dopo che il Papa ha lanciato il suo accorato appello contro la guerra, parlando in maniera esplicita di “pianificatori del terrore, organizzatori dello scontro…” e dicendo altrettanto esplicitamente che “dietro le quinte ci sono interessi economici, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere…”, l’ambasciatore iracheno (rappresentante di un governo fantoccio e che quindi parla a nome di chi e per conto di chi?) abbia dichiarato che l’ISIS intende uccidere il Papa? Se fosse vero che le Torri Gemelle sono state abbattute dallo stesso governo USA, dai “pianificatori del terrore”, per scioccare l’opinione pubblica e poter iniziare la Grande Guerra al (del) Terrore su scala globale (ammesso che si possa chiamare ancora “governo” un insieme di poteri oscuri senza più controllo, senza più scopi razionali, senza alcun tipo di remora né riguardo nemmeno nei confronti del proprio stesso popolo e paese, e quindi senza più un popolo né una terra da rappresentare), allora l’ISIS e la sua guerra sporca sarebbero il secondo stadio di quella cominciata l’11 settembre. I cosiddetti “fondamentalisti islamici” e/o Al Quaeda non sono altro che la versione musulmana di Settore Destro in Ucraina, delle SS, dei falangisti spagnoli, delle Camicie Nere italiane, degli ustascia. Che del resto erano in massima parte “fondamentalisti cristiani”. I loro obiettivi sono gli stessi: la distruzione di qualsiasi tipo di stato sociale, l’abbattimento cruento di qualsiasi governo o partito che promuova uno stato sociale e che cerchi di sottrarre il proprio paese alle grinfie oggi delle multinazionali, sempre del grande capitale; la distruzione di qualsiasi tipo di democrazia e partecipazione popolare; l’umiliazione e la subordinazione delle donne. Gli stessi sono i metodi: una ferocia illimitata, una violenza che si scatena indiscriminatamente verso militari e civili, esecuzioni di massa, torture, efferatezze, sgozzamenti, il terrore che imperversa tra le popolazioni attaccate e che demoralizza gli eserciti e i combattenti avversari. Se cominciassimo a chiamarli “fascisti islamici” o semplicemente fascisti, dato che l’islam non ha a che fare con loro più di quanto il cristianesimo avesse a che fare con i nazisti, forse faremmo un po’ più di chiarezza. “… fino a poco fa i ribelli dello Stato Islamico, conosciuti ufficialmente come Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, venivano esaltati come “l’opposizione che combatteva per la libertà” impegnata a “restaurare la democrazia” e abbattere il governo laico di Bashar al Assad…” (M. Chossudovski – Global Research) L’ISIS e i vari gruppi di mercenari islamici sono un grande strumento dell’Impero, non solo perché sono serviti in Libia e stanno servendo in Siria a distruggere quelli che erano gli ultimi stati sociali e laici arabi, e ricordiamoci che “stato sociale” vuol dire lasciare a bocca asciutta le multinazionali rifiutando di privatizzare energia, acqua, grandi aziende statali, servizi pubblici, ma perché è il pretesto per conquistare, occupare e sottomettere tutta quell’area geografica, compreso un Iraq ancora troppo turbolento, nonostante i milioni di morti provocati dalla guerra USA.

Chi si rifiuterà di partecipare alla crociata contro un esercito di sgozzatori e stragisti? Vestiti di nero da capo a piedi in una sorta di divisa, col volto coperto (e al buio tutti i gatti sono bigi), super armati, super equipaggiati, efficienti e organizzati: esattamente come un esercito di professionisti.

Chi avrà l’ardire di opporsi alla crociata contro una tale armata di tagliagole, che minaccia di espandersi come una marea e di colpire anche l’Europa? O almeno così si dice.

Creare il mostro per poter distruggere, apparentemente, il mostro stesso ma in realtà chi ad esso si oppone.

Un giornalista del Corriere, Lorenzo Cremonesi, ha intervistato telefonicamente il responsabile dell’ISIS per i rapporti con i cristiani, Haji Othman, e ad un certo punto gli domanda: “Però l’aviazione americana vi sta bombardando a suo piacimento. Non costituisce un problema?”, e questa è la risposta (cito dall’intervista): “Ma dai! Cosa stai a dire?” replica scoppiando in una risata…Sembrerebbe una risata proprio spontanea: riderà dell’opinione pubblica occidentale? Poi si riprende e dice qualche frase del tipo “Dio stramaledica gli americani”. Evidentemente la verità gli sembra così palese, che considera inutile fingere con impegno.

Chi ci sarà a controllare che i bombardamenti colpiscano le “armate nere” o non colpiscano piuttosto l’esercito siriano o la resistenza irachena? I giornalisti? Gli operatori umanitari? Se ce ne sarà qualcuno, dovrà avere molta fortuna e l’ISIS e l’Impero ce lo hanno già fatto vedere.

Se potesse esserci dell’ironia in una strategia di morte e sofferenza, oppressione e orrore, starebbe nel fatto che tutto ciò avviene mentre un’altra guerra, la guerra al pianeta, sta avendo un grande successo. L’aumento dell’anidride carbonica in atmosfera supera le peggiori previsioni, tanto che gli scienziati sospettano che stia diminuendo la capacità della Terra di assorbirla. Ma possiamo andare più in là dei sospetti: la deforestazione va avanti di gran carriera, gli oceani sono ormai avvelenati, si cerca il petrolio in fondo ai mari e le prospezioni petrolifere creano ulteriore inquinamento, la pesca industriale ha desertificato aree oceaniche grandi come continenti, mentre continenti di melma plastica ci galleggiano sopra e ne coprono i fondali; i rifiuti tossici si spandono sulle terre fertili e nei mari. E il capitale globale accelera la propria corsa per la conquista del mondo.

“Cosa facciamo stasera, prof?”

“Quello che facciamo tutte le sere, Mignolo, andiamo alla conquista del mondo!”

Non si tratta di problemi diversi e distinti. Sono le stesse cause che producono ambedue queste guerre. La nostra plastica, il nostro petrolio.

Sono cause profonde, una rete di cause nella quale siamo tutti invischiati. L’indifferenza, la competitività, la spietatezza, l’irresponsabilità, l’ignoranza delle conseguenze sono ormai il pane quotidiano di cui si nutre una buona parte dell’umanità.

Contro la guerra all’Iraq ci fu una mobilitazione mondiale senza precedenti, decine di milioni di persone scesero in piazza in tutto il mondo. Nello stesso periodo erano di moda i SUV, si vendettero decine di milioni di SUV in tutto il mondo ma, ovviamente , soprattutto nel mondo ricco, in occidente e satelliti limitrofi. Allora ci domandammo perché una mobilitazione così grande non ottenne risultati proporzionati. Eppure molte persone che erano contro la guerra comprarono quelle automobili, aumentarono a dismisura i consumi di petrolio. Arricchirono e rafforzarono quei potentati economici che avevano bisogno della guerra. Una riflessione, un dibattito, una strategia che voglia porre fine alla guerra e all’ingiustizia non può prescindere da una riflessione, un dibattito, un’azione più vasta per mettere in discussione radicalmente tutta l’economia, l’organizzazione sociale, la cultura umana oggi dominante. La nostra cultura, la nostra vita. Pena la sconfitta di ogni lotta, la sterilità di ogni sforzo, per quanto generoso.

Fonte: ilcambiamento.it

“L’Italia in guerra: basta con questa follia”

“L’Italia, di fatto, è in guerra: è una follia, dobbiamo dire basta”: con queste parole padre Alex Zanotelli, missionario comboniano ed ex direttore di Nigrizia, fortemente impegnato nel sociale e nei movimenti pacifisti, lancia il suo appello da Napoli, dove presta servizio nel Rione Sanità.alex_zanotelli_padre

100 milioni di euro al giorno in armi! Non possiamo più permetterlo” dice padre Zanotelli. “La guerra imperversa ormai dall’Ucraina alla Somalia, dall’Iraq al Sud Sudan, dal Califfato Islamico (ISIS),al Califfato del Nord della Nigeria (Boko Haram), dalla Siria al Centrafrica, dalla Libia al Mali, dall’Afghanistan al Sudan, fino all’interminabile conflitto tra Israele e Palestina. Mi sembra di vedere il cavallo rosso fuoco dell’Apocalisse: “A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace della terra e di far sì che si sgozzassero a vicenda, e gli fu consegnata una grande spada”(Ap.6,4). E’ la “grande spada” che è ritornata a governare la terra. Siamo ritornati alla Guerra Fredda tra la Russia e la NATO che vuole espandersi a Est, dall’Ucraina alla Georgia”.

“Nel suo ultimo vertice, a Newpost nel Galles a inizio settembre, la NATO ha deciso di costruire 5 basi militari nei paesi dell’Est, nonché pesanti sanzioni alla Russia. Il nostro Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha approvato queste decisioni e ha anche aderito alla Coalizione dei dieci paesi pronti a battersi contro l’ISIS, offrendo per di più armi ai Curdi. Inoltre si è impegnato a mantenere forze militari in Afghanistan e a far parte dei “donatori” che forniranno a Kabul 4 miliardi di dollari. Durante il vertice NATO, Obama ha invitato gli alleati europei a investire di più in Difesa, destinandovi come minimo il 2% del PIL. Attualmente l’Italia destina 1,2% del proprio bilancio in Difesa. Accettando le decisioni del Vertice, Renzi è ora obbligato ad investire in armi il 2% del PIL. Questo significa 100 milioni di euro al giorno!!! Questa è pura follia per un paese come l’Italia in piena crisi economica. E’ la follia di un mondo lanciato ad armarsi fino ai denti. Lo scorso anno, secondo i dati SIPRI, i governi del mondo hanno speso in armi 1.742 miliardi di dollari che equivale a quasi 5 miliardi di euro al giorno (1.032 miliardi di dollari solo dagli USA e NATO). Siamo prigionieri del complesso militare-industriale USA e internazionale che ci sospinge a sempre nuove guerre, una più spaventosa dell’altra, per la difesa dei cosiddetti “interessi vitali”, in particolare della “sicurezza economica”,come afferma la Pinotti nel Libro Bianco. Come la guerra contro l’Iraq, dove hanno perso la vita 4.000 soldati americani e mezzo milione di iracheni, con un costo solo per gli USA di 4.000 miliardi di dollari. Ed è stata questa la guerra alla base dell’attuale disastro in Medio Oriente, ha fatto ripiombare il mondo in una paurosa spirale di odio e di guerre. Papa Francesco ha parlato di Terza Guerra Mondiale”.

“Davanti ad una tale situazione di orrore e di morte, non riesco a spiegarmi il silenzio del popolo italiano. Questo popolo non può aver dimenticato l’articolo 11 della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Non è possibile che gli italiani tollerino che il governo Renzi spenda tutti questi soldi in armi, mentre lo stesso non li trova per la scuola, per la sanità, per il terzo settore. Tantomeno capisco il silenzio dei vescovi italiani e delle comunità cristiane, eredi del Vangelo della nonviolenza attiva”.

“E’ ora che insieme, credenti e non, ci mobilitiamo, utilizzando tutti i metodi nonviolenti , per affrontare la Bestia. Ritorniamo in piazza e per strada, con volantinaggi e con digiuni e, per i credenti, con momenti di preghiera. Chiediamo al governo sia di bloccare le spese militari che di “tagliare le ali” agli F-35 che ci costeranno 15 miliardi di euro. E come abbiamo fatto in quella splendida Arena di Pace del 25 aprile scorso, ritroviamoci unitariamente nei due momenti collettivi che ci attendono:Firenze e la Perugia-Assisi. Tutto il grande movimento della pace in Italia ci invita a un primo appuntamento, il 21 settembre, a Firenze, dalle ore 11 alle 16 , al Piazzale Michelangelo. Il tema sarà: facciamo insieme un passo di pace. Sarà l’occasione per lanciare la campagna promossa dall’Arena di Pace: legge di iniziativa popolare per la creazione di un Dipartimento di Difesa Nonarmata e Nonviolenta. Il secondo grande appuntamento sarà la Perugia-Assisi, il 19 ottobre, con una presenza massiccia di tutte le realtà che operano per la pace. Noi non attendiamo più nulla dall’alto. La speranza nasce dal basso, da questo metterci insieme per trasformare Sistemi di morte in Sistemi di vita. Ce la dobbiamo fare! Noi siamo prigionieri di un Sogno così ben espresso dal profeta Michea: “Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci, una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra”. (Michea,4,3)”

Fonte: ilcambiamento.it

Guerra e ambiente: le conseguenze ecologiche dei conflitti

Da Verdun all’Iraq, Footprints of War, documentario di Max M. Mönch, mostra l’impatto ambientale delle armi utilizzate nei conflitti dell’ultimo secolo

Quale impatto ambientale hanno i conflitti armati? Quali sono le conseguenze delle guerre sugli ecosistemi? Footprints of War, documentario di Max M. Mönch presentato nel Concorso Internazionale One Hour di Cinemambiente, cerca di rispondere a questa domanda partendo dal punto di svolta nella storia militare, quello che ha un luogo e una data: Verdun, 21 febbraio 1916. La battaglia di Verdun, durata 10 mesi, fino al 19 dicembre 1916, la storia militare subisce una svolta irreversibile. Se in passato le battaglie si erano concluse per l’esaurimento degli armamenti, a Verdun munizioni e bombe arrivano per mesi a ciclo continuo. Per la prima volta nella storia dell’umanità, si uccide senza nemmeno vedere il nemico, accucciato nelle trincee e, sempre per la prima volta, vengono utilizzate armi chimiche e gas tossici. Per la prima volta una battaglia devasta un territorio condizionando l’ambiente anche per le generazioni successive. Molti terreni sono inutilizzabili. Lo stesso dicasi della Somme dove ben 50 tonnellate di bombe inesplose rimasero seppellite nel terreno dopo la fine del conflitto. L’obiettivo dell’Operazione Alberich è raggiunto: distruggere il territorio rendendolo inutilizzabile, inabitabile. Mönch si sposta Oltreoceano ad Halifax, in Canada, dove tonnellate di armi sono state buttate nell’Oceano Atlantico al termine della Seconda Guerra Mondiale. Non c’è stato conflitto che non abbia lasciato una pesante eredità sull’ambiente, anche su quello marino. Nel Baltico sono state rilasciate armi dopo la Seconda Guerra Mondiale che in questi anni stanno iniziando a rilasciare gli agenti tossici nelle acque del Nord Europa. I danni procurati dall’Armata Rossa sono incalcolabili e impenetrabili. L’unico a creare una breccia nel sistema informativo sovietico è stato Alexander Nikitin, finito sotto processo e incredibilmente assolto dalle accuse di spionaggio. È stato lui a rivelare come i sottomarini russi abbiano sversato per anni tonnellate di rifiuti tossici nucleari nelle acque marine. L’eredità della Guerra Fredda, comunque, si sconta anche sulla terraferma, nel sito di Andreva, considerato il luogo più contaminato al mondo per quanto riguarda i rifiuti tossici nucleari. Oltre a Hiroshima e Nagasaki, circa 2000 bombe atomiche sono state sganciate a scopi sperimentali: a causa di questi esperimenti si stima che 400mila persone si siano ammalate di cancro. Le conseguenze ambientali della guerra aumentano sempre di più. I 70 milioni di litri di agenti chimici rilasciati dagli aerei e dalle flotte dell’esercito statunitense in Vietnam continuano a fare le loro vittime a quarant’anni dalla fine del conflitto: l’Agente Arancio e la diossina utilizzati per deforestare e “stanar” i vietcong hanno distrutto il 15% delle foreste vietnamite. Ora il governo di Hanoi lavora alla bonifica (con l’aiuto del governo americano) e alla riforestazione. L’ultimo capitolo è quello dedicato all’Iraq. Nel conflitto fra Usa e le forse di Saddam 3000 tonnellate di uranio impoverito sono state rilasciate nell’aria e nel suolo iracheni. I costi di bonifica sono elevatissimi e la Us Army ha pagato e paga un costo altissimo sia in termini umani che in termini economici: 13 miliardi di dollari vengono spesi ogni anno per risarcire i militari americani contaminati dall’uranio. Ma, come fa notare l’esperto di ecologia della guerra Gary Machlis, la guerra ha costi elevatissimi anche nella fase preparatoria. L’esercito americano consuma, da solo, una quantità di risorse fossili pari a quelle consumate dall’intera Svezia. Chi prepara e chi è coinvolto in una guerra agisce in deroga a qualsiasi principio valido per la società civile: l’impatto ambientale dei conflitti continua a essere, per tutti gli eserciti del mondo, un effetto collaterale trascurabile e unanimemente condiviso.Immagine26-620x346

Foto | Footprints of War

Fonte: ecoblog.it

Centrale idroelettrica a Maratea, residenti sul piede di guerra

I cittadini di Maratea (Pz) chiedono al presidente Pittella di sospendere l’autorizzazione all’impianto sino alla decisione del Tribunale superiore delle acque pubbliche

L’annosa questione della centrale idroelettrica a Fiumicello di Maratea (Pz), piccola frazione marittima del comune ribattezzato anche “La Perla del Tirreno” per le bellezze naturalistiche, tali da aver convinto l’ex sindaco Francesco Sisinni, attuale Direttore Generale del Ministero dei Beni Culturali, a farsi promotore di un’iniziativa volta a riconoscere il territorio di Maratea come patrimonio mondiale dell’Umanità, continua a tenere banco nel piccolo comune lucano. La cittadinanza, riunitasi in un’assemblea pubblica a Villa Tarantini venerdì 7 febbraio (era presente anche il sindaco della cittadina), mostra non pochi segnali di preoccupazione per quest’opera, dai più tacciata come “ecomostro”, che andrebbe ad insistere su uno dei territori meglio conservati della costa tirrenica.

La centrale idroelettrica di Fiumicello verrebbe costruita a monte di questa frequentatissima spiaggia:

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Lo scontro è, nella sostanza, piuttosto complesso, figlio del solito conflitto d’attribuzione di poteri (o meglio, di responsabilità) tra vari enti, istituzioni, uffici tecnici: dall’assemblea di venerdì della cittadinanza infatti è stata fatta una precisa richiesta al presidente neo-eletto Pittella: sospendere l’autorizzazione regionale rilasciata a suo tempo, almeno in attesa che il Tribunale delle Acque si pronunci sui ricorsi presentati dai comitati dei cittadini e dal Comune, che il Tar regionale ha “passato” per competenza a Roma. La richiesta di sospensione in autotutela verrà presentata dall’amministrazione comunale al Presidente della Regione: il pomo della discordia sono i lavori, ufficialmente di restauro dell’impianto già esistente (oggi semi-nascosto dalla boscaglia) ma che in realtà (si vede nel video che vi abbiamo proposto in alto) nasconderebbe ben altro. Un impianto ex-novo, come appurato anche nel corso di un sopralluogo effettuato dai tecnici del Ministero dei Beni Culturali e dall’Ufficio Urbanistico della Regione Basilicata, che in perfetto“Lucanian Style” (quello che impone culturalmente a chi fa il silenzio assoluto su ciò che fa) è avvolto da nebbie di assurdo mistero: un mistero che si infittisce sulle competenze, sull’utilità dell’opera e sull’opera stessa. Un impianto del quale si parla da diverso tempo ma che ha visto una netta accelerata nell’ultimo anno e mezzo e che vedrà la posa della prima pietra per ottobre 2014: come spiegato dal progettista, ing. Masella, il senso dell’opera è quello di divenire un punto ecologico sul mare, operando un abbattimento delle emissioni di Co2 e delle acque reflue e manutenendo con maggior efficacia gli argini del torrente Fiumicello, dal quale ci si vorrebbe approvvigionare. Tuttavia, secondo molti esperti, i salti di quota che il torrente fa nel territorio marateota (soli 4km, impedirebbero lo sviluppo di quei 310kWh di potenza che il progetto prevede di produrre: molto più semplice sfruttare i salti di quota più a monte, evitando così il rischio di costruire lungo l’arenile (o poco più sopra). La caratteristica del territorio marateoto infatti rende tutto vicino e lontano allo stesso tempo: la roccia che scende a picco sul mare, impreziosendone la costa con decine di calette ognuna diversa dall’altra, e per questo ognuna a suo modo incantevole, avvicina enormemente le opere dell’uomo all’acqua del golfo di Policastro.maratea011

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Il Comitato anticentrale ha formalizzato un ricorso al Consiglio di Stato, dopo essersi appellati senza successo al Tar, che ha rigettato la richiesta perché non di sua competenza, inviando gli incartamenti al Tribunale delle acque della Repubblica, a Roma. Tuttavia quest’organo, vetusto come il rudere della vecchia centrale, sul progetto potrebbe semplicemente esprimere un parere, senza quindi risultare in alcun modo vincolante. La società titolare del progetto, Srl Real Estate di Lauria (Pz) ha già provveduto con i primi espropri e tenta in ogni modo di rassicurare la popolazione, preoccupata non solo per l’ambiente incontaminato ma anche per l’impatto che tale opera potrebbe avere sull’economia turistica del territorio (che, fondamentalmente, vive di vacanzieri e villeggianti); i progettisti insistono sul restauro dell’impianto già esistente, senza tuttavia spiegare come il vecchio tracciato sia stato sostanzialmente abbandonato nel progetto, che ne ha individuato uno nuovo (che costeggia la spiaggia di Fiumicello di Maratea).

Fonte: ecoblog

Come vincere la guerra delle plastiche

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7 miliardi di euro e 110mila posti di lavoro bruciati a causa dei riciclo illegale di rifiuti e contraffazione. Sono i preoccupanti risultati che emergono da uno studio EurispesPolieco, il consorzio nazionale per il riciclaggio dei rifiuti dei beni a base di polietilene. Il lavoro, che sarà presentato in occasione della quinta edizione del Forum internazionale sull’economia dei rifiuti, in programma a Ischia il 20 e 21 settembre, fotografa lo stato dell’arte della produzione di materie plastiche a livello mondiale e analizza le problematiche dovute al loro cattivo riciclo smaltimento. Con particolare attenzione sulle ricadute economiche sanitarie legate all’importazione di beni prodotti con rigenerato di dubbia origine. L’obiettivo è di informare e sensibilizzare l’opinione pubblica a una cultura del riciclo legale, perché le plastiche possano trasformarsi da problema a risorsa. Ed essere utilizzate per dare linfa a una economia verde in grado di creare sviluppo occupazione nel pieno rispetto dell’ambiente. Ecco i dati. Da dieci anni a questa parte, evidenzia lo studio, la produzione di plastica è aumentata nel mondo (+3,7%) e in Europa (+1,7%). E, di conseguenza, sono cresciuti anche i rifiuti prodotti: “nel 2011”, dicono all’Eurispes, “di tutta la plastica richiesta dal mercato nell’Ue-27, è stato intercettato un quantitativo di rifiuti pari a 25,1 milioni di tonnellate, in aumento del 2,4% in più rispetto al 2010, più che doppio rispetto al tasso di crescita delle plastiche vergini”. Di tutta questa monnezza, poco meno della metà è finita nelle discariche. La quota residua è stata destinata a recupero di materia o produzione di energia. Purtroppo, i rifiuti plastici non sempre vengono smaltiti come dovrebbero. E a farne le spese sono i Paesi più poveri:“Il 25% delle spedizioni inviate dall’Ue ai Paesi in via di sviluppo di Africa Asia avviene in violazione alle normative internazionali”. Se evitassimo di esportare illecitamente questi materiali e adottassimo pratiche di riciclo sostenibile, fanno notare gli esperti, otterremmo “un risparmio notevole e un minor depauperamento di ambiente e risorse nell’ottica della sostenibilità e di un approccio etico all’attività umana”.

Ma c’è anche di peggio. Perché quello che esce (più o meno legalmente) dalle nostre dogane vi rientra poi sotto forma di beni contraffatti e/o pericolosi, con ingenti ricadute su salute, occupazione ed economie nazionali. Basti pensare che le stime sul mercato della contraffazione in Italia parlano di un giro d’affari di circa 7 miliardi di euro, che comporta minori entrate fiscali per 1,7 miliardi e una perdita di 110milaposti di lavoro. Tra i settori più colpiti quelli del made in Italy, cioè abbigliamento e accessori (2,5 miliardi di euro) e agroalimentare (1,1 miliardi di euro). Ma anche cd,dvd e prodotti informatici tarocchi: sette volte su dieci, i prodotti sequestrati vengono dalla Cina. Si tratta purtroppo di un meccanismo oramai collaudato e in costante aumento con il passare degli anni. Per affrontare e risolvere il problema, secondo gli esperti, è necessario “ripensare il concetto di rifiuti in termini di materiali, ossia valorizzando la risorsa da un punto di vista tecnico-economico”, e “concepire il territorio non solo come elemento di qualità ambientale, ma anche come punto di partenza per un rinnovato impulso del settore in chiave green”. E bisogna mettersi al lavoro subito, come mette in guardia Gian Maria Fara, presidente dell’Eurispes: “Non è azzardato ipotizzare che nel prossimo futuro assisteremo a una guerra delle plastiche, dalla quale uscirà vincente solo chi si sarà dotato degli strumenti idonei al recupero di materia, al riciclo dei rifiuti e al loro utilizzo”. La strada, dunque, sembra essere questa. Cerchiamo di non farci trovare, ancora una volta, impreparati.

fonte: Wired.it

Tratto: galileonet.it