Maltempo, Legambiente: ‘Italia continua ad essere impreparata al cambiamento climatico. Governo approvi un piano nazionale di adattamento’

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L’associazione ribadisce “l’urgenza di un piano nazionale di adattamento al clima e una normativa che fermi il consumo di suolo, insieme ad un’intensa attività di prevenzione. Le città non possono essere lasciate da sole a fronteggiare impatti di questa dimensione dovuti in primis ai cambiamenti climatici”

Dal Veneto alla Sicilia, dalla Liguria al Lazio, compresa l’isola di Ischia, sono tanti i territori colpiti in questi giorni e in queste ore dal maltempo con frane, esondazioni, trombe d’aria e tutto ciò che ne è conseguito. Da ultimo la strage di alberi nei boschi del Trentino, dell’Alto Adige, Veneto e Friuli e il maltempo che si è abbattuto sulla provincia di Palermo  dove si contano al momento dodici morti. Il clima sta cambiando, ormai è un dato di fatto, eppure l’Italia continua ad essere impreparata. È quanto torna a denunciare Legambiente ribadendo l’urgenza di un piano nazionale di adattamento al clima e una normativa che fermi il consumo di suolo, insieme ad un’intensa attività di prevenzione. Le città non possono essere lasciate da sole a fronteggiare impatti di questa dimensione dovuti in primis ai cambiamenti climatici, che amplificano gli effetti di frane e alluvioni e che stanno causando danni al territorio e alle città mettendo in pericolo la vita e la salute dei cittadini.

“In queste ore – dichiara Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – il primo pensiero va purtroppo alle vittime e ai dispersi e ribadiamo la piena disponibilità e supporto ai tanti soccorritori impegnati in queste ore sui territori colpiti. Le diverse emergenze scattate in questi giorni non possono, però, non richiamare ad una riflessione sul rischio idrogeologico e le conseguenze del cambiamento climatico sempre più evidenti sul nostro territorio, in cui questi fattori spesso sono stati ignorati o sottovalutati e la prevenzione stenta a partire. Nonostante siano state messe in campo nuove politiche per la riduzione del rischio sul territorio, con l’obiettivo di recuperare anni di ritardi negli interventi, purtroppo ancora oggi non se ne vedono i risultati. La dimensione dei problemi che vediamo nei territori legati alla fragilità idrogeologica del Paese, ad una pianificazione e ad una espansione urbanistica che spesso non ne tiene conto e a un clima che sta cambiando, è tale da obbligare a un cambio di strategia e di velocità degli interventi. Si deve passare da un approccio che segue emergenze e disastri a una lettura complessiva del territorio italiano attraverso un Piano nazionale di adattamento e a interventi coerenti e coordinati. Per questo chiediamo al Governo di approvare tale piano nazionale, a cui devono seguire piani su scala regionale e territoriale, strumenti trasversali di cui tener conto anche in tutte le altre pianificazioni, in modo da aiutare così anche i Comuni, che devono individuare rischi e interventi prioritari di prevenzione”.

“Per mettere in campo tutto questo – continua Zampetti – servono risorse adeguate e continuative. Per questo abbiamo proposto già a partire dalla prossima finanziaria di prevedere un fondo di almeno 200 milioni di euro all’anno, per l’erogazione di finanziamenti da destinare ai Piani Clima da parte dei Comuni, e a progetti di adattamento ai cambiamenti climatici , oltre le risorse necessarie per interventi di manutenzione, riqualificazione e riduzione del rischio, a partire dagli spazi pubblici e di allerta dei cittadini. Ma di tutto questo purtroppo nella nuova proposta di finanziaria non ve ne è traccia”.

 

Legambiente ricorda che tra il 1944 ed il 2012 sono 61,5 i miliardi di euro spesi solo per i danni provocati dagli eventi estremi nel territorio italiano e l’Italia è tra i primi Paesi al mondo per risarcimenti e riparazioni di danni da eventi di dissesto con circa 3.5 miliardi all’anno. Ancora oggi, nonostante tutto, continua imperterrita, soprattutto in ambiente urbano la sottrazione di suolo libero per processi di crescita edilizia. Anche a causa della mancanza di una normativa nazionale che intervenga in questo settore. Ma un altro dato è ancora più allarmante e va evidenziato soprattutto alla luce del dibattito sull’ennesimo condono edilizio contenuto nel decreto Genova in discussione in Parlamento in queste settimane. Il consumo di suolo e le nuove edificazioni continuano a riguardare anche le aree considerate a rischio idrogeologico, nonostante i vincoli esistenti. Il dossier Ecosistema rischio di Legambiente riporta come, nonostante nel 78% dei casi (1.145) le perimetrazioni definite dai Piani di Assetto Idrogeologico (PAI) sono state integrate ai piani urbanistici, nel 9% delle amministrazioni si è continuato a costruire nelle aree a rischio anche nell’ultimo decennio. Dato che potrebbe essere anche maggiore se si pensa a quanto è stato costruito in maniera abusiva, spesso in aree a rischio, che oggi non risulta ma che potrebbe essere sanato se andasse in porto il decreto così come è uscito dalla Camera dei deputati, dal momento che si prevede di far procedere le richieste pendenti di condono senza tener conto dei vincoli idrogeologici, sismici e paesaggistici vigenti attualmente nel nostro Paese. E intanto a Casamicciola, a causa del maltempo, nei giorni scorsi è crollato il muraglione di contenimento di un albergo che sorge a poche decine di metri dalla zona rossa del sisma. Dunque il consumo di suolo continua ad essere un problema irrisolto. Per questo per Legambiente è fondamentale che si approvi anche una legge nazionale per fermare gli attacchi e le speculazioni a danno dei territori. Stando all’ultima fotografia fornita da ISPRA e riportata in Ecosistema Urbano 2018 il territorio urbanizzato, che negli anni ‘50 del secolo scorso pesava per il 2,7 per cento delle superfici, nel 2017 dilaga su oltre 2,3 milioni di ettari, il 7,7 per cento del territorio nazionale. Negli anni dal dopoguerra ad oggi si è impermeabilizzata una superficie doppia di quella cumulata nei duemila anni precedenti. Una gestione dissennata che continua ad esporre al rischio milioni di persone: 7.275 comuni (91% del totale) sono a rischio per frane e/o alluvioni (Ispra 2018) e circa 7,5 milioni di abitanti che vivono o lavorano in aree a rischio frane o alluvioni. Su scala nazionale addirittura il 13% delle famiglie italiane vive in aree a rischio idrogeologico.

Fonte: ecodallecitta.it

 

 

Caccia al petrolio: in Perù gli indigeni fanno causa al governo

Un’organizzazione indigena del Perù ha fatto causa al governo per non aver protetto le tribù incontattate dalle invasioni e dalle prospezioni petrolifere. Perché il denaro non valga più dei diritti umani…9487-10228

AIDESEP, l’organizzazione nazionale indigena, sta portando in tribunale il Ministero della Cultura del Perù per non aver rispettato l’obbligo legale di mappare e creare cinque nuove riserve indigene, e di proteggere i popoli estremamente vulnerabili che vi vivono. Lo fa sapere l’organizzazione Survival International.

«Nel 2007, il Perù aveva concesso alla compagnia petrolifera canadese Pacific E&P il diritto di effettuare esplorazioni a Yavari Tapiche, un’area all’interno della frontiera dell’Amazzonia incontattata già proposta come riserva indigena – spiega l’associazione per i diritti del popoli indigeni –  L’AIDESEP chiede da 14 anni che la riserva venga istituita, mentre Survival International sta conducendo una campagna internazionale per il diritto dei popoli incontattati a determinare autonomamente il proprio futuro. I ricercatori temono che gli Indiani incontattati che vivono nell’area possano essere spazzati via dalla violenza di esterni e da malattie verso cui non hanno difese immunitarie. Gli operai che lavorano all’estrazione del petrolio rischiano di entrare in contatto con i popoli isolati; inoltre, il processo di prospezione petrolifera prevede la detonazione di migliaia di cariche sotterranee che fanno fuggire la selvaggina da cui gli Indiani dipendono».
«I Matsés, che vivono vicino all’area proposta come riserva, protestano contro il governo, che non ha proibito le prospezioni petrolifere. Nel corso di una recente riunione indigena, un uomo della tribù ha dichiarato: “Non voglio che i miei figli siano distrutti dal petrolio… Ecco perché ci stiamo difendendo… E perché noi Matsés ci siamo uniti. Le compagnie petrolifere… ci stanno insultando e noi non resteremo in silenzio mentre ci sfruttano nelle nostre terre ancestrali. Se necessario, moriremo lottando contro il petrolio.” Un’altra organizzazione indigena, ORPIO – prosegue ancora Survival – sta portando in tribunale un altro caso contro la minaccia di prospezioni petrolifere». «Le tribù incontattate sono i popoli più vulnerabili sul pianeta, ma sembra che le autorità del Perù considerino i profitti della compagnia petrolifera più importanti della terra, delle vite e dei diritti umani dei popoli” ha commentato Stephen Corry, Direttore generale di Survival. «Il fatto di non aver creato riserve indigene non è solo una catastrofe ambientale, ma potrebbe anche spazzare via per sempre intere popolazioni».

In sintesi:

– AIDESEP è l’organizzazione nazionale del Perù per gli Indiani amazzonici. Lavora per difendere i diritti umani degli indigeni peruviani.

– AIDESEP ha presentato una Domanda legale di Adempimento (Demanda de Cumplimiento) alla Corte Superiore di Giustizia di Lima, con il sostegno dell’organizzazione legale IDL.

– Il Ministero peruviano della Cultura è responsabile della mappatura e della protezione dei territori indigeni. In Perù, le terre delle tribù incontattate dovrebbero essere protette per legge ma, in realtà, questa protezione è spesso inadeguata o inesistente.
– Il Perù ha inoltre ratificato la Convenzione ILO 169, la legge internazionale per i popoli indigeni, che richiede di rispettare i diritti umani e territoriali dei popoli indigeni.

– Tra le tribù incontattate della frontiera dell’Amazzonia incontattata che potrebbero essere spazzate via senza una solida protezione territoriale ci sono anche membri incontattati dei Matsés.

– Molti Matsés furono contattati con la forza dai missionari americani nel 1969, a seguito di violenti scontri con i coloni dell’area. Il contatto ha portato violenze e malattie, e ha ucciso molti membri della tribù.

– Le cinque riserve proposte sono: Yavari Tapiche, Yavari Mirim, Sierra del Divisor Occidental, Napo Tigre e Cacataibo.

Delle tribù incontattate sappiamo molto poco. Ma sappiamo che nel mondo ce ne sono oltre un centinaio. E sappiamo che intere popolazioni sono sterminate dalla violenza genocida di stranieri che le derubano di terre e risorse, e da malattie, come l’influenza e il morbillo, verso cui non hanno difese immunitarie. I popoli incontattati non sono arretrati o primitivi, né reliquie di un remoto passato. Sono nostri contemporanei e rappresentano una parte essenziale della diversità umana. Quando i loro diritti sono rispettati, continuano a prosperare. Le loro conoscenze, sviluppate nel corso di migliaia di anni, sono insostituibili. Sono i migliori custodi dei loro ambienti. E le prove dimostrano che i territori indigeni costituiscono la migliore barriera alla deforestazione.

 

Fonte: ilcambiamento.it

 

Basilicata, Ford Coppola: “Il governo paghi i lucani per il petrolio”

Il regista americano scettico sulle estrazioni petrolifere picca il governo: “Il governo lasci i soldi ai lucani”.

US film director Francis Ford Coppola sits inside Palazzo Margherita before the wedding of his daughter Sofia with French rock singer Thomas Mars on August 27, 2011 in Bernalda. The wedding will take place in Palazzo Margherita, the 19th-century villa that Coppola's legendary filmmaker father Francis Ford Coppola restructured in the town, La Stampa daily reported without citing a source. Sophia Coppola was previously married to director Spike Jonze, whom she divorced in 2003, four years after their wedding. She and Mars, the lead singer in the French rock band Phoenix, have two children and live in Paris. AFP PHOTO / ANDREA BALDO (Photo credit should read ANDREA BALDO/AFP/Getty Images)

US film director Francis Ford Coppola waves to onlookers as he arrives at Palazzo Margherita before the wedding of his daughter Sofia with French rock singer Thomas Mars on August 27, 2011 in Bernalda. The wedding will take place in Palazzo Margherita, the 19th-century villa that Coppola's legendary filmmaker father Francis Ford Coppola restructured in the town, La Stampa daily reported without citing a source. Sophia Coppola was previously married to director Spike Jonze, whom she divorced in 2003, four years after their wedding. She and Mars, the lead singer in the French rock band Phoenix, have two children and live in Paris. AFP PHOTO / ANDREA BALDO (Photo credit should read ANDREA BALDO/AFP/Getty Images)

Il regista americano scettico sulle estrazioni petrolifere picca il governo: “Il governo lasci i soldi ai lucani”. Francis Ford Coppola, regista statunitense di capolavori come “Il Padrino” e“Apocalypse now” avente origini italiane (anzi meridionali ama precisare lo stesso regista), è in questi giorni in visita in Italia, una terra che ama riscoprire dai primi anni ’60. Nel corso del suo intervento alla rassegna milanese Expo in Città, un incontro promosso dalla Regione Basilicata, il grande regista ha regalato ai tantissimi presenti ricordi, aneddoti ed attestati di puro amore per la terra materana, così come riflessioni e ipotesi di sviluppo. Nel suo lungo intervento il regista non ha mancato, con grande onestà intellettuale, di riconoscere alcuni aspetti critici legati al territorio lucano (ed al carattere reticente della popolazione):

“Mi intristisce l’abuso del Sud: quando ho saputo che c’era stata una grande scoperta di petrolio in Basilicata ho pensato fosse una cosa buona per investire in educazione, sanità, occupazione. Ho scoperto però che dei guadagni del petrolio alla Basilicata resta poco: il governo deve lasciare quei soldi ai lucani perché investano in educazione e occupazione”

La famiglia Coppola, originaria di Bernalda (provincia di Matera), cittadina dove la figlia del regista, Sofia, si è sposata in un ritorno alle origini (dal sapore molto italo-americano), possiede in Basilicata terreni e proprietà importanti: da parte del grande regista infatti, oramai da anni, il territorio lucano ha grande pubblicità e visibilità ma non solo. Coppola in Basilicata investe molti denari, nell’ottica di riscoperta, tutela ed attrazione del territorio lucano al quale si sente fortemente di appartenere.  Il segretario di Radicali Lucani Maurizio Bolognetti, da sempre una voce autorevole fuori e sopra il coro delle polemiche petrolifere, ha colto con favore le parole del regista, aggiungendovi una puntualizzazione doverosa per le lunghe battaglie fatte sul campo nel corso degli anni:

“Caro Francis, c’è solo una cosa da chiedere al governo, che la smetta con la sua politica di saccheggio, tesa a fare della Basilicata l’hub petrolifero d’Italia. Petrolio in Lucania fa rima con inquinamento di tutte le matrici ambientali e questo è un problema che non possiamo risolvere con la concessione di qualche altra elemosina. Il governo ha già pagato il suo piatto di lenticchie e abbiamo “pagato” anche noi”

Una sorta di “oil for food” italiano, spiega Bolognetti, che tuttavia di ricchezza non ne ha portata granchè (checchè ne possa scrivere Federico Pirro sul Foglio): basta dare un’occhiata ai dati sull’emigrazione giovanile.

Fonte: ecoblog.it

Il parlamento del Galles dice no al fracking

Il parlamento gallese chiede una moratoria per questa pratica controversa ad alto impatto ambientale. Con 37 voti a favore e 16 contrari, il parlamento del Galles ha appena approvato una mozione contro la pratica del fracking. Chiede che il governo gallese faccia qualunque cosa in suo potere per impedire le trivellazioni idrauliche fino a quando questa pratica «non verra’ provata sicura sia dal punto di vista ambientale che sanitario». Questo “no” arriva una settimana dopo un analoga decisione del governo scozzese che ha bandito il fracking a tempo indefinito. Si rafforza quindi l’opposizione alla politica filofossile del governo Cameron. «Ora il governo di Westminster si dovrebbe allineare con la Scozia, il Galles  e molte altre aree del mondo per dare vita ad una moratoria di questa pratica controversa» ha dichiarato Donna Hume degli Amici della Terra. Si allarga progressivamente il fronte del no, dopo che un report del Consiglio Scientifico del Regno Unito lo ha definito «pericoloso per la salute tanto quanto il talidomide, il tabacco e l’amianto» e dopo che lo Stato di New York lo ha vietato e la Pennsylvania lo ha limitato.No-fracking-wales

Fonte: ecoblog.it

Brasile: la siccità spinge verso il ritorno al carbone

Nel 2015 molte metropoli brasiliane potrebbero essere costrette al razionamento dell’energia elettrica a causa della crisi idrica dei bacini artificiali.

Il Brasile, la locomotiva dell’economia sudamericana, deve continuare a viaggiare a pieno regime e per farlo deve sostenersi con un adeguato approvvigionamento energetico. La siccità che ha colpito il Paese negli ultimi mesi sta mettendo con le spalle al muro il Governo e, invertendo la tendenza che l’aveva vista prediligere le fonti rinnovabili, Brasilia sembra intenzionata a tornare al carbone e alle risorse fossili per sostenere il suo sviluppo economico. Secondo l’Observatorio do Clima le statistiche sulle emissioni sono preoccupanti: dopo dieci anni di miglioramenti il livello dei gas serra è tornato a crescere con un + 7,8% rispetto al 2012. La situazione è destinata a peggiorare anche perché i nuovi impianti termici a carbone vedranno la luce nel 2017. Sotto le presidenze di Lula e Rousseff il Paese sembrava avere intrapreso la strada delle rinnovabili, sia con gli incentivi all’eolico che con le politiche favorevoli al fotovoltaico.

Dopo la vittoria di Dilma Rousseff alle presidenziali, nell’ultimo mese qualcosa è cambiato: il Governo federale ha permesso ad aziende che producono energia dalle fonti fossili di concorrere insieme ai produttori di impianti fotovoltaici che prima partecipavano a gare d’appalto riservate esclusivamente alle rinnovabili. La sfida sarà, dunque, a tutto campo con i produttori di energie rinnovabili contro quelli da fonti fossili. Gli impianti termici consentiranno al Brasile la risoluzione a breve termine delle problematiche connesse alla recente siccità, la più grave degli ultimi 80 anni, che ha messo in crisi i bacini idrici artificiali che garantivano il rifornimento a grandi metropoli come San Paolo e, grazie alle centrali idroelettriche, fornivano energia al 70% del Paese. In attesa della costruzione delle centrali a fonti fossili, il 2015 sarà un vero rompicapo, con il rischio che molte metropoli siano costrette ai razionamenti. Rimarranno i problemi a medio e lungo termine: il ritorno delle fonti fossili, infatti, non farà altro che acuire i fenomeni di alterazione climatica che oggi fanno scarseggiare l’energia per mandare avanti il Paese.PARAGUAY-BRAZIL-ITAIPU

© Foto Getty Images

Fonte: ecoblog.it

La terra dei Masai rischia di diventare riserva di caccia per i reali del Dubai

Il Governo della Tanzania pronto a espropriare la terra dei Masai per realizzare una riserva di caccia per i reali del Dubai. Il Governo della Tanzania è accusato da 40mila pastori Masai di non avere mantenuto la promessa di non “svendere” la propria terra per la realizzazione di una riserva di caccia della famiglia reale del Dubai. L’ultima follia dei petrodollari arriva dall’Africa profonda, da un “corridoio della fauna selvatica” di1500 kmq in cui vivono i Masai e in cui, appunto, una società commerciale di caccia e safari con sede negli Emirati Arabi vorrebbe realizzare una sorta di parco di divertimenti riservato ai reali ultramiliardari del Golfo Persico. Domani alcuni rappresentanti del popolo Masai incontreranno il primo ministro Mizengo Pinda, per esprimere la loro rabbia per un’iniziativa che, entro la fine dell’anno, potrebbe derubarli della loro terra. In ballo c’è un’area fondamentale per il pascolo del bestiame che permette la sussistenza di 80mila persone. Il Governo sta offrendo un risarcimento di 1 miliardo di scellini circa 462mila euro, cifra che i Masai hanno seccamente respinto, anche perché un anno fa il Governo tanzaniano aveva detto che non avrebbe permesso un simile “scippo”. Samwel Nangiria, coordinatore dell’associazione locale Ngonett, ha dichiarato di sentirsi tradito e che “un miliardo è molto poco e non si può confrontare con quella terra” nella quale sono sepolte “le loro madri e le loro nonne”. La terra, insomma, come un bene che non si può comprare, almeno nel sistema di valori dei Masai. Il Governo tanzaniano non la pensa allo stesso modo e dopo la messinscena dello scorso anno ha fatto dietrofront. A pagarne le conseguenze sono stati numerosi attivisti uccisi dalla polizia negli ultimi due anni. Lo stesso Nangiria ha subito numerose minacce di morte. Lo scorso anno una campagna contro la riserva di caccia era stata condotta sul sito Avaaz.org con il titolo Stop the Serengeti Sell-off: 1,7 milioni le firme raccolte. Ora a un anno di distanza le promesse del Governo di Pinda sembrano essersi sbiadite e la moneta sonante del Golfo Persico sembra essere in grado di cacciare i Masai dalle loro terre.KENYA-CULTURE-TRADITION-MAASAI

Fonte:  The Guardian

© Foto Getty Images

Trivelle, incenerimento senza limiti, beni comuni svenduti e cemento senza regole: lo Sblocca Italia è legge

L’ex vicepresidente della Corte Costituzionale, Paolo Maddalena, ha definito il decreto Sblocca Italia «eversivo». Intellettuali, politici e movimenti lo hanno definito «una minaccia per la democrazia». Il decreto è stato convertito in legge la notte del 5 novembre scorso, dopo che il Governo ha posto per due volte la fiducia. Un’imposizione che ha tutto il sapore del “regime di Stato”.italiaapezzi

«Questo provvedimento costruisce un piano complessivo di aggressione ai beni comuni tramite il rilancio delle grandi opere, misure per favorire la dismissione del patrimonio pubblico, l’incenerimento dei rifiuti, nuove perforazioni per la ricerca di idrocarburi e la costruzione di gasdotti, oltre a semplificare e deregolamentare le bonifiche. E rilancia con forza i processi di privatizzazione dell’acqua e dei servizi pubblici locali»: sono le parole con cui il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua commenta il decreto convertito in legge. Il Forum si è mobilitato a fianco degli operai che a Bagnoli hanno protestato il 7 novembre scorso contro «un atto che smantella le garanzie per un governo democratico del territorio, promuovendo l’assalto a risorse ambientali e beni comuni». Renzi se l’è data a gambe; doveva essere a Bagnoli quel giorno ma si è ben guardato dall’affrontare la folla, che si è scontrata con le forze dell’ordine con scene cui si sperava di non dover più assistere. Il Forum lancia un suo appello: «La lotta continua sui territori con cittadini, Regioni ed enti locali per evitare la devastazione dei mari italiani, del territorio e la mercificazione dei beni comuni». «Lo Sblocca Italia è solo un ulteriore favore fatto alle lobbies – spiega il Forum – Alle lobby dei rifiuti, incrementando l’incenerimento; a quelle dell’acqua, incentivando le privatizzazioni; a quelle del cemento, deregolamentando il settore; a quelle del petrolio, favorendo nuove trivellazioni come in alta Irpinia, nel Sannio, nei golfi di Napoli e di Salerno». Domenica 9 novembre sono scesi nelle piazze d’Italia anche gli attivisti del Movimento 5 Stelle: «Con questo provvedimento – dicono – si consegneranno le nostre coste ai signori delle trivelle, che potranno senza troppi pensieri scavare la terraferma e i fondali marini per la ricerca di petrolio. Noi diciamo stop alle trivellazioni!

Il decreto Sblocca Italia in realtà è uno Sfascia Italiache non farà altro che affondare il paese, in questo caso, in un mare di petrolio. Il governo di Matteo Renzi ha deciso di tendere una mano alle compagnie petrolifere. A tutti i progetti di prospezione, ricerca ed estrazione di idrocarburi in terraferma ed in mare, si vuole attribuire carattere di interesse strategico e di pubblica utilità, finanche a considerarli urgenti e indifferibili. Si cancella così, con un colpo di mano, la competenza autorizzativa che la nostra Costituzione riserva alle Regioni». Un’analisi puntuale del provvedimento la si trova nell’e-book di Altreconomia, che potete scaricare cliccando qui: “Rottama Italia”. Emerge chiaramente come il decreto incentivi e finanzi la realizzazione di infrastrutture pesanti (autostradali ma anche energetiche), porti all’estremo la deregulation in materia edilizia, fomenti la privatizzazione dei beni demaniali, scommetta sui combustibili fossili, affossi i meccanismi di controllo istituiti dallo Stato nell’interesse pubblico. Massimo Bray, già ministro dei Beni culturali del governo Letta e oggi parlamentare del Pd, afferma: «Siamo di fronte all’ennesimo intervento emergenziale, derogatorio ed eterogeneo con cui si bypassa il dibattito parlamentare». E parla di una «erosione delle competenze parlamentari», e di un governo come «dominus incontrastato della produzione normativa». Nel suo intervento nell’e-book Salvatore Settis, archeologo e già direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, spiega in che modo lo Sblocca-Italia introduca un meccanismo radicale, «sperimentandolo (per cominciare) con la costruzione di nuove linee ferroviarie: l’Ad delle Ferrovie è Commissario straordinario unico e ogni eventuale dissenso di una Soprintendenza può essere espresso solo aggiungendo ‘specifiche indicazioni necessarie ai fini dell’assenso’», affermando «così implicitamente che qualsiasi progetto, pur con qualche aggiustamento, deve sempre e comunque passare». Alle Regioni, inoltre, è negata la possibilità di effettuare le procedure di Valutazione d’impatto ambientale (Via)per le «istanze di ricerca, permessi di ricerca e concessioni di coltivazione [di idrocarburi]», la cui competenza passa al ministero dell’Ambiente. «L’obiettivo è snellire il tempo delle autorizzazioni ed evitare impedimenti dai territori» scrive Pietro Dommarco, richiamando anche l’incostituzionalità delle “pacchetto energetico” dello Sblocca-Italia, che estromette gli enti locali dai processi decisionali. Dice Tomaso Montanari, storico dell’arte dell’Università di Napoli e curatore del volume: «Vogliamo un Paese che sappia distinguere tra cemento e futuro. E scelga il futuro». Mai come ora, dunque, è l’ora della mobilitazione; i cittadini possono organizzarsi, protestare, fare sentire a loro voce, la loro presenza, la loro indignazione. E’ il momento di schierarsi.

Fonte: ilcambiamento.it

Le informazioni raccolte dal governo accessibili ai cittadini: una proposta di legge

Si chiama Freedom of Information Act quella legge che rende ormai in 90 paesi la conoscenza delle informazioni raccolte dal governo un diritto universale, ponendolo alle fondamenta della libertà di espressione dei cittadini. Ora in Italia a chiederlo sono 29 associazioni con un progetto di legge.archivi_governo

Ventinove realtà della società civile hanno elaborato una proposta di legge per un Freedom of Information Act italiano. La bozza del testo, disponibile sul sito Foia4italy.it, è stato presentato a Venezia. Questa legge rende la conoscenza delle informazioni raccolte dal governo un diritto universale, ponendolo alle fondamenta della libertà di espressione dei cittadini. L’accesso alle informazioni raccolte in nome dei cittadini e con risorse della collettività è, infatti, riconosciuto dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo come il presupposto di una piena partecipazione degli individui alla vita democratica. In base a queste norme, la pubblica amministrazione non ha solo obblighi di informazione, pubblicazione e trasparenza, ma riconosce ai cittadini anche ampi diritti a chiedere ogni tipo di informazione prodotta e posseduta dalle istituzioni a patto che la loro diffusione non contrasti con la sicurezza nazionale o la privacy. In Italia, nonostante i recenti provvedimenti sulla trasparenza come il decreto numero 33/2013 e la legge “anticorruzione” numero 190/2012, non esiste ancora un Freedom of Information Act. La sua presenza permetterebbe, per esempio, di conoscere con facilità dati non solo sulla mortalità negli ospedali, ma anche di ottenere informazioni aggiornate sulla sicurezza delle nostre città e sulla solidità degli edifici pubblici frequentati ogni giorno da milioni di persone. Il  testo presentato da Foia4Italy è ispirato alla legislazione dei paesi più avanzati nel campo dell’accesso all’informazione e sarà presto sottoposto a un crowdsourcing nazionale volto a migliorarlo ancora, accompagnato da una campagna pubblica per sostenerne l’adozione entro l’anno. In questo modo si aprirà un’azione di scrittura collettiva, nel solco della migliore tradizione dell’Open Government, che vede nella partecipazione e nella cooperazione due pilastri a favore della trasparenza.

Fonte: ilcambiamento.it

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Smog, arriva la prima causa di un cittadino contro il Governo Cinese

In Cina la protesta contro lo smog comincia a uscire dalla rete: dopo le statue imbavagliate e la maratona in mutande e maschera antigas, nello stesso mese arriva il primo caso di azione legale intrapresa da un privato cittadino contro il Governo, accusato di non aver fatto abbastanza contro l’incredibile smog378300

Pechino lo smog sfora pesantemente, e ormai incessantemente, da anni, con conseguenze catastrofiche per la salute dei cittadini. Se dal punto di vista delle polveri di miglioramenti purtroppo non ce ne sono affatto, perlomeno dal punto di vista comunicativo, l’aria sta cambiando. Se fino a pochi anni fa le autorità governative cercavano ancora di occultare la gravità della situazione, lo scandalo del gap tra i dati diffusi dal Ministero dell’Ambiente Cinese e quelli dell’ambasciata statunitense a Pechino ha costretto il Governo a invertire la rotta. Qualche mese fa l’Associazione medica cinese ha ammesso che l’inquinamento dell’aria causa ogni anno almeno mezzo milione di morti premature nel Paese; si discutono soluzioni per le principali fonti dello smog, l’incredibile traffico e le centrali a carbone; si vieta l’accensione di fuochi e si studiano nuove tecnologie per disperdere le concentrazioni in atmosfera, come le piogge artificiali. Ma soprattutto, l’opinione pubblica ha cominciato a farsi sentire: la denuncia sembra finalmente essere uscita dai blog per trasformasi in flash mob e azioni di protesta concrete. Prima le statue degli intellettuali di Pechino sono state imbavagliate con mascherine antismog giganti e poi è stata organizzata una Undie Run, una maratona in mutande e maschere antigas. Ma soprattutto, per la prima volta un cittadino cinese, Li Guixin, che vive nella città di Shijiazhuang, ha deciso di fare causa al Governo Cinese a causa dell’inquinamento dell’aria: secondo l’agenzia Reuters non è ancora chiaro quante possibilità abbia la sua azione legale di essere accolta, soprattutto vista la delicatezza del caso. Anche perché, accolta una, accolte tutte: e attualmente la Cina conta 1.350.695.000 persone…

Fonte: ecodallecittà

I soldi pubblici per i diritti, la pace e l’ambiente. La contro-finanziaria di Sbilanciamoci

E’ un appuntamento imperdibile quello con la contro-manovra finanziaria della Campagna Sbilanciamoci, alleanza di cui fanno parte 49 organizzazioni, parlamentari, sindacalisti e rappresentanti delle autonomie locali. E la Campagna ha presentato anche per questo 2013-2014 la sua “ricetta” per un paese che sia finalmente sostenibile ed equo. Il Cambiamento vi propone di sottoporre alla presidenza del Consiglio queste proposte, chiedendo le risposte che vi spettano. Ecco come.campagna_sbilanciamoci_2013

“Con una patrimoniale, una tassazione sui capitali scudati e un’imposta maggiore sulle transazioni finanziarie sarebbe possibile ricavare denaro per sperimentazione il reddito minimo garantito e avviare un piano del lavoro e di investimenti in istruzione e ricerca”. Le idee, è evidente, sono chiarissime. La manovra, per complessivi 26 miliardi, è all’insegna della giustizia sociale e va in tutt’altra direzione rispetto a quella segnata dall’attuale governo. Cambiare è possibile, basta volerlo.“Per andare in questa direzione proponiamo una patrimoniale, una tassazione sui capitali scudati, una più efficace tassazione delle transazioni finanziarie, il blocco delle grandi opere, il taglio delle spese militari, il taglio ai finanziamenti a scuola e sanità private e ai Centri di identificazione ed espulsione. E proponiamo di usare tali risorse per una sperimentazione sul reddito minimo garantito, per avviare un piano del lavoro, per gli investimenti nell’istruzione, nella ricerca, nella cultura, nelle politiche di assistenza e di inclusione sociale, nella tutela dell’ambiente e dei beni comuni, nella mobilità sostenibile, nel rilancio dell’edilizia popolare pubblica e nel sostegno alle forme di altraeconomia, dalla finanza etica ai distretti di economia solidale”.Il volto dell’Italia è oggi è cupo, disperato. “A settembre 2013 la disoccupazione in Italia ha superato il 12%, quella giovanile il 40% – dicono i promotori della campagna – Dopo anni di recessione, le indicazioni che arrivano dal governo sembrano a senso unico: dobbiamo continuare a stringere la cinghia e accettare i piani di austerità e i vincoli macroeconomici imposti dalla Troika e dall’Ue. Il mantra ripetuto quotidianamente è che non ci sono alternative: è l’Europa che ce lo chiede”. Ma l’Italia può, e deve, chiedere una radicale inversione di rotta. “Il paese è in ginocchio e le misure previste dal governo non sono solo devastanti dal punto di vista sociale, ma nocive anche da quello macroeconomico. E’ una risposta sbagliata a una diagnosi ancora più sbagliata. Non è vero che c’è un eccesso di welfare. Non è vero che la crisi è colpa delle finanze pubbliche. Non è vero che i Paesi del Sud Europa hanno le maggiori responsabilità. Non è vero che il rapporto debito/Pil è il parametro di riferimento da tenere sotto controllo. Non è vero che i piani di austerità funzionano per diminuire tale rapporto. L’austerità è il problema, non la soluzione. Eppure da parte dei burocrati europei, a metà 2013, nessun ripensamento, nessuna alternativa. Si continua ad applicare una teoria economica fallimentare con un’ostinazione che rasenta il fanatismo. Deve essere il gigantesco casinò finanziario che ci ha trascinato nella crisi a sottoporsi a rigide misure di austerità, non cittadini, lavoratrici e lavoratori che hanno già pagato, diverse volte, per una crisi nella quale non hanno alcuna responsabilità. Ma ammesso e non concesso che si vogliano accettare i vincoli e le imposizioni della Troika, non è comunque vero che “non ci sono i soldi”. Con la legge di stabilità il governo propone al Parlamento e al paese scelte precise su come allocare le risorse pubbliche, ovvero i soldi delle nostre tasse. Scelte che hanno impatti di enorme rilevanza sulle nostre vite. Dal 2001 la campagna Sbilanciamoci! mostra che decisioni radicalmente differenti sarebbero possibili, sia dal lato delle entrate, sia da quello delle uscite. Occorre prendere i soldi dove ci sono e impiegarli dove sono necessari. La nostra è una manovra che assume come priorità la lotta alle diseguaglianze. Una manovra che va in direzione diametralmente opposta a quella del governo, che garantisce enormi sconti sulle multe che devono pagare i gestori di slot-machine e propone una “valorizzazione” del patrimonio pubblico per fare quadrare i conti”. Di fronte a questa lucida analisi, è legittimo domandarsi: com’è possibile che i governi italiani, uno dopo l’altro, nessuno escluso, restino ostinatamente ciechi, sordi e muti? Allora Il Cambiamento lancia anche un’idea che ci può rendere militanti, oltre che spettatori. Scrivete al presidente del Consiglio, Enrico Letta, e sottoponetegli tutti i punti che la contro-finanziaria di Sbilanciamoci mette in evidenza. E chiedetegli perché l’Italia non può essere questa, ma deve essere per forza tutt’altra.

La mail è: centromessaggi@governo.it

Fonte. Il cambiamento