Europe for sale: i Governi mettono in vendita boschi e montagne

Andreas Pichler, regista di Teorema Venezia, torna con un altro documentario sullo sfruttamento economico del territorio e dei monumenti.

Di Andreas Pichler avevamo già apprezzato Teorema Venezia, magnifico documentario sulla disneylandizzazione della città lagunare, presentato a Cinemambiente 2013. Ieri sera su Speciale Tg1 è andato in onda un doc che ne è l’ideale prosecuzione, Europe for Sale, un’opera con la quale il regista alto-atesino ha proseguito il suo discorso sulla svendita del paesaggio e del territorio a opera dei Governi. Europe for Sale è il titolo del documentario prodotto da Graffiti Doc in collaborazione con Rai Cinema e ARTE France con il sostegno di Piemonte Doc Film Fund, Programma MEDIA, CNC. Un lavoro che mette a nudo la svendita dei demani e degli edifici pubblici che percorrere tutta l’Europa, dai paesi in recessione a quelli in cui l’economia va a gonfie vele. Su Blogo ci siamo occupati alcuni mesi fa del caso della vendita all’asta di un’isola nella Laguna di Venezia, ma questo caso è tutt’altro che isolato. Lo Stato Italiano che – come mostra Pichler – deve appoggiarsi a Diego Della Valle per il lavori di ristrutturazione del Colosseo, non è solo. C’è il caso dell’Austria, nella quale sono state messe in vendita persino le montagne, ma il più emblematico è il caso dell’Irlanda, nazione le cui foreste residue (nel XII secolo il 70% della superficie nazionale, nel XVIII ridotte all’1%) hanno rischiato di essere vendute per l’esigenza di fare cassa. Soltanto nel giugno 2013 il governo irlandese ha abbandonato i progetti di vendita dei diritti di taglio nei boschi statali. A contribuire alla salvaguardia dei boschi irlandesi sono stati i cittadini che hanno a lungo manifestato e l’associazione People Before Profit che si è battuta contro la svendita portando a conoscenza dell’opinione pubblica il danno che si rischiava di fare all’Isola Verde. Dopo la “prima” di ieri sera su Raiuno, il documentario di Andreas Pichler verrà trasmesso alla televisione svizzera e a quella austriaca, per poi approdare nel circuito dei festival cinematografici.Sochi Winter Olympics - Test Events

© Foto Getty Images

Fonte: ecoblog.it

Lotta al riscaldamento globale, i governi si impegnano a presentare una bozza dell’accordo alla Cop 20

Si è conclusa a Bonn la sessione di lavori sui cambiamenti climatici a cui hanno partecipato i 195 Paesi della Convenzione dell’Onu. L’obiettivo importante raggiunto è la presentazione di una bozza dell’accordo entro un mese. Accordo che che verrà discusso a Lima per la Conferenza mondiale (Cop 20)379519

La lotta al riscaldamento del Pianeta ha copiuto passi in avanti. Si sono conclusi i lavori a Bonn a cui hanno partecipato i 195 Paesi della Convenzione dell’Onu: Importanti obiettivo è stato raggiunto: la volontà di puntare ad un contenuto forte dell’accordo atteso a Parigi nel 2015 e di preparare una bozza entro un meseche sarà portata a Lima in dicembre per la Conferenza mondiale (Cop 20).  Il Climate Action Network (Can) – la rete mondiale di oltre 900 Organizzazioni non governative (Ong) – ha espresso un cauto ottimismo. I lavori a Bonn, infatti, sono stati “costruttivi” anche se “non c’e’ ancora molto sul tavolo”. Più di 60 paesi hanno espresso sostegno per una riduzione graduale dell’inquinamento da carbonio e fra i ‘grandi inquinatori’ Stati Uniti e Cina hanno dato forti segnali politici di azioni per il clima, annunciando l’intenzione di ridurre le emissioni e nuovi piani per aumentare l’energia rinnovabile.
L’accordo che dovrà essere siglato a Parigi l’anno prossimo ed entrare in vigore nel 2020 punta all’impegno a limitare entro due gradi centigradi il riscaldamento globale dimezzando le emissioni di gas a effetto serra entro il 2050. Nel comunicato conclusivo dell’Unfccc (United nation framework convention on climate change) si rileva che crescono le iniziative da parte delle città e che c’è una migliore gestione del territorio, elementi che mostrano un percorso verso un futuro senza carbone. Martin Kaiser, responsabile internazionale delle politiche sul clima di Greenpeace ha commentato che “è una vera e propria rivoluzione che quasi un terzo dei governi mondiali riconosca che dobbiamo passare dai combustibili fossili all’energia pulita nell’arco di una generazione. I governi possono e devono agire ora a livello nazionale e internazionale per la grande trasformazione, per passare all’energia pulita”.  Secondo la rete di Ong, “tocca ai capi di governo intervenire e fare quelle scelte difficili che i negoziatori non possono fare. Al vertice sul clima convocato dal Segretario generale dell’Onu in settembre, i capi di governo possono implementare nuovi piani per le energie rinnovabili e bloccare i contributi per il finanziamento del carbone”. Un ulteriore impegno per costruire l’accordo di Parigi si vedrà se i leader dei Paesi più ricchi manterranno la promessa di mettere più soldi sul tavolo per aiutare i Paesi più poveri nell’azione sul clima, presentando i propri contributi all’accordo di Parigi entro il prossimo marzo.
Tasneem Essop, responsabile della delegazione del Wwf all’Unfccc, ha ricordato che Nelson Mandela una volta ha detto, “sembra sempre impossibile, finché non è fatto”. Dobbiamo mantenere l’attenzione sul periodo pre-2020 e colmare il divario crescente tra le azioni già messe in campo dai Paesi e quello di cui abbiamo bisogno. Sullo slancio che abbiamo visto qui a Bonn, dobbiamo costruire per avere un esito positivo a Lima”.

(foto rinnovabili.it)

Fonte: ecodallecittà.it

Troppi fondi alle energie fossili: l’Earth Policy Institute fa i conti ai governi

Piattaforma-Shell-Alaska-586x263   Secondo l’Earth Policy Institute (EPI), un’organizzazione ambientale neoliberista fondata dall’analista ambientale Lester Brown nel 2001, nel 2011 i fondi garantiti dai governi mondiali alle fonti energetiche convenzionali ammontano a 623 miliardi di dollari, mentre per le rinnovabili appena a 88. EPI, che ha basato il suo studio su alcuni dati dell’International Energy Agency (IEA), l’organizzazione intergovernativa dell’OCSE, sottolinea quanto l’evidente sproporzione sia figlia delle politiche energetiche retrograde dei vari governi, che a parole sono tutti d’accordo nel combattere i cambiamenti climatici ma che, nella sostanza, erogano alle fonti fossili molti più sussidi che a quelle rinnovabili. EPI parla chiaramente di un gioco truccato in favore delle energie non rinnovabili, anche perché vengono omessi i costi ambientali e sanitari del carbone ardente, del petrolio e del gas naturale dai loro prezzi di mercato. Dei 623 miliardi di dollari garantiti alle fonti energetiche fossili, circa 100 sarebbero assegnati per la produzione mentre i restanti sono per il consumo: il 20% in più rispetto al 2010, anche per colpa dell’aumento del prezzo del petrolio che, invece di disincentivare i combustibili fossili ne ha visto crescere i sussidi. Dei 523 miliardi dollari garantiti per il consumo, 285 miliardi sono andati al mercato del petrolio, 104 miliardi al gas naturale e 3 miliardi per il carbone; un ulteriore supplemento di 131 miliardi è stato suddiviso tra le tre fonti di energia fossile appositamente per il loro utilizzo nella produzione di energia elettrica.

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Gli Stati che hanno avuto maggior peso in questa insostenibilità delle politiche energetiche mondiali sono Iran, Arabia Saudita, Russia, India e Cina: solo il regime iraniano degli Ayatollah ha garantito 82 miliardi di dollari alle fonti fossili, l’equivalente del 17% del Pil; allo stesso modo, anche tutti gli altri paesi hanno garantito incentivi miliardari alle fonti non rinnovabili. Secondo il rapporto tuttavia, la cifra spaventosa dei 623 miliardi non rappresenta tutte le misure di sostegno per questo tipo di fonti energetiche: le agevolazioni fiscali, che variano da paese a paese, i fondi investiti nella ricerca, sono tutti elementi di forte criticità nella gestione dei fondi energetici. Degli 88 miliardi erogati a livello mondiale per le fonti rinnovabili invece la maggior parte vengono pagati al produttore di energia: la cifra è equamente distribuita tra solare, fotovoltaico, eolico, biomasse e biocarburanti.

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Secondo l’EPI tuttavia l’industria dei combustibili fossili non necessita di questi ingenti aiuti, anzi: nel 2012 le Big-Five Companies petrolifere (Royal Dutch Shell, ExxonMobil, BP, Chevron e Conoco-Phillips) hanno rastrellato un totale di 137 miliardi di dollari di profitti a fronte di 285 miliardi di dollari di “sostegno” al petrolio. Cifre che fanno girare la testa e la calcolatrice.

Fonte:  EPI