Sette punti per rendere davvero etica la “finanza sostenibile” europea

Il 10 marzo è entrato il vigore il nuovo regolamento europeo sulla finanza sostenibile. Ma questo restyling normativo è davvero etico? Secondo Banca Etica, si tratta di un primo passo importante ma troppo timido: per rilanciare l’economia, proteggere il Pianeta e favorire la coesione sociale serve una finanza realmente etica. Il 10 marzo è entrato in vigore il primo regolamento europeo adottato nell’ambito dell’ambizioso Action Plan UE per la finanza sostenibile. L’Europa mira a rispondere ad alcune domande rese ancora più cruciali dalla necessità di progettare il modello economico per traghettare il Vecchio Continente fuori dalla crisi innescata dalla pandemia. Come si può riconoscere un’attività economico-finanziaria sostenibile? Quali caratteristiche deve avere un investimento per poter essere definito realmente “green”? E come difendersi da chi propone strumenti finanziari nei quali l’aspetto sostenibile risponde esclusivamente a logiche di marketing?

Oggi manca uno standard condiviso di che cosa s’intenda per “sostenibilità” negli investimenti finanziari, il che permette a ogni banca o gestore di darsi delle proprie definizioni, spesso piuttosto deboli e cucite su misura per le proprie esigenze. L’Europa si sta muovendo per definire una cornice di regole: la Sustainable Finance Agenda – il Piano d’azione per la finanza pubblicato a marzo del 2018 – da un lato riconosce l’insostenibilità di buona parte dell’attuale sistema finanziario, dall’altro prova a intervenire per inquadrare e sviluppare una possibile alternativa, ponendo tra i propri obiettivi il reindirizzamento dei flussi finanziari non solo pubblici ma anche privati verso la sostenibilità. Il Regolamento 2088 del 2019 entrato in vigore il 10 marzo 2021 prova a dare una definizione precisa di investimento sostenibile.

Finanza etica e finanza sostenibile non sono la stessa cosa

Le nuove normative europee sono di grande interesse per le reti internazionali della finanza etica (Gabv- Global Alliance for Banking on Values e Febea-Federazione Europea delle Banche etiche e alternative) che esprimono apprezzamento per gli sforzi dell’UE, ma non possono tralasciare di evidenziare alcune perplessità, a partire dalla controversa scelta della Commissione UE di affidare al colosso finanziario BlackRock il ruolo di advisor per la finanza sostenibile. La finanza etica – come intesa e praticata da decenni da molte istituzioni finanziarie in Europa e non solo – è infatti qualcosa di molto diverso dalla finanza sostenibile che l’Europa sta provando a regolamentare.

Ecco i sette principali punti di forza che è necessario evidenziare:

  • Massimizzazione del profitto vs massimizzazione dei benefici per la collettività – La prima differenza tra i due modelli risiede nei principi di base. Nelle definizioni di finanza sostenibile elaborate dalla UE la sostenibilità è, nel migliore dei casi, un obiettivo secondario alla massimizzazione dei profitti per pochi, un fattore competitivo da prendere in considerazione per rispondere alla crescente domanda di mercato o uno strumento di marketing per ridurre i propri rischi reputazionali e darsi un’immagine più pulita. L’approccio della finanza etica è radicalmente diverso: la realizzazione di utili economici è perseguita, ma è funzionale all’obiettivo di massimizzare i benefici per le persone, le comunità e il pianeta. È il passaggio dallo shareholders interest, e cioè agire nell’interesse esclusivo degli azionisti, allo stakeholders interest nella sua accezione più ampia, ovvero agire valutando gli impatti su tutti i portatori di valore.
  • Speculazione finanziaria vs focus sull’economia reale – La finanza mainstream oggi è caratterizzata da dinamiche quali l’uso spregiudicato di strumenti speculativi e dei paradisi fiscali, una continua creazione di bolle e instabilità; la stragrande maggioranza dei derivati sono utilizzati come pure scommesse speculative; oltre la metà delle operazioni sui mercati finanziari sono rappresentate dal trading ad alta frequenza; un sistema bancario ombra che sfugge a controlli e regolamentazione, etc. In questo contesto, la finanza sostenibile descritta nella nuova normativa europea non prevede alcun obbligo di “non nuocere alla collettività e all’economia reale” per gli operatori finanziari che vogliono dirsi sostenibili. La finanza etica, invece, ripudia la speculazione ed è orientata a sostenere l’economia reale capace di favorire il benessere della società. Tra i propri valori la finanza etica pone l’accento sull’accesso al credito e l’inclusione finanziaria dei soggetti più deboli. Un tema centrale in questa fase caratterizzata da un lato da un eccesso di liquidità ma dall’altro, nello stesso momento, da una crescente esclusione finanziaria di molte persone e imprese. Ad esempio: la bolla dei mutui subprime che ha innescato la terribile crisi finanziaria del 2008 potrebbe replicarsi anche con le nuove norme sulla finanza sostenibile, mentre non potrebbe verificarsi se, per ipotesi, tutti operassero secondo i criteri della finanza etica.
  • Modello “a scaffale” vs modello “olistico” – L’approccio alla finanza sostenibile promosso dall’UE si concentra quasi unicamente sullo specifico prodotto finanziario, non sull’insieme delle attività proposte da un gruppo bancario. Al momento, inoltre, l’ambito di applicazione riguarda unicamente le attività di gestione e investimento di prodotti finanziari, non l’erogazione del credito o altre attività bancarie. Gli istituti ispirati alla finanza etica, invece, si fondano sulla coerenza dell’insieme delle proprie attività. Per chi fa finanza etica non è ammissibile offrire alla propria clientela alcuni prodotti sostenibili e altri nocivi per il pianeta o le persone. Ad esempio offrendo fondi che investono sulle rinnovabili accanto ad altri che continuano a investire su fonti fossili. Gli enti che fanno finanza etica mettono al centro la trasparenza e l’equità e valutano ogni investimento sia sul piano dei possibili risultati economici sia su quello degli impatti sociali e ambientali.
  • Modelli di Governance: che ruolo per trasparenza e partecipazione? – La normativa europea non impone requisiti di governance a chi voglia vendere i propri prodotti finanziari come sostenibili. Secondo questa normativa un intermediario finanziario può essere opaco, gestito con il famoso sistema delle scatole cinesi, eludere le tasse e comunque pubblicizzare i propri prodotti come “sostenibili”. Gli operatori di finanza etica, invece, hanno governance e strutture societarie basate su trasparenza; partecipazione dei soci e dei clienti; forbice massima tra le remunerazioni, etc. Le nuove normative UE affrontano temi legati alla trasparenza, ma lo fanno in un’ottica di singolo prodotto e non guardano al comportamento complessivo del soggetto proponente.
  • Valutazione dei criteri ambientali, sociali e di governance (ESG): visione parziale vs visione d’insieme – Nell’approccio dell’UE, la sostenibilità è definita quasi esclusivamente guardando alla componente ambientale. La finanza etica, invece, prende in considerazione ogni aspetto ambientale, sociale e di governance nella tradizionale analisi ESG, e anche le loro rispettive interrelazioni. La finanza etica parte dalla definizione di alcuni settori economici che devono necessariamente essere esclusi dagli investimenti (armi, fonti fossili, pornografia, etc) e poi valuta le imprese operanti nei settori non esclusi in base a una visione complessiva dei loro impatti. Ad esempio in Europa c’è chi considera “sostenibili” investimenti in centrali a gas o in centrali idroelettriche realizzate costruendo dighe che devastano l’ambiente e mettono in pericolo le comunità che vivono in quei territori: per la finanza etica, invece, questi investimenti sono inaccettabili. O ancora, molti prodotti finanziari venduti come sostenibili investono nelle big tech, giudicate neutre sul piano delle emissioni di CO2 e quindi pulite. La finanza etica invece esclude questi investimenti perché le Big Tech non sono trasparenti sul piano fiscale e sono al centro di valutazioni circa i loro potenziali impatti negativi.
  • Lobby finanziaria vs educazione critica alla finanza – Un’altra differenza sostanziale è l’attività di lobby svolta dalla finanza mainstream che investe cifre consistenti per condizionare le scelte dei regolatori, arrivando persino a chiedere di includere il nucleare o alcuni investimenti nei combustibili fossili tra le attività da considerare come “sostenibili”. La finanza etica, pur dialogando con le istituzioni e i regolatori, si concentra più sull’attività di sensibilizzazione dal basso delle persone e delle comunità per rendere comprensibili gli impatti negativi di una finanza tutta orientata alla massimizzazione dei profitti nel brevissimo periodo. Le realtà della finanza etica – inoltre – sono in prima fila per chiedere normative capaci di arginare il casinò finanziario come ad esempio l’introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie; la separazione tra banche commerciali e banche d’investimento; un serio contrasto ai paradisi fiscali; un limite all’uso dei derivati, etc.
  • Conservazione dello status quo vs trasformazione sociale – La normativa UE non impedisce alle società che vendono prodotti di finanza sostenibile di fare ricorso ai paradisi fiscali, adottare politiche di gestione interna poco eque, etc. Gli intermediari finanziari “sostenibili” non sono incoraggiati dalla normativa a farsi promotori di modelli più responsabili e inclusivi di gestione delle aziende su cui investono. Tra gli obiettivi della finanza etica, invece, vi è quello di promuovere attraverso l’engagement e l’azionariato attivo comportamenti più etici da parte delle aziende al fine di produrre impatti ambientali e sociali positivi nel lungo periodo. Attraverso i fondi comuni di investimento etici o in partnership con organizzazioni non governative, la finanza etica si impegna per diventare interlocutrice attiva di grandi corporation, denunciando pubblicamente comportamenti nocivi per le persone e per l’ambiente.

La presidente di Banca Etica Anna Fasano

«Banca Etica con tutte le reti internazionali della finanza etica guarda con favore al lavoro dell’Unione Europea per regolamentare e incentivare la finanza sostenibile», commenta Anna Fasano, presidente di Banca Etica. «Ma non possiamo fare a meno di notare come questa normativa ad oggi sia molto complessa da applicare e soprattutto molto annacquata. Le differenze tra ciò che noi intendiamo per finanza etica e ciò che la UE certificherà come finanza sostenibile sono tante. È utile guardare alla “genealogia” e dunque alle dinamiche politiche che hanno generato la finanza etica da una parte e la finanza sostenibile (nella definizione che sta assumendo) dall’altra».

«La finanza etica aspira a un concetto di giustizia sociale e inclusione che va ben oltre la proposta dell’UE. Termini come profitto, speculazione, governance, impatto, incidenza, costruzione della cittadinanza acquisiscono un significato completamente diverso e configurano uno spazio coerente che non si limita a un’aggregazione di iniziative concrete, ma piuttosto ad una proposta completa sul modo in cui l’intermediazione finanziaria dovrebbe operare per generare giustizia sociale e bene comune».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/03/sette-punti-rendere-etica-finanza-sostenibile-europea/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

“L’Europa? Noi la vogliamo local, al servizio del cittadino”

Ha al suo attivo una campagna di editoria civica, un grande impegno sul fronte della decrescita e dell’ambiente, progetti di aiuto e solidarietà ai quali affianca la sua professione di dentista declinata in una maniera tutta sua, fatta di vicinanza ai pazienti e di umanizzazione delle relazioni. Dario Tamburrano, romano, 45 anni, si candida all’Europarlamento per il Movimento 5 Stelle. E di cose da dire ne ha veramente tante.dario_tamburrano

Dario Tamburrano è, sì, di professione dentista, ma a definirne “forma e contenuto” sono soprattutto altre credenziali. Cofondatore nel 2009 del Circolo della decrescita Felice di Roma e di Transition Italia, nodo italiano del Transition Network, ecologista a tutto tondo, Tamburrano ha approfondito il tema delle pratiche sostenibili in quasi ogni declinazione, dall’agricoltura ai trasporti, dallo sfruttamento delle risorse alle politiche economiche. E oggi si candida all’Europarlamento per il Movimento 5 Stelle (nella circoscrizione Italia Centrale, Marche – Lazio  – Umbria – Toscana), nato sotto l’egida di Beppe Grillo, che porta a Strasburgo richieste precise, tra le quali la ricontrattazione del fiscal-compact (il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance firmato da 25 paesi il 2 marzo 2012), il no al forzato pareggio di bilancio degli Stati, un’attenzione all’agricoltura che dia risposte concrete alle esigenze vere dei coltivatori italiani, una maggiore presenza,  rappresentatività e attenzione sia all’interno dello stesso Parlamento europeo sia nell’ambito delle commissioni. «Mi sono ormai ben reso conto che il passaggio di paradigma all’interno del sistema economico neoliberista è impossibile  – spiega Tamburrano – e che il contrasto ai “neolib” è fondamentale per permettere la transizione culturale oggi più che mai necessaria. La propaganda ha funzionato per parecchio. Si diceva: quando il bicchiere straborderà, di ricchezza ce ne sarà anche per gli ultimi. Ma questo bicchiere non straborda più, anzi oggi  è l’esatto contrario. Il neoliberismo ha portato alla verticalizzazione del benessere, ha creato una piramide dove a star bene sono quelli in cima, pochi, troppo pochi. La ricchezza è  concentrata nelle mani di poche persone; ci sono indiviui nel mondo in grado di comprarsi stati interi e masse intere che non possono permettersi ciò che si permette uno di quegli individui. E’ evidente che c’è qualcosa che non va. Il neoliberismo, che permea ogni scelta di politica economica anche nel nostro paese, è deregulation completa delle attività umane ed economiche, va a braccetto con l’economia della crescita che contrasta con i limiti stesso di questo pianeta e con i suoi ecosistemi. Non porta affatto democrazia, perché la mano invisibile del mercato non genera equilibrio. Ed è proprio in questo campo che si giocano le sfide di questo secolo, dato che abbiamo ormai raggiunto e superato i limiti fisici delle risorse. C’è un’urgente e immediata necessità di redistribuzione di risorse e ricchezze e per far questo occorrono sia un processo culturale dal basso che un’azione politica dall’alto, perché nulla avviene in maniera automatica». Altro punto caro a Tamburrano e ai candidati 5 Stelle e il superamento della soglia di indebitamento degli Stati al 3% del bilancio, un vincolo che rischia di soffocare il tessuto sociale ed economico dei paesi. «L’indebitamente di uno Stato non sempre è negativo – spiega – dipende se il denaro viene utilizzato positivamente per superare le difficoltà del momento oppure è un debito fine a se stesso generato da spreco di denaro per finalità che non hanno nulla a che fare con il benessere del paese. Le valute moderne sono create dal nulla, non sono più collegate ad un valore concreto, come poteva essere l’oro, come invece avveniva nel passato. Questo trucco, chiamiamolo così,  può portare a due diverse conseguenze: permettere di superare le difficoltà del momento creando energia sociale per la prosperità di tutti oppure può essere strumento di schiavizzazione. Il denaro è un mezzo e dipende da come viene usato. Questo ha a che fare strettamente anche con il lavoro. Il lavoro non è scomparso; tutti continuano ad avere bisogno di servizi e prodotti che vengono garantiti dal lavoro. In realtà ci sarebbe tantissimo lavoro da fare, perché da riconvertire un intero sistema per permettergli di affrontare le sfide del ventunesimo secolo. Ma manca il mezzo per scambiarsi il lavoro che è la moneta, perché è stata resa scarsa in maniera strumentale per impadronirsi delle risorse reali. E si badi bene: anche se si passasse ad una moneta nazionale abbandonando l’euro, non si risolverebbero i problemi se il meccanismo dovesse rimanere lo stesso. La produzione e la circolazione della moneta devono essere un nuovo patto sociale tra le varie espressioni della comunità, il tutto diretto al progresso: sia le politiche di austerità che le politiche espansive dell’economia della crescita sono morte, non sono adatte a questo momento storico. Noi abbiamo bisogno di politiche che espandano la decrescita o, ancora meglio, di progettazione sociale e produttiva. Il nostro potenziale di prosperità sta nella riconversione, in una prosperità senza crescita». Transazione economica e transazione ecologica, entrambe legate a maglie strette, strettissime, l’una non può aversi senza l’altra. Dario Tamburrano lo ha ben chiaro e professa anche «un giusto mix di local e global, ossia una rivalorizzazione delle reti produttive locali e il mantenimento delle economie di scala di più vasto respiro solo per i prodotti complessi per i quali non esiste alternativa». «I paesi dell’area mediterranea, come ovviamente l’Italia, avevano un fantastico tessuto produttivo basato sulla piccola e media impresa; ebbene, è necessario invertire l’attuale modello che invece tende a concentrare la ricchezza, la capacità produttiva e i profitti in mano a poche grosse aziende per ritornare al modello precedente. Ragionamento analogo va fatto per l’agricoltura. Occorrono incentivi ad un’agricoltura e a un allevamento diretti ai consumi interni. Finora il mondo agricolo italiano non è stato difeso dagli europarlamentari e si è dato spazio al concetto di libero mercato che impedisce la realizzazione completa della cosiddetta filiera corta. Senza voler arrivare al protezionismo, bisogna però pensare ad una salvaguardia reale delle economie caratterizzanti, che vanno rilocalizzate dove si può; questa è la via per creare comunità resilienti con flussi di denaro locale. L’Europa che abbiamo oggi è stata fondata nel momento del boom dell’economia della crescita e tutto è stato basato su questo; se non la si trasforma, non sarà in grado di affrontare le sfide che ci attendono. In questo il movimento della transizione si è dimostrato saggio: occorre rilocalizzare tutto ciò che è possibile. Vi sono attività produttive che per motivi di scala devono essere regionali, nazionali o europee ma questo può valere per prodotti complessi non per pomodori o generi di prima necessità. Il giusto sta nel mezzo». Tamburrano non risparmia poi quella che potrebbe suonare come una provocazione ma che in fondo si rivela una riflessione su una opportunità, che è plausibile valutare. «Il trattato di Lisbona prevede che dall’Europa si possa uscire e che si possa poi chiedere di entrare nuovamente senza però dover forzatamente aderire all’eurozona. Un po’ la situazione dell’Inghilterra, che è nell’Unione Europea ma non ha aderito all’euro. E’ una possibilità, perché non la si dovrebbe considerare? Eppure quando la spieghiamo ci accusano con un’aggressività incredibile». Non manca un cenno alla voglia di rappresentare, di esserci. «La nostra intenzione, come europarlamentari, se saremo eletti, è di informare preventivamente gli italiani di tutto quello che avviene e che si sta preparando. Finora non abbiamo mai imposto le ragioni del nostro paese e la ragione sta anche nel fatto che l’Europarlamento viene interpretato dai più come un luogo di parcheggio di politici, spesso con bassissime percentuali di presenze, anche nelle commissioni. Basti pensare al deficit di rappresentanza che abbiamo avuto in materia di agricoltura, oltre alla totale mancanza di comunicazione di ciò che succedeva.  Noi invece vogliamo raccontare e spiegare tutto, mettendo in allerta la popolazione. Per esempio, proseguono le trattative per il TTIP (http://ec.europa.eu/trade/policy/in-focus/ttip/), contro cui stiamo combattendo. Se passa questo trattato, nella sua attuale versione, assisteremmo all’invasione dei privati nella sanità con un’impostazione all’americano, dovremmo sottostare ai diktat delle lobby per quanto riguarda i prodotti alimentari e agricoli in particolari; insomma, sarebbe un disastro». Tanti, dunque, i punti sui quali si muovono Dario Tamburrano e gli altri candidati dei 5 Stelle all’Europarlamento. Questioni che sono molto meno lontane da noi di quanto potrebbe sembrare e che hanno e avranno ripercussioni notevolissime sulla nostra vita. «Intanto cominciamo da qui, dalla campagna elettorale – aggiunge Tamburrano – è già un processo di informazione, é occasione di visibilità, si costruiscono relazioni, passano temi e concetti. E’ già un passo avanti, una vittoria. Già informando si può cambiare qualcosa, se solo si lasciano da parte la propaganda e gli interessi di cordata».

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Fonte: il cambiamento.it

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9.Locale e globale

Di fronte alla scarsità e alle crescenti pressioni cui sono sottoposte risorse vitali come l’acqua e la terra, sapere chi  rende le decisioni può essere tanto importante quanto il modo in cui le risorse naturali vengono gestite e utilizzate. Un coordinamento globale è spesso fondamentale, ma senza un consenso e una partecipazione locali, nulla può essere fatto sul campo.23

Probabilmente tutti conoscono la storia del piccolo Hans Brinker, il bambino che trascorse la notte tappando con un dito la fessura che si era aperta in una diga per evitare che l’acqua fuoriuscisse e inondasse la città di Harlem, nei Paesi Bassi. Pochi sanno, però, che è stata un’autrice statunitense, Mary Mapes Dodge (1831–1905), a metterla per iscritto senza mai essere stata nei Paesi Bassi. Joep Korting non è altrettanto famoso, ma rappresenta un anello fondamentale di uno dei più sofisticati sistemi di gestione dell’acqua, che coinvolge l’amministrazione locale, regionale e nazionale, oltre a essere un punto di contatto con le autorità di altri paesi e i sistemi informatici di monitoraggio avanzato che fanno uso di satelliti per il controllo 24 ore su 24 delle infrastrutture. Joep funge anche da collegamento con la realtà sul campo, essenziale per l’attuazione di uno degli strumenti legislativi dell’UE più ambiziosi e completi di sempre: la direttiva quadro sulle acque (DQA). Tale direttiva prevede un’azione coordinata per raggiungere un «buono stato» di tutte le acque dell’UE, incluse le acque superficiali e sotterranee, entro il 2015. Definisce inoltre le modalità di gestione delle risorse idriche sulla base dei distretti idrografici naturali. Altri strumenti legislativi dell’UE, fra cui la direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino e la direttiva sulle alluvioni, integrano la DQA per migliorare e proteggere i corpi idrici europei e la vita acquatica.

Ripensare il nostro stile di vita

Che l’acqua rappresenti un problema serio per i Paesi Bassi non è un segreto per nessuno. Circa il 25% del territorio, su cui risiede il 21% della popolazione neerlandese, si trova sotto il livello del mare. Il 50% della superficie emerge appena di un metro. I Paesi Bassi non devono però fare i conti solo con il mare. L’approvvigionamento di acqua dolce a cittadini e aziende, la gestione dei fiumi provenienti da altri paesi e la carenza d’acqua nei mesi caldi sono solo alcuni dei problemi da risolvere.  Paesi Bassi non sono soli. L’acqua sta diventando una questione fondamentale ovunque nel mondo. Durante il XX secolo abbiamo assistito a un’espansione demografica e a una crescita dell’economia, dei consumi e dei rifiuti senza precedenti. Solo i prelievi idrici sono triplicati negli ultimi 50 anni.

L’acqua è una risorsa essenziale.

Ci sostiene, ci unisce, ci aiuta a crescere. Senza l’acqua, le nostre società non potrebbero sopravvivere. Dipendiamo dall’acqua non solo per coltivare il cibo che mangiamo, ma anche per produrre la maggior parte dei beni e dei servizi di cui disponiamo24

L’acqua è solo una delle risorse sottoposte a crescente pressione. Molti altri aspetti ambientali, dalla qualità dell’aria alla disponibilità di terra, subiscono le gravi conseguenze di sviluppi importanti quali l’espansione demografica, la crescita economica e l’aumento dei consumi. Pur non avendo il quadro completo, quel che sappiamo dell’ambiente ci spinge a ripensare il modo in cui utilizziamo e gestiamo le risorse a nostra disposizione. Tale ripensamento, l’economia verde, potrebbe comportare un cambiamento sostanziale nel modo in cui viviamo, conduciamo gli affari, consumiamo e gestiamo i rifiuti e trasformare il nostro intero rapporto con il pianeta. Un elemento fondamentale dell’economia verde è la gestione efficiente delle risorse naturali offerte dalla terra. Cosa si intende per gestione efficiente delle risorse? Cosa potrebbe significare nel caso dell’acqua?25

La gestione dell’acqua sul campo

Tutti i giorni, alle 8 del mattino, Joep inizia la sua giornata lavorativa presso il gestore idrico locale di Deurne, nei Paesi Bassi. Fra le altre mansioni, ha quella di monitorare un breve tratto dei 17.000 chilometri di dighe del piccolo paese, 5.000 dei quali costruiti per proteggere il territorio dal mare e dai corsi d’acqua più importanti. Joep controlla inoltre canali, chiuse e paratoie, talvolta rimuovendo rifiuti o scarti agricoli, talvolta riparando attrezzature danneggiate. Qualsiasi operazione svolga, misura costantemente il livello dell’acqua e prende nota dei possibili aggiustamenti. Nell’area in cui Joep lavora sono installate 500 briglie, monitorate quotidianamente. Regolandole verso l’alto o verso il basso, è possibile alzare o abbassare il livello dell’acqua per controllarne il flusso attraverso la regione. Pur avvalendosi di questi sistemi all’avanguardia, Joep e altri sette addetti ogni giorno azionano e monitorano manualmente le chiuse. I livelli dell’acqua sono costantemente sotto controllo ed esistono un piano d’intervento di emergenza e alcune linee telefoniche di emergenza attive 24 ore su 24.

La democrazia delle parti interessate

Joep e i suoi colleghi mettono in pratica le decisioni prese dagli enti neerlandesi di gestione del patrimonio idrico. Attualmente i Paesi Bassi ne contano 25, attivi a livello locale. Nel loro complesso, rappresentano una nozione istituzionale risalente al XIII secolo, quando gli agricoltori si riunirono e concordarono di provvedere insieme al drenaggio dei campi. Unici nel loro genere, tali organismi sono del tutto autonomi rispetto all’amministrazione locale e dispongono addirittura di bilanci ed elezioni separati, il che li rende l’istituzione democratica più antica del paese. «Ciò significa che, nell’ambito delle deliberazioni di bilancio o delle elezioni locali, non dobbiamo competere con gli investimenti destinati ai campi da calcio, all’edilizia scolastica, ai circoli giovanili o alle nuove strade, che forse risulterebbero scelte più popolari», dichiara Paula Dobbelaar, direttrice del consiglio delle acque del distretto di Aa en Maas e capo di Joep.26

«Svolgiamo anche attività quotidiane: ad esempio, in relazione alla direttiva quadro sulle acque, ci stiamo adoperando per far sì che i fiumi possano tornare a scorrere più liberamente, formando meandri e seguendo il tracciato naturale, senza necessariamente assumere un andamento rettilineo. Questa libertà e questo spazio accresciuti conferiscono ai corsi d’acqua un aspetto diverso: diventano parte integrante di un ecosistema più naturale», afferma Paula. «Il problema dei Paesi Bassi è che in passato siamo stati in grado di organizzarci molto bene e abbiamo saputo gestire l’acqua in modo efficace: da 50 anni a questa parte viviamo al sicuro e adesso le persone danno tutto per scontato. Ad esempio, lo scorso anno in questa parte dell’Europa abbiamo avuto precipitazioni intense e, mentre in Belgio la popolazione era molto preoccupata, nei Paesi Bassi tutti erano tranquilli: immaginavano che il problema sarebbe stato gestito», aggiunge. Come accennato, i membri dell’ente idrico locale vengono eletti, ma solo il 15% dei cittadini partecipa a queste  consultazioni. «Non è un organismo realmente rappresentativo e, ancora una volta, la causa sta nel fatto che la popolazione ha sviluppato una sorta di immunità nei confronti delle questioni relative all’acqua», dichiara ancora Paula.

La distanza tra il livello locale e il livello globale

Le principali opzioni politiche per una gestione del patrimonio idrico efficace e sostenibile devono includere l’innovazione tecnologica, una governance flessibile e collaborativa, la partecipazione e la consapevolezza dell’opinione pubblica e una serie di strumenti economici e di investimenti. Il coinvolgimento della popolazione a livello locale è essenziale. «L’acqua è certamente un elemento di congiunzione a livello globale e locale, sia in termini di problemi che di soluzioni», dichiara Sonja Timmer, della divisione internazionale dell’associazione degli enti idrici regionali neerlandesi, l’organismo che coordina la gestione dell’acqua nei Paesi Bassi. «La realtà è che, nonostante i livelli elevati di sicurezza nazionali, assistiamo all’innalzamento del livello del mare e a inverni molto asciutti seguiti da episodi sempre più frequenti di precipitazioni “anomale” nel mese di agosto e, negli ultimi anni, come conseguenza delle pesanti piogge in Svizzera e in Germania, il livello del Reno è particolarmente alto. Quest’acqua finisce tutta qui»27

Tenere i riflettori accesi sull’ambiente

«Avere a che fare, in determinati periodi, con maggiori quantità d’acqua proveniente dall’estero o con livelli del mare più alti sottintende evidentemente un intervento di portata internazionale. Facciamo parte di una rete internazionale e dalle nostre esperienze condivise sappiamo che se l’acqua non viene menzionata ogni giorno dai mezzi di informazione, il nostro lavoro diventa più difficile», dichiara Sonja. «Per me, l’attività che svolgiamo su scala locale è legata a quella nazionale e internazionale», prosegue. «Da un lato, il nostro personale controlla sul campo briglie e corsi d’acqua… accerta che siano puliti e che il livello dell’acqua corrisponda alle esigenze dei nostri clienti (agricoltori, cittadini, organizzazioni per la salvaguardia della natura). Dall’altro lato, abbiamo grandi progetti che, dai principi alti e astratti della DQA dell’Unione europea, vengono tradotti in protocolli reali affinché Joep possa operare sul campo. Oggi apprezzo questo aspetto locale. Un tempo giravo il mondo per lavoro operando a un livello strategico, a un livello elevato, con una scarsa comprensione della necessità che le strutture locali funzionino bene». «Sedendo con i ministri e discutendo di strategia idrica globale, è molto difficile restare con i piedi per terra. È stato uno dei maggiori problemi per i paesi in via di sviluppo: tante strategie di alto livello, poca comprensione, poche infrastrutture, pochi investimenti sul campo». «Ora che la questione idrica diventa una realtà pressante per l’Europa, anche noi abbiamo bisogno di adottare un approccio realistico a livello locale insieme a progetti più ambiziosi», aggiunge Paula. «Ho a disposizione otto persone che ogni giorno controllano le chiuse. Vivono qui, conoscono la comunità e comprendono le specificità locali. Senza questi requisiti, il progetto è destinato a fallire e a essere sostituito da un altro. Dobbiamo tutti lavorare per questo,  fare la differenza a livello locale, offrendo alle persone gli strumenti per partecipare alla gestione delle questioni idriche che li riguardano», continua. «Anche il livello locale è fondamentale», concorda Sonja. «La governance, ovvero l’approccio funzionale e decentralizzato, può assumere svariate forme ed è questo che lo fa funzionare. Dobbiamo soltanto coinvolgere nuovamente le persone e spiegare loro che corriamo dei rischi e che abbiamo bisogno della loro partecipazione», dichiara ancora.

Una crisi di governance

Benché alcune aree del mondo rischino di restare senz’acqua mentre altre sono a rischio di inondazioni, parlare di crisi idrica globale è inesatto. Piuttosto, siamo di fronte a una crisi di governance del patrimonio idrico. Per soddisfare le esigenze di una società efficiente sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio, per sostenere lo sviluppo umano ed economico e per preservare le funzioni essenziali degli ecosistemi acquatici, è necessario dare voce ai nostri ecosistemi, generalmente silenziosi, e dare loro una lobby. Parliamo di scelte politiche, scelte che devono basarsi sul giusto quadro governativo e istituzionale. Oggi, la storia del bambino che ha tappato la diga con un dito viene spesso utilizzata per descrivere approcci diversi per gestire una situazione. Può riferirsi a un intervento di modesto rilievo per evitare una catastrofe, oppure può significare tentare di curare i sintomi anziché le cause di un problema. La realtà è che un gestione idrica efficiente, come la gestione di molte altre risorse, richiederà soluzioni fondate sulla combinazione di interventi e decisioni a vari livelli. Gli impegni e gli obiettivi globali possono tradursi in traguardi concreti soltanto se persone come Joep e Paula sono pronti a realizzarli.28

La rivoluzione informatica

Talvolta i satelliti sono in grado di svolgere più compiti rispetto a quelli per cui sono stati costruiti. Insieme a due colleghi  dotati di grande creatività, Ramon Hanssen, docente di osservazione terrestre al politecnico di Delft, ha sviluppato un sistema per monitorare i 17.000 chilometri di dighe dei Paesi Bassi. Di questi, 5.000 proteggono la popolazione neerlandese dal mare e dai principali corsi d’acqua. Sarebbe impossibile ispezionarli tutti sul campo con la medesima frequenza. Sarebbe decisamente troppo costoso. Utilizzando le immagini radar inviate da Envisat ed ERS-2, due satelliti europei per l’osservazione della Terra, la direzione generale per le opere pubbliche e la gestione idrica (Rijkswaterstaat) ha la possibilità di controllare le dighe ogni giorno. Questo sistema è in grado di captare anche la più piccola variazione, grazie a misurazioni millimetriche. Hanssen ha battezzato questo concetto «Hansje Brinker» dal nome del bambino che secondo la leggenda ha tappato la diga con un dito per proteggere i Paesi Bassi dall’inondazione. Significa forse che le ispezioni eseguite dalla direzione generale non sono più necessarie? Secondo il professor Hanssen, non è così. Il radar segnala le aree critiche in base alle variazioni e un ispettore inserisce le coordinate corrispondenti nel suo sistema di navigazione, un’altra applicazione della tecnologia spaziale, per recarsi sul campo ed eseguire ricerche più dettagliate.

Fonte: EEA (agenzia europea ambiente)

AL VIA LA NUOVA STRATEGIA ENERGETICA NAZIONALE

Firmato un decreto interministeriale. Obiettivi primari: riduzione dei costi energetici, pieno raggiungimento e superamento di tutti gli obiettivi europei in materia ambientale, maggiore sicurezza di approvvigionamento e sviluppo industriale del settore energia.

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Dopo ampia consultazione pubblica, il Ministro dello Sviluppo Economico delle Infrastrutture e dei Trasporti ed il Ministro dell’Ambiente hanno approvato tramite Decreto Interministeriale la Stategia Energetica Nazionale (SEN), presentata nel corso del Consiglio dei Ministri del 16/10/2012. La modernizzazione del settore energia rappresenta un elemento cardine per la crescita sostenibile del Paese. A oltre vent’anni dall’ultimo Piano Energetico Nazionale, questo documento di programmazione e indirizzo era molto atteso dal settore.

Rispetto al documento posto in consultazione ad ottobre, sono stati recepiti numerosi contributi. Tra i più rilevanti, si menzionano:

• Una maggiore esplicitazione delle strategie di lunghissimo periodo (fino al 2050), in coerenza con la Roadmap di decarbonizzazione europea, e delle scelte di fondo per la Ricerca e Sviluppo;

• Una quantificazione dei costi e benefici economici della strategia per il Sistema, in particolare per i settori elettrico e gas;
• Una definizione più precisa delle Infrastrutture Strategiche gas, con particolare riferimento al dimensionamento di nuovi impianti di stoccaggio e di rigassificazione, con garanzia di copertura costi in tariffa, necessari per garantire l’allineamento strutturale dei prezzi gas a quelli UE e a fare fronte alle accresciute esigenze di sicurezza delle forniture (in uno scenario geopolitico sempre più complesso);

• Una più precisa descrizione delle misure di accompagnamento alla cosiddetta grid parity delle Rinnovabili elettriche (segnatamente del Fotovoltaico), una volta terminato il sistema incentivante attuale;

• Una migliore definizione degli strumenti previsti per accelerare i miglioramenti nel campo dell’efficienza energetica (es. certificati bianchi, PA, standard obbligatori, certificazione);

• Una più chiara definizione dei possibili miglioramenti della governance del settore.

La realizzazione della strategia proposta consentirà un’evoluzione graduale ma significativa del sistema ed il superamento degli obiettivi europei «20-20-20», con i seguenti risultati attesi al 2020 (in ipotesi di crescita economica in linea con le ultime previsioni della Commissione Europea):

• Significativa riduzione dei costi energetici e progressivo allineamento dei prezzi all’ingrosso ai livelli europei. In particolare, è possibile un risparmio di circa 9 miliardi di euro l’anno sulla bolletta nazionale di elettricità e gas (pari oggi a circa 70 miliardi). Questo è il risultato di circa 4-5 miliardi l’anno di costi addizionali rispetto al 2012 (legati a incentivi a rinnovabili/efficienza energetica e a nuove infrastrutture), e circa 13,5 miliardi l’anno di risparmi includendo sia una riduzione dei prezzi e degli oneri impropri che oggi pesano sui prezzi (a parità di quotazioni internazionali delle commodities), sia una riduzione dei volumi (rispetto ad uno scenario di riferimento inerziale).
• Superamento di tutti gli obiettivi ambientali europei al 2020. Questi includono la riduzione delle emissioni di gas serra del 21% rispetto al 2005 (obiettivo europeo: 18%), riduzione del 24% dei consumi primari rispetto all’andamento inerziale (obiettivo europeo: 20%) e raggiungimento del 19-20% di incidenza dell’energia rinnovabile sui consumi finali lordi (obiettivo europeo: 17%). In particolare, ci si attende che le rinnovabili diventino la prima fonte nel settore elettrico al pari del gas con un’incidenza del 35-38%.

• Maggiore sicurezza, minore dipendenza di approvvigionamento e maggiore flessibilità del sistema. Si prevede una riduzione della fattura energetica estera di circa 14 miliardi di euro l’anno, con la riduzione dall’84 al 67% della dipendenza dall’estero. Ciò equivale a circa 1% di PIL addizionale e, ai valori attuali, sufficiente a riportare in attivo la bilancia dei pagamenti, dopo molti anni di passivo.

• Impatto positivo sulla crescita economica grazie ai circa 170-180 miliardi di euro di investimenti da qui al 2020, sia nella green e white economy (rinnovabili e efficienza energetica), sia nei settori tradizionali (reti elettriche e gas, rigassificatori, stoccaggi, sviluppo idrocarburi). Si tratta di investimenti privati, solo in parte supportati da incentivi, e con notevole impatto in termini di competitività e sostenibilità del sistema.

Per il raggiungimento di questi risultati la strategia si articola in sette priorità con specifiche misure concrete a supporto avviate o in corso di definizione:

  • promozione dell’Efficienza Energetica, strumento ideale per perseguire tutti gli obiettivi sopra menzionati e su cui il potenziale di miglioramento è ancora significativo;
  • promozione di un mercato del gas competitivo, integrato con l’Europa e con prezzi ad essa allineati, e con l’opportunità di diventare il principale Hub sud-europeo;
  • sviluppo sostenibile delle energie rinnovabili, per le quali intendiamo superare gli obiettivi europei, contenendo al contempo l’onere in bolletta;
  • sviluppo di un mercato elettrico pienamente integrato con quello europeo, efficiente (con prezzi competitivi con l’Europa) e con la graduale integrazione della produzione rinnovabile;
  • ristrutturazione del settore della raffinazione e della rete di distribuzione dei carburanti, verso un assetto più sostenibile e con livelli europei di competitività e qualità del servizio;
  • sviluppo sostenibile della produzione nazionale di idrocarburi, con importanti benefici economici e di occupazione e nel rispetto dei più elevati standard internazionali in termini di sicurezza e tutela ambientale;
  • modernizzazione del sistema di governance del settore, con l’obiettivo di rendere più efficaci e più efficienti i nostro processi decisionali.

In aggiunta a queste priorità, soprattutto in ottica di più lungo periodo, il documento enfatizza l’importanza e propone azioni d’intervento per le attività di ricerca e sviluppo tecnologico, funzionali in particolare allo sviluppo dell’efficienza energetica, delle fonti rinnovabili e all’uso sostenibile di combustibili fossili.

Fonte: legislazione tecnica