Google e Apple: data center 100% a energie rinnovabili

I due giganti tecnologici hanno scelto l’energia rinnovabile per alimentare i propri data center in Europa: eolico e fotovoltaico fanno girare il cloudhttp _media.ecoblog.it_2_28c_google-apple-datacenter-energie-rinnovabili

L’esplosione delle tecnologie mobile, cloud in primis, ha causato nell’ultimo decennio un fortissimo aumento dei consumi elettrici delle grandi aziende tecnologiche che, da qualche anno, stanno correndo ai ripari rivolgendosi alle energie rinnovabili. Sia Google che Apple, i due protagonisti indiscussi insieme ad Amazon e Facebook della tech economy dei nostri giorni, hanno annunciato ulteriori investimenti nell’energia verde. Soprattutto in Europa dove, a differenza che negli Stati Uniti, le energie rinnovabili sono ormai mature e ben integrate nelle reti elettriche nazionali. E, per la precisione, soprattutto nell’Europa del nord, dove oltre ad una forte produzione di energia eolica ci sono anche le condizioni economiche per installare i data center che gestiscono il grosso del traffico dati nel vecchio continente. Google, ad esempio, ha annunciato di aver stipulato il contratto di PPA (Power Purchase Agreement, un contratto di acquisto dell’energia elettrica rinnovabile prodotta da uno specifico impianto, ad un prezzo stabilito) per la fornitura di elettricità per alimentare il data center di Eemshaven, in Olanda. Verrà alimentato con l’energia prodotta dal Sunport Delfzijl Solar Park, il parco fotovoltaico più grande dei Paesi Bassi gestito da Eneco Group. Si tratta di un impianto fotovoltaico da 27 MW di potenza, montato a terra su una estensione di 30 ettari. Sempre con Eneco, in passato, Google aveva stipulato PPA per l’acquisto dell’energia rinnovabile prodotta dai parchi eolici di Delfzijl, Krammer e Bouwdokken. Apple, invece, ha dichiarato a Reuters di avere intenzione di costruire un nuovo data center in Europa alimentato a rinnovabili: si tratta del data center di Aabenraa, nel sud della Danimarca al confine con la Germania. Sarà operativo dalla seconda metà del 2019, costerà sei miliardi di Corone danesi (circa 806 milioni di euro) e farà girare i servizi di  iTunes Store, App Store, iMessage, Maps e Siri. Reuters non specifica da dove Apple prenderà l’energia elettrica necessaria ad alimentare il data center danese, ma riporta che il gigante di Cupertino ha intenzione di farlo girare al 100% con elettricità verde. E’ assai probabile che parte dell’energia verrà dai numerosi impianti eolici presenti in Danimarca e il restante da impianti finanziati dalla stessa Apple grazie al recente Green Bond da 1 miliardo di dollari.

Credit foto: Flickr

Fonte ecoblog.it

Specie rare vendute su Internet: un business da 10 miliardi di dollari

Grazie a un linguaggio in codice il commercio illegale prolifica attraverso canali come Facebook, eBay e Google. L’Obs Rue89 hanno recentemente pubblicato un’approfondita inchiesta a firma di Rachel Nuwer sui traffici illegali di specie rare che utilizzano il web come canale di vendita. Un commercio che coinvolge FacebookeBayGoogle shoppingEtsy e Alibaba e che è diventato il quinto mercato di contrabbando al mondo, appena un “gradino” al di sotto del traffico di narcotici. Dalle tartarughe a rischio estinzione alla rarissima lucertola senza orecchie del Borneo, dai pappagalli all’enorme mercato delle corna di rinoceronte, è stato soprattutto il web a far esplodere questo tipo di business che – escludendo la vendita illegale di legname e di pesca – ammonta a circa 10 miliardi di dollari di giro d’affari. Una prova di quanto l’e-commerce illegale incida su questi affari lo si ha proprio dai dati sul commercio dell’avorio (aumentato del 300% dal 1998 al 2011) e dal boom del bracconaggio dei rinoceronti in Africa del Sud: “soltanto” 13 uccisioni nel 2007 e oltre 1000 nel 2011. Poco importa che le terapie per il vigore sessuale a base di corna di rinoceronte abbiano lo stesso effetto dell’ingestione delle nostre unghie o capelli: nel gran bazar del web ci sono creduloni disposti a spendere fino a 66mila euro al kilo per il placebo della potenza sessuale. Di questo passo il rinoceronte sarà una razza estinta entro il 2020. La controffensiva è iniziata: alcuni software permettono di incrociare migliaia di dati (ordini, pubblicità online, indirizzi e-mail, numeri telefonici, placche d’immatricolazione) e di arrivare ai trafficanti, a seconda delle localizzazione delle organizzazioni criminali sono l’americana Fish and Wildlife Service, la britannica National Wildlife Crime Unit e l’Interpol a intervenire. Nel 2012 l’Us Fish and Wildlife Service ha arrestato 150 persone implicate nel traffico di pelli di tigre e uccelli vivi. Ciò che è davvero singolare è come i trafficanti non utilizzino il dark web, ma procedano nella parte emersa della Rete grazie a un linguaggio codificato in cui “osso di bue” significa “avorio d’elefante”, NQJ è acronimo di pappagallo nero a coda gialla e “doppio motore” è boa rosso delle sabbie. Gli enti preposti a smascherare i traffici lavorano di concerto con eBay, Google Shopping, Etsy, ma negli ultimi tempi anche Alibaba, la più grande impresa al mondo di vendite online ha dato il suo apporto per stanare i commerci illegali. “È un po’ il gioco del gatto e del topo – ha dichiarato Wolfgang Weber, direttore della gestione mondiale del regolamento e della politica eBay, aggiungendo che – noi cominciamo a bloccare il termine ‘osso di bue’ e i venditori ne scelgono un altro, come falso avorio”. Arrivare a decrittare il 100% dei commerci illegali presenti in Rete sarà impossibile, ma mettere i bastoni fra le ruote alla criminalità che lucra sulle specie rare non è un’utopia e qualcuno ci sta già riuscendo.elefanti-586x439

Fonte:  L’Obs – Rue89

© Foto Getty Images

Google divorzia da ALEC perché negazionisti dei cambiamenti climatici

Google ha annunciato che entro la fine dell’anno taglierà i suoi rapporti finanziati con ALEC, American Legislative Exchange Council poiché questi ultimi negano i cambiamenti climatici e non sostengono le energie rinnovabili. Eric Schmidt CEO di Google ha annunciato lunedì lo stop agli affari con ALEC American Exchange Consiglio legislativo, organizzazione conservatrice composta da aziende private e legislatori statali, poiché non condivide la posizione di quest’ultima sui cambiamenti climatici. Ha detto Schmidt al programma NPR di Diane Rehm:

Tutti comprendono il cambiamento climatico sta avvenendo e le persone che vi si oppongono vogliono il male dei nostri figli e dei nostri nipoti tale da rendere il mondo un posto peggiore. Non dovrebbe essere così perché sanno di mentire.

Lisa Nelson, CEO di ALEC, ha risposto alla dichiarazione definendo la decisione sfortunata e dovuta:

alla pressione pubblica messa in atto da individui e organizzazioni di sinistra che volutamente confondono le prospettive della politica di libero mercato con la negazione dei cambiamenti climatici.SKOREA-NKOREA-US-DIPLOMACY-GOOGLE-FILES

Secondo ALEC l’organizzazione è nel mirino da tempo nel mirino della sinistra già da qualche tempo. Infatti, spiegano subiscono pressioni che vanno a incidere direttamente sui partner del Council soggetti così a boicottaggi, campagne diffamatorie e altre tattiche a meno che non si dissociano. In realtà fa notare ALEC può sembrare una gran bella notizia che Google si dissoci a causa dell’atteggiamento scettico del Council per rispondere così alle sovvenzioni dei contribuenti nei progetti di energia rinnovabile, ma Google è comunque consumatore di energia senza pari.

Fonte:  Think ProgressUs News

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Google premia i giovani scienziati con il Google Science Fair 2014

La scienza sopratutto se giovane viene premiata con una pioggia di dollari attraverso il Google Science Fair 2015.

Google premia i giovani scienziati con il Google Science fair 2014, gara internazionale aperta a ragazzi e ragazze dai 13 ai 18 anni. Il primo premio è spettacolare: un viaggio di dieci giorni alle isole Galapagos con il National Geographic Expeditions mentre il secondo premio prevede un’incredibile esperienza presso lo spazioporto Virgin Galactic e una borsa di studio del valore di $ 50.000. Gli sponsor sono infatti oltre a Google anche LEGO Education, National Geographic, Scientific American e Virgin Galactic. Altri premi prevedono borse di studio da 25 mila dollari o donazioni alle scuole da 10 mila dollari. Questa pioggia di soldi vuole incentivare i giovani di tutto il mondo a dedicarsi a progetti scientifici e a condividere le loro scoperte con il mondo. Dall’Europa arrivano diversi giovani scienziati che presentano progetti particolari come la sveglia olfattoria progettata dal francese Guillame Rolland che frequenta il liceo St Joseph du Loquidy di Nantes che ha presentato una originale sveglia che emana profumi per svegliare in dolcezza; Jovana Kondic, 15 anni dalla Serbia presenta una invenzione decisamente geniale, laInzeolation, ossia zeolite e cellulosa che vanno a costituire un materiale per l’isolamento termico altamente riciclabile; Nina Schönberg, 17 anni dalla Germania presenta un test per riconoscere la cosi detta droga dello stupro; un trio di ragazze irlandesi di 16 anni Ciara Judge, Émer Hickey e Sophie Healy-Thow hanno presentato un progetto per la soluzione alla crisi alimentare con i batteri diazotrofi capaci di aumentare le colture di cereali. L’evento è molto pubblicizzato da Google anche sul canale youtube grazie agli hangout dedicati ai vari temi e presentati da personalità del mondo scientifico. La cerimonia di presentazione si terrà il prossimo 23 settembre mentre il 1° settembre si aprono le votazioni on line.

Fonte: ecoblog.it

Google Made in Italy: il nuovo portale delle eccellenze italiane

Per la prima volta, il principale motore di ricerca al mondo, inaugura un portale dedicato alle eccellenze agroalimentari e artigianali di un Paese. Una grande occasione per una visibilità globaleImmagine8-620x332

Il cibo e i marchi italiani continuano a essere il plusvalore del nostro Paese, nonostante la crisi che strozza le imprese. Visto che sull’argomento Governo e ministeri (quelli del Turismo e dell’Economia) sono fermi al palo, l’iniziativa la prende Google che ha in mano i flussi delle ricerche sul web e, quindi, le chiavi d’interpretazione del mondo.
E i dati dicono che nel 2013 le ricerche legate al made in Italysono aumentate del 12% rispetto al 2012. Per giapponesi, russi, americani e indiani il nostro paese continua a essere un Eldorado di qualità, soprattutto nel settore agroalimentare.

È sempre più evidente che new-technology e agroalimentare sono i settori che daranno più occupazione nel futuro. Perché non metterli insieme? Perché non fare un link tra la Silicon Valley e la nostra Food Valley?

ha dichiarato il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Nunzia De Girolamo, al convegno “Made in Italy: eccellenze in digitale”, nel corso del quale è stato lanciato il progetto del nuovo sito www.google.it/madeinitaly. Realizzato dal Google Cultural Institute, il portale ha ottenuto il sostegno del Ministero dell’Agricoltura, di UnioncamereSymbola e Università Ca’ Foscari. Si tratta del primo esperimento del più importante motore di ricerca al mondo nella promozione delle eccellenze di un Paese. Un progetto che, come ha ricordato la stessa De Girolamo, al Ministero non è costato un euro, ma potrebbe dare una visibilità globale ai 261 prodotti a denominazione (Dop, Igp e Stg) che rappresentano il fiore all’occhiello dell’export, l’unica voce che in questi anni di crisi ha fatto registrare risultati confortanti. Grande soddisfazione è stata manifestata anche da Roberto Moncalvo, presidente della Coldiretti, che ha tenuto a ricordare come l’italian sounding, ovverosia il falso made in Italy, fatturi ogni anno 60 miliardi di euro, una cifra doppia rispetto al valore delle esportazioni agroalimentari. Pur lodando i potenziali benefici dell’iniziativa, la Cia, Conferenza Italiana Agricoltori, ha sottolineato il digital divide fra centri urbani (dove la connessione a Internet di qualità è ormai all’89%) e le aree rurali dove solo il 17% degli abitanti può contare su una connessione degna di questo nome. Ora tocca alla politica far fruttare il prezioso assist di Google e consentire ai produttori di entrare veramente nella Rete che conta.

Fonte: Help Consumatori

Cibo recuperato…dai cassonetti. Una testimonianza da Barcellona

Per molti supermercati un prodotto invenduto, se riciclato, viene vissuto come una doppia perdita: l’avanzo giornaliero, e il mancato acquisto di nuovi prodotti nei giorni successivi”. La testimonianza di un ragazzo che vive a Barcellona e che, assieme ad altri, ha cominciato a recuperare cibo ancora sano gettato nei cassonetti375939

“L’idea di riciclare il cibo dai contenitori di rifiuti organici non è stata la mia. Non saprei dire il perché: forse perché, per fortuna, non mi sono mai trovato in condizioni tali da dovermi cercare qualcosa da mangiare nei rifiuti, forse per la vergogna, magari entrambe le cose. Tuttavia, quando mi è stata proposto, ho accettato subito di partecipare. A Barcellona è abbastanza usuale incontrare persone in cerca di cibo nei contenitori dell’organico, in particolare al di fuori delle zone turistiche e commerciali. Si trova di tutto: uomini e donne, più o meno giovani, alcuni in giacca e camicia e purtroppo anche anziani, forse pensionati che faticano ad arrivare a fine mese. Alcuni sono ben organizzati, carrelli e carrellini vari non mancano mai, anche ai più sprovveduti, alcuni addirittura hanno bastoni con ganci che usano come arpioni, conoscono orari e luoghi dove cercare, dove la probabilità di trovare qualcosa è maggiore. Ma torniamo a noi. Il mio obiettivo iniziale era risparmiare qualcosa sulla spesa settimanale. Consumando poca carne e pesce, non bevendo latte e derivati, i conti mi tornavano abbastanza perché la maggior parte dell’organico è praticamente composto da sola frutta e verdura. Al centro sociale ci siamo organizzati in questo modo: ci trovavamo ogni lunedì intorno alle 21. Il lunedì è il giorno in cui arrivano le merci ed più facile alla sera trovare gli scarti gettati nei contenitori. In totale eravamo un gruppo di circa 10-12 persone suddivise in 3 o 4 gruppi. Ogni gruppo disponeva di almeno un carrello e, inizialmente di una mappa; una mappa semplice del quartiere, facilmente recuperabile da Google maps, dove ogni gruppo tracciava il suo percorso. Il resto varia a discrezione: alcuni portano guanti e luci, altri un carrello in più, etc.. La scelta del percorso invece è fondamentale. Se non si sceglie un percorso adeguato non si trova niente. Il percorso deve essere valutato in funzione dei negozi di alimentari, delle panetterie, dei frutta e verdura e in generale di qualsiasi attività che tratta cibo. Tuttavia bar e ristoranti, così come anche rosticcerie e pizzerie, non sono soliti avanzare o comunque gettare cibo. Inutile provare nei contenitori vicino a case e palazzine, perché nell’organico non si trova praticamente niente (almeno a Barcelona è così). Iniziato il giro, il tempo di percorrenza varia da un’ora a un’ora e mezza: la lunghezza da percorrere non è rilevante, molto dipende dalla quantità di contenitori che si incontrano e dalla quantità di rifiuti che ciascuno contiene. Per un contenitore vuoto basta uno sguardo, mentre per un contenitore pieno occorre controllare tutti i sacchi uno per uno. Quello che si trova dipende molto dalla vicinanza o meno di una determinata attività come detto sopra. Vicino alle panetterie, in particolare per le grandi catene, è facile trovare quantità considerevoli di pane, sandwich dolci e salati, a volte anche brioches e simili: tutta merce non venduta e che non si vende il giorno seguente. Definire una quantità precisa non è facile, mediamente però si trova sempre un sacco nero pieno. Il cibo in questo caso è pulito, i sacchi sono sempre chiusi e tutto è buono e assolutamente commestibile. Il discorso cambia per frutta e verdura: spesso non si trovano in buone condizioni ma la grande quantità che si incontra compensa la cosa. Frutta verdura variano a seconda della stagione e, a meno di ammaccature varie e un aspetto non “brillante” come il prodotto in esposizione, è sempre buona e in grande quantità. Riciclando una volta alla settimana per esempio, riuscivo a coprire il necessario di frutta e verdura per 3 giorni. L’unico inconveniente, una volta superata l’eventuale vergogna di frugare nella spazzatura e la paura di sporcarsi le mani, è rappresentato dalla necessità di consumare e/o cucinare il tutto in tempi brevi. Questo è abbastanza ovvio: il cibo che si trova è buono ma comunque in deperimento e non in condizione di freschezza tali da poterlo conservare ulteriormente. Per la frutta nelle peggiori condizioni ad esempio, è utile preparare marmellate; è una soluzione questa che ho adottato qualche volta quando trovavo chili e chili di mele o pere che non potevo conservare e che avrei finito per buttare di nuovo. Per la verdura stesso discorso: se si mangia cruda è necessario subito lavarla e conservarla in frigo, altrimenti la si cuoce e via. Il pane si presta di più al riciclo: se ne può racimolare in grandi quantità e poi basta dividerlo in porzioni e congelarlo. Mi capita spesso di recuperare pane per 7-10 giorni che scongelato 5 minuti nel forno a gas è come fresco. Tutto sommato l’idea del riciclo così descritta penso non sia niente male; si recupera cibo, si risparmiano soldi e in compagnia si fa gruppo e tutto assume un aspetto anche divertente. Per concludere: senza dubbio la quantità di cibo che si incontra, almeno qui a Barcelona, nei contenitori di organico, è notevole. Basti pensare per esempio che alcune panetterie regalano direttamente casse piene di pane e altro, a centri di accoglienza ed edifici occupati (di cui Barcelona è piena, vittima della speculazione edilizia franchista). C’è anche da aggiungere un’altra triste realtà, testimoniata da un amico che lavorava come cameriere in un bar/pasticceria, che spesso alla fine del turno condivideva buste di brioches e panini invenduti: molte catene commerciali di pane e dolci, conservano quantità notevoli di avanzi giornalieri per buttarli solo dopo alcuni giorni, quando ormai il pane è secco e le marmellate e le creme delle brioches andate a male. E’ una prassi alquanto sgradevole che ha l’intento di favorire comunque la vendita nonostante la produzione sia in esubero. In pratica il prodotto non venduto, se riciclato, viene visto come una doppia perdita: una associata all’avanzo giornaliero, l’altra alla non necessità d’acquisto dei giorni successivi“.

 

fonte: eco dalle città

 

Hamburger artificiale: per gli assaggiatori è insapore

Che gusto ha. Com’è stato “coltivato”. Perché è stato creato l’hamburger sintetico 89936127-586x406

Cotto e mangiato in diretta televisiva, l’hamburger più famoso della Storia, quello creato in vitro partendo dalle cellule staminali di un manzo, pare non sappia di nulla o, al massimo, di seppia. Non di manzo. Questo, almeno, è quanto hanno dichiarato i suoi assaggiatori. Il piatto – viste le modalità di preparazione – è stato ribattezzato Frankenburger, omaggiando il lungagnone con le tempie bullonate partorito dalla fantasia di Mary Shelley. In studio erano presenti il padre dell’hamburger artificiale, il ricercatore olandese di Maastricht, Mark Post, e due critici culinari, l’americano Josh Schonwald e l’austriaca Hanni Ruetzler.  Pare che il risultato non sia stato troppo esaltante: i 140 grammi di carne sono risultati privi di grasso, dunque non invitanti come i loro omologhi tradizionali.

Si avvicina alla carne ma non cosi succulento. La consistenza è perfetta ma me l’aspettavo più soffice,

ha detto Ruetzler che ha riconosciuto come il prodotto vada migliorato sotto il profilo del gusto. Post ha spiegato come sia proprio il gusto l’aspetto più sofisticato e difficile da raggiungere: dalle cellule staminali di una mucca sono state sviluppate 20mila fibre di puro muscolo di manzo in soli tre mesi. Nell’impasto è stato aggiunto succo di barbabietola rossa e zafferano, più sale, uova in polvere e pane grattugiato. La ricerca è un investimento sul futuro. Non a caso il principale finanziatore è Sergey Brin di Google. In Cina la domanda di carne cresce a vista d’occhio e gli allevamenti di bestiame hanno un impatto estremamente pesante su clima e ambiente. Per ogni chilo di carne tradizionale sono necessari fra i 4 e i 10 chili di mangimi che richiedono acqua, fertilizzanti e pesticidi, un costo che diventerà insostenibile qualora i Paesi in via di sviluppo diventassero “carnivori” quanto l’Occidente. Il 30% della superficie terrestre coltivata è impiegata per ottenere mangimi per animali. La carne sintetica richiederebbe il 99% in meno di della terra utilizzata per alimentare il bestiame e tra l’82 e il 96% di acqua in meno, con una produzione di gas serra che subirebbe una riduzione fra il 78 e il 95%. Secondo uno studio dell’Università di Oxford l’allevamento di bestiame tradizionale produce più gas serra di tutto il sistema di trasporti mondiale. Secondo Post partendo dalle cellule staminali, ovverosia dalle cellule indistinte che potenzialmente possono trasformarsi in ogni tipo di tessuto, si può ottenere un quantitativo di carne milioni di volte superiore a quello di un singolo capo di bestiame.

Fonte:  Agi

Timelapse: un’altra magia di Google per riflettere sullo sviluppo sostenibile

Google Earth diventa diacronico e permette agli utenti di valutare i cambiamenti in atto sulla Terra timelapse-586x319

Fra le tante “invenzioni” di Google ce n’è una che più di ogni altra sembra essere fatta apposta per riflettere sullo sviluppo e sui cambiamenti macroscopici cui l’uomo sottopone con la propria opera la Terra. Timelapse è una sorta di Google Earth spalmato su un asse diacronico di trent’anni. Dal 1984 al 2013 viene mostrata l’evoluzione dei territori, un’immagine che comprime sei lustri in pochi secondi e che pone qualsiasi utente in una posizione semi-divina. Le città “pulsano” con una progressione inarrestabile e una crescita irreversibile. Timelapse propone alcune immagini campione che con un’ottima definizione mostrano lo sviluppo delle città e, purtroppo, anche la contrazione di bacini idrici e foreste. Prendiamo come esempio l’esplosione di Las Vegas di cui assistiamo a una vera e propria esplosione che riduce, a occidente, il bacino della Las Vegas Bay. L’esempio più drammatico è quello del Lago d’Aral: circa il 90% del bacino scompare a causa dell’evaporazione non sostituita dagli emissari eccessivamente sfruttati dai consorzi agricoli. Un’altra immagine di grande impatto è quella della deforestazione dell’Amazzonia: in questo Timelapse vediamo scomparire centinaia di chilometri quadrati di foresta amazzonica a un ritmo vertiginoso. L’idea di far scorrere trent’anni in tre secondi è emblematica della limitatezza di una generazione in un’ottica geo e non antropocentrica. In milioni di anni di natura sovrana (con i tempi di timelapse un nostro giorno vale 864mila anni…) la faccia della Terra non è mai cambiata così velocemente come accade ora. Con l’uomo che costruisce penisole ed isole artificiali come accade a Dubai oppure con i ghiacci che regrediscono costringendo i geografi a ridisegnare le mappe come in Alaska, nella zona del ghiacciaio Columbia.

Fone: Timelapse