Nocciole e pesticidi: basta con le coltivazioni intensive

Nel 2019 sono bruciati milioni di ettari di foreste in più parti del mondo e questo alimenta l’emergenza climatica. E intanto i nostri suoli continuano a ricevere pesticidi con le coltivazioni intensive, tra cui le nocciole, che ora in Italia potrebbero anche aumentare.

Nell’anno di disgrazia 2019 sono bruciati 13 milioni di ettari di foreste russe, 6 milioni dei quali nella più grande foresta del pianeta, la taiga siberiana ; 12 milioni di ettari della foresta amazzonica erano già bruciati alla fine di settembre e i fuochi non erano ancora spenti ; in Australia da dicembre sono bruciati  11 milioni di ettari di foreste e boscaglie e gli incendi continuano, appaiono inestinguibili.

Tenuto conto che l’ammontare medio di deforestazione annuale, in questi ultimi decenni di miseria intellettuale e morale (e politica, non c’è bisogno di dirlo), si aggira tra i 13 e i 16 milioni di ettari di foreste rase al suolo ogni anno, l’infernale 2019 si è mangiato in pochi mesi quasi tre anni di deforestazione, che comunque è proseguita lo stesso senza interruzione. Grazie anche all’olio di palma che intride i  prodotti delle multinazionali dei detersivi, della cosmesi e degli alimenti. La Ferrero, lo ricordiamo, ha dichiarato di non avere intenzione di eliminare l’olio di palma dai suoi prodotti, tra cui la Nutella. In tempi di catastrofi climatiche, con un pianeta che boccheggia (19 gradi a dicembre in Norvegia, 50 gradi in India per tutto giugno, 38 in Alaska a luglio, ora fino a 48 gradi in Australia) e ha le convulsioni, i milioni di ettari di materia organica bruciata contribuiranno significativamente ad accelerare il disastro. Per questo, finalmente, tutti i ricchi e i potenti, politici industriali dirigenti e padroni di multinazionali con i loro media e le loro istituzioni governative nazionali e sovranazionali, stanno programmando e promuovendo una grandiosa opera di rimboschimento globale, useranno i loro soldi e quelli degli Stati (cioè nostri) per trasformare l’agricoltura intensiva in agricoltura biologica, ecologica, resiliente…

Non ci avete creduto? Avete fatto bene.

In Italia ci sono 70.000 ettari (700 milioni di metri quadri) di coltivazioni intensive di noccioli nel nostro un tempo bel paese, vantate ovviamente come un gran vantaggio, un’eccellenza. Eppure affinché assicurino un’elevata produzione sono necessari pesticidi, erbicidi, grandi quantità di petrolio per grandi macchinari. E inquinamento, erosione dei suoli. Ma cosa importa? La vera eccellenza sono i soldi. Così, dato che il mercato cresce e che l’appetito capitalista viene mangiando, ci si organizza per farlo crescere sempre di più. Infatti sono stati annunciati altri 20.000 ettari di noccioleti intensivi. I noccioleti intensivi hanno già dimostrato la loro capacità distruttiva, persino in un’oasi naturalistica come quella del lago di Vico, inquinato da pesticidi e concimi chimici a un punto tale che se ne teme la morte biologica. Adesso aumenteranno di 20.000 ettari. In Lazio, Toscana, Marche. I politici regionali applaudono entusiasti, come se si trattasse di una pioggia d’oro, invece che di veleni. Oltre ai governatori regionali, è entusiasta anche l’associazione di “meccanizzazione agricola e industriale”. E la cosa non ci sorprende. Pure le banche sono contente: è già previsto che gli agricoltori che aderiranno al benefico progetto si debbano indebitare.  

I sindaci del viterbese non sono d’accordo ma chi se ne importa. Prevedono che il lago di Bolsena faccia la fine di quello di Vico, il progetto a loro sembra malefico perché “l’elevato consumo di acqua, fitofarmaci, antiparassitari, insetticidi, diserbanti, concimi chimici potrebbe determinare il degrado globale e irreversibile dell’intero ecosistema… con gravissime ricadute sulla salute pubblica”.

Già adesso il lago di Bolsena e la salute pubblica italiana non se la passano tanto bene.

Ma si dice che tutti questi progetti siano sostenibili. Cosa vuol dire ormai “sostenibile”? C’è anche l’adesione a un progetto in Turchia per eliminare le peggiori forme di lavoro minorile. Si vede che c’è un lavoro minorile sostenibile…

Ma noi torniamo ai noccioleti monocultura intensiva. Che possono venire trattati con:

calciocianamide, fertilizzante chimico con alto contenuto di azoto ma anche di acido cianamidico, che uccide tutti gli insetti e i microrganismi presenti nel suolo, cioè uccide il terreno, cioè è un veleno;

tiofanato di metile, un fungicida “nocivo per inalazione, può provocare effetti irreversibili, altamente tossico per gli organismi acquatici (…), evitare il contatto diretto col prodotto… gli strati di terreno contaminati devono essere decorticati fino a terreno pulito (…). In caso di contatto con la pelle, lavare subito con sapone e acqua abbondante…” ; 

deltametrina, insetticida sintetico: uno degli insetticidi che sterminano le api ma non solo loro. “… effetti di esposizioni acute per gli uomini comprendono atassia… convulsione e paralisi, diarrea, dispnea, irritabilità, tremori, vomito e morte… Molti studi hanno dimostrato casi di avvelenamento cutaneo da deltametrina dovuti a inadeguate precauzioni durante la pratica agricola… Con dosi di 100-250 mg/kg viene indotto il coma in 15-20 minuti”;

Lambda-cialotrina. Insetticida. Evitare il contatto cutaneo, evitare il contatto con gli occhi, se inalato “possibile danno al surfactante polmonare o polmonite chimica”, “gas di acido cianidrico può essere rilasciato durante l’apertura e il dosaggio… Non mangiare, né bere, né fumare durante l’impiego… Prodotti di decomposizione pericolosi: cianuro di idrogeno”. E’ altamente tossico per gli organismi acquatici e, ovviamente, per le api. Trattandosi di un insetticida…

E l’elenco non sarebbe finito…

Naturalmente c’è anche il glifosato, a causa del quale il terreno in primavera assume quel colore aranciato che ben hanno conosciuto i vietnamiti durante la guerra USA, e a cui devono le malformazioni di centinaia di migliaia di bambini. “Il glifosato è tra i pesticidi più segnalati come causa di avvelenamento accidentale… danneggia il DNA di reni, fegato, ossa… provoca il deperimento di arbusti e alberi, è neurotossico, interferente endocrino, immunosoppressivo”.

E ancora: “…irritante per la cute e le mucose fino all’ulcerazione della mucosa oro-faringea ed esofagea, irritante oculare, miosi… Nausea, vomito, ipertermia… Danni al sistema nervoso centrale, atassia, parestesia, paralisi, alterazioni ECG… gli spasmi muscolari in genere precedono di poco la morte… Non sono conosciuti antidoti specifici… Tossico per gli organismi acquatici con effetti di lunga durata”.

I noccioleti, come tutte le monocolture intensive, sono deboli, e tanto più deboli quanto più estesi, innaturali, impoveriscono l’ecosistema, squilibrano l’ambiente, sono una manna per i parassiti; poi ci pensano le pratiche dell’agricoltura industriale a completare il danno, distruggendo la vita dei terreni. I poveri noccioli, a quel punto, non hanno più difese e, dato che il terreno è morto o moribondo, soffrono anche la fame. E allora giù coi concimi chimici e con gli antiparassitari. Così come agli animali di allevamento intensivo vengono propinati ogni giorno antibiotici a palate.  

D’altra parte, se il cosiddetto “sviluppo economico” è l’obiettivo principale di una società folle, tutti i veleni denominati “prodotti fitosanitari” vi contribuiscono in pieno. Rimpinguano le tasche delle multinazionali di tali veleni, poi rimpinguano le tasche delle multinazionali del farmaco che spesso, e non per caso, sono le stesse. Se avete mai fatto una passeggiata nelle valli prealpine o nelle foreste dell’Appennino, avrete visto dove crescono spontaneamente i noccioli: lungo le rive di torrenti, fiumi, ruscelli. E’ facile dedurre che hanno bisogno di terreno sempre umido, temperature estive moderate, sole ma mitigato dalle ombre di alti alberi. Nessuna di queste condizioni può esserci in una monocoltura intensiva.

Si rimedia con tanta acqua. Irrigazioni quotidiane che, come è già successo al lago di Vico, abbassano la falda freatica. E l’acqua di irrigazione, intanto che consuma la falda evaporando nel sole, nella quantità che riesce a ritornare in falda ci porta anche tutti i residui di pesticidi presenti nel suolo, quei sostenibili concimi chimici, erbicidi, insetticidi, fungicidi irrorati allegramente nei sostenibili noccioleti. Riguardo alla Nutella, vediamone la composizione: 56% di zucchero raffinato, 23% di olio di palma raffinato, 13% di nocciole, latte scremato in polvere, cacao  e l’aroma vanillina. Ferraro attesta che l’olio di palma utilizzato è “sostenibile”. Ma c’è chi ha messo in discussione la possibilità che l’olio di palma prodotto n grandi quantità possa realmente essere sostenibile. Inoltre, il nostro organismo non reagisce bene ad alimenti come lo zucchero raffinato e l’olio di palma raffinato. Gli alimenti raffinati sono alimenti morti, perdono vitamine, proteine, sali minerali. Lo zucchero diventa solo saccarosio, l’olio di palma puro grasso. Si trasformano in qualcosa di artificiale che il nostro organismo non riconosce e non è in grado di digerire e metabolizzare in maniera efficiente. Questo a lungo andare può creare problemi. E vale per qualsiasi alimento industriale pieno di ingredienti raffinati e/o sintetici. Le associazioni degli agricoltori dovrebbero ricordarsi che il motivo della loro esistenza è difendere i piccoli e medi agricoltori e consigliarli per il loro bene; così riuscirebbero anche a ricordare che i peggiori nemici dei suddetti sono proprio le grandi industrie, alimentare e petrolchimica, che li tengono per il collo e a volte tirano fino a strangolarli; che li rendono dipendenti dai loro prodotti chimici e dal loro “mercato”, dettando le regole e decidendo i prezzi. Allora, forse, invece di strillare contro i lupi e i sindaci che vietano il glifosato, ricorderebbero ai suddetti agricoltori la prima legge del mercato, che capisce facilmente anche un bambino: più aumenta la disponibilità di una merce, più si abbassa il suo prezzo. Noi però, che amiamo la terra e le sue creature, e non abbiamo invece una passione per i profitti, il PIL e la distruzione del pianeta già in corso, possiamo fare del nostro meglio per far diminuire la richiesta di prodotti perniciosi. Mangiando sì, le nocciole, che fanno bene, ma biologiche e senza aggiunte nocive.

Fonte: ilcambiamento.it

Glifosato al bando: dopo l’Austria anche la Germania. E l’Italia?

Dopo l’Austria, anche la Germania (patria della Bayer) mette al bando il glifosato. L’Italia invece nicchia e lo fa pubblicando la bozza del nuovo Piano d’azione nazionale per “l’uso sostenibile” dei pesticidi (Pan) con parecchi mesi di ritardo e… partorendo il consueto topolino.

Glifosato al bando: dopo l'Austria anche la Germania. E l'Italia?

Riportiamo l’interessante intervento che l’avvocato Stefano Palmisano, esperto di diritto ambientale, ha reso disponibile sul blog che cura per Il Fatto Quotidiano.

«In Austria, meno di due mesi fa, il Parlamento ha approvato un divieto totale di utilizzo dei pesticidi a base di glifosato sul proprio territorio. Questo nonostante il noto rinnovo dell’autorizzazione all’uso del più celebre erbicida al mondo concesso dalla Commissione Europea nel dicembre 2017 per altri cinque anni. Lo strumento grazie al quale l’assemblea austriaca ha potuto permettersi questo mirabile esempio di tutela dell’ambiente, dell’alimentazione e della salute pubblica per via legislativa è il principio di precauzione. Quello sancito nella legge fondamentale della sicurezza alimentare dell’Unione europea, il regolamento n. 178/2002, che all’art. 7 statuisce: “Qualora, in circostanze specifiche a seguito di una valutazione delle informazioni disponibili, venga individuata la possibilità di effetti dannosi per la salute ma permanga una situazione d’incertezza sul piano scientifico, possono essere adottate le misure provvisorie di gestione del rischio necessarie per garantire il livello elevato di tutela della salute che la Comunità persegue, in attesa di ulteriori informazioni scientifiche per una valutazione più esauriente del rischio.”

Principio che, peraltro, governa la più complessiva materia della tutela ambientale in ambito unionale in forza di un’altra norma, ancor più cogente perché contenuta nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, al cui art. 191 si dispone che “la politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio ‘chi inquina paga’.”

Il Parlamento austriaco ha fatto proprio questo: pur in presenza di una situazione di, più o meno effettiva, incertezza sul piano scientifico, ha adottato le misure di gestione del rischio.

Siccome il rischio, nel caso di specie, è del livello ormai notorio – e che si ricorderà nelle prossime righe – le misure che in una situazione siffatta competono, anzi gravano su un’assemblea legislativa – quelle “necessarie per garantire il livello elevato di tutela della salute che la Comunità persegue” – non possono che essere drastiche: come quella che ha adottato Vienna. Come dovrebbe essere sempre quando la “possibilità di effetti dannosi per la salute” emerge in maniera sempre più concreta. E, nel caso del glifosato, quella possibilità ha assunto ormai da tempo le vesti sinistre di una elevata probabilità. Senza ripercorrere la storia, ormai lunga e sempre meno contrastata, delle evidenze e dei pronunciamenti scientifici sugli effetti nocivi di questa sostanza sulla salute umana (che annoverano, tra l’altro, anche una monografia dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro – IARC); senza indugiare sui numerosi e convergenti “precedenti giudiziari” del glifosato (di cui ci siamo più volte occupati su questo blog), qui è solo il caso di rammentare che appena pochi mesi fa è stato pubblicato un altro studio in tal senso. Si tratta di una meta-analisi dell’Università di Washington, ossia una ricerca particolarmente rilevante perché “fornisce l’analisi più aggiornata delle correlazioni tra glifosato e il linfoma non-Hodgkin, includendo uno studio del 2018 su oltre 54.000 persone che nelle loro attività lavorative utilizzano pesticidi autorizzati”, come ha spiegato Rachel Shaffer, co-autrice della ricerca. L’esito del lavoro scientifico in questione è difficilmente equivocabile: “Complessivamente, in accordo con le evidenze che vengono dagli studi sperimentali sugli animali e da quelli meccanicistici, la nostra attuale meta-analisi degli studi epidemiologici umani suggerisce un legame convincente tra esposizioni al Gbh (glifosato, ndr) e aumento del rischio di Nhl (linfoma non Hodgkin)”. Anche sulla base di queste ultime e autorevolissime evidenze scientifiche, appena qualche settimana fa, la Federazione internazionale di ginecologia e ostetricia – che collabora con l’Oms e ha un ruolo consultivo con l’Onu – ha pubblicato una dichiarazione con la quale chiede la messa al bando del glifosato nel mondo. Presa di posizione che – si legge – affonda le sue radici nei risultati emersi negli anni da numerosi studi scientifici; ma anche nello stesso principio di precauzione illustrato all’inizio di questo scritto. Insomma, è una massa sempre più ponderosa e concludente di dati scientifici. E tale deve averla ritenuta non solo il Parlamento austriaco, autore della decisione storica su citata; ma anche, e soprattutto, le Autorità della locomotiva d’Europa, la Germania, che proprio in questi giorni hanno approvato un piano che prevede progressive restrizioni nell’uso del glifosato per arrivare a una riduzione del 75% entro metà del 2023 e a un completo divieto unilaterale dalla fine di quell’anno, cioè alla scadenza dell’autorizzazione quinquennale concessa alla sostanza dalla Commissione Europea.

La decisione di Berlino risulta oltremodo emblematica se si considerano, tra l’altro, due elementi:

1. la Germania è la patria della Bayer, la società che ha incorporato poco più di un anno fa la Monsanto, la “madre” mondiale del glifosato nella forma del rinomato Roundup – operazione di mercato che, peraltro, non dovrebbe regalare ai suoi ideatori un posto nel Pantheon dei capitani più illuminati dell’industria germanica;

2. il rinnovo della licenza d’uso del glifosato su ricordato era stato rilasciato anche e soprattutto per il decisivo ruolo giocato nella vicenda dall’agenzia federale tedesca per la valutazione dei rischi, la Bfr, la quale avrebbe effettuato la valutazione del rischio seguendo peculiari protocolli scientifici nella stesura della propria relazione. Tipo il copia-incolla di oltre il 50% degli studi che i produttori, tra cui l’ovvia Monsanto, avevano presentato a sostegno della domanda di rinnovo dell’autorizzazione. In pratica, il controllato avrebbe scritto più della metà del parere rilasciato dal controllore. E alla fine il verdetto della Bfr è stato curiosamente favorevole. Oggi la Germania, ad appena due anni di distanza, dichiara di voler cambiare radicalmente rotta. Significherà qualcosa in ordine alla reale natura dell’oggetto della questione, ossia il glifosato. Anzi, significherà parecchio. Nel Belpaese, intanto, un mese fa è stata pubblicata la bozza del nuovo Piano d’azione nazionale per “l’uso sostenibile” dei pesticidi (Pan), con parecchi mesi di ritardo rispetto alla scadenza del primo Pan (febbraio 2019). Secondo i primi commenti, ad onta delle grandi aspettative che circondavano questo atto, si tratterebbe dell’ennesima montagna che ha prodotto il consueto topolino.

Ma a questo tema specifico toccherà dedicare qualche riga ad hoc a brevissimo».

Fonte: ilcambiamento.it

Terza condanna per la Bayer per i danni da RoundUp: il titolo crolla in Borsa

Il diserbante RoundUp, di cui quella che è oggi una “coppia” unita in matrimonio, Monsanto-Bayer, va così orgogliosa, ha portato alla multinazionale la terza condanna con risarcimenti a più zeri. E il titolo crolla in Borsa.

Tonfo di Bayer alla Borsa di Francoforte dopo che il colosso della chimica ha incassato una nuova sconfitta, la terza consecutiva, negli Stati Uniti, per il diserbante Roundup. Una giuria di Oakland, in California, ha condannato il gruppo tedesco a pagare oltre 2 miliardi di dollari a una coppia che ha usato Roundup per oltre 30 anni e ha contratto il cancro. I legali della coppia che ha sporto denuncia, Alva e Alberta Pilliod, avevano chiesto 55 milioni di dollari di risarcimenti (18 per Ava e 37 per Alberta) e un miliardo di dollari di ulteriori danni. La giuria, alla fine, si e’ spinta anche oltre: ha punito la società con una sanzione complessiva da 2,055 miliardi. Ha trovato che il Roundup e’ stato un “fattore significativo” nella malattia dei coniugi, un linfoma non-Hodgkin diagnosticato tra il 2011 e il 2015. E che il prodotto è “difettoso” e la societa’ non ha adeguatamente avvertito i consumatori dei rischi, agendo in modo negligente. I coniugi Pilliod, entrambi ultra-settantenni, avevano usato il Roundup per 35 anni nella loro proprieta’ nei pressi di San Francisco. Intanto il titolo di Bayer, che era arrivato a perdere fino al 7,4% in avvio di seduta, è affondato del 6,3% a 53,3 euro, il minimo da sette anni. Il segnale inviato dalla nuova condanna appare chiaro: la cifra scelta dai giurati (ma che la Corte potrebbe ridurre) è l’ottava di sempre nella classifica dell’esito di denunce simili contro prodotti ritenuti pericolosi. E i rischi per la casa farmaceutica aumentano caso dopo caso, con potenzialmente davanti altri 13.400 ricorsi legali in attesa di arrivare in aula da una costa all’altra degli Stat Uniti.

Bayer si è trovata alle prese con il Roundup dopo l’acquisizione da 63 miliardi di dollari del colosso agrochimico e biotech statunitense Monsanto avvenuta lo scorso giugno. Già due precedenti cause in California sono terminate con verdetti di responsabilità per danni rispettivamente da 78,5 milioni di dollari – lo scorso agosto, ridotto da un’iniziale condanna a pagare 289 milioni – e da 80 milioni in marzo. Il gruppo ha presentato appello in tutte le vicende.

La multinazionale, proprio in questo periodo, deve anche fare i conti con una rivolta interna degli azionisti per le ripercussioni della fusione con Monsanto. A fine aprile durante l’assemblea annuale sono fioccate critiche aperte ai vertici, con il 55% dei soci che ha rifiutato di approvare le azioni del management negli ultimi dodici mesi. Gli appelli a patteggiare per risolvere la rete di migliaia di ricorsi legali per danni si sono moltiplicati.

Il prossimo caso a finire in un’aula di tribunale sarà, in agosto, il primo fuori dalla California. Le udienza si terranno a St. Louis in Missouri, ex quartier generale di Monsanto e ora sede dell’attivita’ nelle sementi di Bayern. L’appello del primo caso perso da Bayer, portato da giardiniere Dewayne Johnson, dovrebbe inoltre cominciare entro fine anno.

Fonte: ilcambiamento.it

Il Tribunale della UE: l’Efsa renda pubblici gli studi sul glifosato

Il Tribunale dell’Unione Europea ha annullato le decisioni dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) che negavano l’accesso agli studi di tossicità e cancerogenicità del glifosato. Ora quegli studi devono essere resi pubblici.

Il glifosato è uno degli erbicidi più utilizzati a livello mondiale per il controllo delle erbe infestanti in agricoltura, orticultura, silvicultura e manutenzione del verde urbano. Nel marzo del 2015 l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Iarc) lo ha catalogato come “probabile cancerogeno per gli umani”. Ad aprile 2015 l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) è stata incaricata dalla Commissione Europea di prendere in considerazione le conclusioni dello Iarc ed effettuare una revisione nell’ambito del processo legale di rinnovo dell’autorizzazione dell’uso del glifosate in Europa. Contrariamente al rapporto Iarc, le ricerche di Efsa sono arrivate alla conclusione che è “improbabile che il glifosato possa costituire un pericolo cancerogeno per gli esseri umani”. I risultati opposti delle due valutazioni hanno generato, nei mesi seguenti, un duro dibattito tra esponenti delle due Agenzie circa la metodologia applicata nella determinazione della possibile cancerogenicità dell’erbicida. Sebbene le conclusioni dell’Efsa avrebbero permesso il rinnovo quindicennale della licenza per il glifosate da parte della Commissione Europea, a marzo 2016 il Comitato permanente su piante, animali, cibi e mangimi (Paff) non ha proceduto a tale rinnovo a causa dell’opposizione di alcuni paesi, tra cui l’Italia. Nell’aprile 2016 il Parlamento Europeo ha votato una risoluzione non vincolante che esortava, tra l’altro, la Commissione a rinnovare l’autorizzazione al commercio del glifosato per sette anni invece di quindici e limitatamente all’uso professionale. In ambito UE è stato quindi varato il Regolamento 1313/2016 che prevede misure di limitazione nell’uso di formulati a base di glifosato, ripreso in Italia dal Decreto 9 agosto 2016 che proibisce l’utilizzo dell’erbicida in luoghi di interesse pubblico (parchi, giardini, ecc) e ne vieta totalmente l’impiego per fini non agronomici. Nel frattempo l’Agenzia europea delle sostanze chimiche (Echa) nel marzo 2017 ha confermato la classificazione del glifosato come sostanza che può causare seri danni agli occhi, tossica per l’ambiente acquatico con effetti a lungo termine. In questo quadro di valutazioni anche contrastanti, un cittadino ed alcuni eurodeputati, appellandosi alle disposizioni della Convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni in materia ambientale, hanno fatto richiesta di accesso all’Efsa relativamente agli studi sulla tossicità e cancerogenicità del glifosate alla base delle sue valutazioni; tali studi, mai pubblicati, sono ritenuti infatti fondamentali per determinare la dose giornaliera ammissibile di glifosate, oltre a contenere risultati e analisi sulla cancerogenicità della sostanza attiva.

L’Efsa ha però negato l’accesso a tali studi perché, ha spiegato:

. la divulgazione di tali informazioni avrebbe danneggiato gli interessi commerciali e finanziari delle imprese autrici degli studi stessi,

. non esisterebbe, secondo Efsa, alcun interesse pubblico prevalente alla divulgazione di questo genere di informazioni
. gli studi non avrebbero fornito informazioni relative alle emissioni nell’ambiente, ai sensi della Convenzione di Aarhus

. l’accesso a tali studi non sarebbe servito per una valutazione scientifica dei rischi relativi al glifosate.
I ricorrenti si sono dunque rivolti al Tribunale dell’Unione europea per chiedere l’annullamento del rigetto. E il Tribunale ha dato torto all’Efsa, annullando la sua decisione di negare l’accesso agli studi effettuati.

Ha dunque stabilito che l’Efsa debba rendere pubblici tali studi in quanto “l’interesse del pubblico ad accedere alle informazioni sulle emissioni nell’ambiente è non solo quello di sapere che cosa è, o prevedibilmente sarà, rilasciato nell’ambiente, ma anche di comprendere il modo in cui l’ambiente rischia di essere danneggiato dalle emissioni in questione”. Per i giudici europei, infatti, il pubblico è tenuto ad essere informato sui rischi ambientali legati alla diffusione del glifosate. Gli studi di cui è stato chiesto l’accesso, per il Tribunale UE conterrebbero a tutti gli effetti informazioni “[riguardanti] emissioni nell’ambiente” ai sensi della Convenzione di Aarhus e l’Efsa non avrebbe quindi dovuto negarne la divulgazione.

Per il Tribunale l’interesse pubblico è dunque superiore a quello delle aziende (e meno male…), trattandosi di una sostanza che, nel suo utilizzo normale, è destinata ad essere rilasciata nell’ambiente, i suoi impatti prevedibili non sono solamente teorici, visto che i residui sono presenti nel cibo, nelle piante e nelle acque, ma reali; il pubblico deve accedere non solo alle informazioni sulle dispersioni ma anche a quelle sulle conseguenze a medio e lungo termine sull’ambiente, per esempio sugli organismi che non sono target primari della sostanza.

Fonte: ilcambiamento.it

Il batterio espiatorio

Discariche di rifiuti tossici, falde inquinate, fanghi di depurazione, terre e prodotti agricoli avvelenati, epidemie di polmonite e non solo; terre intrise di pesticidi, natura tutta messa a dura prova dai cambiamenti climatici, olivi disseccati. Ma la colpa di chi è? Dei batteri, di chi se no?

Nell’estate del 2018 in Italia abbiamo avuto un’epidemia di polmonite particolarmente violenta, in alcuni casi mortale. Non lo sapevate? Vi era sfuggito? Ve ne eravate dimenticati? E’ comprensibile, dato che i cosiddetti media mainstream, cioè quelli che vanno con la corrente, un’unica corrente come i condotti fognari, non hanno battuto la grancassa. E come mai non hanno battuto la grancassa della mortale pandemia, come invece facevano per ogni caso di morbillo vero o presunto, almeno fino a che c’è stata rivolta e polemica per la serqua di vaccini obbligatori con cui imbottire creature appena nate? Per lo stesso motivo: il direttore d’orchestra. Il quale ha alzato e agitato vigorosamente la bacchetta per il morbillo ecc., mentre l’ha abbassata intimando un “pianissimo” per la polmonite.

Proviamo a capire il perché di sinfonie tanto diverse per problemi apparentemente simili.

Nel settembre 2018, con temperature che si aggiravano sui 23-24 gradi, nella zona di pianura padana tra Brescia, Cremona e Mantova c’erano circa 600 persone con la polmonite, più di 200 erano state ricoverate, molte erano in terapia intensiva, 5 erano morte. L’epidemia è proseguita anche in ottobre ma la sorte degli altri non la conosciamo perché a quel punto l’orchestra si è azzittita del tutto. Una volta la polmonite era collegata alle temperature invernali, colpiva più nei climi freddi e la ragione è evidente: con il freddo l’apparato respiratorio è sottoposto ad un maggiore sforzo e subisce una maggiore minaccia. L’aria fredda inalata, in poche parole, non fa bene ai nostri polmoni e il loro sistema immunitario deve darsi da fare più del solito. Un’altra conoscenza un tempo di dominio pubblico era che di polmonite si moriva prima della scoperta degli antibiotici. Quante vite aveva salvato la penicillina! Quante volte l’abbiamo sentito dire ed era senz’altro vero. Ma l’epidemia di polmonite padana si è sviluppata in estate e gli antibiotici non hanno sempre funzionato. Come mai? Cosa è successo nella bassa bresciana, e in particolare tra Montichiari, Calvisano e Carpenedolo, per farlo diventare il triangolo della polmonite violenta e resistente ai medicinali usuali? La scienza medica nelle vesti della ASL è andata alla ricerca della risposta. Cosa ha cercato? Ma il batterio! Il batterio assassino.

L’umanità sviluppata e la sviluppata scienza del 2000 vedono nella natura, cioè nella vita, la fonte di tutti i mali, la nostra nemica numero uno. Forse perché noi siamo i suoi nemici e, come tutti i colpevoli, demonizziamo le nostre vittime. Perché, cos’è il batterio, infine? E’ l’origine di tutta la vita, e non si tratta di un particolare insignificante. I batteri sono i primi organismi viventi apparsi sul pianeta, più di 3 miliardi di anni fa. Se ne deduce logicamente che tutti noi siamo i loro eredi biologici, anche se molto alla lontana. Di batteri è pieno il nostro organismo, che senza di loro non potrebbe funzionare. Non solo i più conosciuti batteri della flora intestinale, che ci permettono di elaborare e assimilare il cibo, ma… udite, udite! Pare che ci siano batteri persino nei nostri cervelli. Batteri che forse presiedono a qualche funzionamento del cervello stesso, ancora non compreso dalla moderna scienza. Visto come sta funzionando il cervello di gran parte di noi umani all’apice del progresso, direi che quei batteri sono messi a dura prova.

Comunque sia, senza i batteri siamo tutti morti, ma non solo per quelli che ospitiamo direttamente. La vita del suolo e la sua fertilità, cioè tutto ciò che cresce sulla terra e che produce ossigeno, tutto ciò che coltiviamo e mangiamo non può prescindere dai batteri: sono loro che, insieme a insetti e funghi, trasformano in humus foglie morte, legni morti e… cacca. Sono loro che creano i presupposti per tutta la vita vegetale, che significa aria e cibo per tutti noi animali. Dunque? Ah, già, ci sono i batteri patogeni, cioè portatori di malattie. Batteri che possono essere veicoli di malattie, possono infettarci. Possono. Non sempre lo fanno, anzi non lo fanno quasi mai, altrimenti, dato che loro sono innumerevoli e noi molto meno, saremmo tutti morti o, per essere più precisi, se non fossimo resistenti anche ai batteri patogeni, non saremmo proprio mai esistiti. Dunque, quando ci infettano? Quando il nostro sistema immunitario non funziona bene, è debole o squilibrato o sovraffaticato. Ecco dunque la domanda che una scienza degna di questo nome avrebbe dovuto farsi: “Perché il sistema immunitario di una parte così ingente di abitanti della pianura padana tra Montichiari, Calvisano e Carpenedolo è talmente indebolito che, con temperature estive, 600 persone si ammalano di polmonite e, nonostante tutte le cure della moderna scienza medica e gli antibiotici a sua disposizione, alcune muoiono e buona parte fatica a guarire?”

Voi vi sareste posti il problema ma la ASL no. La ASL ha trovato qualche batterio di Legionella (dato che li ha cercati con tenacia, doveva trovarli per forza) e ha dato a loro la colpa di tutto. Il coro dei mediazombi ha cantato, appunto, in coro.

Da notare che meno del 10% dei pazienti con polmonite ospitava il batterio-(non)assassino.

E allora? Allora, niente.

Il fatto che l’epidemia si sia sviluppata nella zona più inquinata d’Italia (d’Europa? del mondo?) non conta per i suddetti individui delle varie categorie. Il fatto che in un comune di 23.000 abitanti, Montichiari, ci siano 21 discariche di rifiuti, in buona parte rifiuti tossici e speciali, non ha importanza nella ricerca delle cause di un’epidemia. Il fatto che 364.000 tonnellate di fanghi di depurazione ogni anno vengano trattati da impianti tra Lonato, Calcinato e Calvisano, e poi sversati in parte nei campi della zona, avvelenando terra e acqua (e anche l’aria non se la passa bene), non conta. Il fatto che la stessa ASL nel maggio 2017 sia stata costretta dal furore popolare a fare un’indagine epidemiologica sul territorio di Montichiari, i cui risultati erano che nel suddetto territorio si registra il 55% di morti in più per tumori delle vie respiratorie e il 23% in più di morti per patologie respiratorie (e la polmonite non è forse una patologia respiratoria?) sembra essere stato dimenticato dalla stessa ASL. E’ troppo scomodo incolpare i rifiuti tossici e speciali e il loro smaltimento inadeguato, che permette a dei mostri umani di guadagnare cifre stratosferiche di denaro; è ancora più scomodo incolpare il sistema che produce quelle montagne di rifiuti non biodegradabili, un sistema di cui tutti facciamo parte e che non vogliamo fare lo sforzo di cambiare, anche se ci sta uccidendo.

Meglio incolpare i batteri, allora. Per quelli bastano gli antibiotici. O no? Pare di no ma l’evidenza non conta. Conta quello che dice la scienza, nelle vesti della ASL. E che i mediaservi ripetono, amplificandolo fino al rintontimento. E’ colpa del batterio, cioè della maledetta vita. Non dei benedetti affari e affaristi, consumi e consumisti; dei dementi arraffatori speculatori mafiosiomeno e carrieristi di dutte le specie. Un batterio risolve sempre tutto! E già ce l’aveva dimostrato la famigerata Xylella, il batterio in questo periodo più famoso al mondo. Al quale hanno dato la colpa del Disseccamento Rapido degli Olivi, e in questo caso nonostante la scienza,  nelle vesti del professor Piero Perrino, ricercatore del CNR, ex direttore dell’istituto  del Germoplasma del CNR di Bari, docente all’Università di Birmingham e a quella di Bari (sappiamo che per i cultori della Scienza sono importanti i curricula, ma solo quando la scienza dice quello che fa comodo al business) dicesse, con argomentazioni particolareggiate e difficilmente confutabili, che gli olivi del Salento stanno morendo di avvelenamento da glifosato, quell’erbicida che è stato capace a suo tempo di far morire anche gli alberi della giungla vietnamita e milioni di bambini vietnamiti come effetto collaterale. E nonostante la scienza, nelle vesti di una ricerca commissionata dall’Unione Europea, abbia trovato il batterio (non) pernicioso solo in una metà delle piante ammalate.

La logica ci direbbe che, dove grandi quantità di glifosato vengono irrorate anno dopo anno, come succede in buona parte del Salento, per avere terreni trasformati in terra battuta, completamente nudi come sono quelli di molti uliveti pugliesi, tali quantità di glifosato basterebbero da sole a uccidere anche quelle creature straordinariamente resistenti e longeve che sono gli ulivi. Tuttavia, come l’araba fenice, essi risorgono dalle proprie ceneri (se gliene si dà la possibilità), ributtano nuovi rami e foglie ostinatamente. Non importa. Nonostante la logica, il buonsenso e una parte della scienza, oltre all’esperienza degli agricoltori e abitanti del Salento, dicano che non è il batterio a determinare il disseccamento degli ulivi, come se niente fosse si continua a colpevolizzare l’innocente. Che è presente in ogni prato e in ogni campo, ma sembra più difficile sia presente dove il glifosato viene sparso a vagonate.

Perché? Perché il povero batterio permette e promette lauti guadagni a un’ampia fetta dei già citati mostri umani, quegli adoratori del Dio Denaro a cui sacrificano ogni giorno vite innocenti. Altro che i sacrifici umani sugli altari degli Aztechi! Gli ulivi secolari sradicati (a spese di chi? A spese nostre) diventano combustibile per le centrali a biomasse: ed ecco i primi guadagni, sradicare e bruciare. E poi, udite, udite! Sono già pronti gli ulivi industriali brevettati della multinazionale Agromillora Group, “leader mondiale nel settore vivaistico” e grande sovvenzionatrice dell’Università di Bari nella ricerca di cultivar brevettate di cui si spartiranno felicemente i “diritti d’autore”.

Ulivi da coltivare a spalliera, che producono subito e muoiono dopo 15 anni; ogni 15 anni si devono ricomprare, pagando le royalties-mazzette ai pirati dell’agroindustria e ai loro manutengoli “scientifici”. Però, c’è un però: non hanno bisogno di manodopera, essendo rachitici e coltivati a spalliera. Una macchina con un essere umano può far tutto, potare, concimare, raccogliere. E allora questi “ulivi d’autore”, a cui si può dare tutto il veleno (sovvenzionato) che si vuole, tanto sono già moribondi appena nati, piacciono a una parte dei latifondisti, detti “agrari”, del sud. Che possono prendere i rimborsi (pagati da tutti noi) per gli ulivi spiantati, le sovvenzioni per quelli inadatti alla vita, e lasciare a casa qualche decina di operai. Benedetta xylella! Quanti divoratori del pianeta e delle nostre tasse mette d’accordo!

Peccato, un vero peccato che piccoli e medi agricoltori e i soliti ambientalisti fanatici degli alberi mettano sempre i bastoni tra le ruote. Neanche i batteri riescono a fermarli.

Fonte: ilcambiamento.it

Le acque italiane contaminate da 259 pesticidi

Il rapporto Ispra Ambiente fotografa la realtà delle acque italiane: oltre 35mila i campioni analizzati, 259 i pesticidi individuati, 400 quelli cercati. Il glifosato è l’erbicida che presenta il maggior numero di superamenti.42676245 - small stream with cristal water between the fields

Nelle acque superficiali, il glifosato, insieme al suo metabolita AMPA, è l’erbicida che presenta il maggior numero di superamenti. Purtroppo solo in 5 regioni si cercano glifosato e AMPA nei campioni di acque prelevati (nel biennio precedente erano monitorati solo in Lombardia). Eppure nel 2016 entrambe le sostanze risultano oltre le soglie rispettivamente nel 24,5% e nel 47,8% dei siti monitorati per le acque superficiali. Non mancano anche altri erbicidi, come il metolaclor, che supera i limiti nel 7,7% dei punti di monitoraggio e del suo metabolita metolaclor-esa, che tuttavia è ricercato solo in Friuli Venezia Giulia e che supera i limiti nel 16% dei siti, nonché del quinclorac, superiore ai limiti nel 10,2% dei casi. È chiaro che occorre estendere e uniformare le analisi. Nel complesso, salgono a quasi 400 le sostanze ricercate in Italia. La situazione è differente tra regione e regione. In generale, sono stati 35.353 i campioni di acque superficiali e sotterranee analizzate in Italia nel biennio 2015-2016, per un totale di quasi 2 milioni di misure analitiche e 259 sostanze rilevate (erano 224 nel 2014). Nel 2016, in particolare, sono stati trovati pesticidi nel 67% dei 1.554 punti di monitoraggio delle acque superficiali e nel 33,5% dei 3.129 punti delle acque sotterranee, con  valori superiori agli SQA nel 23,9% delle acque superficiali e nel 8,3% delle acque sotterranee. Gli erbicidi, in particolare, rimangono le sostanze riscontrate con maggiore frequenza principalmente per le modalità ed il periodo di utilizzo che ne facilita la migrazione nei corpi idrici, ma aumenta significativamente anche la presenza di fungicidi e insetticidi. Tutti quest dati sono contenuti nell’ultimo Rapporto Ispra  “Pesticidi nelle Acque”, che in questa edizione presenta i risultati relativi al biennio 2015-2016  sulla base dei dati provenienti dalle Regioni e dalle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente. Nelle acque sotterranee, 260 punti (l’8,3% del totale) hanno concentrazioni superiori ai limiti. Anche in questo caso le sostanze che maggiormente hanno superato il limite sono gli erbicidi atrazina desetil desisopropil, glifosato e AMPA, bentazone e 2,6-diclorobenzammide, l’insetticida imidacloprid, i fungicidi triadimenol, oxadixil e metalaxil. La maggior presenza di pesticidi si riscontra nella pianura padano-veneta, dove le indagini sono generalmente più approfondite (in termini di numerosità dei campioni e di sostanze ricercate); nelle regioni del nord, infatti, si concentra più del 50% dei punti di monitoraggio della rete nazionale. Nel resto del paese la situazione resta ancora abbastanza disomogenea: non sono pervenute, infatti, informazioni dalla Calabria e in altre Regioni la copertura territoriale è limitata, così come resta limitato, nonostante l’aumento, il numero delle sostanze ricercate. Sempre a livello regionale, la presenza dei pesticidi interessa oltre il 90% dei punti delle acque superficiali in Friuli Venezia Giulia, provincia di Bolzano, Piemonte e Veneto, e più dell’80% dei punti in Emilia Romagna e Toscana. Supera il 70% in Lombardia e provincia di Trento. Nelle acque sotterrane è particolarmente elevata in Friuli 81%, in Piemonte 66% e in Sicilia 60%. Si precisa che dove il dato è superiore alla media, c’è stata un’ottimizzazione del monitoraggio in termini di punti di prelievo, che si concentrano in modo particolare nelle aree dove vi è più presenza di pesticidi, nonché in termini di numero di sostanze analizzate oltre che di miglioramento delle prestazioni analitiche. Si segnala, dopo oltre dieci anni di diminuzione, un’inversione di tendenza nelle vendite di prodotti fitosanitari, che nel 2015 sono state pari a 136.055 tonnellate, anche se inferiori alle 150.000 del 2002 (anno in cui si è avuto il massimo). La media nazionale delle vendite riferite alla Superficie Agricola Utilizzata (SAU) è pari a 4,6 kg/ha. Si collocano al di sopra: Veneto con oltre 10 kg/ha, Provincia di Trento, Campania ed Emilia Romagna che superano gli 8 kg/ha e Friuli-Venezia Giulia 7,6 kg/ha. Nel periodo 2003-2016, oltre al numero delle sostanza trovate, sono aumentati anche i punti interessati dalla presenza di pesticidi che sono cresciuti di circa il 20% nelle acque superficiali e del 10%  in quelle sotterranee. La ragione va cercata nel’aumento dello sforzo di monitoraggio e della sua efficacia, ma anche nella persistenza delle sostanze e nella risposta complessivamente molto lenta dell’ambiente, in particolare nelle acque sotterranee. Infine, i piani di monitoraggio vengono redatti sulla base dell’analisi delle pressioni: di conseguenza, i fitosanitari vengono ricercati e molto spesso trovati prevalentemente in corpi idrici a rischio per le diffuse pressioni agricole.

Fonte: ilcambiamento.it

 

 

Ludmila, la bambina con il glifosato nel sangue

La storia di Ludmila Terreno, una piccola di appena due anni che vive a Bernardo de Irigoyen, in Argentina. Da più di un mese la bambina lotta fra la vita e la morte: i medici hanno trovato tracce di glifosato nel suo sangue. Tutto il paese dove vive è avvelenato dai pesticidi di un’azienda che opera nella zona. Roberto Schiozzi, vicino e fondatore del Centro Ecologico del Paranà di Coronda, ha rilasciato delle dichiarazioni alla stazione radiofonica Aire de Santa Fe: Schiozzi ha accompagnato la famiglia Terreno a presentare la denuncia al Tribunale della zona.glifosato

Intervistato sul caso di Ludmilla, ha detto che “la famiglia della bambina mi ha chiesto una mano per avviare un’azione legale e cercare protezione. Non ci ho pensato un attimo e mi sono messo a disposizione non è possibile che per dimostrare che ci stanno uccidendo dobbiamo prima morire!”.

La modesta abitazione della famiglia Terreno confina con il deposito di pesticidi dell’azienda José Pagliaricci. Qui è immagazzinato del glifosato, come quello contenuto nel Round Up, proibito nelle aree urbane. A novembre dell’anno scorso, la bambina è stata ricoverata per trenta giorni a causa di perdita di peso e disidratazione, quando è stata vittima di gravi attacchi di vomito. Questo ha messo in allerta i suoi familiari che l’hanno subito fatta trasferire al SAMCO di Barrancas e poi all’ospedale pediatrico di Santa Fe. Qui le è stata diagnosticata la presenza di glifosato nel sangue.

Con l’elevata probabilità di contrarre la leucemia, cosa che gli specialisti ritengono possibile, la piccola Ludmila sta lottando per riprendersi. “Sono due anni che questo paesino è cambiato, oggi gli interessi economici decidono il suo destino. Fa male vedere come ci avvelenano ogni giorno sotto gli occhi delle autorità politiche, credo che la vita abbia perso valore”, ha detto Schiozzi.deposito

La reazione del Pubblico Ministero Jorge Nessier è stata confortante: “Per fortuna abbiamo avuto una risposta positiva da parte del giudice, che si è messo subito all’opera. Per prima cosa hanno provveduto alla raccolta di prove mediche e di campioni di terreno infetto, speriamo che nei prossimi giorni arrivino notizie positive”.

“Il deposito della Pagliaricci deve chiudere, c’è un quartiere confinante ad alto rischio, come tutti noi, è una pazzia che questa gente lavi le macchine per spruzzare i pesticidi qui. Questo problema non si risolve con delle multe, ma con dei divieti  e dei controlli seri”.

Tutti gli abitanti del paese sono vicini alla famiglia Terreno: Ludmila è diventata il simbolo della resistenza di Bernardo de Irigoyen, dove vogliono tornare a vivere senza essere avvelenati.

Qui l’articolo originale.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/02/ludmila-bambina-glifosato-sangue/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Mangiare bio ci ripulisce dai pesticidi

Mangiare per quindici giorni cibi biologici riduce drasticamente i livelli di pesticidi nelle urine, cioè ci disintossica e ci ripulisce dalle sostanze chimiche tossiche che ingeriamo con i cibi convenzionali: a confermarlo un esperimento del progetto “Cambia la terra”, a cui è stato dato il nome di #ipesticididentrodinoi.9707-10480

Lo aveva già fatto Coop Svezia nel 2015: aveva seguito una famiglia che in tavola aveva messo cibi biologici e aveva visto crollare i livelli di pesticidi nel corpo. Ora in Italia l’esperimento è stato ideato e condotto su una famiglia romana dal progetto “Cambia la terra”, ideato da Federbio e che vede la collaborazione di altri enti e realtà del biologico. La campagna, che ha preso il nome di #ipesticididentrodinoi, ha avuto un esito più che positivo e dopo due settimane di alimentazione a base di cibi biologici la famiglia seguita, formata da due adulti e due bambini, ha riscontrato il crollo dei livelli di pesticidi nelle urine.

I risultati

La maggior parte delle sostanze inquinanti analizzate sono diminuite, in alcuni casi azzerate, come appare evidente dai grafici elaborati dal laboratorio di analisi di Brema a cui ci siamo rivolti per avere i dati precisi e trasparenti. Ad aver ottenuto i risultati più importanti sono Giacomo, 7 anni, e il papà Giorgio (47 anni). Bene anche Marta (46 anni), la mamma. Su Stella, 9 anni, la dieta bio ha migliorato alcuni parametri, ma sembra aver avuto effetti meno immediatamente visibili che per il resto della famiglia. Ecco quindi la grandissima valenza del biologico, che ha ormai dimostrato di avere un impatto estremamente positivo sull’ambiente e sulla salute umana. Purtroppo, infatti, ogni giorno sulle nostre tavola arriva chimica pericolosa sulle nostre tavole, con inquinaneti che si accumulano nel nostro organismo boccone dopo boccone.grafici_post-dieta-s

GLIFOSATO

Un successo su tutta la linea. Scompare totalmente dalle analisi dei tre membri della famiglia che erano risultati contaminati dal diserbante prima della dieta. Giorgio aveva una quantità più che doppia di glifosato nelle urine rispetto alla media della popolazione di riferimento: 0,26 microgrammi per litro rispetto a una media generale di 0,12 microgrammi per litro di urine. Dopo soli 15 giorni l’inquinante precipita al di sotto del minimo misurabile. Anche i valori di Giacomo erano abbastanza elevati, 0,19 microgrammi per litro. Dopo la dieta bio, il glifosato è sotto la soglia della misurabilità. Per Stella ottimi risultati: il glifosato nelle sue analisi post dieta non si rileva. Era partita da un valore un po’ superiore rispetto alla media. Marta, prima della dieta bio, era la sola a registrare livelli troppo bassi per essere rilevati.

Anche se permangono incertezze e polemiche, la comunità scientifica indipendente ha definito il glifosato come cancerogeno per gli animali e probabilmente cancerogeno per l’uomo. Studi ancora in corso stanno confermando anche un’azione del glifosato sul normale funzionamento endocrino. Le ricerche confermano disfunzioni ormonali e danni a fegato e reni, alterazione della flora batterica intestinale.

CLORPIRIFOS

Diminuisce decisamente in tre dei membri della famiglia. Si tratta di un insetticida che provoca tra l’altro – secondo studi validati dalla comunità scientifica – disturbi nella funzione cognitiva. Era quindi particolarmente preoccupante per Giacomo, 7 anni, che nelle prime analisi aveva un livello particolarmente più alto rispetto a quello della media della popolazione di riferimento: oltre 5 microgrammi di clorpirifos per grammo di creatinina, un valore di 3 volte superiore rispetto alla media della popolazione che per i bambini è 1,5 microgrammi/g. Dopo la dieta la concentrazione dell’inquinante scende a un valore vicino alla media. Le analisi di Marta registravano ben 4,8 microgrammi/gr rispetto alla media della popolazione adulta di riferimento di 0,7 microgrammi per grammo di creatinina (la media nella popolazione adulta è più bassa). Per lei, i valori post dieta, pur mantenendosi superiori alla media della popolazione di riferimento, si riducono di circa il 75%. Niente clorpirifos invece nelle analisi dopo la dieta di Giorgio. Quindici giorni prima le quantità erano alte: 2,5 microgrammi/g. Per Stella, la bambina di 9 anni, invece, il valore del clorpirifos era in partenza relativamente elevato. Non scende, dopo la dieta, a differenza di quello che succede al resto della famiglia. Non è facile spiegare questa differenza: un piccolo ‘sgarro ‘ alimentare, ma forse anche solo l’essere venuta a contatto con l’insetticida in forma domestica, in casa di amici o in un’area pubblica. O più semplicemente, una diversa capacità personale di assorbimento e rilascio. Il clorpirifos è presente nei principali prodotti utilizzati nell’agricoltura chimica per combattere gli insetti infestanti. Agisce sul sistema nervoso centrale, sul sistema circolatorio e respiratorio. Può provocare interferenze nel normale sviluppo del feto e disturbi della memoria e dell’attenzione e difficoltà di apprendimento di diversa gravità.

PIRETROIDI

Sono insetticidi di sintesi utilizzati nella lotta agli insetti. Nella analisi di laboratorio si trovano cercando due metaboliti, due prodotti del processo di assimilazione: si chiamano Cl2CA e m-PBA. Stella aveva in precedenza quantità molto superiori alla media della popolazione infantile (1, 8 microgrammi/g contro 0,4) per la molecola Cl2CA: un vero picco rispetto agli altri membri della famiglia. Dopo i 15 giorni bio, il valore si è ridotto di oltre quattro volte: ora è attorno alla media. La molecola m-PBA, in precedenza in quantità tre volte superiori alla media di 0,5 microgrammi, dopo la dieta è diminuita nettamente uniformandosi ai livelli medi della popolazione di riferimento. In Giacomo, entrambi i metaboliti prima della dieta bio erano superiori rispetto alla popolazione di riferimento. CL2CA scende da 0,8 microgrammi/g fino sotto la soglia di rilevabilità mentre mPBA si riduce del 70%, avvicinandosi alla media della popolazione. Giorgio vede tutte e due le molecole – presenti prima della dieta anche se con valori non particolarmente elevati- scendere rispettivamente al di sotto della soglia di rilevabilità il primo e di oltre il 60% il secondo. Buone notizie dopo la dieta bio anche per Marta soprattutto per quello che riguarda la presenza del metabolita m-PBA, che prima si avvicinava a 3,5 microgrammi/g (solo nel 5% della popolazione di riferimento si trova un valore così alto), dopo 15 giorni è sceso sotto la media di riferimento che per gli adulti è 0,7 microgrammi/g. I piretroidi. Sono utilizzati come pesticidi ad ampio spettro. Possono provocare soprattutto disturbi dell’apprendimento, danni al sistema nervoso, al fegato, al cuore, all’apparato digerente e sul sangue. Non ci sono, per quanto riguarda il corpo umano, limiti stabiliti di contaminazione da pesticidi, a differenza di quello che accade ad esempio nei cibi, dove si effettuano analisi per verificare le tracce di pesticidi.  Il laboratorio specializzato tedesco che ha eseguito le analisi ha però fornito le medie della presenza delle sostanze individuate rispetto a una popolazione di riferimento, stabilita in base a studi pubblicati e a precedenti analisi svolte dallo stesso laboratorio.

GLI STEP DELLA CAMPAGNA

«Il primo step della campagna #ipesticididentrodinoi è stato rintracciare un laboratorio di analisi che potesse realizzare questa ricerca-target sui composti chimici individuati dal comitato scientifico di Cambia La Terra» spiega la portavoce Maria Grazia Mammuccini.

Al laboratorio Medizinisches Labor Bremen (MLHB) sono stati inviati quattro campioni di urine – uno per ogni componente della famiglia D. – prima dell’inizio del periodo di dieta 100% bio e in seguito quattro campioni per ciascuno al termine dell’esperimento. Nei campioni vengono misurate le quantità di 4 composti specifici: glifosato, clorpirifos e due metaboliti dei piretroidi, il Cl2CA e m-PBA. Si tratta di sostanze che entrano nella composizione di pesticidi ed erbicidi largamente utilizzati, accumulati nei suoli e nell’acqua di falda. La ridotta velocità di eliminazione dagli ecosistemi e anche dal corpo umano li rendono rintracciabili – in percentuali diverse a seconda del soggetto – nella gran parte della popolazione mondiale.

Il laboratorio

Il Medizinisches Labor Bremen (MLHB), fondato a Brema in Germania nel 1961, è uno dei più grandi laboratori indipendenti specializzati nell’esecuzione di test mirati e selettivi in Germania e in Europa. Si avvale delle competenze di 7 medici specialisti e del know-how di circa 270 collaboratori, di cui 9 accademici. Il laboratorio, certificato DIN EN ISO 15189 e 17025, è attivo nei seguenti settori: biologia medica, microbiologia medica, biochimica e medicina ambientale.

Fonte: ilcambiamento.it

Glifosato, via libera Ue per altri 5 anni. “Un regalo alle multinazionali”

Sì al glifosato per altri cinque anni. Così si è espressa la maggioranza degli Stati membri dell’Unione europea prorogando l’utilizzo dell’erbicida attualmente più utilizzato in agricoltura e classificato dallo Iarc come “probabilmente cancerogeno”. Tra i voti contrari quello dell’Italia. Dopo il mancato accordo del 9 novembre, una maggioranza qualificata degli Stati membri dell’Unione Europea ha prorogato per 5 anni l’utilizzo del glifosato. Hanno votato a favore Bulgaria, Repubblica Ceca, Danimarca, Germania, Estonia, Irlanda, Spagna, Lettonia, Lituania, Ungheria, Olanda, Polonia, Romania, Slovenia, Slovacchia, Finlandia, Svezia e Regno Unito. Contrari si sono dichiarati invece Italia, Belgio, Grecia, Francia, Croazia, Cipro, Lussemburgo, Malta e Austria e il Portogallo si è astenuto. La Commissione europea pubblicherà il rinnovo formale della licenza per il glifosato nell’Ue.

“Il voto odierno è un regalo alle multinazionali agrochimiche, a scapito di salute e ambiente. Bene comunque il voto contrario dell’Italia che ha dimostrato nuovamente di dare priorità alla tutela delle persone, e non al fatturato di chi produce e commercia il glifosato”, ha dichiarato Federica Ferrario, responsabile Agricoltura di Greenpeace Italia, commentando l’approvazione della proposta della Commissione europea sul rinnovo per altri cinque anni del glifosato.glyphosate_-certification_farming-field-1

La proposta della Commissione Ue, scrive Greenpeace in un comunicato, è basata su una dubbia valutazione del rischio sul glifosato, che afferma che non vi sono prove sufficienti su un legame della sostanza al rischio di cancro, nonostante l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) lo abbia classificato come “probabilmente cancerogeno” per le persone. Allo stato attuale, continua l’associazione ambientalista, nessuno può affermare con certezza che il glifosato sia sicuro, specie dopo le rivelazioni che stanno continuando a emergere grazie ai cosiddetti “Monsanto Papers” e lo scandalo del “copia-incolla”, relativo a parti del rapporto dell’EFSA sui rischi dell’uso del glifosato copiate dalla richiesta di rinnovo dell’autorizzazione di Monsanto. Con il rinnovo della licenza dell’erbicida glifosato la Commissione europea e molti governi hanno “tradito la fiducia dei cittadini”, ignorando “gli avvertimenti di scienziati indipendenti, le richieste del Parlamento europeo e la petizione firmata da oltre un milione di persone che chiedono il divieto del glifosato”. Così la direttrice delle politiche alimentari di Greenpeace EuropaFranziska Achterberg ha commentato il voto con cui i paesi Ue hanno approvato la riautorizzazione del glifosato.

“Anche se solo per cinque anni, oggi si è persa l’occasione di sbarazzarsi di una sostanza pericolosa“, si legge in una nota diffusa da Friends of the Earth, mentre l’associazione Heal sottolinea che “il prezzo sarà pagato dalle future generazioni”.pesticides_field_guys_735_350-735x350

“La proroga di cinque anni per un erbicida sospetto di cancerogenicità – commenta Maria Grazia Mammuccini. Portavoce della Coalizione italiana StopGlifosato – è la negazione totale del principio di precauzione su cui sono nate le politiche di tutela ambientale e della salute dell’Unione Europea. Il comitato che ha esaminato la richiesta ha concesso la proroga soprattutto grazie al fatto che la Germania si è schierata a favore dei 5 anni. Una brutta pagina anche per il governo tedesco, che lascia pensare al fatto che dopo l’acquisizione di Monsanto da parte della Bayer, il governo di Berlino pensi alla protezione dell’ambiente e della salute in maniera nettamente più tiepida che in passato”. Secondo la Coalizione “il rinnovo dell’autorizzazione all’uso del glifosato per altri 5 anni rappresenta una autentica truffa ai danni dei cittadini europei e dell’ambiente”.

Per Slow Food, che fa parte della Coalizione StopGlifosato, “L’ambiente e l’Europa perdono un’occasione storica. Il voto mostra come la maggior parte dei governi europei non abbia rispettato il volere di oltre un milione di cittadini europei che aderendo all’European Citizens Initiative (Ice) intendevano eliminare l’erbicida dal sistema alimentare e dall’ambiente. Inoltre, il fatto che gli Stati Membri non fossero riusciti a raggiungere un accordo nei numerosi incontri precedenti potrebbe aver spinto la Commissione a decidere per il rinnovo. Unica consolazione quella che, mentre a livello politico si è deciso di continuare a impiegare il famoso erbicida, diverse città e stati hanno scelto autonomamente di restringere il campo di applicazione del glifosato, il principio attivo del diserbante Roundup della Monsanto”.

In Italia resta il divieto di uso del glifosato nelle aree frequentate dalla popolazione o da “gruppi vulnerabili” quali parchi, giardini, campi sportivi e zone ricreative, aree gioco per bambini, cortili ed aree verdi interne a complessi scolastici e strutture sanitarie, ma anche in campagna in pre-raccolta “al solo scopo di ottimizzare il raccolto o la trebbiatura”. È  quanto afferma la Coldiretti nel sottolineare gli effetti del decreto del Ministero della Salute in vigore dal 22 agosto del 2016 che non vengono modificati dalla decisione dell’Unione Europea di rinnovare per 5 anni la licenza di utilizzo. L’Italia deve porsi all’avanguardia nelle politiche di sicurezza alimentare nell’Unione Europea e fare in modo che – sottolinea la Coldiretti – le misure precauzionali introdotte a livello nazionale riguardino coerentemente anche l’ingresso in Italia di prodotti stranieri trattati con modalità analoghe come il grano proveniente dal Canada dove viene fatto un uso intensivo di glifosato proprio nella fase di preraccolta”.

Un principio che – continua la Coldiretti – deve essere ben evidenziato anche nell’ambito dell’accordo di libero scambio tra Unione Europea e Canada (CETA) dove al contrario si prevede invece l’azzeramento strutturale dei dazi indipendentemente dagli andamenti di mercato. Circa un miliardo di chili di grano – conclude la Coldiretti – sono infatti sbarcati lo scorso anno dal Canada dove viene fatto un uso intensivo di glifosato nella fase di pre-raccolta per seccare e garantire artificialmente un livello proteico elevato.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/11/glifosato-via-libera-ue-5-anni-regalo-multinazionali/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Grano canadese contaminato: maxi-sequestro a Bari

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Grano canadese contaminato. La scoperta dei Carabinieri forestali ha portato al sequestro di 50mila tonnellate di prodotto importato. Le sostanze contaminate sarebbero finite in pasta e pane nostrani…

Non è la prima volta che ne parliamo, purtroppo. Il grano canadese che importiamo in Italia contiene spesso livelli molto elevati di micotossine, sostanze tossiche che possono danneggiare l’organismo. Questo perché i livelli massimi ammessi di tali sostanze cambiano a seconda della regolamentazione del Paese produttore. E il Canada ha una soglia di sicurezza molto più alta della nostra. Ieri a Bari, un nuovo sequestro. Decine di migliaia di tonnellate di grano, che sarebbero finite nella pasta e nel pane che mangiamo ogni giorno, sono state bloccate. Oggi ci è andata bene, quindi. Ma cosa succederà se verrà approvato il CETA, trattato di libero scambio che l’UE vuole stringere con il Canada?

Micotossine nel grano canadese: il maxi-sequestro

Partiamo dalla vicenda barese. Lo scorso 8 giugno, ha attraccato nel porto di Bari la Cmb Partner, nave proveniente da Vancouver, in Canada, dopo più di un mese di navigazione. Al suo interno, un carico di grano da 50mila tonnellate. Per provare a immaginare la quantità di prodotto, sappiate che per trasportarlo a panifici e pastifici italiani sarebbero occorsi circa 1.600 autoarticolati. I Carabinieri forestali, però, hanno bloccato lo scarico e la commercializzazione. La ragione? Dopo le prime analisi effettuate, i militari avrebbero rinvenuto sostanze nocive in misura maggiore rispetto ai limiti consentiti dalla legge. Il maxi-sequestro sarebbe avvenuto grazie anche all’intervento di Coldiretti Puglia, che ha organizzato un blitz all’uscita del Varco della Vittoria, da dove sbarcano carichi di grano importati da tutto il mondo. Questo almeno è il resoconto di Marco Mangano su La Gazzetta del Mezzogiorno. Che ci ricorda anche l’allarme lanciato da Coldiretti proprio sul grano canadese: per l’associazione, il prodotto è “sotto accusa di continuo“. Le ragioni principali sono due. Innanzitutto per le irregolarità riscontrate più volte sui residui di deossinivalenolo, sostanza conosciuta anche come Don o vomitossina. Si tratta di una pericolosa micotossina che può provocare disturbi anche gravi. La seconda rimostranza riguarda invece l’impiego di glifosate. Il diserbante, che noi tutti conosciamo, sarebbe impiegato in modo intensivo in Canada, nella fase di pre-raccolta. Una pratica che in Italia è vietata.

Grano canadese e concorrenza sleale

L’impiego del glifosate, oltre a destare preoccupazione dal punto di vista ambientale e per la sicurezza alimentare, offrirebbe poi un indebito vantaggio ai produttori stranieri su quelli italiani. Ecco perché Coldiretti Puglia parla di ‘guerra del grano’. Se le aziende agricole estere possono impiegare questo tipo di prodotti chimici, è l’accusa, hanno anche un vantaggio in termini di quantità finali raccolte. Una pratica che abbatte i costi, rendendo insostenibile l’agricoltura nostrana, fatta di limiti di legge più restrittivi a favore della tutela dei consumatori. Secondo il rapporto sui residui di prodotti fitosanitari del Ministero della Salute, i campioni cereali di importazione ‘irregolari’ sono risultati circa 3 volte più numerosi rispetto a quelli italiani. Secondo i dati divulgati l’8 giugno, lo 0,8% dei campioni stranieri sono irregolari dal punto di vista dei limiti di residui di pesticidi. La percentuale scende invece allo 0,3% per i campioni nazionali. La preoccupazione di Coldiretti e produttori italiani è che il Ceta peggiori ulteriormente la situazione. Il Ceta è il Comprehensive economic and trade agreement, accordo di libero scambio tra Unione Europea e Canada. Accordo “contro il quale la Coldiretti si dice pronta a scatenare una mobilitazione per scongiurare il paventato azzeramento strutturale dei dazi“.

Fonte: ambientebio.it