Armi chimiche dalla Siria, il 2 luglio il trasbordo a Gioia Tauro

Lo ha annunciato il ministro degli Esteri Mogherini, il 2 luglio inizierà il trasbordo

Mentre Guardia di Finanza e Autorità portuali calabresi si prodigano in continui sequestri di cocaina (questa mattina 100kg nascosti tra le banane in un cargo proveniente dall’Equador) il porto di Gioia Tauro (RC) attende con ansia l’arrivo della nave cargo danese Ark Futura, che porterà in Calabria le armi chimiche provenienti dalla Siria. L’arrivo di Ark Futura è previsto per la serata del 1 luglio mentre all’alba del 2, ha spiegato proprio oggi il ministro degli Esteri Federica Mogherini da Copenhagen, comincerà il trasbordo dell’arsenale chimico di Assad sulla nave americana Cape Ray.

Il ministro ha anche spiegato che, contrariamente alle promesse fatte, non potrà essere presente:

“Avevo assicurato che sarei stata presente sia per assistere alle operazioni di trasbordo sia per rassicurare sulla totale sicurezza dell’operazione, ma la coincidenza dei due eventi lo rende impossibile. […] Questa è l’unica operazione positiva e riuscita che c’è stata sulla scena siriana e potrebbe aprire scenari ulteriori di disarmo e di non proliferazione nella regione.”

La nave americana è salpata, spiegano fonti americane, da Rota, Spagna, un paio di giorni fa. Secondo il portavoce del Pentagono John Kirby, il trasferimento all’interno del porto durerà ”diversi giorni”, anche se (secondo quanto comunicato ai Sindaci della piana di Gioia Tauro)l’operazione dovrebbe essere completata in meno di 24 ore:

“Terminato il trasbordo la Cape Ray lascerà Gioia Tauro per le acque internazionali per cominciare la neutralizzazione degli agenti chimici mediante i “field deployable hydrolysis system” a bordo. […] la neutralizzazione sarà condotta in modo sicuro e nel rispetto dell’ambiente. Nessun residuo di questa operazione verrà rilasciato in mare.”

Leggi: come si smantellano le armi chimiche?

Nonostante le rassicurazioni però a Gioia Tauro e nella piana il clima tra la popolazione, scarsamente e malamente informata, è di grande scetticismo; l’associazione Cittadinanza democratica di Gioia Tauro critica l’assenza di comunicazioni non solo ai sindaci e agli enti locali, ma anche alla stessa popolazione della piana di Gioia Tauro:

“E’ ovvio che un disarmo non può essere minimizzato come fosse un’operazione di routine, perché obiettivamente, non lo è, e lo conferma il fatto che nessun altro passaggio di sostanze pericolose, finora, ha mai avuto necessità di essere affiancato da un simile dispiegamento di forze militari.”

afferma l’associazione, citata dal Corriere della Sera. Il malcontento serpeggia anche tra i sindaci e in numerose associazioni civiche ed ambientaliste, che appunto lamentano l’assenza di informazioni in nome del “segreto militare”, che qui in Calabria conoscono bene.

Fonte: ecoblog.it

Porto di Gioia Tauro, il potere delle cosche tra navi e veleni

Le ecomafie nel porto di Gioia Tauro continuano a fare affari d’oro. Secondo Wikileaks “ci sono occhi dappertutto”ITALY-SYRIA-CHEMICAL-WEAPONS

Il porto di Gioia Tauro è, gloriosamente, il più grande terminal per trasbordo di tutto il mar Mediterraneo e lo scalo merci principale lungo l’asse America-Europa-Medio Oriente: a Gioia Tauro transita di tutto, solo nel 2011 sono stati 2.300.000 i container movimentati in questo porto (nel 2007 oltre 3 milioni), dai beni alimentari alla cocaina, dai materiali d’importazione ai rifiuti tossici. Nel porto di Gioia Tauro giungeranno le armi chimiche provenienti dall’inferno siriano.

L’importanza di Gioia Tauro, la sua posizione e il volume d’affari di questo grande porto, è legata a doppio filo con traffici che di etico hanno ben poco: controllato storicamente dalla cosca Piromalli-Molè, gli affari nel porto di Gioia Tauro vanno avanti ininterrotti (con qualche lieve disturbo) già dai primi anni ‘80, ma è nell’ultimo decennio del “secolo breve” che i soldi veri, e i traffici seri, hanno creato il valore criminale intrinseco di questo enorme porto del sud. L’Operazione Decollo del 2004, ad esempio, portò alla luce il traffico di droga che dalla Colombia arrivava al cuore dell’Europa, passando (per l’80% del volume totale) proprio da Gioia Tauro: un crocevia che non ha riguardato solo il mercato degli stupefacenti ma anche merci contraffatte di vario genere e rifiuti tossici. In una drammatica relazione del 2008 della Commissione parlamentare Antimafia si descrive come la ‘ndrangheta

“controlli o influenzi gran parte dell’attività economica intorno al porto e utilizza l’impianto come base per il traffico illegale. […] è legittimo effettivamente affermare che la malavita ha eliminato la concorrenza di società non controllate o influenzate dalla mafia nella fornitura di beni e servizi, eseguire lavori di costruzione e di assunzione di personale. E che ha gettato un’ombra sul comportamento del governo locale e altri organismi pubblici.”

Nella relazione del 2004 a Gioia Tauro viene invece dedicato un capitolo intero, che potete consultare qui da pagina 89. Il primo terminal per il transhipment del Mediterraneo, a soli 70km dal capoluogo calabrese, garantisce alle cosche di agire all’interno di un tessuto criminale talmente vasto da rendere complicatissime indagini e scoperte sulle attività criminali nel porto: trovare container “particolari” su di una banchina ove ogni anno ne vengono movimentati oltre 2 milioni è come cercare un albero in Islanda: solo nel 2009 furono settemilaquattrocento le tonnellate di rifiuti sequestrati dalle autorità italiane. Gioia Tauro è l’ultima pista seguita in Italia dalla giornalista Ilaria Alpi, morta in circostanze misteriose a Mogadiscio mentre camminava sul filo dei veleni che unisce l’Italia all’Africa subsahariana: un fenomeno, quello dei traffici di veleni tra Italia ed Africa (Nigeria, Somalia ed Etiopia in particolare), ancora oggi poco chiaro, sommerso come un iceberg nell’omertà delle cosche e del segreto di Stato. Le ‘ndrine reggine, compresi i Piromalli, offrono un servizio di brokeraggio rifiuti economico e efficace, in tutta Italia, in tutta Europa: da sempre grandi quantità di rifiuti tossiconocivi transitano dalle banchine di Gioia Tauro per sparire nel profondo blu del Mediterraneo.

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Nel 2008 un’operazione dei Carabinieri del NOE dimostrò come ingenti quantitativi di materie plastiche tossiche, scarto di lavorazione di molte aziende italiane, venissero imbarcate a Gioia Tauro direzione Hong Kong e, una volta attraccate al porto cinese, venivano spedite agli schiavi delle fabbriche di giocattoli, per tornare infine in Europa sotto forma e colore di balocco per bambini. La seconda legge della termodinamica:

“Noi forniamo la materia prima per auto-inquinarci di ritorno: questo è veramente assurdo.”

diceva l’ex procuratore nazionale antimafia, oggi Presidente del Senato, Pietro Grasso. Se prendiamo i cablogrammi di Wikileaks le tinte del quadro sul porto più grande del Mediterraneo si fanno ancora più fosche: persino il presidente Obama, nel 2010, esprimeva preoccupazioni sulle infiltrazioni mafiose nei traffici marittimi del porto di Gioia Tauro; scriveva L’Espresso:

“Una delle più grandi preoccupazioni dell’America di Obama: il traffico di materiale nucleare clandestino utilizzabile dai terroristi che potrebbe essere movimentato attraverso porti come Gioia Tauro, descritto come una falla nei controlli europei.”

La ‘ndrangheta, che nel porto avrebbe “occhi dappertutto” e “funzionari disponibili a guardare dall’altra parte mentre si commettono illegalità”, è una presenza che emerge sempre più grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie (come gli scanner), che a Gioia Tauro fanno fatica a prendere piede. Una “pistola fumante” è la nave cargo fermata al porto di Genova nel 2010 e proveniente proprio da Gioia Tauro con a bordo un container contentente cobalto-60 o le 7 tonnellate di esplosivo T4 sequestrate, sempre nel 2010, proprio nel porto Calabrese (secondo Wikileaks sarebbero potuti essere utilizzati per la costruzione di una “bomba sporca”, ma i cablogrammi non chiariscono chi potesse avere questo tipo di obiettivo). Va sottolineato come le operazioni di polizia e le nuove tecnologie abbiano ridimensionato i traffici illeciti nel porto di Gioia Tauro (rispetto al 2012 il traffico di container l’anno scorso ha visto una flessione in negativo di quasi il 20%, segno che le cosche dirottano in altri porti, in Italia e in Europa, una parte dei loro traffici), ma certamente non si può definire “il porto più sicuro” del Mediterraneo, come qualcuno al Ministero delle Infrastrutture ha tentato di raccontare. Anche perchè dove non arriva la ‘ndrangheta arriva lo Stato, come testimonierebbe un documento citato da Terra e coperto in parte da segreto di Stato (consultabile nella relazione della Commissione Pecorella a questo link), che rivelerebbe come il porto di Gioia Tauro sia stato un luogo sicuro anche per i traffici di veleni coordinati dai servizi segreti, la stessa pista seguita da Ilaria Alpi: centinaia di milioni di euro stanziati ai servizi per provvedere allo “stoccaggio di rifiuti radioattivi ed armi”.

Fonte: ecoblog