La città del futuro o sarà in salute o non sarà

Prendendo spunto dai segnali lanciati dalla pandemia e dal conseguente lockdown, Paolo Piacentini riflette sui possibili modelli di città del futuro. La necessità è riappropriarsi degli spazi togliendoli al cemento e alle auto, non solo per abbattere i livelli mortali di inquinamento, ma anche per offrire alle persone nuovi luoghi di socialità.

 “L’emergenza di agenti patogeni zoonotici è correlata al deterioramento dell’ambiente e alle interazioni tra uomo e animali nel sistema alimentare”. È l’Agenzia Europea per l’Ambiente a dirlo. Che facciamo dunque? Le diamo credito o no? È arrivata l’ora di smettere di mettere la testa sotto il cuscino e continuare a far finta di nulla. Non si muore di solo covid, anzi, si muore soprattutto di inquinamento in un ambiente insalubre dove, per di più, il virus ha maggiori possibilità di sviluppo e diffusione. Non è certo la prima volta che l’Agenzia Europea per l’Ambiente ci fornisce questi dati, ma non c’è nulla da fare, le priorità sembrano essere sempre altre.

È dimostrato che gli spazi verdi in città aiutano a mitigare le temperature e ad abbattere gli inquinanti. È dimostrato che le città senz’auto sono più salubri, ma la salute di un agglomerato urbano si costruisce creando una condizione di benessere diffuso che va dalle periferie più degradate fino al centro. Il compito più nobile della politica, oggi più che mai, dovrebbe essere quello di costruire benessere psico-fisico e sociale, attento anche alle persone e alla comunità. Una città che vive la salute come dimensione pubblica vede i cittadini partecipi nella cura quotidiana degli spazi collettivi che le istituzioni devono impegnarsi a riconsegnare come bene comune.

Spazi collettivi generatori di salute urbana sono i giardini, i parchi, gli spazi ciclabili. Deve essere garantita la fruizione pedonale dei luoghi, la prossimità dei servizi alla persona. Una città che si libera dal dominio dell’auto privata, che si fa prossima alle persone, che riorganizza e amplifica gli spazi verdi è una città che costruisce la sua salubrità. Una città solidale è una città che non crea distanze sociali ma che cresce in una nuova dimensione comunitaria legata a uno stato di benessere che non esclude la malattia, ma la confina nell’ineluttabile finitezza e fragilità della condizione umana.

Una città in salute è anche quella che rimette al centro lo spazio pubblico e costringe in un angolo una finta rigenerazione urbana padroneggiata dalla speculazione privata. Quello che sta accadendo a Roma in questi giorni, con l’ennesimo minacciato sfratto a Scup Sportculturapopolare, rientra in un modello economico che intacca la salute pubblica. Un centro sociale che diventa punto di riferimento per un intero quartiere, che organizza spazi di socialità popolare, che porta in città cibo pulito e a chilometro zero, che assiste persone disabili, determina benessere diffuso.

La salute, come ci ricorda l’OMS, è uno stato di benessere psico-fisico generale che va dalla persona alla comunità. Se la politica decide di sposare un patto per la salute tra istituzioni e cittadini, l’atto che ne consegue è la costruzione di un nuovo modello di città in cui lo spazio pubblico diffuso viene rimesso al centro.

La città delle persone e per le persone dovrebbe essere la grande rivoluzione del futuro. Bisogna avere tanto coraggio per contrastare un potere economico e finanziario che va in direzione opposta, ma che con il covid ha mostrato – a chi ha occhi per vedere – le sue enormi contraddizioni. Questa è la grande sfida di cui mi sento parte con passione, tutto il resto rischia di essere noia e le città moriranno.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/09/citta-del-futuro-in-salute/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Pedibus, “Ventibus”, “Ombrellibus”, a piedi i bambini vanno a scuola con più entusiasmo

Abbiamo intervistato Isabella Triassi, una dei genitori della Scuola Cardinal Borromeo di via Casati, referente della Linea Verde e accompagnatrice di 20 bambini ogni mattina per il progetto Pedibus milanese, finanziato dal Comune e organizzato da ABCittà e Legambiente

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“Siamo molto contenti del Pedibus della Scuola di via Casati e speriamo che questo progetto possa presso estendersi anche alle scuole meno fortunate della Cardinal Borromeo, in una zona (Porta Venezia, ndr) dove molti bambini già avevano la buona abitudine di andare a scuola a piedi. Ci dobbiamo impegnare a fare capire ai milanesi che camminare per andare a scuola può essere anche molto divertente e speriamo che anche nelle scuole più periferiche il Pedibus possa svilupparsi”, ci ha raccontato Isabella Triassi, madre di tre bambini e accompagnatrice di una delle 4 “linee”, la “Verde”, che ogni giorno portano a destinazione circa 20 bambini ciascuna, con tanto di fila indiana, pettorine e fermate di raccolta.

Qual è il bilancio di questo primo anno di Pedibus “su larga scala” del Comune di Milano?

Per noi genitori è un successo. La scuola elementare di via Casati è piccola, ha circa 250 scolari, ma al momento abbiamo attive 4 linee di accompagnamento, che coinvolgono circa 20 bambini ciascuna e quindi si può dire che almeno 1/3 dell’utenza è coinvolta. Anche i bimbi dell’asilo vicino ci vedono ogni giorno arrivare a scuola col Pedibus e poiché l’esperienza è coinvolgente, contiamo che i loro genitori da settembre iscrivano anche i nuovi “primini”.
Una volta però, da bambini, noi a scuola andavamo a piedi e da soli, senza bisogno del Pedibus …
E’ vero e sicuramente oggi i bambini sono “iper protetti”, sotto questo aspetto c’è una regressione della loro autonomia. Però oggi c’è un pericolo che 30 anni fa non c’era ed è purtroppo il traffico. La nostra scuola è vicinissima a C.so Buenos Aires, dove le macchine a volte sfrecciano ad alta velocità, un bambino delle primarie che debba attraversarlo da solo per andare a scuola affronta un reale pericolo. 

Il Pedibus è promosso anche come pratica per l’autonomia dei bambini e per conoscere meglio il quartiere. Questo succede nella vostra esperienza?

Sì, dopo un po’ che le colonne dei bambini del Pedibus prendono confidenza col tragitto, gli stessi bambini imparano a conoscere meglio vie, palazzi, giardini e negozi. Alla mattina i negozianti e i custodi dei palazzi ci salutano quando passiamo, sono felici di vederci e gli scolari sono entusiasti. Abbiamo esperienze di bambini che ora sono più felici di andare a scuola e non vedono l’ora di congiungersi alla colonna del Pedibus. Tant’è che si aggregano con qualsiasi condizione di tempo; in questi mesi siamo andati a scuola a piedi con il vento, con la pioggia, diventando “Ventibus”, “Ombrellibus” …. E’ molto divertente per loro.

Come può ancora migliorare questo Pedibus milanese?

Estendendosi a più scuole possibili (ora sono circa 15 quelle coinvolte, ndr) e soprattutto a quelle della fascia della seconda Circonvallazione. Il Pedibus è un progetto gratuito per le famiglie che debbono aderire solo sottoscrivendo un regolamento ed impegnandosi ad accompagnare i figli alla fermata prevista – sono circa 3 o 4, con il “capolinea” da cui si parte e dove si radunano il più dei bambini, e le altre segnalate lungo il percorso. 

L’esperienza si deve allargare per fare capire che anche a Milano andare a scuola a piedi si può e camminare non è davvero un male … 

Fonte: ecodallecittà

 

Isola Pepe Verde, festa di quartiere per il giardino sotto i grattacieli

Dove: Milano, via Guglielmo Pepe angolo via Borsieri, quartiere Isola1746

Domenica 12 maggio dalle 11 alle 20, festa dell’associazione Isola Pepe Verde e di tutti gli “isolani”, all’insegna di giardinaggio, ecologia, arte e musica, per inaugurare il recupero dei giardini pubblici sotto il Cavalcavia Eugenio Bussa, nel cuore del quartiere Isola, sotto i grattacieli di Porta Volta

In pieno quartiere Isola, ormai “ai piedi” dei prepotenti grattacieli sorti e ancora in cantiere del piano edilizio Porta Nuova, l’associazione Isola Pepe Verde da tre anni combatte per trasformare un’area comunale dismessa e abbandonata di poche decine di metri quadrati in uno spazio verde pubblico per il quartiere. Domenica 12 maggio una festa di musica, arte e pratiche di giardinaggio urbano per incentivare e promuovere questo progetto: dalle attività di semina, all’assemblaggio di Ecobox (contenitori per far crescere le piante), dalla costruzione di casette per uccelli, alla creazione di una sorta di biblioteca delle piante spontanee. Tutte le attività verranno alimentate da pannelli fotovoltaici e vi sarà un’installazione dell’artista macedone Nikola Uzunovski e di Isola Art Center, a rappresentare il sole e le nuvole “riconquistati” dal giardino di Isola Pepe Verde. “Il 12 maggio sarà infatti l’occasione per restituire ai cittadini del quartiere Isola (e non solo) un cielo ormai da anni oscurato da grattacieli e palazzi che hanno sostituito con acciaio vetro e cemento il sole e le nuvole” spiegano dall’Associazione. La festa di Isola Pepe Verde sarà anche un momento di confronto sul movimento degli orti e giardini urbani a Milano, che sta sempre più avanzando in varie zone della città. Appuntamento dalle ore 11.00 alle ore 20.00 in Via Pepe angolo Via Borsieri (Stazione Metro Porta Garibaldi, uscita Via Pepe). Per maggiori informazioni, vedere il sito dell’associazione.

Fonte: eco dalle città

UrBEES: api in città, sentinelle contro l’inquinamento

L’apicoltura urbana è già una realtà a New York, Londra, Parigi, Tokyo. E si fa strada anche a Torino, con il progetto UrBEES. Le api di città fanno il miele – buono e sano come quello di campagna – e servono a monitorare gli inquinanti. Roba da esperti? No. Chiunque può adottare un’arnia: non è pericoloso, non è difficile e basta un balcone. “Join the Revolution!”

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Un annuncio gira su facebook: “Abbiamo bisogno di voi per portare avanti il Progetto UrBEES. Cerchiamo postazioni in Torino e Provincia per installare nuovi apiari urbani. Balconi, terrazze, giardini, orti, tetti, parchi, cortili… e qualsiasi altro spazio per poter rendere, finalmente, ecosostenibili le nostre città. Se siete interessati contattateci su urbees@hotmail.com Join our revolution!”. E noi l’abbiamo fatto. Ecco cosa ci ha raccontato Antonio Barletta, l’ideatore del progetto. “Io sono apicoltore da circa sette anni; avevo le api in Val Chiusella assieme ad un amico, ma cercavo delle postazioni più vicine a Torino, dove vivo. All’inizio concentravo le ricerche in zone periferiche, ma poi mi sono detto “Perché invece che mettere le api in periferia non le portiamo in città?”. E ho cominciato ad informarmi. In rete ho scoperto la realtà dell’apicoltura urbana, le esperienze nel mondo: Londra, Parigi, New York, Hong Kong, Tokyo… Ho cercato di capire se ci fossero realtà simili in Italia, ma non ne esistevano. E allora ho deciso di provarci io. Prima di tutto ho cercato di capire se nella mia città ci fossero divieti contro l’apicoltura urbana – divieti che esistono in altre città: la stessa New York, ora all’avanguardia in questo campo, inizialmente lo vietava – e ho visto che a Torino il divieto non c’era. Così ho cominciato a parlarne ad amici, conoscenti, apicoltori…ecodaleecitta1

Ed è nato Urbees. Cosa volete fare esattamente?

Il progetto consiste nel coinvolgere i cittadini nell’allevamento delle api in città per beneficiare non solo di miele, cera e propoli, ma anche dei suoi servizi di biomonitoraggio: chiunque voglia ospitare le api sul balcone, o sul giardino avrà in cambio i prodotti dell’alveare e ci darà la possibilità di creare una “centralina di monitoraggio” per la qualità dell’ambiente urbano. Le api sono sentinelle dell’ambiente ed è arrivato il momento di utilizzarle anche per quello che è il loro ruolo nella natura. Attraverso l’analisi del miele e della cera delle api possiamo controllare la presenza dei metalli pesanti, degli inquinanti, e rilevare cosa sta cambiando nell’ecosistema della città. Il patto è questo: i cittadini mettono a disposizione uno spazio sul proprio balcone (bastano uno o due metri quadri), noi veniamo a fare un sopralluogo e installiamo l’arnia che diventa una postazione di monitoraggio. In cambio il cittadino si prende il miele. Urbees non ha ancora natura giuridica, non guadagniamo, per ora siamo tutti volontari e amici.

Non fa male mangiarsi il miele “inquinato”?

Il miele urbano è buono come quello prodotto in campagna ma si tira dietro un mucchio di scetticismo. Abbiamo analizzato il miele prodotto a Torino l’estate scorsa, misurando la presenza di piombo, nichel, cromo e benzene, cosa che non fanno i produttori tradizionali perché nessuno glielo chiede. Bene, nel nostro miele, questi metalli pesanti erano presenti solo in minime tracce, completamente irrilevanti dal punto di vista della commestibilità e della salute umana. Ma noi queste minime tracce possiamo analizzarle per fare un monitoraggio della qualità ambientale della città, avendo a disposizione i valori chimico fisici dei metalli pesanti ma anche quelli biologici: cosa causano questi metalli pesanti all’interno di un organismo?

Insomma, le api sono microcentraline…

Le api sono sentinelle: sono bioindicatori, un po’ come i muschi e i licheni, monitorano tutto e ci dicono come cambia l’ambiente. Ma non solo. Dove ci sono le api si garantisce il mantenimento della biodiversità. Possiamo scoprire come varia la presenza botanica spontanea in città, creare una mappatura della vegetazione urbana, utile anche per chi ha allergie. (Fra l’altro il miele è anche ipoallergenico: si abitua l’organismo ad introdurre piccole parti della sostanza a cui si è intolleranti), ripristinare le piante necessarie all’ecosistema… La natura in città deve essere funzionale, non solo estetica. E per ridurre l’inquinamento non basta solo evitare di prendere l’auto una volta ogni due settimane, bisogna anche reintrodurre la natura in città, per esempio attraverso gli orti urbani, i giardini verticali e perché no, le api.

Perché in altre città l’apicoltura urbana è vietata?

Le api si conoscono per due ragioni: perché fanno il miele e perché pungono. E nessuna delle due cose sembra adatta alla città. E invece non è così, prima di tutto perché le api arrivano spontaneamente in città. Ci stanno bene. Come tanti altri animali che sembrano “fuori posto”: i gabbiani, gli scoiattoli, i corvi, le formiche… Le api in città arrivano in sciami, spesso scappando dall’inquinamento della campagna. Sembra un paradosso ma l’inquinamento cittadino non causa la moria delle api come invece fanno i pesticidi e i fertilizzanti chimici usati nelle campagne. A New York successe proprio questo: si decise di aprire la città alle api per aiutarle a sopravvivere e si decise di investire sulla produzione di miele urbano. Idem a Parigi, dove sono state proprio le istituzioni pubbliche ad incentivare l’apicoltura urbana. Qui in Italia invece c’è molto scetticismo, prima di tutto tra gli apicoltori tradizionali; un po’ temono che in città le api possano morire, e un po’ sono spaventati dalla concorrenza del miele urbano. Non si riesce a vedere la forza dell’innovazione. Oltretutto in un mercato che importa il 40% del miele dall’estero… perché dobbiamo importarlo quando possiamo produrlo? Eppure in Italia sono il primo a portare avanti questo progetto.

Nessun pericolo per chi decide di adottare un alveare?

No. Le api sono vegetariane. Non ci pungono. Quelle sono le vespe, che sono carnivore, e rompono un po’ le scatole. Ma sono animali diversi. L’ape esce dall’alveare e si dirige subito sul fiore, perché la comunicazione dell’alveare è efficiente. Sanno già dove devono andare, non perdono tempo…E in ogni caso forniamo tutte le regole comportamentali e le “istruzioni per l’uso” ai cittadini che decidono di aderire al progetto.

E può farlo chiunque?

Non bisogna per forza diventare apicoltori per ospitare le api. Chi ci mette a disposizione uno spazio sul proprio balcone può affidarsi a noi per tutto il resto: mettiamo in sicurezza l’arnia e ci occupiamo della sua gestione. Se invece un cittadino vuole imparare a diventare apicoltore, organizziamo corsi e workshop apposta. Per allevare una famiglia di api basta un controllo a settimana, non richiede molto tempo. Ma, ripeto, non è necessario diventare apicoltore. Chiunque può aderire a Urbees e trasformare il proprio balcone in una centralina di monitoraggio. Non ci vuole niente, e ovviamente non ci sono costi per chi decide di intraprendere l’avventura. Abbiamo avuto api in Via Cavour, da un ragazzo che mangiava sul balcone e a volte ci dormiva anche, e non gli hanno mai causato problemi.

Le api no, ma gli altri condomini?

Nessun regolamento condominiale vieta l’installazione di un alveare sul balcone…anche perché di solito a nessuno viene in mente di farlo. A Parigi ci sono regolamenti appositi per le api in città, ma direi che prima di arrivare a una discussione simile al parlamento italiano ne passerà… Quando cominciai a cercare informazioni sul tema provai con i vigili urbani. Mi chiesero “Perché, vuoi denunciare qualcuno che ha messo le api sul balcone?” No veramente vorrei metterle io e capire a cosa mi fate se lo faccio…”. In assenza di un regolamento per l’apicoltura urbana ci si rifà alla legge nazionale, che dice che le api possono stare ovunque purché rispettino le distanze di sicurezza. Da un balcone all’altro basta che ci sia una barriera, un dislivello di due metri a separare l’arnia dalla proprietà adiacente. Di norma non ci sono problemi quindi. Certo, qualche vicino potrà brontolare. Ma bisogna far capire alla gente che avere le api sul balcone accanto è un ottimo indicatore di qualità ambientale. Ed è un buon segno: vuol dire che lì si vive bene…Ai condomini scettici faremo vedere come lavorano le api, spiegheremo loro che non c’è alcun pericolo… e se no proveremo ad addolcirli con un po’ di miele!

Fonte: eco dalle città

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Le “case dell’acqua (gratis)” anche a Milano

Aperti in città quattro distributori di acqua pubblica, già presenti in alcuni comuni della Provincia, in parchi e giardini cittadini. Un iniziativa di Palazzo Marino in collaborazione con il gestore MM, Metropolitana Milanese Spa. Prelevabili gratis 6 litri a persona, liscia o gassata

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Le “case” dell’acqua arrivano in città. Sono stati inaugurati tra l’1 e il 3 marzo i primi quattro dei cinque impianti finanziati dal Comune di Milano con un contributo regionale, progettati e realizzati da Metropolitana Milanese Spa e situati in parchi o giardini. Dopo la prima inaugurazione dell’1 marzo al parco Formentano in Zona 4, alla presenza dell’assessore Pierfrancesco Maran, del direttore generale di MM Spa Stefano Cetti e del presidente del Cdz Loredana Bigatti, sono state aperte anche le case dell’acqua al parco Chiesa Rossa (in via San Domenico Savio), nei giardini di via Morgagni e al parco Savarino-ex Bassi (in via Livigno). L’ultimo dei cinque impianti, situato nel Giardino Cassina de’ Pomm (tra le vie Zuretti e Gioia ang. Cassoni), è stato attivato domattina 3 marzo.

“Abbiamo realizzato le case dell’acqua per promuovere l’acqua pubblica di Milano e per valorizzare l’importanza di questa risorsa come bene comune. Ogni inaugurazione è stata un bel momento di festa per i cittadini, soprattutto per i bambini, ma anche un’importante occasione per conoscere le caratteristiche e l’ottima qualità dell’acqua della nostra città”, ha dichiarato l’assessore alla Mobilità, Ambiente, Arredo urbano e Verde Pierfrancesco Maran.

“È un ulteriore servizio che diamo ai cittadini in totale continuità con la nostra missione, continuando a garantire la qualità dell’acqua di Milano che dallo scorso dicembre, prima in Italia, ha il marchio Milano Blu”, ha detto Stefano Cetti, direttore generale di Metropolitana Milanese Spa.

I cinque erogatori con il marchio del Comune e di Milano Blu erogano la stessa acqua che sgorga dai rubinetti delle nostre case, ma con la possibilità di scegliere tra liscia e gassata. Il servizio si attiva mediante la Carta regionale dei Servizi della Lombardia. Possono essere prelevati gratuitamente fino a 6 litri d’acqua al giorno a persona.
Il costo complessivo dell’intervento, con allacciamenti e spese tecniche, ammonta a circa 189 mila euro. Ulteriori informazioni e approfondimenti sono consultabili sul sito http://www.milanoblu.com.

Fonte: eco dalle città