Raccolta differenziata: Città metropolitana di Torino ancora lontana dall’obiettivo 65%

L’Osservatorio Metropolitano rifiuti di Torino riprende la pubblicazione dell’annuale Rapporto sullo stato del sistema di gestione dei rifiuti. Eco dalle Città ha intervistato Agata Fortunato, responsabile dell’Ufficio Programmazione e controllo del Ciclo Integrato dei Rifiuti della Città Metropolitana di Torino. Dopo tre anni di fermo l’Osservatorio Metropolitano rifiuti di Torino riprende la pubblicazione dell’annuale Rapporto sullo stato del sistema di gestione dei rifiuti. Abbiamo chiesto un commento ad Agata Fortunato, responsabile dell’Ufficio Programmazione e controllo del Ciclo Integrato dei Rifiuti della Città Metropolitana di Torino.

Quali sono le novità registrate negli ultimi anni?

Prima di tutto voglio ringraziare le colleghe dell’ATO-Rifiuti: senza il loro lavoro la pubblicazione non sarebbe stata possibile. Gli ultimi vent’anni sono stati caratterizzati da una forte spinta alla raccolta differenziata con effetti ben visibili, benché i risultati non siano uniformi in tutti gli ambiti del nostro territorio. Nel trend di crescita è intervenuta nel 2017 la modifica del calcolo della raccolta differenziata il cui effetto immediato è stato un complessivo e consistente aumento della percentuale di RD, determinata però solo da una differente modalità di contabilizzazione. Più di recente invece abbiamo assistito ad una lenta crescita della raccolta differenziata nella città di Torino, grazie all’estensione dei servizi domiciliari che dovrebbe concludersi nel 2023. Pur con questi risultati l’ambito metropolitano è complessivamente ancora lontano dall’obiettivo fissato dalla normativa per il 2012 e pari al 65%: nel 2019 il nostro territorio raggiunge “solo” il 58% di raccolta differenziata; diversi ambiti hanno già traguardato l’obiettivo nazionale ma, fatta eccezione per la Città di Torino (che sta procedendo), in quelli in cui il risultato non è ancora stato raggiunto non sembrano previsti al momento interventi in grado di dare una ulteriore spinta e pertanto non si può ipotizzare nel breve periodo un sostanziale cambio di scenario. La qualità della raccolta, sebbene sia sempre difficile fare valutazioni specifiche e puntuali a causa dei diversi passaggi cui il rifiuto è sottoposto a scapito della tracciabilità, non risulta complessivamente eccellente. Più in particolare la raccolta differenziata della plastica mostra livelli accettabili (ma anche eccellenze) per quella multimateriale leggera (realizzata in 264 Comuni – 896.958 ab.), meno per quella monomateriale ( realizzata in 49 Comuni – 1.356.304 ab.) che necessita ancora di interventi di prepulizia prima del conferimento agli impianti di selezione. Per la RD plastica vi è inoltre un problema più strutturale e non determinato dalla raccolta del territorio; infatti ancora più della metà viene avviata a recupero energetico o discarica (per quantità residuali) poiché costituita oltre che da scarti veri e propri, da imballaggi non riciclabili, per i quali ancora troppo poco si sta facendo. Le altre raccolte differenziate (organico, carta/cartone, vetro) continuano a soffrire di una qualità non sempre eccellente che determina oltre che un minore incasso per i Comuni, una minore resa in termini di riciclo. La nuova negoziazione dell’Accordo Quadro, peraltro non conclusa (alla data di pubblicazione del rapporto non risultano sottoscritti tre dei sei Allegati Tecnici), spinge molto sulla qualità del rifiuto conferito: la condivisibile necessità di un miglioramento qualitativo delle raccolte si scontra con un territorio non sempre sufficientemente pronto a modificare abitudini e sistemi organizzativi.

Oltre ai valori di raccolta differenziata sembra si parli ancora troppo poco della produzione totale e del rispetto della gerarchia della gestione dei rifiuti: cosa è successo da questo punto di vista?

Sul fronte della produzione totale, diversi ambiti registrano valori significativamente alti ed anche in questo caso non si possono ipotizzare sostanziali modifiche, essendo interventi, allorquando presenti, sporadici e non inseriti in un quadro complessivo: per questo rischiano di risultare poco visibili a livello sovra-locale. Il raggiungimento di ambiziosi obiettivi di prevenzione dei rifiuti è possibile solo attraverso un complesso sistema di azioni e buone pratiche che, inserite in un disegno articolato, divengono elemento imprescindibile per la modifica del modello di produzione e consumo finalizzato alla prevenzione dei rifiuti, in modo da portare all’auspicato disallineamento fra crescita dei rifiuti e crescita economica.

E sul sistema impiantistico ci sono dati confortanti?

Anche grazie alle scelte lungimiranti fatte nel passato il territorio non presenta criticità per lo smaltimento del rifiuto non recuperabile, che peraltro vista la crescita della raccolta differenziata non solo è completamente assorbito dal termovalorizzatore (impianto che la Regione già da qualche anno ha individuato come impianto regionale), ma riesce a trattare anche una buona quantità di rifiuti speciali. Al tempo stesso però, la complessa situazione del sistema nazionale e le difficoltà di accesso alle infrastrutture di smaltimento, creano anche a livello del nostro territorio numerose criticità che rischiano di avere effetti sulla corretta gestione del rifiuto speciale, caratterizzata da impianti sempre più prossimi alla saturazione. Sebbene il nostro Rapporto ormai da diversi anni è limitato ai soli rifiuti urbani, il tema degli impianti di trattamento di rifiuti speciali è comunque di interesse, poiché tali impianti costituiscono il destino per i sovvalli delle raccolte differenziate oltre che per particolari tipologie di rifiuti urbani (ingombranti e abbandoni stradali soprattutto).

Ci sono altre criticità che emergono?

Il percorso di razionalizzazione della governance avviato negli anni scorsi e definitivamente tracciato con la L.R. 1/2018, pur con tutti i limiti della legge – il doppio livello CAV/ATO, due CAV per il territorio metropolitano, la frammentazione degli attuali Consorzi di Bacino – appare ancora lontano dal realizzarsi, mentre avanza il processo di aggregazione industriale che potrebbe portare ad un effetto di asimmetria fra livello della regolazione/controllo e quello della esecuzione. Permane, infine, come problema il fattore economico: la cittadinanza ed il sistema delle imprese sono sempre più sensibili all’impatto finanziario del sistema di gestione dei rifiuti e le modalità di gestione dei rifiuti secondo criteri di sicurezza per la salute e l’ambiente comportano investimenti e risorse crescenti rispetto al passato. Il mantenimento del difficile equilibrio tra queste istanze è a mio avviso un compito centrale per le istituzioni preposte al controllo e alla regolazione del sistema.

Rapporto sullo stato del sistema di gestione dei rifiuti

Dati consuntivi del periodo 2017 – 2019

http://www.cittametropolitana.torino.it/cms/ambiente/rifiuti/osservatorio-rifiuti/rapporto-sistema-g…

fonte: ecodallecitta.it

Alessio Ciacci e Raphael Rossi: due visionari concreti verso i Rifiuti Zero –

L’unico modo di gestire correttamente i rifiuti consiste nell’eliminare il concetto stesso di rifiuto. È questo il presupposto da cui nasce la strategia Zero Waste ideata da Paul Connet e promossa in Italia da due amministratori coraggiosi ed esperti di economia circolare come Alessio Ciacci e Raphael Rossi. Li abbiamo intervistati analizzando con loro i passi percorsi, la situazione attuale e le ipotesi per il futuro. Nonostante l’età ancora giovane Alessio Ciacci e Raphael Rossi – rispettivamente 39 e 45 anni – hanno fatto la storia della gestione dei rifiuti nel nostro Paese. Ciacci, da sconosciuto Assessore all’ambiente del comune di Capannori, in Toscana, è stato il primo, ormai più di dieci anni fa, ad attuare in un comune italiano, quando ancora nessuno sapeva cosa fosse, la strategia “Zero Waste” (rifiuti zero) ideata da Paul Connett. Rossi ha progettato i primi sistemi di raccolta differenziata porta a porta nel nostro Paese, due decenni orsono, ed è stato anche lui uno dei sostenitori della prima ora dei “rifiuti zero”.

Da allora i sistemi di gestione dei rifiuti, in Italia e nel mondo, sono cambiati radicalmente. La raccolta differenziata si è affermata ovunque come strumento privilegiato, ma oggi nuove sfide si affacciano all’orizzonte. Le enormi sfide ambientali che il genere umano si trova ad affrontare, come i cambiamenti climatici, il sovraconsumo delle risorse, l’inquinamento da plastica e da polveri sottili, unite ad eventi congiunturali come il bando all’importazione di materie prime seconde di scarsa qualità imposto dalla Cina a partire dal 2018, ci impongono di trovare nuove soluzioni, ancora più radicali.Vuoi cambiare la situazione di cicli produttivi e rifiuti in italia?

ATTIVATI

Con Alessio Ciacci e Raphael Rossi abbiamo ripercorso questi ultimi vent’anni di gestione dei rifiuti, osservando i passi in avanti fatti, analizzando la situazione attuale e facendo ipotesi su ciò che ci si prospetta in futuro.

La strada fin qui

«Vent’anni fa, quando ho iniziato a progettare i primi sistemi di raccolta differenziata porta a porta in Italia, nessuno sapeva di cosa stessimo parlando – racconta Raphael Rossi –, ci chiamavano utopisti, sognatori, folli». Stessa esperienza per Alessio Ciacci: «Quando nel 2007 ho iniziato ad occuparmi di rifiuti e abbiamo fatto di Capannori il primo comune in Italia a intraprendere il percorso verso rifiuti zero in pochi credevano in quello che facevamo».

Tuttavia i fatti hanno dato ragione ai due visionari amministratori. La raccolta differenziata porta a porta si è diffusa capillarmente in tutto il Paese, e Raphael Rossi è stato chiamato a gestire, negli anni decine di aziende pubbliche, coniugando la sostenibilità ambientale all’attenzione per la trasparenza la legalità (un tema fondamentale quando si parla di rifiuti, almeno in Italia). Attualmente è responsabile dell’azienda pubblica di Formia, in provincia di Latina, chiamata Formia rifiuti Zero, che visti gli ottimi risultati ottenuti è stata chiamata a gestire anche i servizi dei comuni limitrofi.

Alessio Ciacci e Raphael Rossi

La strategia rifiuti zero coinvolge oggi circa 300 comuni, per un totale di quasi 7 milioni di cittadini. Capannori è diventato in breve tempo – ed è rimasto per molti anni – il primo comune in Italia per i tassi di raccolta differenziata, grazie anche all’approccio partecipato e capillare adottato da Alessio Ciacci, che dopo l’esperienza toscana ha gestito i rifiuti a Messina, Rieti e attualmente è amministratore unico di varie municipalizzate, fra cui quella partecipata da 40 comuni in provincia di Torino. Piccola parentesi sulla strategia rifiuti zero, per chi non la conoscesse. Si tratta di una strategia che mira ad eliminare il concetto stesso di rifiuto. È stato il chimico americano Paul Connett a ideare questo modello di gestione circolare, basato su 10 passi che partono dall’osservazione che la natura stessa è ciclica. Questo modello è chiamato Rifiuti Zero (Zero Waste).

Ecco i 10 passi:
1. Separazione alla fonte
2. Raccolta porta a porta
3. Compostaggio
4. Riciclaggio
5. Riduzione dei rifiuti
6. Riuso e riparazione
7. Tariffazione puntuale
8. Recupero dei rifiuti
9. Centro di ricerca e riprogettazione
10. Azzeramento rifiuti
Per approfondire l’argomento, trovate una spiegazione più dettagliata all’interno del nostro documento di Visione/Azione su “Cicli produttivi e rifiuti”.

Sfide e criticità del presente

Negli ultimi 15 anni il settore della gestione rifiuti si è molto sviluppato in Italia. Siamo passati da una media nazionale del 15% ad oltre il 52%, con moltissime province e regioni nel Centro-Nord che superano il 65%. «Questo vuol dire – spiega Rossi – milioni di tonnellate di materiali che vengono riciclati mentre prima andavano all’inceneritore, quindi un’intera economia che è nata e si sta sviluppando».

Tuttavia il sistema di raccolta differenziata e riciclo dei materiali sembra essere entrato in crisi in tutto il mondo e c’è bisogno di andare oltre. Il pacchetto europeo sull’economia circolare pone nuove sfide. Nella cosiddetta “piramide dei rifiuti” europea il primo obiettivo è ridurne la produzione. E su questo la strada è ancora lunga. «Dobbiamo ancora migliorare molto nella riduzione dei rifiuti, nella riduzione degli scarti – spiega Ciacci -, siamo fra gli ultimi in Europa per la tassazione degli imballaggi. Inoltre dovremmo imparare da altri paesi, come la Svezia, a organizzare una migliore filiera del riuso che dia maggiori garanzie a chi compra oggetti usati o ricondizionati o del vuoto a rendere».

Altro punto critico è la tariffazione puntuale, uno dei punti fondamentali della strategia rifiuti zero. Per tariffazione puntuale s’intende un sistema in cui la tariffa è calibrata sulla reale produzione di rifiuti da parte dei cittadini (come avviene, ad esempio, con l’elettricità e con l’acqua) e non più su stime basate sulla metratura delle abitazioni. Attualmente è applicata, fra i capoluoghi di provincia, dai soli comuni di Parma e Trento. «Negli ultimi anni ci siamo concentrati sulla tariffazione puntuale – continua Rossi – e possiamo dire che adesso abbiamo i sistemi e le tecnologie per attuarla in maniera efficiente». Specifica Ciacci che: «Ad esempio in molti usano sistemi Rfid, con microchip associati all’utenza che capiscono a fine anno quante volte un determinato cestino è stato ritirato».

C’è poi il problema della plastica: «è la situazione più complessa e critica – spiega Rossi – perché la plastica è un insieme di materiali molto eterogeneo. Fu scelto, quando si partì con il sistema di raccolta differenziata, vent’anni fa, di individuare una definizione di imballaggio in plastica molto vaga che non faceva differenza fra i diversi polimeri. Così, complice il fatto che la Cina ai tempi importava a prezzi molto convenienti questo miscuglio di materiali e si occupava della separazione, si è sviluppato un modello che adesso è in difficoltà. Oggi, quando la Comunità europea parla di aumentare il riciclaggio vuol dire che anche le modalità con cui faremo la raccolta differenziata nel tempo dovranno cambiare lavorando di più sulla qualità e lavorando sui materiali che non si possono riciclare in modo che siano riprogettati. In fin dei conti tutto quello che non si può riciclare è un errore di progettazione e deve essere ripensato in maniera tale che possa esserlo».

Un ultimo punto critico è rappresentato dal compostaggio. Oggi il materiale organico è il tipo di rifiuto più comune, ma molte regioni sono ancora sprovviste di impianti di compostaggio. «Il primo obiettivo che tutti devono porsi è sviluppare impiantistica per la gestione dell’organico – conclude Rossi – perché se mancano gli impianti il rischio è che ci siano sprechi di risorse, inquinamento, e che si paghi troppo il servizio».

Un futuro senza rifiuti?

Qual è il futuro della gestione dei rifiuti nel nostro Paese? “L’Italia è un paese fantastico – afferma Raphael Rossi – ma è molto a macchia di Leopardo: ci sono realtà straordinariamente positive in tutte le regioni d’Italia, ma manca ancora un avanzamento complessivo. Bisogna estendere questi esperimenti e farli diventare modelli.”

Gestire i rifiuti, in fin dei conti, è solo l’ultimo anello di una lunghissima catena. Che parte dall’estrazione eccessiva delle materie prime; passa per un sistema di produzione e (iper)imballaggio che spesso non si preoccupa di come i materiali verranno successivamente separati per essere riusati o riciclati, attraversa un sistema distribuzione delocalizzato, in cui le merci vengono spedite in tutto il mondo con annesse emissioni climalteranti dovute al trasporto, giunge all’utente finale, ove resta per un ciclo di vita quasi sempre ridotto al minimo, per terminare infine con la produzione di rifiuti. Cambiare profondamente questo sistema per arrivare veramente a un modello “rifiuti zero” non è semplice, ma esempi come quelli di Raphael Rossi e Alessio Ciacci ci mostrano come un lavoro costante e certosino, corroborato da risultati pratici, quasi sempre paghi. D’altronde, come ripete spesso lo stesso Ciacci riferendosi alla categoria degli amministratori (ma la frase è valida per chiunque) “il nostro compito non è solo amministrare il presente, ma costruire risposte ai problemi del futuro”.

Intervista e realizzazione video: Paolo Cignini

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/10/alessio-ciacci-raphael-rossi-due-visionari-concreti-verso-rifiuti-zero-meme-28/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Addio plastica monouso? La nuova direttiva europea contro l’usa e getta

Addio a cotton fioc, posate, piatti e cannucce di plastica monouso. È quanto prevede una delle misure presentate dalla Commissione europea nell’ambito della strategia per ridurre l’inquinamento da plastica. Greenpeace e Legambiente accolgono favorevolmente la nuova proposta ma chiedono misure più ambiziose e obiettivi attuabili nel breve periodo.

Entro il 2025 gli Stati membri dovranno raccogliere il 90% delle bottiglie di plastica monouso per bevande, per esempio con sistemi di cauzione-deposito. Questa – insieme al divieto di vendita di stoviglie, cannucce, agitatori per bevande, bastoncini di cotone per le orecchie e bastoncini per palloncini in plastica – è una delle misure più ambiziose presentate oggi dalla Commissione europea, nel quadro della strategia Ue per ridurre i rifiuti plastici.plastica-monouso

Secondo il progetto di direttiva, inoltre, i contenitori per bevande in plastica saranno consentiti soltanto se i tappi e i coperchi restano attaccati al contenitore. Per i contenitori per alimenti e tazze per bevande in plastica, gli Stati membri dovranno fissare obiettivi nazionali di riduzione. I produttori saranno poi chiamati a coprire i costi di gestione dei rifiuti per prodotti come i mozziconi di sigaretta, palloncini e attrezzi da pesca in plastica. Altri prodotti come gli assorbenti igienici e le salviette umidificate dovranno avere un’etichetta chiara e standardizzata che indica il loro impatto negativo sull’ambiente. Bene l’impegno della Commissione europea su plastica monouso ma servono misure più ambiziose.  Greenpeace, insieme alla coalizione ReThink Plastic Alliance, accoglie favorevolmente la nuova proposta di direttiva della Commissione Europea sulla plastica usa e getta e la considera un primo passo, importante e positivo, verso la riduzione degli imballaggi e dei contenitori in plastica monouso. La proposta prevede, tra i vari provvedimenti, il bando per cannucce, piatti e posate di plastica usa e getta e l’incremento del riciclo delle bottiglie.

“Se vogliamo invertire la rotta – commenta Giuseppe Ungherese, responsabile della Campagna Inquinamento di Greenpeace Italia – è fondamentale eliminare al più presto tutti quegli oggetti per i quali sono già disponibili alternative sostenibili. La proposta della Commissione Ue è un buon passo avanti ma è necessario avere più coraggio e ambizione: chiediamo ai membri del Parlamento Europeo di definire obiettivi precisi sulla riduzione della produzione e immissione sul mercato di imballaggi monouso. La proposta, altrimenti, è inefficace e non sufficiente per affrontare il grave inquinamento da plastica dei nostri mari”.garbage-1255244_960_720

Sulla direttiva Ue sulla riduzione dell’inquinamento da plastica usa e getta si è espressa anche Legambiente. “Il progetto di direttiva sulla riduzione dell’inquinamento da plastica presentato oggi dalla Commissione europea è un primo e fondamentale passo per contrastare il marine litter, una delle due più gravi emergenze ambientali globali insieme ai cambiamenti climatici, e più in generale per ridurre gli impatti che l’uso non responsabile di questo materiale causa all’ambiente. Non tutte le misure previste però affrontano alla radice i problemi veri. Mancano ad esempio norme sui bicchieri di plastica usa e getta e sull’eliminazione di sostanze tossiche. L’assenza di obiettivi specifici di riduzione per gli Stati membri, inoltre, rischia di essere controproducente. Per questo chiediamo al Parlamento e al Consiglio di mettere in atto obiettivi concreti e attuabili nel breve periodo per andare oltre la plastica monouso e per alimentare sempre di più il modello di economia circolare europeo con la gestione dei rifiuti plastici”.

Così Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, commenta le nuove norme proposte dalla Commissione europea per i prodotti di plastica monouso e per gli attrezzi da pesca perduti e abbandonati che ora passeranno ora al vaglio del Parlamento europeo e del Consiglio.

“Su questo tema l’Italia può vantare una indiscussa leadership normativa, essendo stata la prima a mettere al bando gli shopper di plastica, i cotton fioc non biodegradabili e le microplastiche nei cosmetici – prosegue Ciafani-.  È importante ora che tutta Europa faccia fronte comune, promuovendo le misure previste anche a tutti gli altri Paesi del Mediterraneo. Chiediamo al Parlamento europeo e ai ministri dell’UE, che nei prossimi mesi discuteranno di queste norme, di mettere in atto obiettivi ancora più stringenti, prevedendo una revisione intermedia non dopo sei ma tre anni dall’entrata in vigore in modo da garantire una sua applicazione più efficace”.inquinamento-plastica

Nella direttiva europea, sottolinea Legambiente, va inoltre prevista una norma anche sulle bottiglie di plastica. Oltre la responsabilità dei produttori e l’obiettivo di raccogliere entro il 2025 il 90% delle bottiglie in Pet, la direttiva deve spingere sull’uso delle acque del rubinetto più controllate, sane e meno inquinanti di quelle in bottiglia. Secondo l’ultimo rapporto Beach Litter di Legambiente, solo sulle spiagge italiane il 31% dei rifiuti censiti è stato creato per essere gettato immediatamente o poco dopo il suo utilizzo. Parliamo di imballaggi di alimenti, carte dei dolciumi, bastoncini per la pulizia delle orecchie, assorbenti igienici, barattoli e latte alimentari, mozziconi di sigaretta. I rifiuti plastici usa e getta sono stati rinvenuti nel 95% delle spiagge monitorate, a dimostrazione della gravità del problema.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/05/addio-plastica-monouso-nuova-direttiva-europea-contro-usa-e-getta/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Economia circolare, il 22 maggio l’Unione Europea adotta le nuove norme in materia di gestione rifiuti

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Le norme definiscono i seguenti obiettivi: entro il 2025 dovrà essere riciclato il 55% dei rifiuti urbani, entro il 2030 il 60% e entro il 2035 il 65%. Un altro obiettivo è fare in modo che entro il 2035 solo il 10 %, o meno, dei rifiuti urbani si riversi nelle discariche. L’UE si appresta ad adottare nuove norme in materia di gestione dei rifiuti, che prevedono obiettivi molto più rigorosi di riciclaggio dei rifiuti urbani e riduzione delle discariche, il 22 maggio, durante la Settimana verde 2018 dell’Unione europea. Si tratta del principale evento dedicato all’ambiente che si svolgerà dal 21 al 25 maggio e che quest’anno tratterà di come rendere più ecologiche le nostre città. Le norme renderanno il sistema europeo di gestione dei rifiuti il più avanzato al mondo e definiscono i seguenti obiettivi: entro il 2025 dovrà essere riciclato il 55% dei rifiuti urbani, entro il 2030 il 60% e entro il 2035 il 65%. Un altro obiettivo è fare in modo che entro il 2035 solo il 10 %, o meno, dei rifiuti urbani si riversi nelle discariche. La raccolta separata dei rifiuti organici diventerà obbligatoria entro il 2023. Queste norme aiuteranno le città a ridurre drasticamente i rifiuti, incrementare il riciclaggio e stimolare nuove idee di riutilizzo, diventando, così, campioni dell’economia circolare.

Città all’avanguardia

Poiché si prevede che l’80% dei cittadini europei vivrà in un’area urbana entro il 2020, la pressione ambientale sulle città sta crescendo rapidamente. Dai programmi per diventare città a zero emissioni di anidride carbonica alla pianificazione urbana sostenibile: numerose città, tra cui le Capitali verdi europeee le città Green Leaf dell’UE, stanno affrontando queste sfide. L’UE supporta continuamente la loro transizione con norme, strumenti e fondi.

La Settimana verde 2018 dell’Unione europea è l’occasione per scoprire come realizzare questo cambiamento.

Che cosa sta facendo l’UE

Attraverso eventi in tutta Europa e un’importante conferenza sulle politiche a Bruxelles, la Settimana verde dell’Unione europea presenterà gli interventi dell’UE a favore delle città e dei cittadini. La Settimana verde si aprirà ufficialmente il 21 maggio a Utrecht (Paesi Bassi) e si chiuderà il 25 maggio a Madrid (Spagna)Il vertice delle Città verdi europee si svolgerà a Bruxelles, dal 22 al 24 maggio. Uno degli argomenti principali in discussione sarà il modo in cui le norme dell’UE in materia di rifiuti, acqua e aria possono trovare più efficace applicazione, ad esempio attraverso l’Agenda urbana europea. Alcuni partenariati previsti dall’Agenda urbana, come quelli per l’economia circolare, la mobilità urbana e la qualità dell’aria, affronteranno questioni ambientali in modo specifico. Come porre la sostenibilità al centro dei processi di pianificazione delle città sarà un altro argomento di rilievo delle diverse decine di sessioni tematiche previste. Per aiutare le città a elaborare strategie urbane sostenibili, la Settimana verde vedrà il lancio del nuovo strumento Città verdi, che consente alle città di valutare le proprie prestazioni ecologiche e confrontarsi con altre città. Lo strumento è un serbatoio di informazioni per idee di pianificazione urbana verde e sostenibile. La sera del 23 maggio saranno annunciati i LIFE Awards, che premieranno i progetti LIFE più innovativi, interessanti ed efficaci nel campo della protezione della natura, dell’ambiente e dell’azione per il clima.

Partecipa al movimento

Molti cittadini stanno partecipando al movimento per città più sostenibili. A livello locale, le azioni ispirate al concetto di economia circolare stanno guadagnando terreno con l’apertura di repair café, un numero sempre crescente di iniziative per sostituire la plastica e interventi di giardinaggio urbano più numerosi. Partecipa alla Settimana verde dell’Unione europea recandoti agli eventi partnerche si svolgeranno in tutta l’UE, alla nostra conferenza di alto livello sulle politichea Bruxelles, al lancio a Utrecht, all’evento conclusivo a Madrid oppure on line tramite Twitter e la diretta Web.

Partecipa al movimento, assisti al miglioramento #EUGreenWeek

Fonte: ecodallecitta.it

 

 

Microplastiche: l’inquinamento coinvolge anche i laghi. L’indagine di Legambiente ed Enea

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Sei i laghi campionati nel 2017, in tutti rinvenute microparticelle di plastica. I laghi di Como e quello Maggiore sono quelli in cui è stata trovata la maggiore densità media di particelle al chilometro quadrato: rispettivamente 157mila e 123mila

Il problema del marine litter e delle microplastiche in acqua non riguarda solo mari e oceani, che rischiano di diventare zuppe di plastica, ma anche i bacini lacustri e fiumi. A confermare la presenza di questo fenomeno nelle acque interne, i dati di Legambiente che, nel corso della sua campagna itinerante Goletta dei Laghi 2017, ha realizzato per il secondo anno consecutivo, in collaborazione con ENEA, un campionamento ad hoc sulle microplastiche, con dimensione inferiore ai 5 millimetri, presenti nei laghi monitorando sei bacini: Iseo, Maggiore, Garda, Trasimeno, e per la prima volta Como e Bracciano, per un totale di quasi 50 chilometri percorsi dalla manta, la rete utilizzata per i vari campionamenti. Allo stesso tempo, per la prima volta, sono stati campionati anche alcuni corsi fluviali immissari ed emissari, a monte e a valle degli impianti di trattamento delle acque presenti: il fiume Oglio per l’Iseo, in entrata e in uscita dal lago, l’Adda per il Lago di Como, il Sarca in entrata nella parte trentina del Garda e il Mincio come emissario, visto che le particelle di plastica sono trasportate il più delle volte da corsi d’acqua e dagli scarichi. Dalla ricerca di Legambiente ed ENEA, l’unica a livello nazionale di questo tipo, emerge che, nei sei laghi monitorati sono state rinvenute microparticelle di plastica. Tra i bacini lacustri che presentano più microparticelle ci sono quello di Como e il lago Maggiore. Il primo con una densità media di 157mila particelle per chilometro quadrato, nella parte settentrionale, e con un picco di oltre 500mila particelle nel secondo transetto collocato più a nord, in corrispondenza del restringimento tra Dervio (Lc) e Santa Maria Rezzonico (Co). Il lago Maggiore presenta una densità media di 123mila particelle per chilometro quadrato, con un picco di oltre 560mila particelle in corrispondenza della foce del fiume Tresa, tra Luino e Germignaga (Va), sul quale insiste il depuratore e campionato successivamente ad un evento temporalesco, che potrebbe aver aumentato l’apporto degli scarichi e quindi di particelle dal fiume. Non se la passano bene neanche quello di Bracciano e di Iseo. Il primo, fortemente colpito quest’estate dalla siccità e dell’eccessiva captazione che hanno creato condizioni ambientali critiche, nei dieci transetti campionati dai tecnici di Goletta dei Laghi presenta una media di 117mila particelle per chilometro quadrato. Il secondo, quello di Iseo, una media 63 mila particelle. Valori medi più bassi invece per il lago di Garda – quasi 10mila particelle per chilometro quadrato – e per il Trasimeno con 7.914 particelle su chilometro quadrato. Per i vari campionamenti, i tecnici di Goletta dei laghi hanno utilizzato una rete tipo “manta” costruita appositamente per navigare nello strato superficiale della colonna d’acqua e per filtrare grandi volumi, trattenendo il materiale d’interesse. La Manta – costituita da una bocca rettangolare metallica da cui si diparte il cono di rete e un bicchiere raccoglitore finale; e due ali metalliche vuote, esterne alla bocca, che la mantengono in galleggiamento sulla superficie – è stata trainata lungo rotte prestabilite per 20 minuti, percorsi ad una velocità media di 2,5 nodi. In tutti i campioni analizzati sono state trovate microplastiche: un dato per Legambiente inconfutabile sulla diffusione di questa contaminazione in ambiente lacustre, nonostante le diversità di ogni lago.

“Le microplastiche – dichiara Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente – sono ormai sempre più presenti negli ecosistemi marini e terrestri, si tratta di un inquinamento di difficile quantificazione e impossibile da rimuovere totalmente. Con la Goletta dei laghi e grazie alla collaborazione con Enea, abbiamo realizzato il primo studio a livello nazionale sull’inquinamento da microplastiche nei fiumi e nei laghi, uno strumento fondamentale per capire e conoscere la portata del fenomeno. Le cause sono per lo più alla cattiva gestione dei rifiuti a monte e l’apporto che deriva dagli scarichi degli impianti di depurazione e da quelli che ancora oggi finiscono nei fiumi e nei laghi senza trattamento alcuno”.

Per fronteggiare questo problema e ridurre gli impatti, aggiunge Zampetti: “servono politiche di buona gestione su tutto il bacino idrografico, attività di sensibilizzazione e azioni efficaci di prevenzione. A questo riguardo ben venga l’approvazione arrivata ieri degli emendamenti, a prima firma di Ermete Realacci, che prevedono la messa al bando dal 2019 dei cotton fioc non biodegradabili e non compostabili e lo stop dal 2020 all’uso delle microplastiche nei cosmetici. Una bella notizia per l’ambiente e la conferma della leadership dell’Italia nel contrastare il marine litter che soffoca mari, fiumi e laghi anche nel nostro Paese. Infine è prioritario che il monitoraggio delle microplastiche sia inserito tra le attività istituzionali di controllo ambientale previste dalle norme sulla qualità dei corpi idrici, come fatto per il mare e le spiagge, considerando le microplastiche come indicatore per la definizione dello stato di salute delle acque interne”.

Per quanto riguarda i corsi fluviali immissari ed emissari dei bacini, Legambiente ricorda che i fiumi attraversano ampie porzioni di territorio e sono nastri trasportatori di ciò che ricevono, soprattutto in termini di rifiuti legati spesso ad una malagestione a livello urbano o portati dal dilavamento delle acque meteoriche, e legati al problema della maladepurazione. Per questo Goletta dei Laghi 2017 ha voluto allargare il fronte della ricerca campionando, prima e dopo gli impianti di depurazione, i corsi fluviali. In particolare per l’Iseo è stato esaminato il fiume Oglio in entrata e in uscita, per quello di Como il fiume Adda, per il Garda il Sarca in entrata nella parte trentina e il Mincio come emissario. La differenza tra i campioni prelevati a valle e a monte dei depuratori può arrivare fino all’80% di particelle per metro cubo, come nel caso dell’Oglio e del Mincio. Nel fiume Oglio, come affluente del lago di Iseo, è stato rilevato un incremento di particelle a valle dell’impianto di depurazione pari all’81%. Nell’Oglio emissario, la differenza tra la media delle particelle per metro cubo a monte e a valle del depuratore, mostra un incremento del 13%. Per l’Adda, come affluente del lago di Como, l’incremento del numero di particelle a valle del depuratore risulta pari al 62%, mentre, nell’Adda emissario del lago di Como l’incremento del numero di particelle ogni metro cubo è pari al 58%. Per il fiume Sarca, affluente del Garda nella parte trentina, la situazione vede un incremento del numero di particelle ogni metro cubo di acqua pari al 74%; l’incremento di particelle registrate nel Mincio prima e dopo due impianti di trattamento delle acque è pari all’80%. Nei vari campionamenti fluviali, la manta è stata calata da ponti, a centro fiume, permettendo il filtraggio dell’acqua per un tempo standard di 20 minuti. Durante ogni campionamento sono stati registrati i dati della stazione e le condizioni climatiche e ambientali, utili dall’interpretazione dei risultati.

“I risultati sulla densità e composizione delle microplastiche campionate nel corso della passata edizione di Goletta dei Laghi di Legambiente – dichiara Maria Sighicelli, ricercatrice ENEA – hanno evidenziato un’importante presenza di microparticelle nei laghi italiani. In particolare, i transetti vicini a input fluviali e ristringimenti sono quelli più ricchi di plastica. I dati analizzati relativi ai campionamenti eseguiti nella campagna 2017 confermano una forte eterogeneità tra i transetti, sicuramente fisiologica, legata alla dinamica del fenomeno e in particolare a fattori naturali e antropici, che concorrono alla diffusione delle particelle nelle acque superficiali. Ad esempio, oltre 500 mila particelle per chilometro quadrato nel lago Maggiore, sono state registrate nel transetto in prossimità della foce del fiume Tresa a valle del depuratore”.

“Dai dati ottenuti sulla presenza di microplastiche negli immissari ed emissari dei laghi subalpini – spiega Loris Pietrelli, ricercatore ENEA – è evidente la stretta correlazione fra numero di microplastiche e presenza di impianti di depurazione delle acque reflue urbane. Sarebbe pertanto opportuno migliorare i processi di depurazione e contemporaneamente aggiornare la normativa. Ad esempio, qual è il numero di microfibre per metro cubo ammissibile per lo scarico in acque superficiali?”

Infine uno sguardo anche ai macrorifiuti e alle attività di citizen science. Oltre al campionamento delle microplastiche dei laghi, Goletta dei laghi ha attivato una campagna di citizen science per il monitoraggio dei rifiuti presenti sulle spiagge sulle sponde dei bacini lacustri. Nel 90 % dei siti campionati è stata registrata la presenza di plastica, molto spesso frammenti di piccole dimensioni dovuti in larga parte ai rifiuti urbani, che a causa di una non corretta gestione da parte delle amministrazioni oltre all’abbandono, arrivano sulle sponde o direttamente in acqua e lì si degradano in frammenti sempre più piccoli. A questo si aggiunge un inefficace servizio di depurazione dei reflui urbani che contribuisce al fenomeno della diffusione di rifiuti. Tra tutti i cotton fioc, che sono stato oggetto di una campagna specifica di Legambiente #norifiutinelwc.

Fonte: ecodallecitta.it

 

Assimilazione rifiuti, TAIRR: ‘Bozza di Decreto è primo passo verso maggiore equità e concorrenza nella gestione rifiuti’

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Il giudizio del TAIRR – il Tavolo Interassociativo Recupero e Riciclo – sul testo dell’atteso decreto sui criteri di assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani, inviato dal Ministero ai diversi stakeholders per le consultazioni

“La bozza di decreto sui criteri di assimilazione diffusa dal Ministero dell’Ambiente contiene elementi interessanti per porre un freno all’assimilazione indiscriminata, ma va migliorata in vari aspetti per assicurare condizioni eque e concorrenziali sia per gli utenti finali che per gli operatori della gestione dei rifiuti”. E’ questo il giudizio del TAIRR – il Tavolo Interassociativo Recupero e Riciclo che riunisce alcune tra le principali Associazioni di imprese operanti nella Circular Economy, Assorecuperi, Assorimap, Assosele, FISE Assoambiente e FISE UNIRE – sul testo dell’atteso decreto sui criteri di assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani, inviato dal Ministero ai diversi stakeholders per le consultazioni con le quali le associazioni imprenditoriali saranno in questi giorni chiamate ad esprimersi. Già recentemente le cinque componenti del Tavolo (cui presto se ne aggiungeranno altre che hanno espresso forte interesse a entrare) hanno puntato il dito contro “l’indiscriminata assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani, attraverso cui ingenti quantitativi di rifiuti di provenienza commerciale e industriale vengono sottratti al libero mercato per essere gestiti in regime di esclusiva da pubbliche amministrazioni. Situazione, questa, che impedisce di fatto il corretto, trasparente ed effettivo contenimento dei costi della gestione dei rifiuti, che ricadono immancabilmente su imprese e cittadini”.

La bozza di decreto – che dovrebbe tracciare il confine tra l’ambito del servizio di raccolta rifiuti svolto in esclusiva per le amministrazioni locali e l’ambito in cui, invece, i produttori di rifiuti da attività produttive e commerciali sono liberi di rivolgersi al mercato – identifica con chiarezza alcuni limiti all’assimilazione, oggi spesso oltrepassati dalle pubbliche amministrazioni (nonostante alcuni vincoli siano già definiti a livello normativo), escludendo i rifiuti speciali che si formano nelle aree produttive (compresi i magazzini) e gli imballaggi per il trasporto. Il testo attualmente proposto, inoltre, impone ai Comuni il divieto di assimilare determinate attività commerciali (come negozi, supermercati, ipermercati) che superano specifiche soglie dimensionali stabilite in base alla superficie. Tuttavia, è necessario, secondo i componenti del TAIRR, che queste soglie siano fissate per tutte le categorie di attività produttrici di rifiuti speciali previste dal decreto (quindi, ad esempio, anche per ristoranti, alberghi, uffici, ospedali, ecc.) e a prescindere dal metodo di misurazione dei rifiuti utilizzato dal Comune (sistema di misurazione presuntivo o puntuale), poiché in caso contrario le categorie di attività per cui non è previsto un limite dimensionale saranno automaticamente assimilate e soggette alla tassa sui rifiuti urbani, indipendentemente dal fatto che si avvalgano o meno del servizio pubblico. Questo comporterebbe una palese violazione del principio comunitario “Pay As You Throw” (PAYT) ossia “paga per quello che butti”.

“Non si tratta qui di escludere dal pagamento della tassa superfici che usufruiscono di servizi comuni quale ad esempio la pulizia stradale: i produttori di rifiuti speciali non assimilati continueranno comunque a pagare questi servizi attraverso una quota della tariffa, ove la legge lo preveda” sostengono i rappresentanti delle associazioni del TAIRR. “Si tratta piuttosto di far valere un principio di giustizia, di equità e di concorrenza, poiché oltre la soglia quantitativa il Comune può comunque, già ora, offrire il servizio anche a questi utenti, ma deve farlo in convenzione, ossia in un rapporto di natura privatistica, in competizione con gli altri operatori presenti sul mercato.”

Fonte: ecodallecitta.it

Vendemmia green: ecco la ricetta per un vino a basso impatto ambientale

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Anche in ambito vitivinicolo cresce l’attenzione degli operatori verso la sostenibilità, con maggiori risultati in termini di qualità. Un esempio d’eccellenza di questa strategia arriva dalla Cantina Josetta Saffirio a Monforte d’Alba (CN), nel cuore delle Langhe. Qui la vendemmia 2015 si tinge di “verde” grazie alle buone pratiche adottate per ridurre l’impatto ambientale della produzione del vino: dai trattori più leggeri per non pesare troppo sulla terra alla riduzione dei prodotti chimici usati nei vigneti, dal packaging sostenibile alla corretta gestione dei rifiuti.  “L’andamento stagionale fin qui favorevole e i rilievi che si stanno facendo inducono all’ottimismo sulla qualità del prodotto di quest’anno. A favorire tale situazione anche un cambiamento del modus operandi in viticoltura: al diserbo chimico sta subentrando sempre più la lavorazione meccanica per il controllo delle infestanti e la lotta ai parassiti avviene attraverso l’utilizzo della lotta integrata che vede notevolmente diminuito l’uso dei fitofarmaci”. Il quadro tracciato di recente da Coldiretti Piemonte conferma un orientamento che va diffondendosi anche in ambito vitivinicolo: la parola “qualità” fa rima con “sostenibilità”. Un esempio d’eccellenza di questo connubio arriva da Monforte d’Alba (CN), paesino nel cuore delle Langhe, dove la vendemmia 2015 si tinge di “verde”. Qui si trova la Cantina Josetta Saffirio, azienda vitivinicola che da tempo applica una filosofia di produzione orientata al green e al biologico. Sono tante la buone pratiche adottate da questa cantina per ridurre l’impatto ambientale del vino: dai trattori più leggeri per non pesare troppo sulla terra alla riduzione dei prodotti chimici usati nei vigneti, dal packaging sostenibile alla corretta gestione dei rifiuti speciali.

Rispetto per la terra

Il cambiamento dell’approccio in viticoltura non poteva che partire dal rispetto dall’elemento in cui le piante affondano le loro radici, la terra. E così, al posto di mezzi molto pesanti, la Cantina Josetta Saffirio ha scelto di utilizzare trattori prototipo più leggeri per non pesare troppo sul suolo, allo scopo di preservarlo. Questa, tuttavia, è solo una delle azioni adottate dall’azienda agricola per il rispetto dei campi: in parallelo viene eseguita una lavorazione non profonda del terreno prima della messa a dimora delle piante e, allo stesso tempo, si procede all’inerbimento totale del filare che riduce l’erosione delle acque superficiali.

Riduzione dei prodotti chimici usati nei vigneti

Il rispetto del terreno passa anche dalla riduzione dei prodotti chimici usati nei vigneti: un nuovo modo di concepire la lotta contro le malattie della vite rispetto al passato, quando a farla da padrona erano i fitofarmaci. Oggi, per il contrasto delle patologie delle piante, sempre più operatori scelgono di utilizzare solo prodotti ammessi in agricoltura biologica. Lo stesso ha fatto la Cantina Josetta Saffirio: a garantire questo impegno c’è la supervisione della CCPB per la Certificazione Biologica, a cui si aggiunge l’adesione della cantina a Tergeo, progetto europeo sostenuto dall’Unione Italiana Vini per la qualificazione delle soluzioni tecnologiche e gestionali in materia di sostenibilità nel settore vinicolo. Pochi mesi fa, infine, la cantina ha ottenuto la certificazione di sostenibilità EcoProWine.

Imballaggi a basso impatto ambientale

Un vino a basso impatto ambientale non poteva prescindere da un packaging concepito partendo dalla riduzione degli imballaggi. Il risultato finale è una bottiglia di vino con vetro più leggero (riciclato al 90%), tappo più corto e una confezione con meno cartone. Questo packaging green è frutto di una scelta accurata di partner, possibilmente a km zero, che condividono la filosofia perseguita dalla cantina: per le etichette è stata scelta Fasson, certificata FSC, per i tappi Amorim, da sempre impegnata nel rispetto dell’ambiente, e per le capsule Ramondin, che utilizza vernici all’acqua. Una scelta che si traduce in un risparmio sia per l’ambiente che per il consumatore.

Gestione corretta dei rifiuti

Ultimo, ma non per importanza, il capitolo degli scarti agricoli. Contenitori, olio esausto e batterie dei mezzi di lavoro: sono tutti rifiuti speciali che se non vengono gestiti in modo corretto, possono rappresentare un pericolo per l’ambiente. Per questo motivo, la Cantina Josetta Saffirio si è rivolta a “Cascina Pulita”, un consorzio specializzato che offre un servizio completo di raccolta, stoccaggio, smaltimento e valorizzazione degli scarti agricoli.

Chi è Josetta Saffirio

L’azienda agricola Josetta Saffirio ha sede a Monforte d’Alba in provincia di Cuneo nel cuore delle Langhe. Frutto di una tradizione che si tramanda dall’inizio del Novecento, l’azienda produce un vino Barolo premiato due volte con i “Tre Bicchieri” (annate ’88 e ’89) e con numerosi riconoscimenti internazionali. Oltre al Barolo, l’azienda agricola produce anche Nebbiolo, Barbera d’Alba e Rossese Bianco. Negli ultimi anni, l’azienda agricola ha intrapreso un percorso di rinnovamento nel segno della sostenibilità che la rendono un vero e proprio laboratorio di produzione vitivinicola a basso impatto ambientale.

Fonte: agenziapressplay.it

Inceneritori: oltre al danno anche la beffa

L’Italia rischia una procedura di infrazione e una multa per le autorizzazioni agli inceneritori, per non aver ottemperato all’adeguamento della propria normativa di classificazione secondo le norme europee. «Per accontentare le lobby di inceneritoristi pagheremo noi, prima in salute poi in soldoni» dice Sandra Poppi, battagliera esponente della lista civica ModenaSaluteAmbiente che a Modena si sta battendo contro un maxi-impianto sovradimensionato, ma la cui battaglia sta diventando la battaglia di tutti i comitati italiani di cittadini che chiedono a gran voce un radicale cambiamento della politica di gestione dei rifiuti.inceneritori_inquinamento

«Nell’agosto 2013 il governo Letta vara un decreto ministeriale per determinare il calcolo dell’efficienza energetica degli impianti di incenerimento. Scrive però numeri divergenti rispetto ai parametri europei: gli inceneritori italiani guadagnano un illecito vantaggio competitivo rispetto agli altri inceneritori europei e viene autorizzata, di fatto, l’emissione nell’aria di una quantità maggiore di inquinanti» spiega Sandra Poppi, che da anni si batte contro il maxi-inceneritore di Modena gestito dalla multiutility Hera, sovradimensionato rispetto alle esigenze locali. «Cosi, ogni inceneritore in Italia, e anche quello di Modena, che non stia lavorando a pieno regime puo’ importare rifiuti da bruciare sino al tetto massimo consentito, senza più alcun limite per quanto riguarda la provenienza. In Emilia Romagna la capacità totale degli inceneritori è di bruciare oltre 1 milione di tonnellate l’anno. Per il “fabbisogno” interno si bruciano invece “solo” circa 630.000 tonnellate di RSU. Questo significa che, potenzialmente, ci sono altre 400.000 tonnellate di rifiuti speciali da smaltire. Per l’inceneritore di Modena significa che la Società per Azioni Hera potrà bruciare 240.000 tonnellate l’anno di rifiuti e forse più, visto che andranno a saturazione del carico termico. Anche se per le nostre necessità ne basterebbero 130.000! Figurarsi se facessimo il porta a porta con tariffa puntuale, con ulteriore calo di rifiuti indifferenziati prodotti!». «Nel caso dell’inceneritore di Modena,  Medicina Democratica, nel gennaio 2014, denunciò tutto questo e numerose male-interpretazioni delle norme. Con una determinazione provinciale del novembre 2013 la Provincia di Modena ha riconosciuto, su richiesta del gestore Herambiente, l’applicazione al calcolo dell’efficienza energetica di un fattore correttivo (KC) in relazione alle condizioni climatiche dell’area, nella misura di 1,382. Questo riconoscimento è avvenuto sulla base dei contenuti del Decreto del Ministero dell’Ambiente varato appunto durante il governo Letta. Ed è proprio su questo decreto che è intervenuta l’Europa; nel 2014 ha chiesto al governo italiano di cambiare i parametri che erano stati introdotti pe poter arrivare a classificare gli inceneritori di rifiuti come valorizzatori di energia (mossa subdola, nda); la UE ha ritenuto quei parametri non conformi a quelli della direttiva europea Rifiuti del 2008.E sapete cos’ha fatto il governo? Ha aggravato la situazione perché con il decreto Sblocca Italia ha consentito cambi di classificazione degli inceneritori ancora una volta in modo non rispettoso della direttiva europea. Dopo le denunce, la Commissione europea ha avviato una procedura d’indagine, la UE-Pilot 5714/13/ENVI, che è ancora in corso. Le autorità italiane dovranno modificare il DM 7/8/2013, in modo da renderlo compatibile con le nuove disposizioni che verranno adottate, altrimenti una procedura di infrazione può essere aperta dalla Commissione».  Con che serietà, dunque, i governi italiani stanno portando avanti la politica di gestione dei rifiuti? E con quale obiettivo? Che sia l’interesse dei cittadini e dell’ambiente è assai poco probabile!

Fonte: ilcambiamento.it

Roma multata dalla UE per la gestione dei rifiuti

Per l’unione europea parte dei rifiuti ancora non viene sottoposta ad un trattamento idoneo sia a Roma che nel Lazio e sotto accusa è in particolare la frazione organica per cui non esiste una rete integrata ed adeguata di impianti di gestione380662

Mercoledì 15 ottobre, la notizia della sentenza della Sesta Sezione della Corte Europea che condanna la capitale per “inadempimento di uno Stato sul piano di gestione, realizzazione di una rete adeguata e integrata di impianti di smaltimento, obbligo di istituire un trattamento dei rifiuti che assicuri il miglior risultato per la salute umana e la protezione dell’ambiente”.  Chiudere Malagrotta quindi non è bastato. Parte dei rifiuti ancora non viene sottoposta ad un trattamento idoneo sia a Roma che nel Lazio e sotto accusa è in particolare la frazione organica per cui non esiste una rete integrata ed adeguata di impianti di gestione. Sulla questione si è espressa anche Legambiente che chiede di guardare al futuro: “È arrivata anche la bocciatura dell’Europa a palesare il pessimo stato in cui versa la gestione dei rifiuti della nostra regione – ha dichiarato Roberto Scacchi Presidente di Legambiente Lazio – e a dimostrare che senza differenziata e impianti per trattare l’organico a Roma e nel Lazio non si va da nessuna parte. Dopo Malagrotta, serve andare oltre“. Nonostante le difficoltà, dei progressi sono stati fatti e il sindaco di Roma, Ignazio Marino, tiene a sottolineare che la chiusura della grande discarica ha segnato comunque una svolta, anche agli occhi della Comunità Europea. “I rilievi mossi dalla Corte europea al nostro Paese per l’inadeguatezza del trattamento dei rifiuti in alcune discariche del Lazio fino al 2012, confermano una volta di più che la nostra decisione di chiudere, dopo ben 50 anni, Malagrotta abbia segnato una vera e propria svolta per il rientro nella legalità del ciclo dei rifiuti e per la tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini” ha dichiarato in una nota il sindaco Marino. “Voglio inoltre ricordare che non ricorrendo più alla discarica Malagrotta è stato possibile chiudere la procedura di infrazione e Roma, dunque, oggi può di nuovo accedere ai fondi strutturali europei”.

 

Fonte: ecodallecitta.it

“Termovalorizzatori a saturazione del carico termico”, lo dice il decreto Sblocca Italia | Il testo dell’articolo 35

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La norma dispone di dare priorità “al trattamento dei rifiuti urbani prodotti nel territorio nazionale e a saturazione del carico termico”, che significa che alcuni impianti potranno bruciare fino al 30% in più di immondizia.  Fra le tante novità del decreto legge “Sblocca Italia”, l’articolo 35 introduce tra “le infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale” anche i termovalorizzatori. In particolare la norma dispone di dare priorità “al trattamento dei rifiuti urbani prodotti nel territorio nazionale e a saturazione del carico termico”. Tradotto: alcuni impianti potranno bruciare fino al 30% in più di immondizia. Alcune amministrazioni del nord Italia, dove si trovano la maggior parte degli impianti della penisola, mettono le mani avanti e si oppongono a qualsiasi ipotesi di ricevere rifiuti dal sud, mentre diverse voci ambientaliste iniziano a mettere in guardia dal possibile aumento delle emissioni.

Ecco il testo dell’articolo in questione:

Art. 35 

(Misure urgenti per l’individuazione e la realizzazione di impianti di recupero di energia, dai rifiuti urbani e speciali, costituenti infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale)

1. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, individua, con proprio decreto, gli impianti di recupero di energia e di smaltimento dei rifiuti urbani e speciali, esistenti o da realizzare per attuare un sistema integrato e moderno di gestione di tali rifiuti atto a conseguire la sicurezza nazionale nell’autosufficienza e superare le procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore. Tali impianti, individuati con finalita’ di progressivo riequilibrio socio economico fra le aree del territorio nazionale concorrono allo sviluppo della raccolta differenziata e al riciclaggio mentre deprimono il fabbisogno di discariche. Tali impianti di termotrattamento costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale ai fini della tutela della salute e dell’ambiente.
2. Tutti gli impianti, sia esistenti che da realizzare, devono essere autorizzati a saturazione del carico termico, come previsto dall’articolo 15 del decreto legislativo 4 marzo 2014, n.46. Entro 60 giorni dalla entrata in vigore del presente decreto, per gli impianti esistenti, le Autorita’ competenti provvedono ad adeguare le
autorizzazioni integrate ambientali.

  1. Tutti gli impianti di nuova realizzazione dovranno essere realizzati conformemente alla classificazione di impianti di recupero energetico di cui al punto R1 (nota 4), allegato C, del decreto legislativo 3 aprile 2006 n.152.
    4. Entro 60 giorni dalla entrata in vigore del presente decreto, per gli impianti esistenti, le Autorita’ competenti provvedono a verificare la sussistenza dei requisiti per la loro qualifica di impianti di recupero energetico R1, revisionando in tal senso e nello stesso termine, quando ne ricorrono le condizioni, le autorizzazioni integrate ambientali.
  2. Ai sensi del decreto legislativo n.152 del 2006 e successive modificazioni non sussistendo vincoli di bacino per gli impianti di recupero, negli stessi deve essere data priorita’ al trattamento dei rifiuti urbani prodotti nel territorio nazionale e a saturazione del carico termico, devono essere trattati rifiuti speciali non pericolosi o pericolosi a solo rischio sanitario, adeguando coerentemente le autorizzazioni integrate ambientali alle presenti disposizioni nei termini sopra stabiliti.
    6. I termini previsti per l’espletamento delle procedure di espropriazione per pubblica utilita’, di valutazione di impatto ambientale e di autorizzazione integrata ambientale degli impianti di cui al comma 1, sono ridotti alla meta’. Se tali procedimenti sono in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono ridotti della meta’ i termini residui.
    7. In caso di mancato rispetto dei termini di cui ai commi 2, 4, 5 e 6 si applica il potere sostitutivo previsto dall’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131.

 

Fonte: ecodallecitta.it