Aerobico o anaerobico? Proviamo a capire una querelle romana

Queste differenti modalità di trattamento dell’organico sono uno degli elementi di dibattito sulle soluzioni da adottare per risolvere le criticità di Roma.387470_1

Aerobico o anaerobico? Ma anche integrazione tra i due processi. Queste differenti modalità di trattamento dell’organico sono uno degli elementi di dibattito sulle soluzioni da adottare per risolvere le criticità di Roma nella gestione dei rifiuti.

Ai tempi della giunta Marino, era stata avanzata la proposta di creare degli “ecodistretti con impianti anaerobici dove i rifiuti si sarebbero trasformati in biogas” ricorda il quotidiano La Stampa. La nuova giunta guidata da Virginia Raggi,invece, così come indicato nel piano Ama per la gestione dei materiali post-consumo 2017 – 2021, prevede la costruzione di impianti per la valorizzazione della frazione organica con “l’individuazione di aree per la costruzione di impianti di compostaggio aerobico che possano trattare almeno 120.000 tonnellate di organico”.

Legambiente, che in un comunicato “ribadisce le 4 mosse per liberare la capitale dai rifiuti”, indica tra le misure da adottare, “la costruzione di 10/15 impianti anaerobici per la gestione dell’organico e la produzione di biometano. La frazione organica – sottolinea l’associazione – pesa per circa il 30% del totale dei rifiuti urbani e a Roma, al superamento del 65% di differenziata come previsto per legge, sarebbe di circa 500.000 tonnellate annue; per smaltirle sarebbero necessari 10/15 digestori anaerobici per il trattamento dell’organico e la produzione di biometano, impianti piccoli, a zero emissioni e miasmi. La giunta invece si era detta favorevole alla costruzione di 3 impianti aerobici, scelta che Legambiente ritiene sbagliata, pensando che non si possa condannare un territorio che ha sopportato già così tanto, a miasmi perenni provenienti da impianti i cui progetti sono ancora sconosciuti, la localizzazione altrettanto e le persone non coinvolte nelle scelte”.

C’è da ricordare, tuttavia, che recentemente l’attuale l’assessora alla Sostenibilità Ambientale di Roma, Giuseppina Montanari, i vertici di Ama e numerosi rappresentanti del Comune e dei Municipi di Roma, sono stati in visita al Polo Ecologico di Acea Pinerolese Industriale S.p.A., realtà all’avanguardia che integra un impianto di depurazione acque reflue, al trattamento anaeorobico dei rifiuti, al compostaggio aerobico e all’impianto di produzione di biometano. “Una visita molto utile” aveva affermato in quella occasione l’assessora Montanari “perché mi sembra ci sia un esempio virtuoso di valorizzazione dell’organico”.

Ma quali sono i principali vantaggi e svantaggi dei due processi? Riprendiamo a questo proposito un documento del Consorzio Italiano Compostatori: La digestione anaerobica produce energia rinnovabile (biogas) a fronte del compostaggio aerobico che consuma energia; gli impianti anaerobici sono in grado di trattare tutte le tipologie di rifiuti organici indipendentemente dalla loro umidità, a differenza del compostaggio che richiede un certo tenore di sostanza secca nella miscela di partenza; gli impianti anaerobici sono reattori chiusi e quindi non vi è rilascio di emissioni gassose maleodoranti in atmosfera, come può avvenire durante la prima fase termofila del compostaggio; nella digestione anaerobica si ha acqua di processo in eccesso che necessita di uno specifico trattamento, mentre nel compostaggio le eventuali acque di percolazione possono essere ricircolate come agente umidificante sui cumuli in fase termofila; gli impianti di digestione anaerobica richiedono investimenti iniziali maggiori rispetto a quelli di compostaggio la qualità del digerito, in uscita dalla digestione anaerobica, è più scadente di quella del compost aerobico.

Tuttavia, si legge ancora nel documento, l’integrazione dei due processi può portare dei notevoli vantaggi, in particolare: si migliora nettamente il bilancio energetico dell’impianto, in quanto nella fase anaerobica si ha in genere la produzione di un surplus di energia rispetto al fabbisogno dell’intero impianto; si possono controllare meglio e con costi minori i problemi olfattivi; le fasi maggiormente odorigene sono gestite in reattore chiuso e le “arie esauste” sono rappresentate dal biogas (utilizzato e non immesso in atmosfera). Il digerito è già un materiale semi-stabilizzato e, quindi, il controllo degli impatti olfattivi durante il post-compostaggio aerobico risulta più agevole, si ha un minor impegno di superficie a parità di rifiuto trattato, pur tenendo conto delle superfici necessarie per il post-compostaggio aerobico, grazie alla maggior compattezza dell’impiantistica anaerobica; si riduce l’emissione di CO2 in atmosfera (Kubler and Rumphorst, 1999) da un minimo del 25% sino al 67% (nel caso di completo utilizzo dell’energia termica prodotta in cogenerazione); l’attenzione verso i trattamenti dei rifiuti a bassa emissione di gas serra è un fattore che assumerà sempre più importanza in futuro.

Foto: impianto biometano Acea Pinerolese

Fonte: ecodallecitta.it

 

Premio Prevenzione dei Rifiuti: premiati i vincitori da Legambiente e Federambiente

Martedì 3 marzo Legambiente e Federambiente hanno premiato i vincitori del Premio nazionale sulla Prevenzione dei Rifiuti. L’iniziativa nata con l’obiettivo di promuovere buone pratiche concrete e replicabili

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Recupero di alimenti invenduti nei supermercati e dei pasti non consumati in mense scolastiche e aziendali, alberghi e ospedali da distribuire nelle strutture di solidarietà come le mense della Caritas; acqua di rubinetto servita in caraffa, o filtrata ed erogata da distributori, al posto dell’acqua in bottiglie; riduzione degli imballaggi nella grande distribuzione; dimezzamento della produzione di rifiuti indifferenziati grazie agli incentivi ai cittadini che differenziano e praticano il compostaggio: sono alcune delle iniziative vincitrici della seconda edizione del Premio nazionale sulla Prevenzione dei Rifiuti promosso da Federambiente e Legambiente e patrocinato dal ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare. I vincitori sono stati scelti tra le 119 iniziative presentate nelle categorie amministrazioni ed enti pubblici e privati, imprese multiutility e di gestione dei rifiuti, imprese, Terzo settore (cooperative, associazioni ecc.). Per la categoria amministrazioni ed enti pubblici e privati sono stati premiati: Regione Campania, Comune di Oristano, Comune di Trento e Istat (menzione speciale. Per la categoria imprese multiutility e di gestione dei rifiuti il premio è stato assegnato ad Aprica SpA (Gruppo A2A). Per le imprese invece vince Nexive SpA. Per la categoria Terzo settore infine il premio è andato all’Associazione Banco alimentare della Lombardia e all’Istituto Scholè (menzione speciale).  Quest’anno le iniziative presentate per partecipare al Premio sono state 119. “Siamo soddisfatti perché il numero di iniziative proposte è aumentato del 52% rispetto allo scorso anno”, spiega Gianluca Cencia, direttore di Federambiente, in conferenza stampa. “Delle 119 iniziative presentate da 95 soggetti ne sono state validate 88, il 24% in più dello scorso anno. Purtroppo 31 iniziative non sono state ritenute rispondenti ai criteri previsti dal Premio e per questo non sono state validate. Scopo di questo premio – aggiunge Cencia –è individuare, promuovere e diffondere le buone pratiche nazionali nell’ambito della prevenzione della produzione dei rifiuti, far emergere esperienze concrete, reali e replicabili“. Una giuria di esperti ha scelto i vincitori del Premio nelle diverse categorie: amministrazioni ed enti pubblici e privati; imprese multiutility e di gestione dei rifiuti; imprese; Terzo settore (cooperative, associazioni ecc.). Per quanto riguarda la distribuzione geografica, nel centro nord si concentra il maggior numero di iniziative validate: al primo posto la Lombardia con 19 iniziative, seguita dalla Toscana. Tra le iniziative, spiccano la promozione di forme di consumo sostenibile che consentono una minore produzione di rifiuti, di riutilizzo di beni e di misure che puntano ad informare. Le merceologie di beni principalmente interessate dalle azioni di prevenzioni sono: rifiuti organici e spreco alimentare; imballaggi; beni durevoli oggetto di riutilizzo. Principali destinatari delle azioni sono stati i cittadini consumatori, gli operatori economici e il mondo della scuola. “Ridurre i rifiuti è possibile e le esperienze premiate qui oggi lo dimostrano“, ha dichiarato il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza, intervenuto questa mattina a Roma nel corso della premiazione. “Nonostante questo tipo d’iniziative sia ormai sempre più diffuso, però, continuiamo ancora a parlare di casi eclatanti, di buoni esempi sostanzialmente spontanei, che possono essere imitati e replicati ma che ad oggi non godono d’alcun tipo di facilitazione. Affinché queste esperienze diventino la norma in tutto il Paese c’è bisogno allora di promuoverne le modalità premiando economicamente chi si impegna di più. È arrivato quindi il momento per il ministero dell’Ambiente di tirare fuori del cassetto la bozza di decreto sulla tariffazione puntuale, modulata in base alla produzione dei rifiuti, per mettere a regime questi comportamenti sicuramente virtuosi ma ancora troppo estemporanei. Il Green Act sarà occasione per fare il punto della situazione”. “Nella prevenzione dei rifiuti il volontariato svolge un ruolo importante sia per i progetti sia per l’informazione. Ma servono strumenti che siano in grado di superare le forme di volontariato e che possano premiare e incentivare le iniziative che portano risultati in campo di riduzione e prevenzione dei rifiuti. In questo modo forse riusciremo a rendere sistematici il lavoro e la cultura della prevenzione sul territorio nazionale”, ha aggiunto Filippo Brandolini, Presidente di Federambiente.

Fonte:  ecodallecitta.it

Rifiuti, Fise: “Rischio blocco della gestione generale con Decreto Competitività”

La denuncia di Fise, Federambiente e Atia-Iswa:”La nuova norma contenuta nel decreto Competitività comporta, con un’applicazione estrema e ingiustificata del principio di precauzione, la classificazione come pericolosi di circa 2/3 dei rifiuti speciali non pericolosi prodotti in Italia. Sono 85 milioni di tonnellate all’anno” (il velino.it)381980

“Il rischio è concreto. Con l’entrata in vigore oggi della norma che – in contrasto con i criteri europei che si dovranno applicare anche in Italia fra poco più di tre mesi – trasforma di fatto in ‘pericolosi’ la gran parte dei rifiuti speciali che pericolosi in realtà non sono, il sistema nazionale di gestione dei rifiuti viene messo in grave difficoltà. Se non s’interviene tempestivamente – denunciano le associazioni degli operatori del settore (Fise Assoambiente, Fise Unire, Federambiente e Atia-Iswa) –, nel giro di alcune settimane i pochi impianti autorizzati a trattare i rifiuti pericolosi saranno saturi e aumenterà esponenzialmente il ricorso all’esportazione dei rifiuti riclassificati, con conseguente ulteriore ingiustificata penalizzazione dei cittadini e delle imprese produttrici”.  È quanto afferma una nota. “La norma, inserita nella conversione in legge (agosto 2014) del decreto Competitività, rivoluziona la classificazione dei rifiuti speciali con ‘codici a specchio’, cioè quelli che potevano essere considerati pericolosi o non pericolosi a seconda delle loro caratteristiche. La nuova disposizione comporta praticamente, con un’applicazione estrema e ingiustificata dal punto di vista scientifico del principio di precauzione, la classificazione come pericolosi di circa 2/3 dei rifiuti speciali non pericolosi prodotti in Italia, qualcosa come 85 milioni di tonnellate all’anno. L’applicazione della nuova norma sconvolgerà l’operatività quotidiana non solo dei produttori dei rifiuti ma anche delle migliaia d’imprese impegnate nell’ordinaria gestione dei rifiuti e produrrà, a breve,diverse situazioni d’emergenza in tutta Italia, perché rifiuti che fino a ieri erano considerati non pericolosi non potranno più essere gestiti negli impianti che li hanno sinora trattati e dovrebbero essere conferiti presso impianti autorizzati a gestire rifiuti pericolosi, insufficienti però per tali quantità di rifiuti. “Si rischia così di produrre effetti contrari rispetto alla ratio della legge nella quale è contenuta, ossia aumentare il grado di competitività del sistema Italia, incrementando il negativo “turismo dei rifiuti” e favorendo di fatto la loro gestione in aziende estere. Un ulteriore colpo a un settore che già opera quotidianamente in un quadro normativo confuso, mutevole e contraddittorio”. Per questo Fise Assoambiente, Fise Unire, Federambiente e Atia-Iswa chiedono al ministero dell’Ambiente di emanare – come previsto dall’ordine del giorno approvato dalla Camera il 6 agosto 2014 – “una circolare esplicativa o altro atto amministrativo per garantire, nel più breve tempo possibile, alle imprese e ai cittadini italiani condizioni applicative in linea con le disposizioni europee. L’applicazione della norma e il cambio di status dei rifiuti speciali speculari determina fra l’altro la necessità di una revisione dei contratti (le cosiddette ‘omologhe’) in essere tra produttori e imprese incaricate della gestione dei rifiuti, che dovranno ora prevedere un diverso iter per il loro trattamento e richiedere modifiche autorizzative che, nella migliore delle ipotesi, comportano tempi molto lunghi”, conclude la nota.

(foto ansa ambiente)

 

Fonte:  ecodallecitta.it

Ambiente Urbano, il rapporto dell’Istat sull’ ecosostenibilità delle città italiane | Documento

Secondo l’analisi Istat sull’ambiente urbano ben 81 comuni su 116 hanno aderito al Patto dei Sindaci. Passi avanti nella gestione dei rifiuti e della mobilità smart, ma ancora indietro l’erogazione dell’acqua potabile381286

L’Istat ha pubblicato il rapporto “Ambiente urbano: gestione eco compatibile e smartness” relativa ai capoluoghi di provincia e riferita all’anno 2013. Ecco i dati principali:

In tema di strumenti innovatori di programmazione eco compatibile, sono 81 su 116 i capoluoghi che al 31 dicembre 2013 hanno aderito al Patto dei sindaci, (impegnandosi a ridurre le emissioni di CO2 di almeno il 20% entro il 2020) e 50 hanno già approvato il Piano di azione per l’energia sostenibile.
A favore della gestione eco sostenibile dei rifiuti, la raccolta porta a porta nel 2013 è attiva in 101 capoluoghi, il ritiro su chiamata degli ingombranti in 111 (in 79 esteso anche ad altre tipologie di rifiuto). 105 comuni hanno isole ecologiche e 38 stazioni mobili per il conferimento diretto da parte dei cittadini, 97 hanno attivato interventi programmati di raccolta dei rifiuti abbandonati. Permangono inefficienze nell’erogazione dell’acqua potabile: nel 2012 le dispersioni delle reti di distribuzione comunali sono pari al 34%. Il settore della mobilità è tra i più dinamici per l’applicazione di tecnologie innovative da parte dei comuni. Nel 2013, Genova e Bologna hanno l’offerta più completa di servizi di infomobilità; quasi la metà dei comuni dispone di pannelli a messaggio variabile su strada (56), offre informazioni via web sul trasporto pubblico (52), dispone di paline elettroniche alle fermate (50). Più di un terzo delle città utilizza “semafori intelligenti” e poco meno permette la ricarica dei veicoli elettrici in aree pubbliche. Diffusi gli investimenti “smart” di efficientamento dell’illuminazione pubblica: nel 2013 il 14,6% dei punti luce ha un sistema di regolazione del flusso luminoso; il 4,8% utilizza lampade a LED e una piccola quota in forte crescita è fotovoltaica (0,7‰; +44,6% in un anno). Nel campo delle fonti rinnovabili e dell’uso efficiente dell’energia, 105 comuni producono in proprio energia solare fotovoltaica, 6 comuni quella idroelettrica, 3 energia eolica e altrettanti la geotermica. Il teleriscaldamento è presente in 34 capoluoghi; 78 città dispongono di propri impianti solari termici, 20 a biomasse e/o biogas e 24 pompe di calore ad alta efficienza.
Le “Zone 30” sono presenti in 63 capoluoghi nel 2013 (9 in più rispetto al 2012), i servizi di bike sharing in 58 città (10 in più in un biennio) con oltre 1.000 punti di prelievo (+42%) e quasi 10 mila biciclette (+62%). Il car sharing è attivo nel 2013 in 22 città, con circa 1.000 veicoli (il 23% elettrici) e oltre 25 mila abbonati (+36% in un biennio).
Per favorire gli utenti e la trasparenza dei processi sono diffusi i servizi on line: nel 2013, 51 capoluoghi ne hanno attivato almeno 3 di tipo anagrafico; 38 offrono la possibilità di prenotare appuntamenti con referenti degli uffici comunali; 39 consentono il pagamento per almeno due tipi di servizi o tributi.

 

Ambiente Urbao, Istat [0,64 MB]

Fonte: ecodallecitta.it

Discariche illegali: l’Ue multa l’Italia per i rifiuti

La Corte di Giustizia europea multa l’Italia per il mancato rispetto della normativa sulla gestione dei rifiuti e delle discariche: 40 milioni a forfait, 42,8 milioni a semestre fino al rispetto della sentenza del 2007. L’Italia è stata multata dalla Corte di giustizia europea per il mancato rispetto della normativa Ue in materia di gestione dei rifiuti e delle discariche. Il nostro Paese sarà assoggettato a una multa forfettaria di 40 milioni di euro, a cui si aggiungeranno penalità fino a un massimo di 42,8 milioni per ogni semestre che passerà dalla sentenza fino alla messa in regola delle 218 discariche illegali presenti sul nostro territorio. I giudici europei hanno sentenziato che le procedure italiane non garantiscono la salute umana e la protezione dell’ambiente, soprattutto a causa dei mancati controlli sui rifiuti pericolosi e per l’assenza di un sistema che eviti la proliferazione delle discariche abusive. La Corte, già nel 2007, aveva constato l’inadempimento italiano alle direttive sui rifiuti. Oggi arriva la multa, frutto di sette anni di richiamo. “Le operazioni sono state compiute con grande lentezza, tanto che un numero importante di discariche abusive si registra ancora in quasi tutte le regioni italiane”scrivono da Lussemburgo.

La sentenza del 2007

Era il 2007 quando la Corte dichiarò che l’Italia era “venuta meno, in modo generale e persistente, agli obblighi stabiliti dalle direttive sui rifiuti, sui rifiuti pericolosi e sulle discariche”. Sei anni dopo,
la Commissione Ue ha verificato l’inadempienza del nostro Paese alla sentenza. E ha segnalato le 218 discariche situate in 18 regioni, non conformi alla direttiva rifiuti. Non solo: 16 discariche contenevano pure rifiuti pericolosi e, per cinque discariche, l’Italia non aveva dimostrato che fossero state oggetto di riassetto o di chiusura, come richiesto dall’Ue. La Commissione ha quindi denunciato che 198 discariche non erano ancora conformi alla direttiva. L’Italia è stata pertanto condannata a una multa iniziale di 40 milioni di euro e a versare una penalità di 42,8 milioni per ogni semestre, a partire dal 2 dicembre e fino all’esecuzione della sentenza del 2007. Dai 42,8 milioni, ogni volta che una discarica con rifiuti pericolosi sarà messa a norma, verranno detratti 400 mila euro. Saranno detratti 200 mila euro per ogni altra discarica che verrà messa a norma.

Cosa ha fatto l’Italia

Intendiamoci, qualcosa l’Italia ha fatto. Secondo il rapporto Ispra di gennaio scorso, le discariche restano il metodo più diffuso di smaltimento dei rifiuti in Italia (40%). Rispetto al 2011,c’è stato un calo dell’11,7%. La peggiore performance va al Centro Italia (56% dei rifiuti in discarica), poi c’è il Sud (51%) e il Nord (22%). Nel 2012, la regione con il maggior numero di impianti era l’Emilia Romagna (18), poi il Piemonte (16). Sempre nel 2012, la regione che aveva smaltito in discarica la minor quantità di rifiuti urbani prodotti era il Friuli Venezia Giulia (7%), seguita da Lombardia (8%) e Veneto (11%). Al Sud, invece, i dati sono ben diversi. Il Molise era addirittura al 105%, con il 60% proveniente dall’Abruzzo, la Calabria all’81%, la Sicilia all’83%. Dal 2003 a oggi, sono state chiuse 288 discariche, di cui 229 al Sud, 43 al Nord e 16 al Centro. Ancora troppo poco per i parametri Ue, che ora chiede all’Italia di pagare un prezzo molto alto.

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Fonte: ecoblog.it

Eccellenze del servizio pubblico. Intervista a Ezio Orzes: “I rifiuti? Non esistono!”

Il mito della privatizzazione dei servizi pubblici tramonta, al contrario si affermano le eccellenze dei risultati delle società pubbliche italiane che gestiscono i servizi di raccolta dei rifiuti che primeggiano anche sulle performance europee. Intervista a Ezio Orzes, coautore insieme a Marco Boschini, del libro “I Rifiuti? Non esistono”380934

Il libro “I rifiuti? Non esistono!”, stampato su carta paglia (casa editrice Emi) si divide in quattro capitoli e si presenta in una edizione pratica da sfogliare con taglio comunicativo e agevole da leggere, senza però rinunciare a fornire dati e notizie qualificate. Il libro sfata molti luoghi comuni sui rifiuti (c’è il capitolo: il paese dei “si dice”) e racconta delle eccellenze mondiali – di tipo pubblico – che si trovano in Italia. Alcuni temi trattati (anche nell’intervista): la pratica della raccolta porta a porta con altissime percentuali di differenziata, l’eccellenza dei servizi pubblici e l’esistenza di virtuose realtà aziendali che si occupano di riciclo. Ma in Italia il Governo, al contrario, propone i vecchi modelli della privatizzazione del servizio pubblico. Eppure l’emblema di questa buona gestione pubblica parte proprio da Ponte nelle Alpi, comune passato dal 23% all’80% di raccolta differenziata in un solo mese, fino ad arrivare al 91,5% di adesso, in cui ogni cittadino produce mediamente in un anno solo 28 chili di rifiuto secco, contro i 350 della media nazionale. Il risparmio economico? Ben 430 mila euro all’anno, investiti in lavoro, occupazione e servizi. Ma questo comune virtuoso non è l’unico. Secondo i dati presentati, da più di dieci anni, due milioni e mezzo di italiani sono regolati da eccellenti servizi pubblici che riescono a raggiungere una media del 75% di raccolta differenziata di rifiuti a costi che sono sotto la media nazionale. E questa volta non siamo in Centro o Nord Europa: siamo in Italia.
Le persone che acquisteranno on line il libro sul sito della casa editrice EMI(http://www.emi.it/rifiuti-d-italia-boschini-orzes) potranno scaricare e leggere l’intervista che Orzes ha realizzato ad Antonio Diana, figlio di Mario, ucciso dalla Camorra nel 1985 per non cedere il passo alle cosche dei Casalesi. Oggi Antonio Diana è titolare della Erreplast, un’azienda del casertano che trasforma le bottiglie recuperate con la raccolta differenziata.
Buonasera Ezio Orses, due assessori all’ambiente dei comuni di Ponte nelle Alpi e di Colorno, Lei e Marco Boschini, si mettono insieme e scrivono un libro “I rifiuti? Non esistono!”. Il titolo del libro è un paradosso o è una affermazione di principio.

E’ un paradosso che va contro quelli che sono i luoghi comuni più utilizzati dalla quella parte della politica che non vuole decidere. Infatti il primo capitolo del libro è: Il paese dei “si dice”. Nella realtà dei rifiuti spesso si dice che fare il porta a porta è complicato ma in realtà si tratta di chiedere ai cittadini di mettere trenta cose nel posto giusto. Oppure spesso si dice che la raccolta domiciliare può funzionare in alcune parti del paese oppure in territori a bassa densità abitativa, ma la realtà dimostra che ci sono comuni di quartieri di grandi città e metropoli che hanno raggiunto ottimi risultati.
Le grandi città a questo punto non hanno più alibi per non fare la riaccolta differenziata porta a porta. Questo è un aspetto che avete trattato nel libro?

Certo, ma non solo. Nel capitolo “Bravi da morire” si racconta una cosa che in realtà non si conosce. Molto spesso pensiamo che l’eccellenza della gestione dei rifiuti faccia riferimento solo ad alcuni paesi del Centro-Nord Europa (altro luogo comune), siamo abituati a individuare quei paesi come l’eccellenza per la gestione dei servizi pubblici. In realtà lo sono per alcuni servizi, ma forse è anche giunto il momento di imparare a dirci che l’eccellenza non solo europea ma mondiale per gestione dei servizi di raccolta differenziata, è tutta italiana: perchè in Europa non c’è nessun paese dove il cittadino come a Ponte nelle Alpi produca meno di 28 chilogrammi procapite al’anno. Oppure non c’è nessuno, e penso alla realtà al consorzio Priula Contarina spa, società pubblica che gestisce oramai 550 mila abitanti, con l’84% di raccolta differenziata. E parliamo di una eccellenza mondiale.
Riguardo alla gestione dei rifiuti in Italia le eccellenze sono pubbliche o private?

L’altra realtà che emerge è questa: In Italia nella gestione delle raccolta dei servizi di igiene urbana l’eccellenza è esclusivamente pubblica. Tutti i livelli di eccellenza di gestione (comprensori o singoli comuni che raggiungono questi risultati) sono pubblici. L’Italia, paradossalmente, continua invece negli anni a riproporre norme che tendono verso la privatizzazione dei servizi: in realtà abbiamo degli esempi straordinari di gestione dei servizi pubblici, sia dal punto di vista che dei costi e delle performance dei risultati.

Può fornirci qualche esempio

Riguardo alla raccolta differenziata, grazie allo studio coordinato dal Consorzio Intercomunale Priula di Treviso, ci siamo resi conto, che alcune tra le migliori società pubbliche (che attualmente gestiscono il servizio di raccolta differenziata per quasi due milioni e mezzo di cittadini) avevano una raccolta differenziata del 73,5% a fronte della media nazionale del 35% del 2012! Ben oltre i limiti di legge (65%): lo studio dei dati ha messo in evidenza che i cittadini hanno nel tempo ridotto anche la loro produzione totale di rifiuti fino a 414 kg per abitante all’anno rispetto ai 532 della media italiana. Ciò che va a finire in discarica è poco meno di 92 chilogrammi per persona all’anno, contro i 346 della media del paese! E non costa di più di altri luoghi in cui le raccolte sono ferme ancora al 5% di RD. Il costo medio per abitante/anno delle gestioni pubbliche virtuose è di 107 euro contro i 175 della media italiana e ogni famiglia paga in media 162 euro di bolletta all’anno al posto dei 240 euro che è il costo medio delle bollette italiane. E questa volta non siamo in Centro o Nord Europa: siamo in Italia.

Si sfata dunque, anche in questo campo, il mito della privatizzazione dei servizi pubblici

In Italia c’è il luogo comune che “privato è meglio” e che solo questo riesce a mettere nel sistema “know how” e efficienza. Ma in realtà al contrario le eccellenze di cui abbiamo parlato sono soltanto pubbliche. Dal punto di vista gestionale, se ci allontaniamo da questi luoghi comuni, a parità di servizi, la gestione di questi deve essere sempre di tipo pubblico. Perchè il privato, a parità di rischio di impresa, ha comunque l’obiettivo di perseguire l’utile di impresa. L’obiettivo delle società pubbliche (società erogatrici di servizi) non è quello di fare utili ma bensì di dare dei servizi di qualità i cittadini, reinvestendo gli utili conseguiti nel miglioramento di questi, raggiungendo a latere gli obiettivi al minor costo possibile. Qui in Italia, c’è una politica che invece tende a spostare verso ambiti diversi: e cioè verso la privatizzazione e non c’è un ragionevole motivo. Le evidenze e le esperienze oramai ci sono in molti parti del paese e penso a Ponte nelle Alpi, Trento, Treviso, ma ce ne sono tante altre raccontate nel libro.
In alcune regioni del paese (soprattutto al sud) manca ancora sia nel pubblico che nel privato, una imprenditorialità di questo tipo. Cosa possiamo dire invece di quelle aziende pubbliche che non hanno superato gli obiettivi:

Nelle conclusione del capitolo il messaggio che lanciamo non è che il pubblico funziona “per forza” in ogni luogo: qui in Italia, se ci pensiamo, abbiamo paradossalmente il migliore e contemporaneamente forse il peggiore servizio pubblico di gestione relativo alla raccolta dei rifiuti. Qual è allora il tema? Perchè si vuole togliere il soggetto pubblico anche in regime di concorrenza da questo tipo di gestione? E non si individuano degli indicatori di qualità? In Germania ci sono tremila gestioni “in house”, cioè gestioni pubbliche. Ma hanno un tipo di legislazione che punisce i cattivi risultati. Non è che il comune è obbligato a mantenere una gestione di tipo pubblico: ad esempio se l’azienda pubblica non ha raggiunto gli obiettivi minimi per legge (percentuali di raccolta differenziata e riduzione dei rifiuti) entro un certo periodo di tempo, se non ha un bilancio in utile o pari a zero, se ha un costo dei servizi superiore rispetto alla media nazionale, deve andare a casa perché non è in grado di svolgere il suo lavoro. In Italia una legge di questo tipo finora nessun Governo (persino il governo dei tecnici) l’ha voluta attuare.

Fonte: ecodallecitta.it

Ecosistema Urbano, presentata a Torino la 21° edizione. Ecco i risultati

Il rapporto di Legambiente sulla vivibilità ambientale dei capoluoghi di provincia italiani, realizzato in collaborazione con l’Istituto di Ricerche Ambiente Italia e Il Sole 24 Ore, presentato lunedì 27 ottobre a Torino. Quest’anno il dossier si concentra sulla qualità delle politiche ambientali dei capoluoghi di provincia”Città a tre velocità: lente, lentissime, statiche. A Verbania, Belluno, Bolzano, Trento e Pordenone i risultati migliori. Agrigento è ultima”380759

Inquinamento atmosferico a livelli d’emergenza e tasso di motorizzazione in crescita, gestione dei rifiuti altalenante e trasporto pubblico in crisi. Questo il quadro che emerge dalla ventunesima edizione di Ecosistema Urbano, il rapporto di Legambiente sulla vivibilità ambientale dei capoluoghi di provincia italiani, realizzato in collaborazione con Ambiente Italia e Il Sole 24 Ore e presentato oggi a Torino. Le prime cinque città in classifica sono Verbania, Belluno, Bolzano, Trento e Pordenone ma per capire la brutta aria che tira nei nostri centri urbani basta sbirciare le prestazioni dei comuni che dovrebbero essere al top. Trento, per intenderci, ha valori eccessivi di biossido di azoto, Verbania e Belluno perdono un terzo dell’acqua immessa in rete, Pordenone depura poco più della metà dei suoi scarichi fognari. Non è difficile, allora, immaginare qual è la situazione in fondo alla classifica, dove si collocano Agrigento e Isernia, Crotone e Messina, Catanzaro e Reggio Calabria. Nel nostro paese, prevale un format decisionale che guarda alla città da prospettive parziali, ciascuna delle quali persegue logiche di settore spesso contraddittorie e in reciproca elisione che favoriscono un’incoerente destinazione delle risorse e una perniciosa disorganicità nelle azioni. Ma diversamente vanno le cose in numerose città europee. Barcellona, Bilbao, Londra, Malmö, Copenaghen, Vienna e Amburgo, per citarne solo alcune, mostrano ognuna a modo suo una capacità di ripensarsi: la rigenerazione passa o almeno tenta di passare attraverso piccoli e grandi interventi di trasformazione tesa a cancellare gli errori del passato e accrescere la qualità dei servizi e la vivibilità. E il confronto con i nostri vicini europei è fondamentale per leggere correttamente le classifiche di Ecosistema Urbano, che quest’anno si concentra sulla qualità delle politiche ambientali dei nostri capoluoghi di provincia, per osservare in modo più approfondito quello che l’amministrazione locale fa, o non fa, per migliorare la mobilità, la gestione dei rifiuti e delle acque e, in generale, la qualità del proprio territorio. L’insieme dei dati ci dice, ancora una volta, che le città italiane vanno a tre velocità: sono lente, lentissime e statiche.
“Non mancano i segnali di cambiamento: il successo della raccolta differenziata a Milano e Andria, il car-sharing a Roma e Milano, le pedonalizzazioni a Bologna, la mobilità a Bolzano – dichiara il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza – pochi segnali positivi in una situazione bloccata. Eppure la discussione nel paese sta ripartendo, complice il dibattito sui fondi strutturali e le questioni aperte dalla istituzione delle città metropolitane. Al suo ventunesimo anno, Ecosistema Urbano ripete con evidenza che c’è bisogno di una strategia positiva di trasformazione delle città. Quello che davvero manca è la capacità di immaginare il traguardo, il punto d’arrivo verso cui tendere, sia nel breve che nel lungo o lunghissimo periodo. In assenza di obiettivi chiari e ambiziosi – prosegue Cogliati Dezza – le nostre città non andranno da nessuna parte, schiacciate come sono da logiche parziali e settoriali, a compartimenti stagni. Eppure è proprio la crisi economica in edilizia, la pessima qualità della mobilità urbana e periurbana, le opportunità offerte dalla digitalizzazione e dalle nuove tecnologie energetiche che rendono possibile e necessario avviare concreti percorsi di rigenerazione urbana. Serve un piano nazionale che assegni alle città un posto di primo piano nell’agenda politica che superi la frammentazione dei singoli provvedimenti e mostri una capacità politica di pensare un modo nuovo di usare e vivere le città. Purtroppo, il decreto SbloccaItalia rappresenta solo l’ennesima occasione persa. E le città pagheranno anche questo”. Quest’anno, sono 18 gli indicatori selezionati per confrontare tra loro i 104 capoluoghi di provincia italiani. Tre indici sulla qualità dell’aria (concentrazioni di polveri sottili, biossido di azoto e ozono), tre sulla gestione delle acque (consumi, dispersione della rete e depurazione), due sui rifiuti (produzione e raccolta differenziata), due sul trasporto pubblico (il primo sull’offerta, il secondo sull’uso che ne fa la popolazione), cinque sulla mobilità (tasso di motorizzazione auto e moto, modale share, indice di ciclabilità e isole pedonali), uno sull’incidentalità stradale, due sull’energia (consumi e diffusione rinnovabili). Quattro indicatori su diciotto selezionati per la classifica finale (tasso di motorizzazione auto, tasso di motorizzazione moto, incidenti stradali e consumi energetici domestici) utilizzano dati pubblicati da Istat. Nel complesso, l’inquinamento atmosferico resta ancora a livelli di emergenza. In particolare, aumentano le situazioni critiche nei comuni più grandi. Per il biossido di azoto (NO2), Trieste, Milano, Torino e Roma fanno registrare valori oltre i 50 μg/mc. Le politiche urbane sulla mobilità, uno tra i principali fattori di pressione sulla qualità dell’aria, non sembrano ancora portare i risultati sperati.
I dati sugli spostamenti in auto e moto, supportati da un tasso di motorizzazione ancora in leggero aumento, mostrano come la diffusione sistematica della mobilità muova (piedi e bici integrati con trasporto pubblico efficiente) sia una realtà ancora lontana. Solo a Bolzano le politiche di mobilità sono riuscite a limitare gli spostamenti motorizzati privati al di sotto di un terzo degli spostamenti complessivi. Mentre sono 26 le città in cui gli spostamenti in auto e moto superano i due terzi del totale. Sul fronte del trasporto pubblico, non raggiungono la soglia dei 100 passeggeri per abitanti Bari (57 pass./ab), Napoli (56 pass/ab), Catania (47 pass/ab), Palermo (37 pass/ab). Chiudono, tra le grandi città, gli “nd” di Taranto e Messina. Continua a risentire della congiuntura economica negativa la produzione di rifiuti. Nel 2013 la produzione pro capite scende a una media di 541 kg/abitante (-3,4% rispetto all’anno precedente), mentre la raccolta differenziata arriva al 40,8% (+3,9%). Al di là del valore medio, lo sviluppo della raccolta differenziata mostra ancora gruppi fortemente polarizzati. A fronte di un terzo dei comuni che non raggiunge nemmeno quell’obiettivo del 35% previsto per il 2006, ve ne sono altrettanti che superano abbondantemente il 50%. Otto di questi – tra cui due città campane, Benevento e Salerno – hanno praticamente raggiunto o superato l’obiettivo di legge del 65%, ponendo le basi per lo sviluppo di un’economia circolare basata sul riciclo e riuso delle risorse che è una dei pilastri fondamentali dell’agenda europea per il 2020. Il dato sulla dispersione dell’acqua conferma un panorama molto variegato: si passa dall’8% di Foggia al 77% di Cosenza. Ancora oggi in 52 città più del 30% dell’acqua immessa nella rete viene dispersa; in 19 le perdite sono addirittura superiori al 50% (Bari, Como, Chieti, Matera, Messina, Palermo, Massa, Rieti, Gorizia, Catanzaro, Salerno, L’Aquila, Vibo Valentia, Potenza, Sassari, Latina, Ragusa, Frosinone, Cosenza).
Per la depurazione, in testa alla classifica troviamo 43 capoluoghi in grado di servire più del 95% degli abitanti, tra questi 11 raggiungono quota 100%, riuscendo a coprire la totalità della popolazione. Quattro, invece, i comuni, tutti meridionali, in cui viene servita dal depuratore solo la metà, o meno, della popolazione: Benevento (21% di capacità di depurazione), Catania (24%), Messina (48%) e Palermo (49%). A passarsela meglio sono città medio-piccole, soprattutto del nord Italia. Anche se tra le prime 10 in classifica troviamo ben tre città del centro: Oristano, L’Aquila e Perugia. Prima in assoluto è Verbania che colleziona buone performance negli indicatori più significativi, a cominciare da quelli sull’inquinamento atmosferico. Seconda è Belluno: buoni risultati negli indici legati all’inquinamento atmosferico, ai rifiuti e a parte della mobilità. E’ seconda dietro a Oristano nella graduatoria della produzione procapite di rifiuti con 383,8 chili per abitante all’anno e si attesta al 70,6% di rifiuti raccolti in maniera differenziata. Sul podio anche Bolzano: seconda assoluta nella classifica dedicata alle polveri sottili, balza dal 46% di raccolta della scorsa edizione all’attuale 54,8%. Trento si piazza al quarto posto, grazie alle basse medie delle polveri sottili e al buon binomio totale di rifiuti raccolti-percentuale di raccolta differenziata. Per quest’indice è addirittura terza con il 70,9% di Rd, dietro solo a Pordenone e Verbania. Conquista inoltre il primo posto per consumi elettrici annui procapite: con 896 kWh/abitante è il capoluogo che consuma meno. In coda alla graduatoria ci sono Crotone (102), Isernia (103) e Agrigento (104), che collezionano una lunga serie di “nd” negli indici più significativi della ricerca e dove rispondono evidenziano performance molto poco brillanti. A Crotone sono appena 3 i viaggi l’anno effettuati dagli abitanti sugli autobus, 0,02 i metri quadrati di superficie pedonale a disposizione di ogni residente, il 16,6% i rifiuti raccolti in modo differenziato. Isernia dichiara l’8,0% di rifiuti raccolti in maniera differenziata, 71 auto ogni 100 abitanti, zero metri equivalenti di strada destinata ai ciclisti, zero potenza installata da solare termico e fotovoltaico su edifici comunali. Agrigento, assieme a Cosenza e Caserta, ha inviato informazioni inferiori al 50% del totale dei punti assegnabili.

Alcune delle buone pratiche segnalate e premiate nell’ambito dei lavori della giornata:

Zona 30 km/h Mirafiori Nord a Torino. La prima e unica Zona 30 di concezione “europea” a Torino è nel quartieri Mirafiori Nord. Precisamente nel quadrilatero via G. Reni, C.si Sebastopoli-Siracusa-Orbassano: 50 ettari, 10.000 abitanti. In un confronto tra i due anni prima dell’intervento, e quelli dopo l’intervento, si può osservare: il traffico nelle ore di punta è diminuito del 15% circa e del 30% per i mezzi pesanti; una riduzione del 74% dei giorni di prognosi per incidenti; il rumore è diminuito di 2 decibel; il risparmio complessivo è stato di 1,5 milioni di euro, di cui 500.000 solo di costi sanitari. Coloro che si dichiarano soddisfatti della Zona 30 sfiorano il 70% dei contattati tra i residenti (68%).
Efficientamento energetico degli edifici pubblici a Roma. Roma Capitale, con l’obiettivo di riduzione dei consumi e delle emissioni per le circa 1.800 strutture pubbliche, tra scuole, uffici ed ERP (Edilizia Residenziale Pubblica), ha studiato un innovativo appalto per la fornitura dell’energia termica basato sull’EPC, ovvero un Contratto di Prestazione Energetica. Nei prossimi 3 anni infatti tutti gli appalti per la gestione del calore saranno basati sul principio del “pago con quello che risparmio”. Il fornitore dell’energia infatti avrà il compito di effettuare investimenti sugli impianti e gli immobili tali da ripagare la stessa energia attraverso il risparmio ottenuto dall’efficientamento energetico degli edifici. Attraverso il Protocollo d’intesa firmato con il GSE i fornitori potranno poi avere accesso all’incentivo del Conto Termico, normalmente riservato ai Comuni, che sarà parte integrante della nuova gara e che permetterà ai fornitori del calore di apportare fino al 40% degli investimenti in più.

Andria e il suo sistema di raccolta differenziata dei rifiuti. La raccolta differenziata è ormai una scelta obbligata, sinonimo di rispetto dei nostri habitat. Il merito del successo della raccolta differenziata, avviata in tutto il territorio comunale di Andria il 1° settembre 2012, è innanzitutto dei cittadini andriesi, i quali hanno operato un profondo cambiamento nel loro stile di vita quotidiano. La percentuale di Rd nel 2014, aggiornata al mese di settembre: 66,7%.
Il Bike to school. E’ un’iniziativa spontanea di genitori, nata in alcune città italiane nel 2013, che si organizzano per accompagnare a scuola i propri i figli, pedalando insieme in bicicletta, in sicurezza. L’iniziativa si è allargata molto e si pone come obiettivo quello di coinvolgere le generazioni del futuro, i bambini appunto, abituandoli a vivere la loro realtà urbana in maniera più sostenibile. Più in generale si vuole porre l’attenzione, anche quella delle amministrazioni pubbliche, sulle necessità dei ciclisti urbani.

Il “Bike Pride”. La festosa parata di biciclette che per una volta l’anno restituisce ai cittadini le strade, ha portato in strada nell’ultima edizione quasi 40mila persone. La grande mobilitazione di cittadini ha permesso di far entrare nelle agende politiche i temi della ciclabilità e della sicurezza stradale, sdoganando la bici da oggetto del tempo libero a mezzo di trasporto quotidiano. Il Mobility manager studentesco. E’ un progetto nel quale i ragazzi delle scuole superiori hanno vestito i panni dei mobility manager per promuovere tra i loro coetanei l’abitudine agli spostamenti collettivi o non motorizzati con mezzi privati. Il progetto ha coinvolto 8 scuole superiori di altrettante città italiane, per un totale di 5.516 studenti. Progetti come questo provano quanto sia importante formare in maniera attiva e concreta i ragazzi prossimi alla patente per favorire una cultura della mobilità che aiuti a mantenere contenuta la tendenza tutta italiana ad un uso smodato dell’automobile.

Voci di Scampia. L’associazione Vo.di.Sca (Voci di Scampia) si è posta l’obiettivo di rilanciare il quartiere di Scampia attraverso il radicamento di imprese culturali e di una rete civica per favorire l’occupazione giovanile come contrasto ai fenomeni di criminalità organizzata e per il ripristino della normalità e della legalità. A Scampia tra le azioni imprenditoriali che coinvolgono l’associazione c’è la casa editrice Marotta&Cafiero e la compagnia teatrale Vodisca Teatro. Non mancano le azioni di riqualificazione di spazi sociali e fisici delle aree circostanti. Tra le più note le “Fattorie Vodisca”, un’area di 5 ettari destinata a bambini con disabilità. Tutte le attività messe in piedi dall’associazione Vo.di.Sca. fanno della realtà di Scampia il fulcro di un laboratorio di virtuosismo che ha consentito la crescita culturale e sociale dei suoi abitanti e la creazione di 15 posti di lavoro qualificati.

Scarica il rapporto 2014

Fonte.ecodallecitta.it

Roma multata dalla UE per la gestione dei rifiuti

Per l’unione europea parte dei rifiuti ancora non viene sottoposta ad un trattamento idoneo sia a Roma che nel Lazio e sotto accusa è in particolare la frazione organica per cui non esiste una rete integrata ed adeguata di impianti di gestione380662

Mercoledì 15 ottobre, la notizia della sentenza della Sesta Sezione della Corte Europea che condanna la capitale per “inadempimento di uno Stato sul piano di gestione, realizzazione di una rete adeguata e integrata di impianti di smaltimento, obbligo di istituire un trattamento dei rifiuti che assicuri il miglior risultato per la salute umana e la protezione dell’ambiente”.  Chiudere Malagrotta quindi non è bastato. Parte dei rifiuti ancora non viene sottoposta ad un trattamento idoneo sia a Roma che nel Lazio e sotto accusa è in particolare la frazione organica per cui non esiste una rete integrata ed adeguata di impianti di gestione. Sulla questione si è espressa anche Legambiente che chiede di guardare al futuro: “È arrivata anche la bocciatura dell’Europa a palesare il pessimo stato in cui versa la gestione dei rifiuti della nostra regione – ha dichiarato Roberto Scacchi Presidente di Legambiente Lazio – e a dimostrare che senza differenziata e impianti per trattare l’organico a Roma e nel Lazio non si va da nessuna parte. Dopo Malagrotta, serve andare oltre“. Nonostante le difficoltà, dei progressi sono stati fatti e il sindaco di Roma, Ignazio Marino, tiene a sottolineare che la chiusura della grande discarica ha segnato comunque una svolta, anche agli occhi della Comunità Europea. “I rilievi mossi dalla Corte europea al nostro Paese per l’inadeguatezza del trattamento dei rifiuti in alcune discariche del Lazio fino al 2012, confermano una volta di più che la nostra decisione di chiudere, dopo ben 50 anni, Malagrotta abbia segnato una vera e propria svolta per il rientro nella legalità del ciclo dei rifiuti e per la tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini” ha dichiarato in una nota il sindaco Marino. “Voglio inoltre ricordare che non ricorrendo più alla discarica Malagrotta è stato possibile chiudere la procedura di infrazione e Roma, dunque, oggi può di nuovo accedere ai fondi strutturali europei”.

 

Fonte: ecodallecitta.it

Comuni Ricicloni 2014: ecco i vincitori

C’è almeno un “Riciclone” in ogni regione (salvo la Valle d’Aosta): il primato nel Nord-Est, ma crescono i comuni virtuosi nelle Marche e nel centro sud. Milano unica grande città al 50% di differenziata. 1328 comuni (quasi 8 milioni di italiani) hanno raggiunto l’eccellenza superando il 65% di raccolta differenziata dei rifiuti ma le grandi città stanno a guardare379743

Consegnati a Roma i premi della XXI edizione di “Comuni Ricicloni”: sono 1.328 i campioni nella raccolta differenziata dei rifiuti, il 16 per cento dei comuni d’Italia per un totale di 7,8 milioni di cittadini che hanno detto addio al cassonetto, pari al 13,7 per cento della popolazione nazionale che oggi ricicla e differenzia i rifiuti alimentando l’industria del riciclo e quindi la Green Economy(150 mila posti di lavoro). Per accedere alle classifiche i comuni devono aver raggiunto l’obiettivo di legge del 65 per cento di raccolta differenziata. La classifica è poi costruita attraverso un indice di buona gestione dei rifiuti urbani: quest’anno per la prima volta i “primi della classe” sono almeno uno per ogni Regione d’Italia, con l’unica eccezione della Valle d’Aosta, che non ha neanche un comune virtuoso.
“La prima novità della classifica di quest’anno -ricorda Andrea Poggio, vicedirettore di Legambiente che ha coordinato la giuria- è il lento spostamento al centro sud della distribuzione geografica dei “ricicloni”, ancora saldamente insediata nel Nord Est, con metà dei comuni virtuosi. In particolare grazie alla crescita dei comuni marchigiani, che hanno applicato un sistema moderno di raccolta (porta a porta) e che usufruiscono degli sconti per lo smaltimento in discarica in base alle performance di differenziata. La seconda novità è la crescita del Comune di Milano: sfiora nel 2013 il 50 per cento di differenziata. Con oltre un milione di abitanti serviti dal porta a porta, Milano è così la prima in Italia e la seconda in Europa dopo Vienna. Insomma, in una Italia bloccata, da riformare nella gestione dei rifiuti, anche questi comuni virtuosi crescono ed evidenziano chiaramente una virtuosa direzione di marcia per tutti gli altri, grandi e piccoli, comuni d’Italia”. “I 300 comuni “Rifiuti free”, dove cioè la popolazione riduce e ricicla più del 90% dei rifiuti che si producono mediamente per ogni italiano, dimostrano chiaramente che è possibile trasformare una vergogna in una eccellenza nazionale, anche nel ciclo dei prodotti e dei rifiuti –dichiara Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale di Legambiente-. Un bel messaggio per il semestre italiano di guida europea. Ma dobbiamo decidere di intraprendere la strada anche di questa riforma nazionale e lasciare quella dell’ennesimo “condono”: chiediamo al Parlamento di abbandonare la strada che posticipa gli obiettivi di raccolta differenziata presente nel disegno di legge del collegato alla legge di stabilità e al Ministero dell’Ambiente di approvare il decreto della tariffazione puntuale. L’Italia virtuosa del semestre italiano dovrebbe, a nostro parere, da quest’anno avere una riduzione della Tari per le famiglie e le aziende, in proporzione ai rifiuti prodotti, in tutti i comuni e aumentare la tassa sulla discarica ai comuni che non raggiungono gli obiettivi di legge”. Le Regioni. Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige sono le Regioni con la più alta concentrazione di Comuni Ricicloni. Ma la novità dell’anno è la crescita dei ricicloni nel centro sud che passano dal 15 al 20 per cento del totale nazionale. Crescono in particolare i comuni virtuosi nelle Marche (+15 per cento in un anno): qui, semplicemente, è stata applicata in maniera intelligente la legge nazionale, prevedendo un tributo di 20 €/tonnellata per i rifiuti urbani che finiscono in discarica, importo che viene modulato in base alle performance di raccolta differenziata raggiunte dai Comuni. Premi e penalità che i comuni sono invitati (applicando tariffe differenziate in funzione dei rifiuti prodotti da ciascuna famiglia) a trasferire ai cittadini, riducendo drasticamente le tariffe da pagare ai più virtuosi.  Le nuove tecnologie dell’informazione (non solo sistemi automatici di pesata e controllo nella raccolta, ma anche App scaricabili anche su smartphone e tablet di ciascuno) fanno il loro ingresso in centinaia di comuni d’Italia e fanno prefigurare alla futura smart comunity che popolerà le città e i quartieri una amministrazione dei flussi di rifiuti che arriva a ricordare il giorno prima la frazione di rifiuto differenziata da preparare davanti alla porta di casa, la pesata del proprio condominio e i premi (riduzione di tasse) che si possono ottenere per chi riduce all’indispensabile i rifiuti non riciclabili. Dopo i Ricicloni i Comuni rifiuti free ovvero quei comuni che sono riusciti a ridurre del 90 per cento circa la quantità di rifiuti da smaltire. Sono circa 300 quelli che nel corso del 2013 hanno prodotto meno di 75 chilogrammi a testa di rifiuto secco indifferenziato, mentre la produzione media pro capite nazionale si aggira sui 550 chili annui. E non si tratta di piccoli comuni: il toscano Empoli con i suoi 48 mila abitanti è seguito dai trevisani Castelfranco, Montebelluna, Vittorio Veneto, tutti attorno ai 30 mila abitanti. Le ricette sono diverse, ma con alcune caratteristiche comuni: la raccolta “porta a porta”, la modalità di tariffazione del servizio (due terzi applicano la tariffa puntuale), la responsabilizzazione dei cittadini attraverso una comunicazione efficace e con politiche di prezzo che premiano il cittadino virtuoso con una riduzione della tassa sui rifiuti se separa bene i materiali, incentivando la pratica del compostaggio domestico, promuovendo il consumo dell’acqua del sindaco riducendo le bottiglie di plastica, bandendo l’usa e getta.  Le grandi città stanno a guardare? Tutte, tranne Milano, che ormai ha superato la soglia del 50 per cento (prima metà del 2014), prima in Italia e seconda in Europa tra le città sopra il milione di abitanti (la prima è Vienna). Il “trucco” di Milano? Una buona e continua informazione (anche multilingue), porta a porta con bidoni condominiali, l’estensione a tre quarti della città della raccolta selettiva del rifiuto umido da cucina (da giugno appena esteso a tutta la città). Per questa ragione viene attribuita a Milano una menzione speciale:Milano non è “riciclona”, perchè non supera ancora il 65 per cento previsto dalla legge, ma è sulla buona strada. Un monito per Torino, che ha da tempo superato il 50 per cento, ma solo nella metà della città dove esiste la raccolta porta a porta, ma soprattutto per Roma non sa ancora scegliere tra raccolta porta/porta spinta e sistemi pasticciati fondati ancora sul cassonetto che impediscono l’indipendenza dall’ennesima discarica.
No al condono dell’ecotassa sulle discariche, sì alla tariffazione puntuale. La legge si deve rispettare e questo vale anche sulla raccolta differenziata finalizzata al riciclaggio. Proprio per questo Legambiente trova inaccettabile e controproducente l’articolo del disegno di legge collegato alla legge di stabilità in discussione in Commissione ambiente della Camera dei deputati, che prevede di posticipare gli obiettivi di raccolta differenziata previsti dal decreto legislativo 152 del 2006. Con la normativa ancora oggi vigente, infatti, dal 1 gennaio 2013 tutti i Comuni che non hanno raggiunto il 65 per cento di differenziata pagano un’addizionale del 20 per cento al tributo di conferimento in discarica. Con le disposizioni previste dal collegato ambientale alla legge di stabilità, invece, la multa verrebbe pagata solo a partire dal 2015 dai Comuni che non avranno raggiunto il 35 per cento di differenziata nell’anno precedente, nel 2017 sarebbero coinvolti i Comuni che non avranno raggiunto l’obiettivo del 45 per centonell’anno precedente e nel 2021 quelli che non avranno raggiunto l’obiettivo del 65 per cento nell’anno precedente. Un provvedimento di questo tipo rappresenterebbe inoltre un ingiustificato condono a chi ancora non si è attivato per una corretta gestione dei rifiuti, un disincentivo ad impegnarsi su questo fronte per i prossimi anni e una beffa per i “Comuni ricicloni” e che hanno dimostrato come l’obiettivo del 65 per cento fosse raggiungibile. Il Ministero dell’Ambiente, promotore di questo disegno di legge, invece di pensare al condono per le multe sull’ecotassa, dovrebbe approvare al più presto il decreto sulla tariffa puntuale, previsto dalla legge di stabilità 2014. Siamo già in forte ritardo (sono ampiamente trascorsi i sei mesi previsti per la sua approvazione) e nel frattempo le utenze, familiari o produttive, che producono meno rifiuti continuano a pagare nella maggior parte dei Comuni quanto quelle che ne producono di più. Insomma chi inquina purtroppo non paga come dovrebbe.  Cosa succede nelle diverse regioni? Andiamo dunque ad osservare cosa succede nelle nuove graduatorie. Intanto quali sono le regioni a vantare dei comuni in tutte le graduatorie (capoluoghi, sopra e sotto i 10mila abitanti) e fare così l’en plein? Non poteva certo mancare il Veneto, regione che negli ultimi anni è stata testimone di un crescendo che non si è ancora arrestato. Lo accompagnano le altre regioni del triveneto: Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige. Tra i capoluoghi Belluno, Pordenone, Novara e Salerno si riconfermano delle eccellenze. Non vale lo stesso per Oristano che esce dalla lista dei virtuosi per cedere il posto ad Andria. Tra i nuovi anche il comune diTrento. Il Piemonte mantiene il primato di unica regione ad avere due capoluoghi ricicloni: assieme a Novara c’è anche Verbania. Spulciando tra le prime 100 posizioni della graduatoria generale, troviamo numerosi comuni gestiti efficacemente in forma consortile: dei56 comuni veneti 46 sono trevigiani, la maggior parte appartenenti a 2 consorzi (Priula e TV3), così come i 29 comuni trentini, 8 in Friuli Venezia Giulia. I rimanenti 7 sono casi isolati: 2 in Campania e 1 per Lazio, Lombardia, Toscana, Piemonte e Marche. Sempre tra i primi 100 troviamo 9 comuni oltre i 10mila abitanti (Castelfranco Veneto con quasi 34mila), tutti veneti e trevigiani ad eccezione di Vigodarzere (PD). Difficile trovare comuni che facciano da sé che arrivino a risultati eccellenti, la forza rimane quella dell’unione nei consorzi. Ovviamente c’è sempre l’eccezione che conferma la regola e si chiama Ponte nelle Alpi che, gestendo in autonomia i rifiuti dei cittadini (e dei turisti – siamo nel territorio delle Dolomiti) raggiunge l’indice di gestione più alto.

 

Dossier Comuni Ricicloni 2014 [8,03 MB]

 

Fonte: ecodallecittà.it

6. I rifiuti in Groenlandia

Dalle città più popolose agli insediamenti più remoti, ovunque viviamo, generiamo rifiuti. Avanzi di cibo, rifiuti elettronici,  batterie, carta, bottiglie di plastica, vestiti, vecchi mobili: tutte queste cose vanno smaltite. 14

Alcune finiscono riutilizzate o riciclate; altre vengono bruciate per produrre energia oppure avviate alle discariche. Non  esiste un unico modo di gestire i rifiuti che vada bene ovunque. Il modo in cui gestiamo i rifiuti deve tener conto delle condizioni locali. Dopo tutto, i rifiuti nascono come una questione locale. Considerando la scarsa densità di popolazione, le lunghe distanze fra i centri abitati e l’assenza di infrastrutture stradali, vediamo come la Groenlandia affronta la questione della gestione dei rifiuti.

Intervista a Per Ravn Hermansen

Per Ravn Hermansen vive a Nuuk, la capitale della Groenlandia. Vi si è trasferito dalla Danimarca per occuparsi della gestione dei rifiuti presso il ministero degli Interni, della Natura e dell’Ambiente groenlandese.

Come si vive in Groenlandia?

«Vivere a Nuuk non è molto diverso dal vivere in qualsiasi altra città di medie dimensioni, come lo sono le città danesi. Ci sono gli stessi tipi di negozi e gli stessi servizi. Nuuk ha circa 15.000 abitanti. Mentre qui la popolazione parla sia groenlandese che danese, gli abitanti dei piccoli centri conoscono quasi esclusivamente il groenlandese. Vivo qui dal 1999 e penso che le persone consumino lo stesso tipo di prodotti che nel resto del mondo, come ad esempio i computer e i telefonini. Penso inoltre che le persone stiano diventando più consapevoli del problema dei rifiuti.»

Dove risiede l’unicità del problema dei rifiuti in Groenlandia?

«In Groenlandia vivono circa 55.000 persone e, come avviene nel resto del mondo, le persone generano rifiuti. Sotto molti punti di vista, il «problema» dei rifiuti in Groenlandia è piuttosto banale. Le aziende e le famiglie groenlandesi generano vari tipi di rifiuti e quello che dobbiamo fare è gestirli in modo tale da non recare danno all’ambiente. Per altri versi, il problema dei rifiuti in Groenlandia è unico nel suo genere per via dell’estensione del suo territorio, o meglio della dispersione geografica degli insediamenti. In Groenlandia ci sono sei città relativamente grandi, 11 centri minori e una sessantina di insediamenti fra i 30 e i 300 abitanti, disseminati lungo la costa. La maggioranza della popolazione è concentrata sulla costa occidentale, ma si trovano alcuni piccoli insediamenti e centri abitati anche sulla costa orientale.

Solo sei città dispongono di impianti di incenerimento, il che non è sufficiente a garantire un trattamento adeguato in termini ambientali dei rifiuti inceneribili. Inoltre, non esistono strade di collegamento fra le città e gli insediamenti e quindi non è facile trasportare i rifiuti agli inceneritori. Le merci vengono trasportate principalmente via mare. Al momento, abbiamo solo una vaga idea della quantità di rifiuti urbani prodotti in Groenlandia e riteniamo che sia in aumento. Una metà degli insediamenti dispone di quelli che definirei «forni inceneritori»; per il resto, abbiamo solo discariche e roghi all’aria aperta.15

In ultima analisi, penso che tutti i problemi in materia di rifiuti abbiano alcuni elementi in comune ma che ciascuno sia

unico nel suo genere. Quella dei rifiuti è una questione locale con ripercussioni più ampie. Qualsiasi soluzione deve tener conto di questo dualismo.»

Cosa succede ai rifiuti pericolosi e ai rifiuti elettronici?

«Gli impianti delle maggiori città disassemblano le apparecchiature elettriche ed elettroniche e gestiscono i rifiuti pericolosi, che sono quindi stoccati in loco in attesa di essere trasferiti in Danimarca. La Groenlandia importa ogni genere di merce, inclusi i generi alimentari, i capi di abbigliamento e gli autoveicoli, in gran parte in arrivo via mare da Aalborg. I rifiuti pericolosi e quelli elettrici ed elettronici sono trasferiti sulle navi che fanno ritorno in Danimarca.»

Ultimamente le multinazionali minerarie sono alla ricerca di riserve petrolifere o minerarie ancora intatte. Cosa ne è dei

rifiuti minerari?

«In Groenlandia applichiamo la politica «dello sportello unico», che consente alle imprese estrattive di ottenere dallo stesso ente pubblico tutti i permessi necessari. Ciò significa che le domande di autorizzazione, in cui sono contemplati

tutti gli aspetti dell’attività, inclusi i rifiuti, devono essere presentate all’Ufficio dei minerali e del petrolio. Quasi tutte le attività delle imprese minerarie si svolgono lontano dalle città e dai centri abitati. Per quanto riguarda i rifiuti inceneribili, le imprese possono stipulare accordi con gli enti locali per avere accesso agli impianti di incenerimento. Questo aumento della domanda esercita ulteriori pressioni sulla capacità di incenerimento locale.»

Come state affrontando questo problema?

«Una delle opzioni attualmente sul tavolo consiste nel costruire impianti di incenerimento regionali e nel trasferire lì i rifiuti. È chiaro che non possiamo costruire impianti di trattamento dei rifiuti in ogni città. Stiamo anche valutando la possibilità di produrre calore, di riscaldare le case bruciando rifiuti. Nelle città più piccole, abbiamo dato il via alla costruzione di impianti per lo smaltimento dei rifiuti elettrici ed elettronici e la gestione dei rifiuti pericolosi. Negli insediamenti minori stiamo invece mettendo a disposizione alcuni contenitori per la raccolta dei rifiuti elettronici e pericolosi, che possono essere successivamente trasportati agli impianti di smaltimento delle varie città. Sono attualmente in corso due progetti pilota per il trasferimento dei rifiuti inceneribili nelle città dotate di impianti di incenerimento. Il governo groenlandese dispone di un piano nazionale di gestione dei rifiuti e le attività a cui mi riferivo fanno parte di Fonte: EEA (agenzia europea ambiente)

questo piano.»

Fonte: EEA (agenzia europea ambiente)