Compostaggio di comunità: semplificate le procedure autorizzative. Il decreto in Gazzetta Ufficiale

Entra in vigore il 10 marzo il regolamento che semplifica la procedura per avviare un’attività di compostaggio collettivo in cui solo le utenze registrate potranno conferire i propri rifiuti organici.387099_1

Con il compostaggio collettivo o di comunità due o più utenze domestiche o non domestiche possono dare vita ad un organismo collettivo – condominio, associazione, consorzio, società o altre forme associative di diritto privato – per conferire nella medesima struttura i propri rifiuti organici e usare il compost prodotto. In base al decreto ministeriale n. 266/2016, appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale, dal 10 marzo le procedure per avviare un’attività di compostaggio collettiva saranno più semplici. Basterà inviare al Comune di competenza un modulo (Allegato 1 al D.M.) con la segnalazione certificata di inizio attività, contenente il regolamento sull’organizzazione dell’attività di compostaggio che sarà vincolante per le utenze dell’organismo collettivo, le uniche tenute a conferire i loro rifiuti organici nella struttura creata appositamente. Provvederà poi il Comune a darne comunicazione all’azienda che gestisce i rifiuti e sarà sempre il Comune a trasmettere agli organi competenti i dati ricevuti dal legale rappresentante dell’organismo collettivo sulle quantità dei rifiuti conferiti, sul compost prodotto, sugli scarti e sul compost che non rispetta le caratteristiche dettate dalla norma. Questi dati saranno utili non solo per calcolare la riduzione della tassa rifiuti ma anche per calcolare le percentuali di riciclaggio dei rifiuti urbani pubblicate ogni anno dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione dell’Ambiente). Il compostaggio di comunità era stato introdotto con la Legge n. 221/2015 (conosciuta come legge “Green economy”) sia per ridurre la produzione di rifiuti organici, e gli impatti sull’ambiente dovuti alla gestione dei rifiuti stessi, sia per contribuire al raggiungimento dell’obiettivo comunitario di riciclaggio del 50% dei rifiuti urbani. La stessa norma del 2015 ha modificato il D.Lgs. n. 152/2006 aggiungendo all’art. 180 il comma 1 octies che affida “al Ministero dell’ambiente, alle regioni e ai comuni, il compito di incentivare le pratiche di compostaggio di rifiuti organici effettuate sul luogo stesso di produzione, come l’autocompostaggio e il compostaggio di comunità”.

Ma è con il Decreto Ministeriale n. 266/2016, pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 23 febbraio, che finalmente si stabiliscono gli attesi criteri operativi e le procedure autorizzative semplificate per l’attività di compostaggio di comunità di quantità non superiori a 130  tonnellate  annue. Per le attività di capacità complessiva inferiore a una tonnellata, il decreto prevede una procedura ulteriormente semplificata (art. 10 e Allegato 1B). Sono invece esclusi dall’applicazione del decreto le attività di compostaggio di comunità con capacità di trattamento complessiva superiore a 130 tonnellate annue e gli impianti di compostaggio aerobico di rifiuti biodegradabili derivanti da attività vivaistiche o da cucine, mense, mercati, giardini o parchi, con capacità di trattamento non eccedente 80 tonnellate annue, che sono destinati esclusivamente al trattamento di rifiuti raccolti nel comune dove questi rifiuti sono prodotti e nei comuni confinanti che hanno stipulato una convenzione per la gestione congiunta del servizio. Il regolamento sull’organizzazione dell’attività di compostaggio (l’Allegato 2 individua il contenuto minimo del regolamento) dovrà indicare anche i rifiuti biodegradabili e i materiali ammessi (elencati nel’’Allegato 3) e tra questi ci sono quelli provenienti dalle cucine e dalle mense, da giardini e parchi, segatura, trucioli e legno se non trattati carta e cartone se non contengono inchiostro. Se a seguito delle ispezioni previste emergessero violazioni delle disposizioni del decreto, per esempio quantità e qualità del compost, il Comune può impartire opportune prescrizioni mentre il responsabile può diffidare l’utente che non si attiene al regolamento e chiedere lo stralcio dell’utenza se non si adegua. Segnalare eventuali difformità e inadempienze rientra nei compiti del conduttore dell’apparecchiatura. Figura fondamentale e competente che si occupa del funzionamento dell’apparecchiatura, vigila sulla provenienza dei rifiuti (esclusivamente dagli utenti dell’organismo collettivo) sulla tipologia degli stessi e provvede al corretto bilanciamento tra rifiuti organici e strutturante e ovviamente al rilascio del compost prodotto alle utenze secondo il piano di utilizzo. Tra i vantaggi derivanti dal compostaggio di comunità c’è certamente la riduzione dei rifiuti urbani, la possibilità di auto produrre il compost e l’opportunità di ridurre la tassa sui rifiuti come premialità per l’impegno e le buone pratiche messe in atto. Ma non è tutto. Il Consiglio di Stato nell’esprimere parere favorevole allo schema di decreto sul compostaggio di comunità, con alcune osservazioni, sottolineava tra i vantaggi della corretta gestione della frazione organica dei rifiuti urbani anche la diminuzione delle emissioni di gas serra, l’incremento della fertilità dei suoli, il contrasto all’erosione e alla desertificazioni, la tutela dei corpi idrici e l’incremento della sensibilità ambientale collettiva.

Fonte: ecodallecitta.it

 

 

Sacchetti “falsi bio”, a Torino il pm Guariniello apre un fascicolo per frode. Occhio al marchio…

In seguito alla denuncia di Assobioplastiche circa i sacchetti commercializzati come “biodegradabili” ma non conformi alla legge, il pm di Torino Raffaelle Guariniello ha aperto un fascicolo per frode in commercio e ha affidato ai carabinieri del NAS l’identificazione delle aziende che producono e distribuiscono prodotti non conformi380238

Assobioplastiche segnala che in seguito alla sua denuncia circa i sacchetti commercializzati con la dicitura “biodegradabile” ma non conformi alla legge, il pm di Torino Raffaelle Guariniello ha aperto un fascicolo per frode in commercio e ha affidato ai carabinieri del NAS l’identificazione delle aziende che producono e distribuiscono prodotti non conformi. Come riscontrato anche nel nostro giro esplorativo fra i negozi e i mercati del centro di Torino, infatti, i sacchetti usa e getta messi fuori legge dal bando italiano restano ancora la maggioranza, fatta eccezione per le catene d’abbigliamento passate negli ultimi anni – in gran parte – alla carta. I sacchetti compostabili rimangono perlopiù confinati alla grande distribuzione, mentre la maggior parte degli esercizi commerciali e la quasi totalità degli ambulanti si serve di sacchetti in plastica ultraleggera, e in alcuni casi di sacchetti additivati, anch’essi inclusi nel divieto entrato  ufficialmente in Gazzetta Ufficiale.  Come ricordato nell’articolo sopra citato, e in diverse altre occasioni, i sette anni di comunicati contraddittori, ricorsi e inversioni di rotta impiegati per l’approvazione della legge hanno lasciato una gran confusione fra i commercianti, molti dei quali si ritrovano ad oggi ancora all’oscuro del divieto, e delle sanzioni in cui rischiano di incorrere.

Assobioplastiche ricorda che:

  1. Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge di conversione (n. 116/2014) del Decreto Legge Competitività (n. 91/2014), è ribadito il divieto di commercializzazione degli shopper monouso non biodegradabili e compostabili.

    La suddetta legge di conversione del Decreto Legge Competitività, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 192 del 20 agosto scorso, contiene una norma (art. 11, comma 2-bis) che fa scattare dallo scorso 21 agosto le sanzioni pecuniarie previste per la commercializzazione di sacchetti per la spesa in plastica, ad eccezione di quelli monouso biodegradabili e compostabili secondo la norma UNI EN 13432:2002 e, ovviamente, di quelli riutilizzabili secondo precisi requisiti di spessore.

    2.La sanzione per chi commercializza prodotti non conformi – che si applica anche qualora tali prodotti vengano ceduti al pubblico a titolo gratuito [v. art. 1, lett. d) D.M. 18 marzo 2013, n. 67447] – parte da 2.500 euro per arrivare a 25.000 euro, aumentata fino a 100 mila euro se la violazione riguarda quantità ingenti di sacchetti (oppure un valore della merce superiore al 20 per cento del fatturato del trasgressore: v. articolo 2, comma 4, del d.l. 25 gennaio 2012, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 28, come da ultimo modificato dall’articolo 11, comma 2-bis, del d.l. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla Legge 11 agosto 2014, n. 116).

    3. I prodotti monouso conformi sono solo quelli certificati biodegradabili e compostabili in accordo con la norma UNI EN 13432:2002

Gli enti certificatori più comunemente utilizzati dai produttori dei manufatti biodegradabili e compostabili al fine di certificarne la piena rispondenza alla UNI EN 13432:2002 sono AIB Vincotte, Certiquality s.r.l. e Dincertco.
In Italia è stato sviluppato da alcuni anni un efficiente sistema di marcatura e riconoscimento dei manufatti biodegradabili e compostabili a cura del Consorzio Italiano Compostatori (con la collaborazione dell’ente certificatore Certiquality s.r.l.) che rilascia il marchio “Compostabile-CIC”.Quanto ai sacchi non biodegradabili e compostabili, gli spessori che questi debbono possedere per essere considerati riutilizzabili, e dunque commercializzabili, sono quelli indicati dalla normativa di cui sopra, ossia: 200 micron per i sacchi con maniglia esterna destinati all’uso alimentare; 100 micron per i sacchi con maniglia esterna non destinati all’uso alimentare; per i sacchi cosiddetti a fagiolo, cioè senza manici esterni, 100 micron se destinati all’uso alimentare, 60 micron se non destinati all’uso alimentare.

Fonte: ecodallecitta.it

Elettrosmog: nasce il catasto nazionale dei tralicci e degli impianti

Nasce il catasto nazionale dei tralicci e di tutte le sorgenti di emissioni elettromagnetiche: il decreto è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Non ci saranno più scuse: con questo strumento, e con i catasti regionali, chi dovrà autorizzare l’installazione di impianti che espongono la popolazione a inquinamento elettromagnetico avrà la possibilità di sapere se tale esposizione diventa eccessiva. Ora l’incognita è: verrà usato per garantire la popolazione oppure no?tralicci

Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare il provvedimento che sancisce la “Istituzione del Catasto nazionale delle sorgenti dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici e delle zone territoriali interessate al fine di rilevare i livelli di campo presenti nell’ambiente”, un supporto informativo potenzialmente molto utile per le attività di monitoraggio e controllo ambientale.
Il Catasto Nazionale opererà in coordinamento con i catasti regionali, che forniscono al Catasto Nazionale i dati e le informazioni di competenza regionale. Il catasto potrà risultare utile per enti e istituzioni che dovranno valutare e autorizzare eventuali nuovi impianti o controllare l’attività di quelli esistenti, in modo da valutare correttamente l’impatto su ambiente e salute. Ma lo strumento sarà utile anche ai cittadini. Infatti attraverso il Catasto Nazionale sarà possibile conoscere l’ubicazione delle sorgenti sul territorio e le loro caratteristiche tecniche, nonché identificare i gestori degli impianti. Ancora, il Catasto sarà utile alla costruzione di mappe territoriali di campo elettrico e magnetico, per rappresentare lo stato dell’ambiente. Nell’Allegato al Decreto viene descritta la struttura della base di dati che costituisce il Catasto nazionale, con l’indicazione delle informazioni che devono essere contenute, relative a sorgenti a radiofrequenze quali impianti per telecomunicazione (stazioni radio base per telefonia mobile, trasmettitori radiotelevisivi, ponti radio ecc.) e radar, e sorgenti a frequenze ELF di maggiore interesse per l’impatto sull’esposizione della popolazione e, più in generale, sull’ambiente ed il territorio (linee elettriche di distribuzione e trasporto dell’energia elettrica ad alta ed altissima tensione). In particolare, per la struttura della base dati per le sorgenti a radiofrequenze si fa presente che la tipologia di dati da gestire e le strutture da costruire si riferiscono a dati anagrafici e legali dei gestori, dati anagrafici e geografici del sito, caratteristiche fisiche dei sistemi irradianti, compresi i diagrammi di irraggiamento orizzontale e verticale. Per le sorgenti a frequenze ELF le tipologie di informazioni si riferiscono ai dati anagrafici e legali dei gestori, ai dati anagrafici della linea, ai dati anagrafici e geografici, nonché alle caratteristiche fisiche di impianto, sostegno, tronco, tratta e campata. In entrambi i casi sono a disposizione modelli di tabelle utili a fornire le informazioni richieste per l’alimentazione del Catasto Nazionale.

Fonte: il cambiamento.it

Difendersi dall'Elettrosmog

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Illuminazione pubblica, i criteri ambientali minimi in GU

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Contenere i consumi energetici e ridurre l’inquinamento luminoso; aumentare la vita media dei componenti e quindi ridurre gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria; affidare il progetto, l’installazione e la gestione dei componenti e degli impianti a personale qualificato; rendere più agevole la gestione utilizzando ogniqualvolta possibile un sistema automatico di telegestione e telecontrollo.

Queste alcune delle indicazioni specifiche contenute nel decreto 23 dicembre 2013 del Ministero dell’Ambiente, pubblicato sul supplemento ordinario n. 8 alla Gazzetta Ufficiale n. 18 di ieri 23 gennaio 2014. Il provvedimento contiene in allegato il “Piano di azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della Pubblica Amministrazione” che contiene i criteri ambientali minimi per l’acquisto di lampade a scarica ad alta intensità e moduli led per illuminazione pubblica, per l’acquisto di apparecchi di illuminazione per illuminazione pubblica e per l’affidamento del servizio di progettazione di impianti di illuminazione pubblica – aggiornamento 2013. L’obiettivo da raggiungere entro il 2014 è una quota del 50% di appalti “verdi”, in numero e in valore, sul totale degli appalti pubblici stipulati nel settore dell’illuminazione pubblica. Allo scopo di valutare la diffusione degli appalti pubblici verdi ed il relativo impatto sull’ambiente, l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (AVCP) in accordo con il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare ha istituito e gestisce uno specifico sistema di monitoraggio. Pertanto, ai sensi dell’art. 7, comma 8 del D.Lgs. n. 163/2006 (Codice Appalti) dovranno essere comunicati all’Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, i dati relativi alle modalità con cui si è tenuto conto dei criteri ambientali minimi nelle gare di appalto per l’acquisto di beni/servizi.

 Ministero dell’Ambiente. Decreto del 23-12-2013 (29.88 kB)

Fonte: Casa&Clima.com