L’azienda friulana che ha abolito gli orari di lavoro

Duecento dipendenti, niente orari di lavoro fissi, nessun cartellino da timbrare. Succede in un’azienda friulana, in un piccolo comune non distante da Pordenone, che ha fatto dell’autogestione dei turni di lavoro e del senso di responsabilità dei lavoratori il suo marchio di fabbrica. Niente cartellino, né turni di lavoro gestiti dall’alto. In Friuli c’è un’azienda che lascia ai dipendenti la possibilità di organizzare autonomamente il proprio tempo in base alle diverse esigenze. Si tratta della Graphistudio di Arba, piccolo comune non distante da Pordenone, una ditta italiana che produce album fotografici per matrimoni inviando i propri prodotti anche all’estero. Oggi l’azienda può contare su decenni di esperienza nel settore e 200 dipendenti, di cui il 70% sono donne.Controllo-dei-badge-dei-lavoratori-le-novita-del-Job-Act

Tullio Tramontina, presidente e fondatore di questa realtà, ha raccontato a Repubblica come è nata l’idea di lasciare ai dipendenti l’autogestione dei turni, spiegando: “Lavoravo e questa cosa dell’orario, del cartellino, della sirena che suona mi ha sempre dato fastidio, è qualcosa che ti limita, sono catene. Quando ho fatto il mio percorso ho voluto farlo diverso. Non c’è stato un calcolo – aggiunge – è stato casuale, è partito tutto da lì, da quel fastidio. Se lavori libero, lavori meglio e dai di più. E si lavora più in team, gli obiettivi sono di tutti”.

L’unico reparto che è soggetto alla turnazione tradizionale è il settore amministrativo che, dovendosi relazionare con banche e uffici esterni, ha necessità di rispettare i classici orari da ufficio. Per tutti gli altri c’è l’autogestione. Ciò che conta è il rispetto delle scadenze e il senso di responsabilità nei confronti dell’azienda e dei propri colleghi. In questo modo gli obiettivi sono percepiti come obiettivi comuni e i dipendenti si sentono più stimolati nel raggiungerli, anche inventando, creando e proponendo nuove idee. Questa impostazione secondo Tramontina funziona, sia per i dipendenti sia per la produzione e la Graphistudio è considerata azienda leader del settore. Lasciando i giusti spazi di autonomia ci si sente liberi di mettere in gioco al meglio le proprie competenze. Ed è poi questo che, anche sul mercato, fa la differenza.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/09/azienda-friulana-ha-abolito-orari-di-lavoro/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

In Friuli il condominio che anticipa l’NZEB di 10 anni

Progettata nel 2011, la Residenza Girasole di Fiume Veneto, dopo un anno di vita dimostra di essere quasi autosufficiente dal punto di vista energetico.Qualcosa su di me?

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Consuma il 90% in meno rispetto alla media italiana grazie ad un involucro performante e un’impiantistica innovativa. Un esempio di come saranno le nuove abitazioni nei prossimi anni. l 15 gennaio 2017 ha compiuto un anno il condominio Girasole a Fiume Veneto (PN), considerato come il primo edificio NZEB (Nearly Zero Energy Building) in Italia. In realtà il progetto della Residenza Girasole, iniziato nel 2011, è stato redatto prima delle ultime modifiche legislative che hanno definito il concetto di edificio NZEB nel nostro Paese. Dunque si tratta di un edificio che ha anticipato di oltre 10 anni gli obblighi per la progettazione dei nuovi edifici che, in Italia, entreranno in vigore tra qualche anno. È quasi autosufficiente dal punto di vista energetico e l’intero condominio consuma circa il 90% in meno rispetto ai consumi medi italiani. Più che l’edificio del futuro, dunque, il condominio Girasole è l’esempio tangibile di quelle che saranno le nostre abitazioni da qui ai prossimi quattro anni.

L’obiettivo di Nearly Zero Energy Building, infatti, non è più rinviabile: la Direttiva Europea 31/2010 sulla prestazione energetica dell’edilizia, stabilisce che tutti gli edifici di nuova costruzione siano a energia quasi zero a partire dal 31 dicembre 2020 per gli edifici privati, mentre per gli edifici pubblici il termine è anticipato al 31 dicembre 2018

 

Fonte: qual energia.it

Amianto: in Friuli il primo impianto per la trasformazione e il riuso delle fibre

A Sedegliano sorgerà il primo impianto industriale in grado di trasformare le fibre di amianto rendendole inerti e riutilizzabili nel ciclo produttivo53474572-586x388

Nascerà a Sedegliano, in provincia di Udine, il primo impianto industriale in grado di trasformare le fibre di amianto rendendole inerti e, addirittura, riutilizzabili nel ciclo produttivo. L’impianto è frutto da un accordo fra la Friulana Costruzioni srl di Sedegliano, titolare del contratto di esclusiva, e la Chemical Center srl di Castello d’Argile (Bo) che ha sviluppato il brevetto in grado di eliminare la tossicità mediante un processo di disgregazione e di reazione idrotermale con altri prodotti. Gli studi preliminari e di laboratorio per la successiva progettazione sono nella fase di avvio, ma l’innovativo brevetto potrebbe portare grandi benefici alla collettività, specialmente ora che molti Paesi dell’Ue hanno avviato un processo per arrivare a territori interamente “asbestos free”. La scoperta di Chemical Center è stata fatta appena 9 mesi fa, quando si è fatto interagire l’amianto con il siero di latte scoprendo di poter rendere così rendere inerti i rifiuti pericolosi.

E’ stata un’intuizione all’epoca eravamo impegnati nella costruzione del centro raccolta amianto a Pannellia di Codroipo e con la consociata Friulana Ambientale eravamo già specializzati in bonifiche ambientali, è bastata qualche settimana per capire che l’abbinata sarebbe stata vincente e poco dopo abbiamo preso contatto per saperne di più. Quello che mi ha maggiormente entusiasmato del progetto è che non vi siano emissioni in atmosfera e che venga creato un alto valore aggiunto dalla trasformazione di due rifiuti abbinati insieme, nel nostro caso siero di latte e amianto. Ma non è finita qui, il siero è solo una delle materie in analisi di valutazione, non l’unica: siamo interessati anche ad altri scarti di lavorazione della filiera agricola aventi base acida, anche questo fa parte dello studio di fattibilità,

spiega Alberto Steolo, titolare dell’azienda friulana. Le fibre d’amianto potranno essere recuperate, riciclate e riutilizzate nel ciclo produttivo. Il Chemical Center cui si deve l’innovativo brevetto è uno spin off dell’Università di Bologna, operante nel settore delle nanotecnologie e biotecnologie per la progettazione, sintesi e caratterizzazione chimico-fisica di nuovi materiali tecnologicamente avanzati.

Fonte: Arezzo Web

Mais OGM piantato in Friuli ed è legale (per ora)

Come promesso Giorgio Fidenato ha piantato il mais OGM nei campi in Friuli e il tutto è perfettamente legalefidenato-620x350

Lo aveva annunciato anche con tono di sfida e lo ha messo in pratica, Giorgio Fidenato leader degli Agricoltori Federati ha piantato mais MON810 nei campi in Friuli e nessuno lo ha potuto fermare perché del tutto legale. Prima di procedere alla semina ha informato tutti, dalla Digos al ministero per le Politiche agricole, ma nessuno ha potuto fare niente contro i suoi semi, che ora sono stati piantati in un campo ben evidenziato. Il punto è che secondo i principi emanati dalla sentenza della Corte di giustizia europea, non è la biodiversità a costituire il fattore discriminante tra la scelta di colture Ogm e non, bensì che un divieto può sussistere solo se viene dimostrato che vi è pericolo per la salute e per l’ambiente. Anzi lo Stato italiano risulta pure inadempiente non avendo ottemperato e emettere leggi in materia di coesistenza. Infatti replica Alessandro Triantafyllidis presidente di AIAB:

A forza di aspettare che qualcun’altro agisca si è lasciato, in tutti i sensi, campo libero a chi importa solo fare show e delegittimare leggi e posizioni della maggioranza dei cittadini. Non si riesce a comprendere, infatti, come i Ministeri della Salute, delle Politiche Agricole e dell’Ambiente, non siano riusciti a concretizzare nei tempi opportuni quella clausola di salvaguardia che avrebbe messo in sicurezza tutto il Paese e su cui si è già pronunciato, all’unanimità il Senato?

D’altronde il Ministero per le Politiche agricole annuncia in un suo comunicato che saranno effettuati controlli. Ma il punto è che proprio pochi giorni fa una sentenza del giudice Piccin di Pordenone in cui si sostiene che la semina di ogm non e’ reato,anzi ha dissequestrato l’azienda di Fidenato e 3000 sementi OGM. Ricostruisce il percorso di Fidenato l’europarlamentare Andrea Zanoni che spiega:

La Corte di Giustizia Ue era stata interpellata dal Tribunale di Pordenone presso il quale risulta pendente la causa penale contro Giorgio Fidenato accusato di aver messo a coltura mais Ogm della varieta’ Mon810. A Fidenato, in attesa delle sentenza finale del Tribunale, erano stati sequestrate l’azienda e 3 mila sementi Ogm. L’udienza conclusiva del processo è fissata per l’8 luglio, ma l’imputato, visto che il processo era stato rinviato in attesa dell’ordinanza della Corte, potrebbe chiedere al giudice di anticipare la data.

In pratica il giudice Piccin ha atteso il parere della Corte di Giustizia europea emesso lo scorso 8 maggio e dunque ha poi ammesso la coltivazione del mais OGM nei campi di Fidenato poiché come scrivono i giudici europei:

Il diritto dell’Unione dev’essere interpretato nel senso che la messa in coltura di OGM quali le varietà del mais MON 810 non può essere assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione quando l’impiego e la commercializzazione di tali varietà sono autorizzati ai sensi dell’articolo 20 del regolamento n. 1829/2003 e le medesime varietà sono state iscritte nel catalogo comune previsto dalla direttiva 2002/53

Sostanzialmente vince un principio in Europa, ovvero il vietato vietare e su questo principio si è incardinata a colpi di sentenze la possibilità per Fidenato di piantare OGM, perché è l’agricoltore che deve scegliere:

Il mio non e’ un gesto dimostrativo o provocatorio, voglio sia ribadita la possibilità per gli agricoltori di scegliere. Sull’Ogm e’ vietato vietare: oggi si fa la storia dell’agricoltura italiana.

Fonte:  Il Gazzettino, Movimento Libertario

OGM, decisione Ue senza contraddittorio. “Necessaria clausola di salvaguardia”

Con un pronunciamento relativo alla coltivazione di OGM in Friuli, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha di fatto riconosciuto la possibilità di seminare mais geneticamente modificato senza l’autorizzazione dello Stato. Slow Food contesta la mancanza di contraddittorio e sostiene la necessità dell’adozione della clausola di salvaguardia.mais__ogm2

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è espressa in merito alla domanda di pronuncia pregiudiziale richiesta dal Giudice di Pordenone Dott. Rodolfo Piccin relativa alla causa penale contro Giorgio Fidenato accusato di aver messo a coltura mais Ogm della varietà Mon810 senza avere ottenuto l’autorizzazione prevista in Italia secondo il decreto legislativo del 2001. Causa in cui Slow Food Italia, la Regione Friuli Venezia Giulia, la provincia di Pordenone, Coldiretti e Codacons si sono costituite parte civile. La corte afferma che “la messa in coltura di organismi geneticamente modificati non può essere assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione quando l’impiego e la commercializzazione di tali varietà sono autorizzati” dall’Unione Europea. “Riteniamo che la Corte Europea abbia commesso un grave errore di metodo e un errore di merito”, commentano Alessandro Lamacchia, Katjuscka Piane e Stefano Cavallito, avvocati che rappresentano Slow Food. Dal punto di vista del metodo, infatti, “invece di fissare un’udienza permettendo alle parti costituite nel processo, e sopratutto allo Stato italiano, di esporre le proprie ragioni, la Corte ha deciso senza contraddittorio. Sarebbe stato un atto di rispetto verso le nostre istituzioni nazionali quello di consentire per lo meno allo Stato Italiano di perorare la propria tesi”. Nel merito, la mancanza di contraddittorio ha creato un equivoco circa la natura dell’autorizzazione che lo Stato italiano richiede al coltivatore. “L’ordinanza della Corte, infatti, pare equivocare circa le finalità di questa autorizzazione, sostenendo che consentirebbe allo Stato italiano di opporsi, in via generale, alla messa in coltura sul suo territorio di sementi già autorizzate a livello comunitario”, spiegano meglio gli avvocati. La richiesta di autorizzazione alla semina consente invece di valutare ogni singolo caso tenendo presente tre fattori: la salvaguardia della biodiversità, la vicinanza con coltivazioni biologiche e convenzionali e il diritto di scelta dei consumatoricoltivazione__ogm

La risposta dello Stato italiano al singolo coltivatore, quindi, non è da intendersi come un’ulteriore autorizzazione alla semina di un certo tipo di semi Ogm, ma l’autorizzazione a piantare detto seme in quello specifico campo dopo avere considerato la possibile coesistenza di tale coltura con quelle limitrofe biologiche o convenzionali. “L’autorizzazione non è quindi generale, ma molto specifica: in linea con quanto affermato dall’art. 26 bis della direttiva 2001/18 secondo il quale ‘gli Stati membri possono adottare tutte le misure opportune per evitare la presenza involontaria di Ogm in altri prodotti’”, continuano i legali di Slow Food. L’autorizzazione prevista dallo Stato italiano è quindi una misura volta a tutelare la coesistenza ed è da intendersi al più, qualora venga negata, come una restrizione o un “divieto geograficamente delimitato” e non come un divieto di carattere generale come erroneamente ritenuto dalla Corte nell’ordinanza in esame. “La mancanza del contraddittorio non ha permesso di sottolineare questi e altri aspetti della norma nazionale e del caso concreto e di cogliere così anche le differenze con il caso Pioneer e le varie ragioni a sostegno delle posizioni delle parti civili costituite” concludono gli avvocati Lamacchia, Piane e Cavallito. “Questa decisione ci preoccupa e ci fa riflettere su come provvedimenti così importanti per il futuro di tutti vengano assunti in maniera così discutibile e – parrebbe – approssimativa. Invitiamo i Ministri dell’Agricoltura, dell’Ambiente e della Salute a dare attuazione, nel più breve tempo possibile, all’adozione della clausola di salvaguardia, così come peraltro è stato sollecitato proprio in settimana (e con voto unanime di tutti i gruppi Parlamentari) dal Senato. Occorre evitare che qualcuno, prendendo spunto da questa ordinanza, si senta autorizzato a seminare Ogm in Italia”, commenta Roberto Burdese, presidente di Slow Food Italia. Il Senato infatti ha approvato all’unanimità la mozione De Petris, che impegna il governo ad applicare in Italia la Clausola di Salvaguardia (in difesa della salute umana e dell’ambiente) nei confronti degli OGM, e anche ad attivare i necessari controlli affinché ogni possibile coltura transgenica abusiva venga scongiurata. Come ha sottolineato il Comitato Scientifico Equivita commentando la notizia,“l’Italia si aggiunge in tal modo ai già numerosi stati europei che si sono dichiarati OGM-free invocando questa Clausola, stabilita dalla direttiva 2001/18/CE (tra essi: Germania, Francia e Austria)”. Il risultato ottenuto, continua Equivita, “non riguarda soltanto i cittadini e gli agricoltori, non riguarda soltanto la loro salute, strettamente legata ad un cibo e ad un ambiente più sani” ma “riguarda anche la nostra stessa sopravvivenza: tutela tutti noi dalla ‘colonizzazione’ dei nostri territori cui mirano le multinazionali biotech (ben poco inclini a preoccuparsi di una equa distribuzione del cibo)”.

Fonti: Slow Food, Equivita