Il “Modello Pinzano”: il restauro del paesaggio attraverso un’economia locale autosostenibile

Da Pinzano sul Tagliamento un modello per salvare il paesaggio della collina e montagna friulana che mette al centro la partecipazione attiva, le sinergie territoriali e un gregge di capre giardiniere. È nella stretta di Pinzano, nella Media Valle del Tagliamento, che l’alveo dell’omonimo fiume si restringe al minimo, mantenendo comunque un’ampiezza di circa 150 metri. Questo fiume e le terre che lo circondano, rappresentano un’ecosistema complesso, ricco e di grande interesse paesaggistico e naturalistico. Qui l’opera dell’uomo è sempre stata poco invasiva, dal dopoguerra a oggi, quasi nulla. Questo ha fatto sì che il paesaggio mutasse profondamente nel tempo. Nel comune di Pinzano al Tagliamento, le sponde del fiume un tempo erano circondante da prati, ma l’assenza di cura e l’abbandono delle pratiche agricole, hanno dato spazio alla crescita di vegetazione spontanea che ha reso difficile e pericolosa la fruizione di questi spazi e l’accesso alle zone di interesse culturale inserite in questo contesto.

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Per preservare i valori paesaggistici, la sicurezza del territorio e valorizzare ambiti di interesse storico e naturalistico, l’amministrazione comunale ha dato il via lo scorso anno, con il progetto “Riprendiamoci il paesaggio”, ad un percorso per il “restauro del paesaggio attraverso un’economia locale autosostenibile”, stimolata anche dal lavoro dell’architetto Andrea Bernava, già curatore della “Carta del paesaggio” di Pinzano. Gli obiettivi di quello che abbiamo ribattezzato “Modello Pinzano”, sono quelli di creare un’economia locale auto-sostenibile coinvolgendo anche le aziende agricole e zootecniche che operano sul territorio – ci racconta Emiliano De Biasio, vicesindaco di Pinzano al Tagliamento e tra gli ideatori del progetto – Abbiamo presentato il progetto a febbraio dello scorso anno, dando il via alla creazione di una filiera corta virtuosa individuando un’azienda locale che si occupasse della manutenzione di quattro dei principali siti di interesse del Comune di Pinzano al Tagliamento: il colle del Castello di Pinzano, il Col Pion con il Sacrario Germanico, l’area della confluenza tra i corsi d’acqua Arzino e Tagliamento in località Pontaiba e il parco del Mulino di Borgo Ampiano». 

Il “Modello Pinzano”, che si pone quindi come obiettivo il ripristino del paesaggio della collina e montagna friulana, ha ottenuto i fondi necessari per l’avviamento del progetto dalla regione e si è concretizzato attraverso vari strumenti programmatici e finanziari:  L.R. 10/2010 per il “Recupero dei terreni incolti” e il PSR FGV 2014-2020. Un modello che ha previsto anche la partecipazione attiva di tutti gli attori del territorio grazie anche ad un laboratorio di microprogettazione extraurbana realizzato grazie al volontariato locale, perché l’obiettivo finale non è solo quello di ripristinare il paesaggio naturale, ma anche di rendere accessibili attraverso il disboscamento e il mantenimento di questi terreni di proprietà comunale, luoghi di interesse storico culturale e di promuovere un turismo lento e responsabile.

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  «Dopo l’iniziale fase di riconversione, con rimozione del bosco di neo formazione – continua De Biasio – ci troviamo ora nella fase del mantenimento a cui seguirà quella del restauro paesaggistico. Si tratta di un progetto sperimentale che ha destato molta curiosità per la sua attenzione non solo alla fase del taglio, ma alla progettazione e al successivo mantenimento. Abbiamo infatti individuato un’azienda agricola locale, Capramica, che si occuperà con le sue capre, corrispondendo un canone d’affitto al Comune, di garantire la conservazione delle aree recuperate per i prossimi cinque anni. L’utilizzo della capra è finalizzato in questa fase non tanto al mantenimento delle zone prative, quanto all’eliminazione della vegetazione invasiva (rovi, arbusti infestanti alloctoni, ecc.). L’animale è stato riconosciuto come il più efficace nell’assolvere questo compito. In tal senso particolarmente importante ed emblematica è stata la salita al colle del castello di Pinzano delle prime settanta capre nelle scorse settimane, che attraverso un pascolo confinato manterranno il colle impedendo la ricrescita della vegetazione spontanea. Nel prossimo periodo verrà monitorato il loro comportamento e l’efficacia in termini di risposta al compito. Questo comporterà l’eventuale implemento o riduzione dei capi ed andrà a definire il tempo di permanenza al colle delle capre, che poi si sposteranno sul vicino Col Pion seguendo l’Anello CAI 822. L’arrivo delle caprette al colle non impedisce il fatto di poterlo visitare, anzi vuole essere un incentivo a questo. Richiederà solo qualche piccolo accorgimento in più, a partire dall’attenzione nel chiudere il cancello alle proprie spalle, così come nell’usare il buonsenso nel rapportarsi a loro. Il tempo di permanenza sarà contingentato e in base al comportamento che terranno gli animali metteremo in campo gli accorgimenti necessari al fine di rendere piacevole la permanenza del visitatore. Il progetto nasce anche per dare supporto e merito all’importante sforzo del volontariato locale nel mantenere e valorizzare le aree di interesse e l’Anello di Pinzano e che con questa compagine sociale intende definire e proseguire azioni concertate, al fine di migliorare la fruibilità dei luoghi».

 Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/08/modello-pinzano-restauro-paesaggio-attraverso-economia-locale-autosostenibile/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Una piattaforma per fare rete: cambiare dentro per ridurre l’impatto fuori

Una “rete di valore aperto” per promuovere progetti, eventi e buone pratiche volti alla riduzione dell’impronta ecologica individuale in Friuli-Venezia Giulia. Abbiamo intervistato Francesco, che dopo un’esperienza da cervello in fuga in giro per il mondo, è rientrato in Italia per raccontare e diffondere la filosofia Zero Waste attraverso una comunità virtuale territoriale. Zero Waste FVG è una piattaforma indipendente e no profit basata su tecnologie Open Source il cui scopo è la diffusione della filosofia zero sprechi in Friuli-Venezia Giulia. A parlarcene è Francesco Marino, giovane laureato in Tecnologie Web e Multimediali che abbiamo intervistato a Udine, dove è tornato a vivere da quando, nel novembre del 2018, è rientrato da sei anni di vita all’estero.

Era il 2012, infatti, quando Francesco ha iniziato a viaggiare grazie a degli stage post-laurea, diventando successivamente un digital nomad e allungando la lunga lista di cervelli in fuga del nostro paese. In questo periodo, passato tra Norvegia, Hong Kong, Filippine e soprattutto Spagna, la sua consapevolezza ambientale è cresciuta moltissimo, “di pari passo con un profondo cambiamento interiore, che è l’unica spinta che può davvero portare le persone a sognare ed agire per un mondo migliore”. 

Durante la sua permanenza in Asia, in particolare nelle Filippine, ha potuto toccare con mano gli effetti dei cambiamenti climatici e dell’inquinamento su vasta scala. Sicché, dopo un percorso di crescita personale iniziato con lo yoga e durato quattro anni, ha deciso di rimboccarsi le maniche e – prima ancora di rientrare in Italia da Barcellona, ultima tappa della sua esperienza all’estero – ha deciso di fondare prima un gruppo e una pagina Facebook, e poi di aprire il sito www.zerowastefvg.it.

La piattaforma è pensata come un servizio “contenitore”, co-progettato e co-gestito da tutti i membri della comunità che lo utilizzano (più di 1000 nel gruppo Facebook), con l’obiettivo di diventare un bene comune dei cittadini. “Si tratta di un luogo virtuale nel quale chiedere, suggerire, realizzare sondaggi, far nascere collaborazioni tra cittadini, siano essi consumatori, produttori, negozianti, riparatori, comunicatori”, chiarisce Francesco, che sottolinea come il progetto sia su base volontaria per tutti, totalmente orizzontale ed aperto al supporto di chiunque voglia dare una mano. Sul sito è presente una mappa collaborativa, che dà visibilità ai “punti di interesse etici” che già esistono sul territorio regionale e che vuole essere uno stimolo per tutti a lanciare nuovi progetti e attività in questa direzione. Inoltre è presente un calendario degli eventi che vengono organizzati sul territorio e vari gruppi Telegram per gestire attività specifiche (social, giornate ecologiche, riciclo creativo, ecc.).  

Pur non essendo collegato a nessuna delle varie reti internazionali Zero Waste, il progetto di Francesco condivide con esse i valori che ne sono alla base e che possono essere riassunti nei seguenti principi:

– Rifiutare (prevenzione/minimalismo);

– Ridurre (prevenzione/decrescita);

– Riutilizzare (prolungamento della vita dei prodotti);

– Riciclare (recupero della materia);

– Compostare (recupero dell’energia).

Francesco tiene molto a sottolineare come, più che uno stile di vita, Zero Waste sia soprattutto una filosofia. “Se qualcuno mi chiede cosa deve fare per vivere una vita a minor impatto ambientale, io gli rispondo che prima di tutto deve ascoltarsi”, ci dice. Un segno che il cambiamento non si basa tanto (o non soltanto) sulle azioni, pur dettate dal buon senso, ma soprattutto da un lavoro interiore. “Vivere una vita Zero Waste significa anzitutto liberarsi mentalmente del superfluo, a cominciare dal giudizio verso il percorso degli altri”.  

E a ben pensarci è solo così che possiamo accettare con maggior tolleranza chi, per i motivi più disparati – a cominciare dalle possibilità di accesso alle informazioni – non ha (ancora) aderito a un cambiamento strutturale. Aumentando le possibilità di aprire qualche ulteriore varco nella cultura dominante, invece di costruire altri muri.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/05/vita-senza-sprechi-tornato-in-italia-eliminare-rifiuti/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

“Differenziamo i rifiuti durante le feste popolari”, parte dal Friuli Venezia Giulia la campagna per le Ecosagre

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Net Spa, la più grande azienda di igiene urbana della regione, sensibilizza sulla necessità di raccogliere in modo differenziato umido, carta, vetro e plastica: “L’indifferenziato si dimezza: così rispettiamo l’ambiente e facciamo risparmiare la collettività”

Organico, carta, plastica, vetro e lattine. Fare la raccolta differenziata durante le molte feste e sagre cittadine che vengono organizzate dimezza la produzione del rifiuto indifferenziato. Net Spa, la più grande azienda pubblica attiva nell’igiene ambientale in Friuli Venezia Giulia, lancia anche quest’anno l’Ecosagra, campagna per sensibilizzare sull’importanza di differenziare in modo corretto i rifiuti anche in un momento di festa. «Net, in collaborazione gli organizzatori, le diverse Proloco e associazioni con i loro presidenti e i volontari sostiene una campagna di comunicazione sul corretto comportamento per la suddivisione dei rifiuti durante lo svolgimento delle sagre e feste popolari», premette il presidente di Net Spa Alessandro Cucchini«L’obiettivo non è solamente contrastare la diffusa quanto incivile abitudine a non differenziare i rifiuti in queste manifestazioni, quanto far capire che queste cattive abitudini producono danni all’ambiente, incidono sul decoro delle nostre belle località, ma soprattutto rappresentano un aggravio di costi per la collettività, costi dovuti per la pulizia e il ripristino dei luoghi nonché per lo smaltimento dei rifiuti».

Secondo una prima stima, sono oltre 500 le feste organizzate nei 215 Comuni del Friuli Venezia Giulia solamente nella stagione calda. Di queste, circa 200 interessano il territorio servito da Net.  «L’attenzione ad una corretta raccolta differenziata deve partire dagli organizzatori per arrivare a coinvolgere, e responsabilizzare, tutti coloro che partecipano alla sagra», prosegue Cucchini. Net Spa si è resa disponibile a fare degli incontri mirati con Proloco e associazioni così da fornire un utile supporto per rendere la sagra una Ecosagra a tutti gli effetti. «I risultati che abbiamo avuto negli anni scorsi sono stati decisamente positivi», ricorda il direttore di Net Spa, Massimo Fuccaro. «Tra quanti hanno raccolto il nostro appello abbiamo notato che c’è stata una importante diminuzione dei rifiuti indifferenziati, che in alcuni casi si sono anche dimezzati rispetto all’esperienza dell’anno precedente».

A fronte di un servizio di raccolta differenziata per le frazioni organica, carta e cartone, plastica, vetro e lattine che Net offre, c’è la raccomandazione a raccogliere e smaltire correttamente i rifiuti speciali e pericolosi quali ad esempio gli oli e le bombole del gas. Inoltre, gli organizzatori possono fare un ulteriore passo in avanti scegliendo il materiale compostabile (che viene conferito con l’organico) al posto di quello in plastica (da mettere con il rifiuto plastico) per piatti, bicchieri e posate. «L’importante è che vi sia una comunicazione corretta e siano posizionati i bidoni con indicato chiaramente la tipologia di rifiuto da conferire», richiama Fuccaro. «Le sagre che vengono organizzate sono per lo più dedicate alla valorizzazione del nostro territorio e dei prodotti tipici friulani. Fare una scelta ecologica sia sul fronte della differenziazione dei rifiuti sia sui materiali significa contribuire al rispetto della natura e a rendere più bello il territorio».

Fonte: ecodallecitta.it

Cave: seimila ferite aperte. L’Italia si dissangua anche così

Il Rapporto di Legambiente sulle escavazioni nel nostro paese è impietoso e fornisce dati sconcertanti: da nord a sud le cave sono quasi seimila, oltre sedicimila quelle dismesse e monitorate dove spesso non sono state effettuate le opere di bonifica e recupero. E i cavatori guadagnano molto ma pagano canoni irrisori. Il territorio ancora una volta svenduto.cave_di_ghiaia

Enormi crateri come ferite aperte sul territorio costellano i paesaggi italiani. Da Nord a Sud le cave attive in Italia sono 5.592, quelle dismesse e monitorate addirittura 16.045, mentre se aggiungessimo anche quelle delle regioni che non hanno un monitoraggio (Calabria e Friuli Venezia Giulia) il dato potrebbe salire a 17 mila. Nonostante la crisi del settore edilizio abbia contribuito a ridurre le quantità dei materiali lapidei estratti, i numeri rimangono comunque impressionanti: un miliardo di euro di ricavo, 80milioni di metri cubi di sabbia e ghiaia, 31,6milioni di metri cubi di calcare e oltre 8,6 milioni di metri cubi di pietre ornamentali estratti nel 2012. Sabbia e ghiaia rappresentano il 62,5% di tutti i materiali cavati in Italia, soprattutto nel Lazio, Lombardia, Piemonte e Puglia, dove ogni anno vengono prelevati circa 50 milioni di metri cubi di queste materie prime. Rilevanti sono anche gli impatti e i guadagni legati all’estrazione di pietre ornamentali, ossia di materiali di pregio dove sono minori le quantità estratta ma rilevantissimi i guadagni e gli stessi impatti (dalle Alpi Apuane al Marmo di Botticino-Brescia, alla pietra di Trani). A governare un settore così importante e delicato per gli impatti ambientali è a livello nazionale tuttora un Regio Decreto del 1927, con indicazioni chiaramente improntate a un approccio allo sviluppo dell’attività oggi datato. Inoltre in molte regioni, a cui sono stati trasferiti i poteri in materia nel 1977, si riscontrano rilevanti problemi per un quadro normativo inadeguato, una pianificazione incompleta e assenza di controlli sulla gestione delle attività estrattive.

Il Rapporto cave 2014 di Legambiente è sconcertante.

“Occorre promuovere una profonda innovazione nel settore delle attività estrattive – ha dichiarato il vice presidente di Legambiente Edoardo Zanchini – attraverso regole di tutela efficaci in tutta Italia e canoni come quelli in vigore negli altri Paesi Europei. Ridurre il prelievo di materiali e l’impatto delle cave nei confronti del paesaggio è quanto mai urgente e oggi assolutamente possibile. Lo dimostrano i tanti Paesi dove si sta riducendo la quantità di materiali estratti attraverso una politica incisiva di tutela del territorio, una adeguata tassazione e la spinta al riutilizzo dei rifiuti inerti provenienti dalle demolizioni edili”. Nel complesso, la situazione si può giudicare leggermente migliore al centro-nord, dove il quadro delle regole è in gran parte completo con Piani cava – lo strumento che indica le quantità di materiale estraibile e le aree dove è consentita l’attività di cava – periodicamente aggiornati, mentre non vi sono Piani in vigore in Veneto, Abruzzo, Molise, Sardegna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Sicilia, Calabria e Basilicata. Il Piemonte ha solamente Piani di indirizzo e rimanda alle Province l’approvazione del Piano. Questa situazione di incertezza lascia tutto il potere decisionale in mano a chi concede le autorizzazioni, ma considerando il peso che interessi economici e criminalità organizzata, in particolare nel Mezzogiorno, hanno nella gestione del ciclo del cemento e nel controllo della aree cava, si comprende perché bisogna correre ai ripari e regolamentare il settore. Prelevare e vendere materie prime del territorio è un’attività altamente redditizia eppure i canoni di concessione pagati da chi cava sono a dir poco scandalosi. In media infatti, si paga il 3,5% del prezzo di vendita degli inerti ma esistono situazioni limite come nel Lazio, in Valle d’Aosta e in Puglia  dove il prelievo degli inerti costa solo pochi centesimi e regioni come Basilicata e Sardegna dove si cava addirittura gratis. Le entrate degli enti pubblici attraverso i canoni di prelievo sono dunque ridicole in confronto ai guadagni del settore: il totale nazionale dei canoni pagati nelle diverse regioni, per sabbia e ghiaia, è arrivato nel 2012 a 34,5 milioni di Euro, mentre il ricavato annuo dei cavatori risulta pari a un miliardo di Euro. Solo per fare un esempio, in Puglia nel 2012 sono stati cavati cavati 10,3 milioni di metri cubi di inerti che hanno fruttato 129 milioni di euro di introiti ai cavatori e solamente 827mila euro al territorio. Ma anche dove si pagano canoni leggermente superiori, come nel Lazio ed in Valle d’Aosta, il rapporto tra le entrate regionali e quelle delle aziende è di 1 a 40. Nel Lazio la Regione ricava meno di 4,5 milioni di euro contro i quasi 190 milioni di euro del volume d’affari complessivo con i prezzi di vendita. Quello che emerge dunque, è l’enorme e netta differenza tra ciò che viene richiesto e incassato dagli enti pubblici ed il volume d’affari generato dalle attività estrattive in tutte le regioni, in  quelle dove il canone richiesto non arrivano nemmeno ad un decimo del loro prezzo di vendita come in Piemonte, Provincia di Bolzano, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana ed Umbria, ma anche in Campania, Abruzzo e Molise, dove i canoni sono più alti. In Sicilia e Calabria, con l’introduzione per il primo anno del canone di concessione, le regioni ricavano rispettivamente 208 e 420mila euro per l’estrazione di sabbia e ghiaia a fronte dei 10 milioni ricavati dai cavatori in Sicilia ed ai quasi 15 milioni ricavati in Calabria. “In un periodo di tagli alla spesa pubblica – ha concluso Zanchini – è inaccettabile che un settore tanto rilevante da un punto di vista economico e ambientale venga completamente trascurato dalla politica nazionale. E’ possibile creare filiere innovative di lavoro e ricerca applicata, ridurre il prelievo di cava attraverso il recupero di materiali e aggregati provenienti dall’edilizia e da altri processi produttivi, ma serve intervenire su una normativa nazionale vecchia di quasi 90 anni, per ripristinare legalità, trasparenza e tutela”. Raggiungere questi obiettivi in tempi brevi, secondo Legambiente è possibile, e per questo l’associazione chiede: di rafforzare tutela del territorio e legalità (attraverso controlli, individuazione delle aree da escludere e delle modalità di escavazione, obbligo di valutazione di impatto ambientale, ecc.); di aumentare i canoni di concessione per equilibrare i guadagni pubblici e privati e tutelare il paesaggio (gli attuali 34,5 milioni di Euro guadagnati dalle regioni italiane per l’estrazione di sabbia e ghiaia, potrebbero diventare ben 239 milioni, se fossero applicati i canoni in vigore nel Regno Unito. Ad esempio in Sardegna si potrebbe passare da 0 a 17 milioni di euro); spingere l’utilizzo di materiali riciclati nell’industria delle costruzioni, per andare nella direzione prevista dalle Direttive Europee e riuscire così ad aumentare il numero degli occupati e risparmiare la trasformazione di altri paesaggi.

Fonte: il cambiamento.it

Smog nel Bacino Padano, contro l’inquinamento firmato l’accordo con il ministero per l’Ambiente

Andrea Orlando ministro per l’Ambiente e le regioni Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Valle d’Aosta e Friuli Venezia Giulia insieme con le Province autonome di Trento e Bolzano hanno sottoscritto l’accordo per misure anti-inquinamento nel bacino padanopadania-600x350

L’accordo di programma è stato firmato e già a gennaio inizieranno le attività i primi gruppi tecnici di lavoro che esprimeranno le loro proposte entro la metà del 2014. Lo smog che attanaglia il Bacino padano dunque sembra destinato a avere vita breve con soluzioni che appunto saranno rese noto nel corso del 2014. Le attività di disinquinamento saranno affrontate in maniera traversale e da tutte le regioni coinvolte, ovvero Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte, Veneto, Valle d’Aosta e Friuli Venezia Giulia con le Province autonome di Trento e Bolzano.

Soddisfatto il ministro Orlando che ha così commentato:

Una decretazione dall’alto non avrebbe ottenuto i risultati che volevamo. Abbiamo provato a costruire un’alternativa, come si diceva qualche anno fa, all’“abbattimento del Turchino”. Si è trattato di un lavoro reso possibile da un’attività praticamente quotidiana delle strutture regionali, provinciali e ministeriali. Tutti gli inquinanti vengono considerati problemi da affrontare e risolvere con strumenti adeguati. Ora nessuno si può chiamare fuori. La firma dei ministeri e l’impegno degli assessorati riconoscono che bisogna muoversi su tutti i fronti.

Fonte:  ministero per l’Ambiente

 

OGM libero in Friuli Venezia Giulia ma la Regione si dice contraria

La Regione Friuli Venezia Giulia annuncia che la coltivazione di OGM è libera ma prende le distanze politiche dalla legge imposta dall’Europacoesistenza-620x350

Una lettera inviata dalla Regione Friuli Venezia Giulia a Futuragra e da questi ovviamente messa in condivisione con i lettori annuncia che:

La messa in coltura di varietà di mais iscritto nel catalogo comune europeo è da considerarsi libera.

Il primo raccolto è stato immortalato in video con inclusa la spiegazione di cosa sia in campo un mais ogm e del perché è preferito da alcuni agricoltori.

Il Friuli Venezia Giulia è la regione presieduta da Debora Serracchiani del Pd che assieme alla sua giunta ha poi preso le distanze dalla normativa europea imposta attraverso un contenzioso aperto in seno alla Corte di Giustizia Europea. La Serracchiani è stata sollecitata da AIAB, Legambiente e WWF a chiedere che sia rispettato il decreto emanato qualche mese fa dai ministri Orlando, Lorenzin e De Girolamo lo vieti. Il che ha portato alla nascita di una task force No ogm.  Il punto è che la politica non solo è arrivata tardi ma ci è arrivata pure per la strada sbagliata. Infatti il divieto del Governo giunto per decreto prevede non si possa coltivare mais Mon810 per 18 mesi; poi dovranno intervenire le Regioni a regolamentare la materia adottando le misure di coesistenza. La questione non è di facile soluzione e lo sa bene il governo regionale del Friuli Venezia Giulia. Le associazioni ambientaliste hanno immediatamente predisposto una task force no Ogm in collaborazione con la Regione, ma come fatto notare Sergio Bolzonello vicepresidente della Regione Friuli Venezia Giulia nonché assessore alle Attività produttive occorrono suggerimenti legislativi per comprendere come contrastare questa situazione. Infatti, il mais è stato raccolto e dunque il precedente è oramai innescato a norma di legge, peraltro, valido su tutto il territorio nazionale. Silvano Della Libera agricoltore e vicepresidente di Futiragra l’associazione che ha sostenuto la battaglia per la coltivazione ogm in tutte le sedi nazionali e europee scrive:

Diamo atto alla Regione Friuli di avere agito nel rispetto della legge e delle prerogative del diritto europeo, prosegue Dalla Libera, senza nascondersi, come in questi anni è stato fatto da tante parti, dietro a provvedimenti privi di qualsiasi fondamento giuridico che hanno minato la credibilità del nostro Paese nelle sedi europee e provocato danni incalcolabili all’agricoltura italiana. Futuragra ha sempre offerto la massima disponibilità a dialogare in tutte le sedi con le istituzioni e lo ha ribadito nella lettera inviata in questi giorni alla Regione, ha aggiunto Dalla Libera. Chiediamo di essere parte attiva nel tavolo che dovrà definire le linee di coesistenza regionali. Siamo gli unici ad aver raccolto dati scientifici sulla semina di mais biotech sotto la supervisione di eminenti studiosi, crediamo che queste informazioni debbano essere adeguatamente valutate insieme a tutte le parti in causa.

Il che effettivamente potrebbe essere un passo da compiere per evitare ulteriori danni dacché la legge che vietava la coltivazione OGM in Italia predisposta 20 anni fa dall’ex ministro Pecoraro Scanio è stata oramai superata dalle leggi europee. Futuragra ha in programma per il prossimo 11 ottobre una conferenza in cui presenterà i risultati condotti sulla prima coltivazione ogm in Italia. La presidente Serracchiani è invitata il che potrebbe costituire una buona occasione di confronto per comprendere effettivamente come poter contrastare con leggi regionali le coltivazioni OGM oramai legali per l’Italia.

Fonte:  Il Friuli

Marcia per la terra di “Salviamo il Paesaggio”

Dove: Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lazio, Piemonte

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Il Forum nazionale “Salviamo il Paesaggio” propone – in concomitanza con l’Earth Day mondiale – una manifestazione generale pubblica a salvaguardia dei terreni liberi e fertili rimasti

Si tratta di una grande Marcia per la Terra, che si terrà domenica 21 aprile, in Piemonte, Liguria e Lazio, sabato 20 aprile in Friuli Venezia Giulia.
La manifestazione potrà svilupparsi in contemporanea anche in altre Regioni, a cura dei comitati locali Salviamo il Paesaggio, continuate a visitare questa pagina per vedere tutti gli aggiornamenti.
Per il momento pubblichiamo i programmi indicativi di queste quattro regioni, da cui le altre regioni e comitati locali potranno eventualmente prendere spunto…

Marcia per la Terra in Piemonte

Marcia per la Terra in Liguria

Marcia per la Terra in Friuli Venezia Giulia

Marcia per la Terra nel Lazio

Fonte: eco dalle città

 

Vivere in una casa di legno: costruire un sogno partendo da zero

È stata realizzata in Friuli Venezia Giulia la “Casa di Legno Ecosostenibile”, il primo edificio al mondo, ad uso residenziale, ad aver ottenuto il prestigioso Certificato di Progetto PEFC (Programme for the Endorsement of Forest Certification). Per saperne di più abbiamo intervistato l’ingegner Samuele Giacometti, ideatore del progetto.

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In Friuli Venezia Giulia, a Sostasio di Prato Carnico (Udine) nel cuore della Carnia, si trova la “Casa di Legno Ecosostenibile”: il primo edificio al mondo, ad uso residenziale, ad aver ottenuto il prestigioso Certificato di Progetto PEFC (Programme for the Endorsement of Forest Certification). La casa, infatti, è stata realizzata con legno interamente locale, proveniente dalle foreste della Val Pesarina, gestite in modo sostenibile secondo i parametri stabiliti dal PEFC. Si tratta di un esempio concreto e virtuoso di salvaguardia dell’ambiente e dell’economia locale. L’edificio, ideato e realizzato dall’ingegnere friulano Samuele Giacometti, è fatto interamente di legno e non è solo una casa salubre, a scarso impatto ambientale e con ridotti costi di gestione, ma è anche una casa bella da vivere, perché piacevole alla vista, al tatto, all’olfatto e all’udito. Samuele è riuscito a tramutare in realtà quello che all’inizio era solo un sogno: vivere con la sua famiglia in una casa di legno. Ma, al tempo stesso, ha realizzato un esempio concreto e replicabile di tutela dell’ambiente e dell’economia locale. Samuele Giacometti è anche il fondatore di “SaDiLegno”, l’impresa che ne ha permesso la costruzione, passando attraverso l’esperienza delle imprese e degli artigiani della valle. Il progetto “SaDiLegno” è la dimostrazione concreta di com’è possibile plasmare gli oggetti che produciamo e l’uso che ne facciamo in armonia con la nostra vita e con quella delle generazioni future. La costruzione è partita da 43 alberi della Val Pesarina o, meglio, da 43 legno-pianta, selezionati e tagliati dall’Amministrazione Frazionale di Pesariis secondo gli standard del PEFC, è passata attraverso imprese e artigiani della stessa Val Pesarina, i veri protagonisti dell’intera filiera di trasformazione del legno da pianta a casa (arredamento compreso) ed è culminato con l’abitazione finita. La “Casa di Legno Ecosostenibile” è la sintesi di un progetto di vita nel quale confluiscono innovazione e sapere tradizionale, corretta gestione dei boschi e contenimento dei cambiamenti climatici, etica e sviluppo locale. Per questo Samuele ha deciso di raccontare la sua avventura in un libro, dal titolo “Come ho costruito la mia casa di legno”, nel quale spiega come passare “dalla teoria alla pratica” e dar vita ad un sogno che è alla portata di tutti. Abbiamo rivolto a Samuele alcune domande, chiedendogli di parlarci del suo sogno e della sua esperienza.

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“La casa è situata in Val Pesarina (Udine) a 700 m slm, dove l’inverno è lungo e freddo”, racconta Samuele. “Abbiamo iniziato il terzo anno di vita al suo interno ed ora possiamo dire che il guadagno annuo generato dalla casa ammonta a circa 1.000 euro. Avete capito bene, la nostra casa non genera costi aggiuntivi ma trasforma i costi sostenuti per costruirla, in investimento. L’edificio è certificato CasaClima B+, ha vinto nel 2010 il CasaClima Award ed è il primo al mondo, ad uso residenziale, ad aver ottenuto il Certificato di Progetto PEFC. Il tetto fotovoltaico ha una potenza pari a 4 kW di picco. Lo scorso anno, abbiamo immesso nella rete elettrica 51 kWh in più di quelli prelevati. L’unica fonte di calore è la cucina a legna, che brucia poco più di 20 quintali di legna all’anno per mantenere 156 mq di superficie calpestabile, su due piani, ad una temperatura media di 19°C”. “Parlando di CO2”, ci spiega, “la vita famigliare all’interno della casa produce ogni anno circa 300 kgCO2 (Fonte: Certificato energetico CasaClima) equivalente alle emissioni di un’automobile di piccola cilindrata a GPL, che percorre circa 3.000 km. Si tenga presente che 130 milioni di abitazioni come la nostra, abitate da 650 milioni di abitanti come noi, produrrebbero le stesse emissioni di CO2 che sono state prodotte, nel 2010, dall’uso degli edifici residenziali di New York, che è abitata da circa 8 milioni di persone (Fonte:CarbonVisuals)”. Aggiungo che, dal 6 marzo 2013, si può anche parlare di un vero e proprio ‘tesoretto’ della Casa di Legno. A Sauris (Udine) è stato, infatti, firmato il primo Contratto, in Italia, di crediti di carbonio locali da prodotti legnosi. Tutto ciò è stato possibile grazie al progetto Carbomark, a SaDiLegno ed ai fratelli Gianni e Michele Petris dell’impresa Vivere nel Legno. In totale sono 46 le tonnellate di crediti di anidrite carbonica (CO2) che il Carbomark riconosce ai 68 m³ di legno strutturale presenti nella nostra abitazione. Oggetto del Contratto sono le 10 tonnellate di CO2 che vengono acquistate dall’impresa Vivere nel Legno, al prezzo di 1000,00 €, a parziale compensazione delle proprie emissioni. Delle restanti 36 tonnellate di CO2, solo 20 rimarranno in vendita sul mercato volontario, mentre le rimanenti 16 andranno a coprire il ridottissimo impatto ambientale che genererà la nostra famiglia vivendo la casa di legno per i prossimi 50 anni”.

Come e quando nasce il progetto SaDiLegno?

Il progetto SaDiLegno nasce nel 2007 per rispondere alla domanda “cosa è per me il legno?”. Questa è la prima domanda che mi sono fatto quando ho pensato che sarebbe stato bello vivere in una casa di legno insieme alla mia famiglia, mia moglie Sarah ed i nostri tre figli: Diego, Diana e Pablo. L’esperienza vissuta”, continua Samuele, “mi ha permesso di mettere a punto il “Metodo SaDiLegno” che il PEFC International ha presentato lo scorso anno a RIO+20, come reale esempio di sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Oggi, questo metodo rappresenta la base su cui sta nascendo la prima Rete d’Imprese della filiera Foresta-Legno in alta Carnia (Udine), nel cuore delle Dolomiti Friulane. Una rete che intende valorizzare quelle imprese che ancora vivono ed operano nelle immediate vicinanze di quei boschi, così ricchi di materia prima legno, ma troppo poco utilizzati.

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Termini come “ecologia, sostenibilità, green economy, km zero”, oltre ad essere di gran moda, spesso vengono utilizzati a sproposito. Lei cosa ne pensa?

La cosiddetta “green economy”, dal mio punto di vista, fa un uso spropositato di questi termini proprio perché carente di contenuti. Dove è il “verde” in un’economia che permette, in uno stesso edificio, l’installazione a SUD di un impianto solare termico e ad EST di un impianto fotovoltaico? E cosa dire delle distese di pannelli fotovoltaici su vaste aree agricole? Questi sono alcuni dei “mostri” generati dalla green economy. Ma veniamo al legno, oggi è sufficiente costruire un oggetto qualsiasi con questa straordinaria materia prima per farlo diventare, automaticamente, ecosostenibile. Poi, però, si scopre che ditte austriache comprano boschi friulani, tagliano le piante, trasportano i tronchi in Austria, producono tavole e travi vendute all’industria del legno italiana che, quale maggiore esportatore di prodotti finiti di legno in Europa, molto probabilmente rivenderà quell’oggetto, fatto di legno italiano, al vicino mercato Austriaco amante del Made in Italy. Tutto ciò è sostenibile?”

Qual è, invece, secondo lei, il modo più corretto per affrontare la questione dell’ecosostenibilità, soprattutto a livello produttivo-economico e riuscire davvero a consegnare alle generazioni future un ambiente salubre?

Aprendo il vocabolario della lingua italiana, in corrispondenza del termine ‘sostenibilità’ (usato nel nome del mio edificio: “Casa di legno eco-sostenibile”), leggo: “…possibilità di essere mantenuto o protratto con sollecitudine ed impegno o di essere difeso e convalidato con argomenti probanti e persuasivi”. In un campo d’intervento così vasto soltanto l’individuazione e la collocazione di limiti possono garantire l’efficacia dell’intervento. Ecco perché SaDiLegno ha scelto di impegnarsi nella difesa e nella convalida, con argomenti probanti e persuasivi, della sostenibilità del legno trasformato, da bosco a casa, all’interno di un Anello della Sostenibilità che ha un raggio di 12 km e il suo centro nei boschi di provenienza delle 43 legno-pianta impiegate nell’edificio stesso. Viene lasciata, invece, ad altri la difesa della sostenibilità sulla gestione dei boschi di provenienza del legname (Standard PEFC) e quella dell’abitazione (Standard dell’Agenzia CasaClima).

Per quanto riguarda il ‘km zero’ sono profondamente contrario a questo mito, perché annulla uno spazio fino a renderlo un punto che non può contenere né l’ambiente, né la società e l’economia. Ambiente, economia e società sono, invece, i pilastri del concetto di sostenibilità. Ridurre a ‘km zero’ un contesto così complesso significa, quindi, rinunciare in partenza alla sostenibilità e alla sua valutazione. Non trovate, quindi, che sia più stimolante e corretto parlare di “Casa di legno ecosostenibile a Km 12”? Da questo tipo di approccio è nata la collaborazione con l’ENEA di Bologna e con la dott.ssa Tamara Giacometti che, grazie al suo lavoro di tesi magistrale, ha dimostrato la sostenibilità ambientale del legno utilizzato nel progetto SaDiLegno, sulla base di dati quantitativi e mediante un approccio scientifico rivolto all’intero Ciclo di Vita (Lyfe Cycle Assessment).

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L’impatto generato sul cambiamento climatico ammonta a 52.000 kg CO2eq. Mediante appositi scenari di confronto, simulando la provenienza del legname da una distanza di circa 1.000 km, risulta evidente – per il progetto SaDiLegno – un beneficio ambientale pari al 20%. Questo valore, particolarmente significativo, è in linea con gli obiettivi del “Pacchetto clima ed energia” (Piano 20-20-20), approvato dalla Comunità Europea. In termini socio-economici, infine, vorrei sottolineare il fatto che trasformare le 43 legno-pianta della Val Pesarina nella nostra casa (arredamento compreso) ha generato un fatturato di 90.000 Euro. Risulta, quindi, evidente la valorizzazione della materia prima legno e delle imprese che ancora sono in grado di trasformarla all’interno di quell’Anello della Sostenibilità a km 12.

A suo avviso, quali sono i maggiori ostacoli ad un cambiamento virtuoso in tal senso nel nostro Paese? Cosa potrebbe fare, da subito e in concreto, la politica per agevolare un cambiamento virtuoso di paradigma economico?

Leggere e riflettere sul contenuto di questo articolo, credo, sia un buon inizio per tutti. Una buona pratica, dovendo acquistare un oggetto di legno, sarebbe fare le seguenti domande al venditore che propone l’acquisto:

1) Da dove viene il legno?

2) Quando è stata abbattuta la pianta di origine?

3) Quali trattamenti ha subito il legno per essere trasformato da pianta ad oggetto finito?

Dalle risposte ricevute sarà possibile capire quanto “sa di legno” l’oggetto che state per acquistare ed il suo grado di sostenibilità ambientale e socio-economica”. Infine, l’ingegner Giacometti si congeda con una citazione, sulla quale invita tutti i lettori a riflettere: “Se vuoi costruire una nave non devi, per prima cosa, affaticarti a chiamare la gente a raccogliere la legna e a preparare gli attrezzi; non distribuire i compiti, non organizzare il lavoro. Ma, invece, prima risveglia negli uomini la nostalgia del mare lontano e sconfinato. Appena si sarà risvegliata in loro questa sete, si metteranno subito al lavoro per costruire la nave” (Antoine-Marie-Roger de Saint-Exupéry).

Fonte: il cambiamento

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