Difendere l’ambiente…fino alla morte

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Morire per difendere l’ambiente. A soli 21 anni. La notte tra sabato 25 e domenica 26 ottobre 2014 a Testet, in Francia, nei pressi del cantiere della diga di SivensRémi Fraisse, un 21enne studente di Tolosa, è morto mentre stava protestando contro un progetto per la costruzione di una diga. È morto sul colpo, sembra, colto di sorpresa da una granata lanciata dalle forze dell’ordine. È morto nella stessa notte in cui altri come lui stavano protestando contro la costruzione di un enorme lago artificiale da 1,5 milioni di metri cubi d’acqua che, secondo i promotori, dovrebbe servire a irrigare le terre confinanti, ma, secondo gli oppositori, favorirebbe solo i proprietari terrieri che sviluppano agricoltura intensiva, distruggendo l’habitat circostante ed eliminando circa venti ettari di terreno dove vivono 94 specie protette.

Secondo quanto riportato da l’Espresso, alcuni esperti avrebbero consegnato alla prefettura delTarn (l’area boschiva vicino al paese di Gaillac dove è prevista l’opera) il loro parere inerente la costruzione e, stando alle anticipazioni di Afp, l’analisi tecnica sarebbe stata assolutamente contraria all’opera. Nonostante ciò, dal primo settembre i lavori sono iniziati. Così come pure le proteste che hanno portato cinquemila manifestanti (secondo la polizia erano duemila) a riunirsi per far sentire la propria voce quel tragico sabato pomeriggio. All’inizio la manifestazione era rumorosa e pacifica, poi la sera sono iniziati gli scontri con la polizia. Come si legge su l’Espresso: “Il prefetto ha parlato di molotov e pietre lanciate agli agenti che difendevano il cantiere. E le forze dell’ordine avrebbero agito di conseguenza. Ma secondo il portavoce del collettivo per la salvaguardia della zona del Testet, Ben Lafety, la polizia starebbe usando dall’inizio delle proteste mezzi sproporzionati e aggressivi nei confronti dei giovani riuniti contro la diga: lacrimogeni, proiettili di gomma, bombe assordanti”.

Una reazione sproporzionata che, a seguito di granate lanciate per disperdere l’assembramento di persone, avrebbe causato la morte del giovane 21enne. Sul decesso ora è stata aperta un’indagine e, dai primi risultati ottenuti dalle perizie, sembra proprio che la morte di Rémi sia stata causata da una granata lanciata dalle forze dell’ordine. Il procuratore di Albi, Claude Dérens avrebbe confermato che sui vestiti del giovane sono state trovate tracce di Tnt, una sostanza che figura nella composizione delle granate lacrimogene od offensive, utilizzate dai gendarmi. All’inizio, infatti, non era chiaro se Rémi fosse morto per una molotov lanciata dai manifestanti o una granata della polizia. Ora i risultati sembrano orientare le indagini sulla seconda ipotesi. L’assurdità comunque rimane. Dinanzi a questi eventi, infatti, ci si sente sempre di più impotenti, incapaci di far sentire la propria voce per contrastare gli interessi di pochi. Perché un giovane studente di 21 anni non può morire per aver deciso di difendere il proprio territorio, a causa di una granata lanciata dalla polizia. Dopo l’episodio ci sono state diverse proteste e sit in in varie città francesi. Anche il presidente Hollande è intervenuto, assicurando che vigilerà personalmente sulla ricerca della verità. Intanto, il ministro dell’Interno di Parigi ha sospeso l’uso di granate da parte delle forze dell’ordine, anche se l’episodio è già divenuto un caso politico. La famiglia di Rémi ha annunciato di avere intenzione di sporgere denuncia per omicidio volontario «commesso da uno o più pubblici ufficiali». Come riportato da Il Corriere, il padre del giovane avrebbe spiegato in un’intervista che il figlio era andato alla  manifestazione “un po’ da turista, con la sua ragazza” e ha assicurato che non faceva parte della frangia radicale dei manifestanti. Quella sera, si legge su Le Figaro, 40 granate di tipo offensivo sono state lanciate dai militari. Una, quella fatidica, sembra sia stata lanciata invece che a terra, in aria “direttamente contro un piccolo gruppo di quattro o cinque giovani (Rémi Fraisse), che avevano lanciato pietre e zolle, perché erano a corto di razzi segnaletici e bombe molotov”. Il progetto della diga è duramente contestato dalle comunità locali, dagli ambientalisti e dagli esperti del ministero dell’Ambiente, dubbiosi sulla sostenibilità dell’infrastruttura. Eppure, il Consiglio generale del Tarn ha decretato l’impianto come opera «di interesse generale» e di «pubblica utilità». Contro il volere di tutti e contro il buonsenso. Un po’ come accade in Italia.

(Foto: static.ladepeche)

Fonte: ambientebio.it

Terra dei Fuochi: nuova denuncia collettiva dei cittadini dell’agro nolano

Circa 400 cittadini del mariglianese denunciano roghi notturni, fumi neuseabondi e la presenza di una strana “sostanza appiccicosa” di natura ancora incerta. Chiedendo alle autorità competenti un intervento immediato380172

Roghi clandestini, deposito illegale di rifiuti, abbandono notturno di oggetti ingombranti. Sono i comportamenti illeciti oggetto della denuncia che circa 400 cittadini, residenti nei comuni di Marigliano e San Vitaliano, in provincia di Napoli, hanno presentato nei giorni scorsi alla Procura della Repubblica e alle locali Forze dell’ordine. Si tratta dell’ennesima iniziativa popolare che tenta di reagire all’emergenza ambientale nella cosiddetta Terra dei Fuochi, dove gli episodi di roghi sospetti, emissione di fumi dagli odori nauseabondi e abbandono di rifiuti solidi lungo i margini di strade, campagne e sotto i cavalcavia si ripetono a intermittenza da anni.  Questa volta, inoltre, i cittadini denunciano «la deposizione di sostanze fuligginose, talvolta appiccicose, accumulatesi diffusamente su suolo, edifici» e oggetti esposti all’aria aperta. «Nei mesi di luglio ed agosto, nell’agro nolano e più precisamente in vari punti nei comuni di Marigliano e San Vitaliano, sono state frequentemente svolte attività (roghi e probabilmente anomale emissioni da attività industriali e commerciali) che hanno prodotto fumi nauseabondi rendendo spesso l’aria irrespirabile – spiega un firmatario della denuncia – Contemporaneamente, numerose zone sono state interessate dalla presenza di estese patine appiccicose, fuligginose, di colore scuro, depositatesi su balconi, pavimenti e in genere su beni esposti all’aria aperta, anche all’interno delle abitazioni. Tali patine spesso risultavano difficili da rimuovere, se non mediante l’uso di sgrassatori e solventi». Su questa “patina appiccicosa”, in realtà, sono in corso di svolgimento analisi dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente, volte ad appurarne l’effettiva origine e composizione. «Secondo fonti ufficiose, potrebbe anche trattarsi di una sostanza di origine naturale, legata a una proliferazione anomala di alcune specie di insetti, ma aspettiamo il responso dell’ARPAC per dirlo – spiega lo stesso cittadino – Lo stesso non si può dire, in ogni caso, dei roghi appiccati e delle emissioni maleodoranti».  La denuncia della popolazione ha raggiunto anche i social network, dove si sottolinea tra l’altro la «cronica carenza di organico dei Vigili del Fuoco», chiamati a contrastare un fenomeno, quello dei roghi tossici, di portata massiccia. Ora nella Terra dei Fuochi si continua ad attendere l’intervento delle autorità, cui i cittadini chiedono di «verificare la consistenza degli inquinanti e adottare tutte le azioni atte ad impedire che il reato venga portato ad ulteriori conseguenze».

(Foto: pagina Facebook “La Terra dei fuochi”)

 

Fonte: ecodallecitta.it

Bellezza e legalità: il coraggio di difendere la propria terra

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Emanuele Feltri è un giovane siciliano innamorato della sua terra e della legalità, che ha deciso di restare per far rinascere una delle valli più belle dell’isola. Emanuele Feltri ha 34 anni, è nato a Catania ed è perito agrario. Dopo aver preso il diploma, ha deciso di non emigrare al nord, ma di restare nella sua Sicilia per avviare una coltivazione di prodotti biologici e un allevamento di ovini nella Valle del fiume Simeto.  I primi due anni di attività, però, non sono stati facili. Emanuele crede fermamente nell’imprenditoria agricola sana, svincolata da ricatti e prepotenze, che non convive con le ecomafie, ma che punta su biologico, vendita diretta, qualità dei prodotti e consorzi tra piccole aziende. Ma la criminalità organizzata ha cercato di piegarlo alle sue “regole” in tutti i modi, con richieste di pagamento del pizzo, minacce e danneggiamenti. Hanno bruciato l’agrumeto, danneggiato l’impianto d’irrigazione, rubato attrezzature, ma Emanuele ha deciso di non cedere. Si è rivolto alle forze dell’ordine e ha denunciato tutti i tentativi di soffocare la sua piccola azienda biologica attraverso l’imposizione di pizzo, prezzi di vendita e passaggi commerciali.“La scelta di rimanere”, spiega, “è avvenuta nel momento in cui una proposta di lavoro mi stava portando per l’ennesima volta lontano dalla Sicilia. Adesso è giunto il momento di mettere a frutto il mio vissuto per dare il mio apporto ad una terra che amo profondamente, ma che è piena di problemi e contraddizioni”.

La Valle del Simeto incarna tutte le problematiche della Sicilia”, continua, “ma la sua bellezza, la storia del suo vissuto rurale mi hanno chiamato a proporre un modello di lavoro e di vita che esprimono la volontà di non scendere a compromessi con un sistema basato sullo sfruttamento del territorio e dell’uomo”.

L’azienda agricola di Emanuele si trova su una collina vicino a Paternò, dalla quale si vede l’Oasi avi-faunistica di Ponte Barca, nata nel 2009. Ma Emanuele si rende conto che l’area protetta esiste solo sulla carta: la zona non solo è incustodita, ma è anche una discarica a cielo aperto. Mancano recinzioni e controlli e chiunque può entrarvi per appiccare incendi, cacciare la selvaggina e scaricare rifiuti. Si rivolge, ancora una volta, alle forze dell’ordine per segnalare lo stato di degrado dell’Oasi e anche le numerose discariche abusive presenti nella Valle, dove i camion scaricano rifiuti di ogni tipo, anche pericolosi e tossici. Inoltre, denuncia la continua moria di pesci e lo sversamento di sostanze nocive nel fiume Simeto, che, con i suoi 113 km di lunghezza, è il secondo fiume dell’isola e il primo per portata d’acqua ed estensione del bacino idrografico. Denuncia l’assenza di vigilanza nei boschi, che favorisce la presenza dei bracconieri, e la mancanza di controllo e manutenzione delle aree archeologiche, per la gioia di ladri e tombaroli. E consegna ai Carabinieri di Paternò un lungo memoriale dove racconta tutto ciò che ha visto e ha subito in prima persona.

Avere espresso in maniera forte la mia distanza dalle dinamiche criminali presenti nella valle”, racconta Emanuele, “proponendo uno sviluppo eco-sostenibile, è bastato per scatenare due anni di furti, danneggiamenti alla proprietà, minacce, tentativi di tirarmi dentro ad una rete di “protezione” e, infine, due episodi intimidatori di stampo mafioso, con l’uccisione delle mie pecore, sparate a pallettoni, e il ritrovamento della testa di un agnello di fronte alla porta di casa”.

Dopo questo episodio, avvenuto il 29 giugno scorso, la notizia fa il giro della Valle e il 7 luglio viene organizzata una manifestazione spontanea di solidarietà nei suoi confronti, alla quale partecipano 500 persone. Due giorni dopo, la criminalità risponde facendogli trovare un agnello sventrato, ma accade piccolo miracolo: nasce un coordinamento spontaneo di cittadini, trasversale e privo di connotazioni politiche (il “Coordinamento in Difesa della Valle del Simeto”), che sostiene Emanuele nella sua battaglia in difesa del territorio, della legalità e dell’imprenditoria sana.

Sono i ragazzi di Paternò e dei paesi limitrofi”, spiega,“che, come me, hanno scelto di non partire e di costruire un futuro migliore nella loro terra; sono le famiglie con i loro figli che hanno espresso la voglia di una vita più a misura d’uomo; sono agricoltori consapevoli che vogliono difendere il mio e il loro diritto di esistere, vivendo e lavorando in pace e serenità”.

Grazie al nuovo comitato, la storia di Emanuele raggiunge l’opinione pubblica, i social network, i media nazionali e le autorità. Anche il sindaco di Paternò, Mauro Mangano, e il Governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, sposano la sua causa, mentre il Prefetto di Catania si impegna personalmente, insieme all’associazione Libera, ad offrirgli protezione contro nuove intimidazioni.

“Non bisogna essere super eroi”, sottolinea Emanuele, “per portare avanti i propri ideali, per testimoniare che, a volte, il coraggio sta proprio nel condurre la propria vita quotidiana con coerenza e senza compromessi. Quando ci renderemo conto che ci stanno togliendo tutto, anche la possibilità di vivere nella propria terra, forse inizieremo a voler essere i reali protagonisti del nostro futuro. Io resto qui, non andrò via”.

E conclude: “La Valle del Simeto è già rinata, perché ha reagito ad un forte attacco con coraggio ed unione. Adesso la sfida è riuscire a trasmettere tutto questo, andando avanti e fronteggiando i possibili ulteriori contrattacchi di chi vuole che nulla cambi. Io la mia terra non la lascio: è come chiedermi di smettere di respirare”.

Fonte:buonenotizie.it