Amianto sugli elicotteri delle forze armate: 55 avvisi di garanzia

Destinatari del provvedimento dirigenti ed ex dirigenti di Agusta Westland e Piaggio Aerospacegettyimages-161737259-2

Sugli elicotteri dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica, dei Carabinieri, della Polizia e della Guardia Forestale c’era l’amianto e ora cinquantacinque dirigenti ed ex dirigenti di Agusta Westland e Piaggio Aerospace dovranno spiegare la presenza di questo materiale dichiarato fuorilegge dall’Italia nel 1992. La Procura di Torino – la stessa dei due maxi-processi a Eternit – ha emesso cinquantacinque avvisi di garanzia e procederà per disastro colposo. Il nodo dell’inchiesta non è tanto se gli elicotteri delle varie forze armate fossero assemblati con parti contenenti l’asbesto, un dato ormai accertato, ma se il fatto sia stato omesso dopo il divieto d’utilizzo del materiale. Dalle guarnizioni alle pastiglie dei freni, dai rotori alle ruote e alle condotte, il minerale che provoca il mesotelioma pleurico era utilizzato in abbondanza nella componentistica. Qualora si scoprisse che gli elicotteri sono stati costruiti prima del 1992 i dirigenti non rischierebbero nulla. Diverso sarebbe se il processo facesse emergere che i dirigenti sapevano e hanno taciuto, omettendo, nell’interesse delle rispettive aziende, la presenza di amianto sui velivoli. Nell’inchiesta condotta dal pm Raffaele Guariniello è emersa una segnalazione, datata 1996, giudicata lacunosa. Inoltre vi sono i dubbi sollevati dalla Marina Militare due anni prima, nel 1994. Ci sono voluti quasi vent’anni perché il Ministero della Difesa ottenesse l’elenco completo del materiale contenete amianto presente sugli elicottero; solo dopo l’ottenimento di questi elenchi, nel settembre 2013, si è dato il via alle bonifiche. Ma nei laboratori dell’Aeronautica sarebbero state scoperte sostituzioni altrettanto fuorilegge: in pratica i componenti in amianto sarebbero stati sostituiti da altri componenti in amianto. Una cosa è certa: fra chi è salito sugli elicotteri come pilota o come passeggero e chi ha lavorato alla manutenzione e alle opere di sostituzioni delle parti pericolose per la salute, risulta impossibile calcolare quante persone siano entrate in contatto con l’amianto.

Fonte: ecoblog.it

Sorpresa! Gli F35 non si tagliano più

Il precedente ministro della Difesa era riuscito a fare persino meglio dell’attuale, che, alla faccia delle promesse e delle commedie, ha riconfermato gli investimenti negli F35, aerei da guerra che si stima costino sui 130 milioni di dollari l’uno.f35aereomilitare

La conferma arriva dalla Rivista Italiana della Difesa che cita il Documento Programmatico Pluriennale (DPP) per la Difesa per il triennio 2015 – 2017 presentato dal ministro Pinotti al Parlamento. La prima tranche, secondo quanto dice la RID, sarà di 38 F35 da acquistare entro il 2020. «Dopo quella data, il programma verrà ulteriormente rimodulato, per un efficientamento complessivo della spesa, ma l’impegno all’acquisizione di 90 velivoli complessivi al momento resta». E ancora: «Nel corso di quest’anno al programma andranno 582,7 milioni di euro: 260 milioni per acquisizioni e supporto logistico, 66 per le predisposizioni e gli adeguamenti infrastrutturali ed altri 233 milioni di euro per il consolidamento dei ritorni industriali pianificati. Ad oggi, l’Italia ha contrattualizzato l’acquisto di 8 velivoli – 3 dei LRIP (Low Rate Initial Production) 6-7 e 2 del LRIP-8. Sei velivoli sono già in produzione nello stabilimento di Cameri ed uno a già effettuato il roll-out in vista della consegna entro l’anno all’Aeronautica. Quest’anno è prevista la firma dei contratti LRIP 9 e 10. Il LRIP 9 dovrebbe prevedere per l’Italia l’acquisizione di 2 aerei, di cui il primo in variante a decollo corto e atterraggio verticale STOVL». Poi si va alla pagina 144 del documento e si legge che ci sono «oneri complessivi stimati per circa 10 miliardi: completamento previsto 2027». Nel settembre 2014 la Camera aveva approvato una mozione che impegnava il governo «a riesaminare l’intero programma F35 per chiarirne criticità e costi con l’obiettivo finale di dimezzare il budget finanziario originariamente previsto». Ebbene, quella mozione non è servita a nulla e la decisione suona come una beffa nei confronti di chi, come la Rete Disarmo con la campagna Taglia le ali alle armi, si è impegnato per contrastare l’emorragia di denaro pubblico in questa direzione. Avanti tutta, allora, con i cacciabombardieri. Il documento parla di «rispetto delle mozioni» e di «notevole diminuzione» della spesa per gli F35: ma è quella che aveva già fatto 3 anni fa l’ex ministro della difesa Giampaolo Di Paola portando il numero dei bombardieri da comprare da 131 a 90. E poi? Nulla. O tutto, secondo i punti di vista. Ne esce sconfitta la grande campagna Taglia le ali alle armi. «L’obiettivo era ed è quello del disarmo con una forte riduzione delle spese militari al fine di arrivare ad una difesa rispondente al nostro dettato Costituzionale che prevede il ripudio della guerra per la soluzione delle controversie internazionali – si legge nel documento della campagna – Per rispondere alla seconda parte dell’articolo 11 della Costituzione, cioè promuovere le organizzazioni internazionali che assicurino la pace e la giustizia tra le nazioni, occorre creare corpi di polizia affiancati da corpi civili di pace in ambito sia di Nazioni Unite che di Unione Europea. L’alternativa, come in tutte le cose c’è, non è vero che se non vogliamo l’F35 non vogliamo difenderci o vogliamo declassare il prestigio del nostro Paese. Dove sta scritto che il prestigio internazionale derivi dallo sfoggiare portaerei e cacciabombardieri, dove sta scritto che l’eccellenza ci deve essere solo in campo militare (perché non in quello sanitario). Ci dicono che dobbiamo rispettare gli impegni internazionali, ma non ce lo dicono quando non lo facciamo per la cooperazione allo sviluppo, dove siamo il fanalino di coda dei paesi donatori. Ma l’F35 lo abbiamo preso di mira anche perché è l’esempio palese di come in nome della “difesa della nazione” si sperperano soldi pubblici che arrivano dalle tasche di noi contribuenti. Quindi un discorso che va oltre le questioni della difesa o dell’etica della pace, ma riguardano l’amministrazione del bene pubblico». «Soprattutto in un momento come questo, di grave crisi economica e finanziaria, di cui pagano le conseguenze le fasce più deboli della popolazione –si legge ancora – è necessario ripensare il nostro modello di difesa, il ruolo internazionale dell’Italia e la dimensione delle Forze Armate. Sono state colpite le spese sociali, i trasferimenti agli enti locali, gli stanziamenti per l’ambiente, ma le spese militari sono state solamente sfiorate. Si tratta di porre questo problema non solo in ambito italiano, ma in un contesto europeo. E’ necessario avviare una politica di disarmo su scala europea ed ottimizzare risorse e mezzi di paesi che comunque agiscono come alleati nelle missioni internazionali di pace. Ed é tempo che il nostro paese si dia una politica di pace e non solo di disarmo: per questo chiediamo maggiori finanziamenti alle politiche pubbliche di cooperazione allo sviluppo fino allo 0,7% del PIL -come richiesto anche dalle Nazioni Unite in numerose occasioni- e poi un ruolo delle Forze Armate all’estero rigorosamente rispettoso dell’art. 11 della Costituzione (L’Italia ri- pudia la guerra) e della Carta delle Nazioni Unite: autentiche missioni di pace e non interventi militari camuffati da missioni umanitarie. Si tratta anche di spezzare il persistente connubio di interessi tra industria militare, commesse pubbliche e Forze Armate, che tante vicende oscure ha causato, come dimostra anche la storia di Finmeccanica. Accentuare i controlli sul commercio e traffico delle armi e sostenere con maggior forza i processi di riconversione dell’industria militare sono per noi due importanti priorità».

Volete protestare? Fatelo scrivendo a:

Ministero della Difesa

Palazzo Baracchini

Via XX Settembre 8 – 00187 Roma

Oppure telefonando allo 06-4882126 o scrivendo una mail a segreteria.ministro@difesa.it

Fonte: ilcambiamento.it

Fori Imperiali, Ignazio Marino spiega la rivoluzione: “quella strada scomparirà”

Intervistato da Lucia Annunziata il neo-sindaco di Roma Marino racconta il progetto per i nuovi Fori Imperiali: eliminare la strada e creare un grande parco archeologico, alla faccia di Mussolini175378174-586x390

Via dei Fori Imperiali è stata creata da Benito Mussolini: occorreva, all’epoca, una strada che conducesse le parate dei mezzi militari e delle forze armate del regime fascista dal Colosseo (simbolo dell’Impero Romano) a Palazzo Venezia (simbolo dell’Impero fascista); Mussolini ordinò di abbattere tutto il quartiere popolare che allora sorgeva sopra e dentro il Foro Romano, radendolo al suolo e spostando decine di migliaia di persone nei quartieri di nuova costruzione della Garbatella e del Tiburtino. Oggi il sindaco Ignazio Marino vuole tornare su quella decisione, non ripopolando il Foro Romano quanto eliminando quella strada, simbolo della fallace dittatura fascista e di quell’impero crollato oramai circa 1600 anni fa. Lo ha detto a Lucia Annunziata, raccontando come nel lontano 1988 gli venne l’idea (o l’embrione di un’idea, grazie ad una turista americana che definì “pazzia” il traffico di via dei Fori Imperiali), dicendo di aver studiato gli scritti di fine ottocento di Baccelli, il primo a parlare di “Parco Archeologico”. La “pedonalizzazione” dei Fori Imperiali (che tale non è, ma dalle parole di Marino sembrerebbe che Roma deve dare “tempo al tempo” per potere vedere finita la rivoluzione che ha in mente) è solo un primo passo: nuovi scavi, strato per strato, fino allo smantellamento di quella strada e la creazione, in 25-30 anni, di una Roma completamente rinnovata, in cui arte, bellezza, storia e cultura si incontrano finalmente unite da un sistema urbanistico ancora tutto da realizzare (anzi, in larga parte da immaginare, ma il bello è anche quello). Intervistato da Lucia Annunziata Ignazio Marino ha dato corpo alla sua “visione” di Roma:

“Si alla fine scomparirà (via dei Fori Imperiali, ndr). Immagino che ne rimarrà solo una parte, una sezione centrale, magari per biciclette e pedoni, magari per un tram… magari terremo le mappe dell’Impero. Questo risultato finale lo vedremo. Senza volerle sembrare un folle, mi immagino un’unica area che unisca i Fori Traiani ai Fori Imperiali…”

Un progetto immaginifico che conduce fino all’Appia Antica, depredata dal sacco di Roma dei palazzinari negli anni del boom economico e perpetrato ancora oggi con abusi edilizi in una delle zone archeologiche più incantevoli del mondo (e a più alta densità abitativa del mondo). Sul suo rapporto con le automobili il sindaco di Roma chiarisce:

“Io non lo chiamo odio, preferisco parlare di intolleranza. Ma sicuramente c’è. Cosa pensare del fatto che a Roma ogni 1000 abitanti ci sono 980 auto, che a Roma si muovono ogni giorno si muovono 600mila persone, di cui il 60 per cento fa meno di 5 chilometri? È un assurdo. Il traffico deve essere diminuito. È una priorità anche medica.”

Una posizione, una “visione”, quella di Marino che ha attirato immediatamente ferocissime critiche, anche da chi non ti aspetti: il M5s Roma, ad esempio, bolla la protesta come “dilettantistica”, spiegando:

“Fare degli scavi in quel tratto porterebbe alla luce solo le fognature di epoca fascista. Prima di rilasciare tali dichiarazioni avrebbe dovuto contattare archeologi e urbanisti.
Tale superficialità è preoccupante.”

senza però spiegare i danni che deriverebbero alla città da quella scelta. Su Twitter i commenti all’intervista sono divisi tra favorevoli e contrarissimi, anche con nomi importanti (Pierluigi Battista del Corsera, ad esempio, da residente nel rione Monti vede come una vera e propria “iattura” già il divieto di accesso tra largo Ricci e piazza Colosseo, figurarsi lo smantellamento di quell’asse viario. Personalmente vedo nella proposta a lunghissimo termine di Marino due cose precise: la prima è una visione, un’immagine, che fa piacere veder raccontata da un sindaco, sopratutto se dal sindaco di Roma, che denota spirito d’iniziativa e creatività amministrativa. Nell’immobilismo romano oramai calcificato nelle coscienze dei residenti, questo aspetto non può che essere visto in modo positivo. La seconda è invece il tentativo di rottura, verbale fino ad ora (Marino è stato eletto poche settimane fa), con il passato (non inteso solo come Alemanno, ma anche come Rutelli, Veltroni e compagnia, che hanno devastato letteralmente una città riportandola indietro di almeno 35 anni). Il dubbio è: è vera rottura o propaganda?

Tempo al tempo.

Fonte: ecoblog