Sud America, l’aumento del prezzo dell’oro accelera la deforestazione

Uno studio pubblicato dalla rivista Environmental Research Letters dimostra gli effetti devastanti dell’estrazione dell’oro. Il prezzo dell’oro aumenta e ciò comporta un aumento della deforestazione in Amazzonia e in altre foreste del Sud America. È questo quanto emerge da uno studio sull’impatto ambientale dell’industria mineraria compiuto dalla rivista Environmental Research Letters. Nonostante il picco del prezzo dell’oro nsia stato raggiunto nel 2011, la sua quotazione attuale resta doppia rispetto alla media degli ultimi trent’anni. Per i garimpeiros i rischi sono inferiori ai possibili benefici e, negli ultimi anni, i minatori artigianali hanno dato vita a una nuova corsa all’oro affollando aree protette e foreste tropicali. L’analisi dei dati satellitari effettuata dai ricercatori dell’Università di Puerto Rico ha permesso di quantificare in 1680 kmq la porzione di foresta cancellata fra il 2001 e il 2013 ovverosia in un periodo di tempo che ha visto crescere il prezzo dell’oro di cinque volte. Nella seconda metà di questo periodo, ovverosia negli anni della crisi occidentale, il tasso di distruzione è raddoppiato perché la crisi economica e l’instabilità finanziaria hanno generato una “fame” di oro dovuta da una parte all’utilizzo come bene-rifugio, dall’altra all’utilizzo come materia prima per soddisfare la richiesta di gioielli proveniente dalle economie emergenti di Cina e India. Anche se, in termini di superficie, la deforestazione dovuta all’attività estrattiva è di gran lunga inferiore a quella causata dall’agricoltura, dall’allevamento e dal disboscamento illegale a fini commerciali, l’estrazione dell’oro è la più devastante dal punto di vista ambientale perché utilizza cianuro, mercurio e arsenico, contaminando le fonti d’acqua e rallentando la ricrescita della vegetazione. Le quattro aree principali dell’estrazione in Sud America sono: il sud est dell’Amazzonia in Perù, il Tapajós – Xingú in Brasile, la Guyana e la regione di Valle Magdalena – Urabá. La zona più “affollata” di garimpeiros è quella di Itaituba, nel bacino Tapajós, nella quale si stima operino circa 200mila persone. In termini percentuali, la produzione di oro in Sud America è cresciuta più velocemente della produzione mondiale, passando dalle 2445 tonnellate del 2000 alle 2770 tonnellate del 2013.113280193-586x390

Fonte: The Guardian

© Foto Getty Images

I servizi resi ogni anno dalla natura valgono il doppio dell’economia mondiale

Si tratta di circa 125000 miliardi di dollari all’anno. Negli ultimi 15 anni questo valore è diminuito del 14% a causa della distruzione degli habitat.

Occorrerà decisamente rivedere il detto il denaro non cresce sugli alberi, dal momento che l’economia della specie umana può funzionare solo grazie ai servizi resi ogni anno dall’ecosistema: assorbimento della CO2, purificazione dell’acqua, impollinazione, protezione dalle tempeste, prevenzione dell’erosione del suolo e molti altri. Si può dare un valore economico a questi servizi che la natura ci fornisce “gratuitamente”? Uno studio interdisciplinare realizzato da sei diverse università ha stimato questo valore in 125 T$all’anno (1 T$ = 1000 miliardi di dollari), otto volte il PIL USA, il doppio dell’economia mondiale(1). Il valore dei servizi marini è pari a 50 T$, di cui 22 dagli oceani e 28 dalle zone costiere; in questo gruppo le barriere coralline valgono ben 10 T$ per la loro straordinaria biodiversità, nonostante occupino una porzione minuscola del pianeta. Gli ecosistemi terrestri contribuiscono per 75 T$. A sorpresa, il contributo maggiore non viene dalle foreste (16 T$), ma dalle zone umide (26 T$) e dalle praterie (18 T$). Negli ultimi quindici anni la distruzione degli habitat naturali per fare posto a urbanizzazione, agricoltura e pascoli ha determinato una perdita di servizi naturali pari a 20 T$ all’anno, cioè il 14% del valore del 1997. Le perdite maggiori riguardano la distruzione delle barriere coralline e delle foreste costiere di mangrovie, causate dalla creazione di acquacoltura di gamberetti. Stiamo erodendo il capitale naturale della terra ad un ritmo assurdo e insostenibile. Dandogli un valore economico, è possibile parlare nel linguaggio degli economisti per sperare di fare loro capire che oggi ogni ulteriore crescita economica può solo avvenire a spese del capitale naturale. (2) Detto altrimenti, il costo delle esternalità che imponiamo alla natura determinerà, più prima che poi, il collasso dell’economia e della società.Servizi-economici-ecosistemi

(1) Dollari costanti del 2007. Questo lavoro aggiorna un precedente lavoro del 1997 che stimava il valore dei servizi naturali in 46 T$. Per l’inflazione questo valore sarebbe oggi cresciuto a 145 T$, ma la perdita di numerosi habitat terrestri e marini ha fatto calare il valore a 125 T$.

(2) Da un punto di vista fisico ed ecologico, avrebbe più senso valutare le basi materiali ed energetiche dell’economia, piuttosto che dare un valore monetario alla natura, ma dal momento che le decisioni a livello mondiale vengono prese sulla scorta di valutazioni che attengono solo alla sfera dell’economia, è necessario includere il valore dei servizi naturali nei bilanci delle aziende e delle nazioni.

Fonte: ecoblog.it

Le foreste del pianeta sono il nostro più grande capitale naturale: proteggiamole!

Il bilancio è pesantemente negativo: 2,2 milioni di km² persi in vent’anni. Per proteggere le foreste occorre ridurre la pressione antropica, fatta soprattutto di piantagioni di palma da olio e soia e allevamenti estensivi

Nell’anno ci sono molte giornate mondiali (qualcuno pensa anche troppe), ma questa è importante, perchè le foreste rappresentano il nostro vero capitale naturale: sono la casa di decine milioni di specie viventi, proteggono il suolo e assorbono fino a un quinto del più pericoloso inquinante prodotto dall’umanità, cioè il biossido di carbonio. La situazione rimane purtroppo particolarmente negativa: negli ultimi vent’anni abbiamo perso almeno il 10% del manto forestale in tutto il pianeta, cioè 2,2 milioni di km², una superficie pari all’intera Repubblica Democratica del Congo. La distruzione boschiva riguarda soprattutto le foreste tropicali, proprio le più ricche in biodiversità e le più fragili. (Dati Forest Resources Assessment della FAO) La maglia nera della deforestazione spetta a dodici nazioni che hanno perso ciascuna oltre 50000 km² tra il 1990 e il 2010, ma tra queste ne spiccano in particolare due: il Brasile, con un’emorragia di oltre mezzo milione di km² e l’ Indonesia che con un saldo negativo di 240000 km² ha rinunciato al 20% del suo capitale naturale. La colpa è da attribuire essenzialmente al sistema agricolo industriale: in America Latina il motore della deforestazione sta negli allevamenti estensivi di bestiame e nella coltivazione della soia destinata agli allevamenti intensivi europei e nordamericani. Nell’Asia insulare il colpevole è invece l’ olio di palma, poiché la foresta viene distrutta per fare posto alle piantagioni. Oltre a rendere più sostenibile il mondo della moda e del tessile, la scelta di mangiare meno carne e scegliere prodotti senza olio di palma sono il modo in cui già da oggi possiamo fare la nostra parte per proteggere le foreste.Deforestazione-2014

Fortunatamente ci sono nazioni che hanno aumentato il proprio stock forestale,  a dimostrazione del fatto che è possibile investire la tendenza. Il paese più attivo è la Cina, che quasi bilancia il Brasile come area riforestata, ma non certo come valore biologico, visto che una foresta temperata vale assai meno in termini di biodiversità rispetto ad una tropicale. Buoni risultati sono stati ottenuti anche in Europa, Nord America e Turchia. Tra i paesi con climi più caldi, è giusto ricordare l’India e il Vietnam, con un guadagno di 45000 km² ciascuno. Quando i cittadini europei dedicheranno ai numeri della deforestazione almeno la stessa attenzione che dedicano all’andamento delle borse, delle tasse o del prezzo della benzina, forse avremo iniziato a fare un passo avanti.

Fonte: ecoblog