Mesa Noa e la rivoluzione gentile delle Food Coop

Raccontare la straordinaria esperienza che ha portato alla nascita del primo supermercato collaborativo ed ecologico della Sardegna e, al contempo, fornire una guida utile a chi vuole aprire una food coop nel proprio territorio. Nasce da qui l’idea di realizzare il documentario “Mesa Noa – La rivoluzione gentile delle Food Coop” diretto dal regista indipendente Daniele Atzeni, che abbiamo intervistato, e al quale tutti possono contribuire partecipando al crowdfunding.

Mesa Noa, l’emporio di comunità sardo nato sul modello della Food Coop americana Park Slope, è aperto da alcuni mesi e, gradualmente, sta entrando a regime. Si tratta di una storia che ci sta particolarmente a cuore, essendo nata dalla spinta del gruppo degli Agenti del Cambiamento sardi che, venuti a conoscenza attraverso Italia che Cambia del fenomeno delle cooperative alimentari partecipate, ha deciso di passare all’azione e di fondarne una a Cagliari. La loro esperienza sarà ora raccontata in un documentario dal titolo “Mesa Noa – La rivoluzione gentile delle Food Coop” che rappresenterà anche una guida informativa per chi vorrà replicare l’iniziativa in altre parti d’Italia o del mondo. Per saperne di più su quest’opera (alla quale tutti possono contribuire partecipando al crowdfunding), abbiamo intervistato il regista indipendente Daniele Atzeni.

Ti  va di parlarci di te? Qual è il tuo percorso nel mondo dei documentari e del cinema in generale?
Ho studiato in una scuola di cinema a Roma dove mi sono diplomato in regia nel 1999. Durante il mio percorso formativo, dopo aver visto i classici dei grandi documentaristi come Ivens e Flaherty e incontrato alcuni maestri del genere come Vittorio De Seta, ho cominciato ad interessarmi al cinema documentario. Ho capito che sarebbe potuto diventare un mezzo espressivo col quale provare a cimentarmi, inoltre mi avrebbe permesso di lavorare in piena autonomia, cosa che soprattutto all’inizio di un percorso ritengo fondamentale. Grazie al supporto della scuola, nel 2001 ho girato il mio primo documentario “Racconti dal sottosuolo” e, una volta rientrato in Sardegna ho realizzato una serie di documentari che riguardano prevalentemente il recupero della memoria storica e trasformazioni sociali della mia terra.

Dal 2011 col mio lavoro “I morti di Alos” ho cominciato a sperimentare una forma ibrida di racconto ottenuta tramite il riutilizzo di materiale d’archivio. Forma espressiva che ho utilizzato anche nel mio ultimo film “Inferru”, la cui parte visiva è composta esclusivamente da immagini tratte da vecchi documentari e home movies che riguardano la realtà mineraria del Sulcis».

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Alcuni soci di Mesa Noa

Perché hai deciso di realizzare un documentario su Mesa Noa? Cosa ti ha spinto a farlo?

La nascita delle cooperative di consumo in Sardegna è strettamente legata alla storia mineraria. Furono i minatori ai primi del novecento a crearle per sfuggire al cosiddetto “truck system”, un sistema coercitivo attraverso il quale le società minerarie costringevano gli operai a rifornirsi a debito negli spacci aziendali, dove si trovavano prodotti scadenti a prezzi esorbitanti. In questo modo gran parte del salario, se non tutto, se ne andava per pagare il debito, non solo per gli alimenti ma anche per gli alti affitti delle catapecchie di cui era proprietaria la società. Una delle battaglie storiche dei minatori fu quindi legata alla creazione di cooperative nelle quali poter comprare i beni necessari senza dover passare attraverso la società, che naturalmente faceva di tutto per impedirne la nascita. In un periodo storico completamente diverso, dove il consumismo infonde l’illusoria percezione della libertà, il progetto Mesa Noa, rappresenta un modello economico e sociale molto interessante, che va contro certe dinamiche della grande distribuzione e valorizza le realtà produttive locali, a partire dalle più piccole. Da anni mi occupo con i miei lavori di problemi sociali e ambientali e perciò appena mi è stato chiesto di realizzare un documentario che raccontasse il suo percorso ho subito accettato, pur sapendo di andare incontro ad un lavoro molto lungo e impegnativo.

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la food coop Mesa Noa
Perché avete avviato una raccolta fondi? A cosa vi servirà e come userete le donazioni che vi arriveranno?
Ho iniziato le riprese del documentario nell’agosto del 2019, ottenendo svariate ore di girato. Le riprese proseguiranno fino a primavera e poi comincerò il montaggio che mi occuperà per almeno tre mesi. Le risorse serviranno prevalentemente per coprire le spese di questo lavoro, per pagare i collaboratori che si occuperanno delle musiche e della post produzione audio e video, per la realizzazione dei sottotitoli in lingua straniera, per produrre i dvd del film e per la sua circuitazione. Crediamo che il documentario possa fungere da stimolo per altre iniziative che potrebbero nascere sul modello dell’emporio, oltre a rappresentare un racconto importante sulla prima realtà di questo tipo nata in Sardegna e una delle prime in Italia.  I promotori e il nucleo attivo del progetto sono poi così orgogliosi e soddisfatti del loro percorso che vogliono “fissarlo nel tempo” attraverso un film documento fruibile da tutti. Per questo chiediamo un contributo a chi si riconosce nei valori portati avanti attraverso il progetto Mesa Noa.
Raccogliendo le interviste, cosa ti ha colpito di questa esperienza? Hai visto crescere l’entusiasmo nelle persone coinvolte e nel pubblico che hai incontrato?
Quello che mi colpisce di più è la passione dei soci, i quali con grandi sacrifici si impegnano per creare una realtà che tenta di reagire a un sistema avvertito come ingiusto e non più sostenibile. Il pubblico risponde sempre bene alle iniziative della cooperativa, il progetto suscita molta curiosità e il numero dei soci è sempre in aumento.Si è proprio creata quasi una comunità che si riconosce negli stessi valori e fa di tutto per portarli avanti. Spero di riuscire a far emergere tutto questo nel documentario.
Se volete aiutare Mesa Noa a realizzare il suo documentario, potete trovare tutte le informazioni qui
Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/03/mesa-noa-rivoluzione-gentile-food-coop/?utm_source=newsletter&utm_medium=email


OLTREfood Coop, il supermercato partecipativo ed ecologico di Parma

Dopo avervi parlato di Camilla, che ha sede a Bologna, e Mesa Noa, che sta per aprire i battenti in Sardegna, abbiamo oggi il piacere di annunciarvi la prossima apertura del terzo supermercato autogestito d’Italia. Arriva ora a Parma OLTREfood coop, l’emporio di comunità che sovverte le regole della grande distribuzione. Vi abbiamo raccontato per la prima volta delle Food Coop a ottobre del 2017, con l’augurio di veder nascere numerosi empori autogestiti in tutta Italia. A dicembre del 2018 abbiamo avuto il piacere di annunciarvi l’apertura di Camilla a Bologna e in seguito vi abbiamo presentato Mesa Noa, la cooperativa di consumo sorta in Sardegna. Siamo ora lieti di annunciarvi la costituzione della cooperativa OLTREfood Coop e di anticiparvi che l’apertura è prevista in autunno a Parma.

OLTREFood Coop è la terza esperienza italiana di “supermercato autogestito” o di “negozio partecipativo” o ancora di “emporio di comunità” e consente ai suoi soci di essere contemporaneamente proprietari, lavoratori e consumatori. La difficoltà a trovare una traduzione univoca di “food coop” ha sicuramente a che fare con la multidimensionalità di questo progetto, che tocca temi fittamente intrecciati come l’alimentazione, l’ambiente, la comunità, il lavoro e tanti altri, formando un poliedro ben sfaccettato. “Fare parte di questo tipo di esperienza implica una visione politica globale, di tutela dell’ambiente e dell’uomo” afferma Carlotta Taddei, presidente dell’Associazione OLTREFood Coop. Non più “consumatori”, i soci diventano soggetti attivi che possono scegliere quale filiera sostenere e dunque che tipo di impatto ambientale, sociale ed economico desiderano avere. Pagata una quota sociale di circa cento euro, infatti, i soci hanno la possibilità di partecipare alle scelte sui prodotti e su altri aspetti organizzativi e possono acquistare presso OLTREFood a prezzi agevolati, garantendo al contempo un equo compenso ai produttori. La richiesta di dedicare tre ore ogni quattro settimane al progetto risponde sia all’esigenza di mantenere dei prezzi equi per tutte le parti, sia alla necessità di avere una partecipazione che non sia solo sulla carta, ma vissuta. Pur avendo come chiari riferimenti esperienze come Park Slope, Bees Coop, La Louve e Camilla, OLTREFoodCoop sente una continuità anche rispetto alla storia del cooperativismo e del solidarismo che ha caratterizzato l’Italia dalla prima metà dell’Ottocento, quando la rivoluzione industriale mutò gli assetti sociali e generò, per reazione, le prime associazioni di mutuo soccorso come strumento di autodifesa dal nuovo liberismo che si andava imponendo.

I soci di OLTREfood coop

Il territorio parmigiano si distingue già da tempo per una forte sensibilità in questa direzione, tant’è che il primo Gruppo di Acquisto Solidale italiano è stato fondato nel 1994 nella vicina Fidenza. Tuttavia, mentre la grande distribuzione gode di un’enorme visibilità, questo “mondo parallelo” di consumo etico e di sostegno ai produttori può sembrare irraggiungibile a chi non appartiene a queste reti. Per questo OLTREFood Coop vuole costruire un sistema che abbia una sede fissa, visibile, che possa essere veramente aperto a tutti, pubblicizzato ed estendibile all’infinito. L’aspirazione ad essere un luogo aperto e di conoscenza reciproca trapela anche dalla scelta nome: OLTREFood si rifà a Oltretorrente, il quartiere popolare e libertario, ma anche conflittuale, in cui si è scelto di aprire il negozio. Ad oggi c’è la soddisfazione di aver raggiunto il primo centinaio di soci che, pur vivendo nella stessa – piccola – città, non si conoscevano, e che sono arrivati a compiere insieme scelte dal contenuto molto profondo. “Altri tipi di associazioni, con intenti altrettanto lodevoli, raccolgono chi già la pensa allo stesso modo” mentre OLTREFood, ha attirato non tanto “per un’impronta ideologica di partenza, ma per la condivisione di tutto un processo di ragionamento, studio e autoformazione. Attraverso questa pratica siamo riusciti a raccogliere persone molto diverse”, racconta Carlotta Taddei.  

OLTREFood coop ha una formula legale tanto innovativa quanto faticosa da comunicare all’esterno e le occasioni di confronto e supporto reciproco con l’emporio di comunità Camilla hanno giocato un ruolo importante. Mentre, speriamo, le food coop diventeranno un modello pian piano sempre più diffuso, la costruzione di una forte rete regionale e nazionale si intravede all’orizzonte.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/06/oltrefood-coop-supermercato-partecipativo-ecologico-parma/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Food Coop, presto anche in Sardegna il supermercato autogestito

Il progetto, nato da una riunione di Sardegna che Cambia, mira all’apertura, entro il 2019, del primo Food Coop dell’isola, terzo in Italia dopo quelli nascenti a Bologna e Parma. L’obiettivo è la costituzione di una cooperativa nella quale i soci possano approvvigionarsi con prodotti di qualità, provenienti da filiere etiche, a prezzi sostenibili. Tiziana, una degli Agenti del Cambiamento promotori dell’iniziativa, ci spiega come aderirvi. Avete presente “Food Coop”, il documentario di Tom Boothe che parla di The Park Slope, il primo supermercato collaborativo del mondo, nato a New York negli anni ’70 e che oggi conta più di 17mila soci attivi? Beh, vedetelo e forse verrà anche a voi la voglia di fare, sul vostro territorio, quello che sta facendo Tiziana insieme agli altri membri di Sardegna che Cambia.

Tiziana, come nasce l’idea di una Food Coop Cagliari?

Nel dicembre 2017, durante una delle periodiche riunioni degli Agenti del Cambiamento sardi, decidiamo di organizzare una proiezione del documentario Food Coop. Prima ancora di vederlo, raccogliamo informazioni sul progetto Camilla di Bologna, e cominciano a balenarci le prime idee. E così, nel marzo 2018, al cinema Greenwich di Cagliari, chiediamo al pubblico presente alla proiezione del film se a qualcuno andava di impegnarsi per realizzare qualcosa di simile in Sardegna.

Risultato?
Una cinquantina di persone fra il pubblico ha aderito entusiasta. E così abbiamo formato un gruppo di promotori.

Non siete gli unici a essere stati ispirati dal film.

Da New York è partito un vero e proprio contagio che è arrivato anche in Europa. Tra i progetti più significativi ci sono La Louve a Parigi, nato proprio su iniziative del regista del documentario, e Bees Coop a Bruxelles. In Italia, oltre a Camilla a Bologna, di imminente apertura, sta nascendo anche Oltrefood Coop a Parma.

Ci spieghi il progetto in breve?

Vogliamo creare una comunità locale di consumo critico. L’obiettivo principale è quello di costituire una cooperativa i cui soci, dietro sottoscrizione di una quota associativa e dell’offerta di qualche ora di volontariato al mese, possano approvvigionarsi con prodotti di qualità, da loro stessi selezionati, provenienti da filiere etiche e sostenibili, a prezzi contenuti.foodcoop-sardegna-1.jpg

Una sessione di lavoro di Sardegna che Cambia

Come si può distribuire cibo in gran parte biologico e a km zero e tenere anche bassi i prezzi?
Da un lato eliminando l’intermediazione della Grande Distribuzione Organizzata, ossia rapportandosi direttamente con i produttori, che quindi vengono selezionati, insieme ai prodotti da vendere, dagli stessi soci della cooperativa.

Un po’ come accade per i GAS-Gruppi di Acquisto Solidali?

Sì, ma con una novità. Dall’altro lato, infatti, si aprono supermercati “collaborativi”, nei quali i clienti sono anche proprietari e lavoratori. Con questa formula, nella quale i soci della cooperativa lavorano per 3 ore al mese nel punto vendita, i costi sono abbattuti fino al 40%. Un risparmio che viene diviso tra il prezzo di vendita al consumatore e la remunerazione del produttore. Quest’ultimo aspetto è di fondamentale importanza: quando la remunerazione del lavoro è equa, il produttore è incentivato a insistere col biologico, l’agricoltura contadina e le lavorazioni tradizionali, e ad evitare di dover ricorrere allo sfruttamento della GDO pur di dare uno sbocco alla propria produzione. È come dare valore, col nostro lavoro, anche al lavoro degli altri membri della filiera.

Una bella soddisfazione.

E ti dirò di più. Non è solo una questione di prezzi convenienti, di giusta remunerazione del lavoro dei produttori, di valorizzazione delle produzioni locali. La soddisfazione più grande è psicologica. È il senso di responsabilità che ciascuno sviluppa nei confronti della propria comunità, la sensazione di lavorare attivamente per la transizione verso una società più equa, sostenibile e solidale. Non è un caso che il focus gestionale del progetto riguarderà le scelte di consumo responsabile e la sperimentazione di modelli di autogestione, di cooperazione e solidarietà tra le persone, di attenzione all’ambiente e di valorizzazione del territorio.

Mi pare un’esperienza altamente formativa per coloro che vi partecipano.

Assolutamente sì. Non a caso tra gli obiettivi complementari c’è anche quello di fornire strumenti di riflessione sulla società contemporanea. Quando apri un emporio in cui rifiuti di vendere prodotti provenienti dall’agricoltura industriale o che utilizzino sostanze chimiche di sintesi, in cui favorisci l’agricoltura naturale, in cui riduci al minimo gli imballaggi, in cui vieti l’uso di plastica usa e getta, in cui permetti l’utilizzo delle monete complementari non c’è dubbio che stai facendo formazione.

Un vero e proprio centro di promozione cuturale.

E anche di intrattenimento, visto che prevediamo di utilizzare gli spazi anche per attività sociali. Oltre al punto vendita, infatti, il progetto prevede l’attivazione di un repair point, una banca del tempo, uno spazio destinato a laboratori proiezioni, presentazioni, seminari, ecc. Insomma, un vero e proprio centro polifunzionale in grado di offrire un’ampia gamma di servizi e attività complementari con ricadute sia sulla comunità locale che sulla compagine. Sai, il progetto è economicamente sostenibile solo se raggiunge un certo numero di soci.foodcoop-sardegna-2

Una riunione del progetto Food Coop

Parliamo dei soci, appunto.

Per il momento siamo un gruppo di persone, perlopiù Agenti del Cambiamento, provenienti da realtà ed esperienze diverse. I promotori della proiezione di marzo sono state, oltre a Sardegna che Cambia, anche le associazioni Re.Coh, che sta realizzando un co-housing in Sardegna, e Terre Colte, che si occupa di incentivare il riuso delle terre incolte, l’auto produzione alimentare e il consumo critico. Al progetto di Food Coop – il nome è ancora generico ma stiamo per lanciare un concorso di idee interno per individuare quello definitivo – collaborano attivamente 12 persone, e altre seguono i lavori del gruppo tramite una chat dedicata, pronte ad entrare nella squadra appena riusciranno ad organizzarsi con i propri impegni. Il numero è per ora sufficiente per la fase iniziale di studio, ma presto ci saranno da sviluppare altri aspetti del progetto. Per questo abbiamo deciso di aprire il gruppo all’esterno e accogliere chiunque sia interessato a dare il proprio contributo, mettendo a disposizione il proprio tempo e/o le proprie competenze.

Quali sono i prossimi passi? E cosa dovrebbero fare gli interessati?

Abbiamo attivato una pagina facebook dedicata e l’indirizzo email foodcoopcagliari@gmail.com. Ma il 31 maggio, alla Cineteca Sarda, ci sarà un’altra proiezione del documentario Food Coop. Quello sarà il momento ideale per conoscersi e per organizzare le prossime tappe. Fra queste, lo studio di possibili linee di finanziamento pubblico e la ricerca di una sede. Esperti di bandi pubblici, tecnici e figure professionali più classiche, come commercialisti e avvocati, sono benvenuti assieme a tutti coloro che hanno voglia di dare un contributo di qualsiasi genere. Il nostro obiettivo è di essere operativi entro la fine del 2019.FOOD-COOP-31-MAGGIO

Cosa consigli a chi volesse attivare un Food Coop in altre città?

Di seguire il percorso che hanno fatto tutti i progetti in via di realizzazione. Organizzare una proiezione del film tramite la piattaforma di distribuzione cinematografica indipendente Movieday, raccogliere adesioni e contattare le altre Food Coop già attive o in via di apertura. Noi, per esempio, siamo in contatto con La Louve di Parigi e Camilla di Bologna, che ci stanno dando una grossa mano.

Aggiornateci, mi raccomando. E in bocca al lupo.

Senz’altro. Viva il lupo!

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/05/food-coop-sardegna-supermercato-etico-autogestito/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

La Louve: la food coop francese che fa tremare la GDO

Il regista del documentario Food Coop, l’americano Tom Boothe, è anche uno dei fondatori del primo supermercato autogestito in Europa. Si tratta di La Louve, la cooperativa parigina dalla quale hanno preso spunto diverse esperienze simili in Francia, in Belgio e anche in Italia. Ecco come funziona. Tom Boothe, il regista del documentario Food Coop, ci aveva già parlato della storica esperienza di Park Slope a New York, il supermercato cooperativo dove i clienti sono anche soci e gestori. Tom tuttavia non si è limitato a raccontare questo modello, ma l’ha esportato nel Vecchio Continente. Arrivato a Parigi, ha contribuito a fondare La Louve, la prima food coop europea, sulla scia della quale ne stanno nascendo molte altre.

Questa bella energia quindi non è solamente americana?

Anche i francesi ce l’hanno! Quando avete l’occasione di fare qualcosa, fatelo! Non ci sono che due o tre americani alla Louve, il resto sono francesi. Dei francesi pragmatici.

Questo modello di cooperazione esisteva già in Francia?

In Francia esiste una tradizione di cooperative di consumatori fin dal XIX secolo. A questo si aggiunge l’aspetto partecipativo. Non sono una novità: gli asili parentali e il noleggio di camper tra privati creato dalla Maif negli anni ’30 funzionano allo stesso modo. La novità è che si applica questo modello a un supermercato. Talvolta le persone mi chiedono: «Ma questo distrugge le imprese?». Mi piace questa domanda. Con la Park Slope Food Coop non è stata distrutta una sola impresa. Neanche una, perché a differenza degli altri supermercati le persone non la scelgono per la vicinanza, ma perché piace. C’è quindi interesse intorno al progetto. E, dal momento che le persone giungono da qualunque parte, sarebbe falso affermare che non si prenda una parte del giro d’affari dei supermercati vicini, ma questo effetto è molto più attenuato di quello che sembra.louve2

Quindi si può dire che abbia una ricaduta positiva sul tessuto sociale locale?

Ci sono molti aspetti positivi dal punto di vista economico. La Park Slope ha creato 80 posti di lavoro e gli impieghi proposti dalla Coop non sono dei lavori “di merda” (tempo determinato, turni scomodi, salari al minimo). Il salario iniziale alla Park Slope corrisponde a tra volte il salario minimo sindacale dello stato di New York, con alcuni vantaggi che hanno gli amministratori delegati negli Stati Uniti (vacanze, pensione, assicurazione sanitaria). Si inizia con due settimane di ferie pagate e si arriva a cinque settimane. Queste condizioni sono quasi inesistenti negli Stati Uniti. Il trattamento dei lavoratori fa parte integrante del modello. Mi sono chiesto: in che modo le persone senza molti soldi possono accedere a cibi di qualità senza aspettare una rivoluzione che non si farà domani? L’effetto economico positivo per i membri de La Louve, come per i membri della Park Slope è il risparmio sui prezzi. Si stima che una famiglia tipo risparmierà 250 $ al mese. Se 17000 persone in media risparmiano 3000 $ all’anno, con i soldi risparmiati non si creano nuovi posti di lavoro? Voi aprite La Louve, che ha una superficie di 1450 metri quadrati: cominciate alla grande! È molto importante: ci sono altre piccole esperienze come questa negli Stati Uniti, a Brooklyn, nel Montana… ma non vanno avanti bene perché sono troppo piccole. È logico se ci pensi: se chiedi alle persone di impiegare tre ore al mese a lavorare nel supermercato, le stesse persone si aspettano in cambio che il loro supermercato offra loro una grande varietà di prodotti. Ma se si comincia in piccolo, le persone faranno forse un terzo dei loro acquisti lì e saranno obbligate ad andare in altri supermercati per completarli. C’è una fase nella militanza dove le persone restano impegnate, ma finiscono per andarsene quando la strada diventa troppo complessa.

Come si dividono i gruppi di lavoro a La Louve ?

I compiti principali sono la cassa, la manutenzione, l’accettazione delle consegne, il confezionamento dei prodotti, il taglio dei formaggi, la divisione in piccole quantità degli alimenti per metterli nei sacchetti, le pulizie, un poco di amministrazione, l’area bambini, l’informatica. A La Louve si fa tutto in sede. Negli altri supermercati occorre contabilizzare alla casa madre tutto quello che fanno gli intermediari. Alla Park Slope, come a La Louve, i salariati si occupano dell’amministrazione (acquisti, contabilità, gestione dei soci e tutto quello che riguarda la gestione finanziaria) e i soci si occupano dei compiti descritti.louve3

Vi viene richiesta una consulenza per altri progetti simili?

Sì, spesso. In Francia adesso ci sono sei o sette progetti e siamo spesso contattati. Recentemente ci ha chiamato una coop svizzera. Recentemente abbiamo incontrato dei gruppi di Toulouse, Bordeaux, Bayonne e condividiamo con loro tutto quello che abbiamo imparato.

È stata emozionante l’apertura de La Louve ?

Non tanto per l’inaugurazione, quanto per la speranza che possa funzionare. In questo momento a La Louve si avverte un’atmosfera molto eccitante. Affinché funzioni, è necessario che tremila persone si impegnino regolarmente nei prossimi due anni. Però partiamo da solidi punti fermi: abbiamo quasi 2400 membri, ciascuno di loro ha già versato 100 € e si è impegnato a lavorare tre ore. Abbiamo uno spazio bellissimo e i nostri prezzi sono convenienti.

Si può dire che la food coop è una brutta notizia per il capitalismo?

Non se ne è mai parlato in questi termini. Io ne ho parlato un poco, ma non ho alcun problema con le strutture a scopo di lucro gestite da persone oneste. Al contrario, non mi piace lasciare la mia alimentazione nelle mani dell’agro-business, per cui la qualità della nutrizione importa solo in funzione dei soldi che guadagna. È un sistema che non funziona. Avviene lo stesso nella sanità: se il sistema è ben fatto, non sono i soldi a dettare legge. Ci sono alcuni esponenti del Partito Repubblicano alla Park Slope, che sono molto conservatori, ma ne fanno parte. È una buona cosa. Quindi anche noi, me compreso, siamo tutti di idee politiche diverse. In altre parole, più ti concentri sui dettagli pragmatici, più agisci concretamente per il cambiamento. Non si passa molto tempo sui grandi sistemi, come cambiare il mondo e così via. Si devono solo definire le cose da fare veramente e concretamente: questa è una cosa che la sinistra ha perso, secondo me.

Questo modello può cambiare il mondo?

È talmente poco quello che si fa. Secondo me, se non si contrasta lo scarto della distribuzione della ricchezza nel mondo, la nostra Coop resterà un fenomeno marginale. Quello che fa ha un senso, ma ha probabilmente poco impatto su questo squilibrio e questo è un grosso problema, come si può leggere nell’intervista di uno dei fondatori: «Questo progetto mi piace perché c’è del reale: ciascun membro acquisirà nuove abitudini. Non idee, ma abitudini democratiche. Dire: “posso cambiare le cose”. Questo implica delle discussioni con gli altri e si comincia a prendere coscienza dei cambiamenti. Le persone si domandano: “perché non funziona così dappertutto?”». Con la Coop diventi esigente, il quadro cambia completamente, quando tutte le nostre abitudini, le nostre aspettative, i nostri ritmi sono influenzati dal consumismo. Si parla molto di educazione popolare a La Louve. Il fatto più importante è che con il nostro sistema posso permettermi di comprare prodotti di buona qualità con il mio reddito, cosa che per me prima non era ovvia. E questo significa che, a poco a poco, diventerà la norma. Ti abitui a questi gusti, che non sono industriali né attenuati, questo è un grande problema. A livello di gusto tutto è ormai diluito. Ma se ti abitui a una alimentazione di buona qualità, sarai abituato al vero gusto. E poi resterai esigente per tutta la vita ed è questo genere di supermercato che può profondamente cambiare il rapporto della nostra società con il consumo.louve1

LA LOUVE

Per la prima volta in Francia, migliaia di persone si uniscono per realizzare un supermercato collaborativo. Non un negozietto, ma un grande supermercato in un quartiere popolare di Parigi, dove ognuno partecipa attivamente in cambio di alimenti di qualità a un prezzo abbordabile. Per partecipare a La Louve e potervi accedere per gli acquisti, occorre investire 100 € e impegnare tre ore al mese come volontari. Chi ha un reddito minimo sociale può parteciparvi con soli 10 €. Questo investimento è rimborsabile per qualunque socio decidesse di uscire dalla cooperativa. Ma la porta non è mai chiusa e durante gli orari di apertura ci sarà sempre qualche socio a disposizione dei curiosi! La Louve propone ai propri soci un’alimentazione di qualità a basso prezzo (dal 15% al 40% in meno rispetto alla grande distribuzione), ma non è tutto. Come in qualsiasi altro supermercato, vi si possono trovare anche prodotti non alimentari, ad esempio per l’igiene e la pulizia o per i piccoli lavori fai da te (lampadine, pile). La lista dei prodotti è destinata ad allungarsi in base alle richieste dei soci della cooperativa e agli acquisti. La Louve non avrebbe mai potuto esistere senza il modello della Park Slope Food Coop, una cooperativa nata in un quartiere di New York quarant’anni fa, che oggi vanta oltre 17000 soci che gestiscono insieme un supermercato di 1000 metri quadri, aperto dalle 8 alle 22, 365 giorni l’anno. Da cinque anni i soci e i dipendenti di Park Slope sono al nostro fianco per condividere con noi le loro esperienze e aiutarci con la nostra. Food Coop, il documentario sulla Park Slope Food Coop girato da Tom Boothe, uno dei soci fondatori di La Louve, rivela come si è potuto concretizzare questo incredibile esempio di cooperazione, una delle esperienze sociali più riuscite negli Stati Uniti.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/02/la-louve-food-coop-francese-fa-tremare-gdo/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Camilla: la food coop arriva anche in Italia

Un supermercato autogestito in maniera collettiva e partecipata da una rete di persone che partecipa attivamente alla scelta dei prodotti e dei progetti da sostenere all’interno dello spazio. Dall’incontro tra i contadini di CampiAperti ed i gasisti di Alchemilla, sta prendendo forma a Bologna Camilla, la prima food coop italiana. Il 2018 sarà l’anno della rivoluzione. Una nuova idea di spesa alimentare sta giungendo in Italia: arriva dalla lontana Brooklyn, è passata attraverso il Belgio e la Francia – dove sta spopolando – e sta prendendo forma a Bologna, dove sta nascendo Camilla, la prima food coop italiana, il “supermercato autogestito” in cui i clienti non sono più tali ma diventano soci, lavoratori, co-produttori.

Siamo alla periferia del capoluogo emiliano. Sono circa le quattro di un fresco venerdì pomeriggio di inizio novembre quando un’anonima piazzetta sovrastata da grigi palazzoni anni settanta comincia ad animarsi, diventando nel giro di pochi minuti un brulicante centro di vita e di socialità. Dai furgoni i contadini di CampiAperti cominciano a scaricare verdura, frutta, torte, conserve, vini e altri generi alimentari del territorio. Gli abitanti del quartiere scendono in strada, si incontrano, fanno la spesa e si intrattengono a chiacchierare con i produttori. Strappandoli dai banchetti, ci sediamo con alcuni di loro per parlare di Camilla, il progetto pilota per portare l’idea di food coop in Italia. Come ci spiega Giovanni Notarangelo, il nome nasce dalla fusione di CampiAperti – associazione di contadini del territorio – e Alchemilla – gruppo d’acquisto solidale bolognese di cui Giovanni fa parte –, le due realtà che stanno portando avanti questo percorso. «Camilla è nata per dare un’opportunità in più sia ai produttori che ai gasisti, che grazie a un emporio – un luogo fisico, quindi con meno limitazioni rispetto a un gas –, possono acquistare un paniere di prodotti ampio, locale, biologico e garantito».foodcoop2

COME FUNZIONA UNA FOOD COOP?

L’obiettivo del progetto è costituire una cooperativa e una nuova comunità, una rete di persone che possano partecipare attivamente alla scelta dei prodotti e dei progetti da sostenere all’interno di uno spazio fisico – l’emporio – in cui c’è una particolarità: tutti i soci, che sono gli unici che possono acquistare, sono protagonisti di ciò che succede. Sono loro infatti a definire in maniera partecipata e collettiva tutti gli aspetti organizzativi ed economici. Non solo: ogni socio fornisce il proprio contributo anche in termini di tempo, mettendo a disposizione un determinato numero di ore per svolgere i compiti adatti alle sue competenze e necessari al funzionamento della cooperativa, dallo stoccaggio alla contabilità, dalla promozione al trasporto.

CAMPIAPERTI: LA GARANZIA È IL RAPPORTO DI FIDUCIA

Il coinvolgimento di CampiAperti nel progetto è fondamentale. Dal punto di vista delle produzioni infatti, consente di avere già un contatto diretto con di più di cento produttori del territorio che, grazie all’emporio, avranno la possibilità di distribuire i loro prodotti. Dal lato di chi acquista, rappresenta invece l’opportunità di avere un sistema funzionante di selezione e di garanzia partecipata dei prodotti. Pierpaolo Lanzarini è un membro storico di CampiAperti e ci spiega meglio il concetto che sta alla base del progetto: «Attualmente gestiamo sei o sette mercati biologici a filiera corta a Bologna, dove vige un sistema di accesso basato su forme di garanzia partecipata. Questo vuol dire che non ci sono enti terzi che certificano che le aziende ammesse ai mercati rispettano determinati criteri prestabiliti; al contrario, è la comunità stessa del mercato che garantisce che quel produttore rispetta le caratteristiche richieste».

Questo meccanismo è molto più efficiente delle forme di garanzia comunemente intese, dove peraltro vige un grande conflitto di interessi, poiché il controllore è pagato dal controllato. «Da noi puoi avere la certificazione biologica oppure no – spiega Pierpaolo –,  ma il tuo lavoro viene valutato dalla comunità. Inoltre non ci basta considerare gli aspetti della biologicità della produzione: quando facciamo le nostre visite pre-accesso verifichiamo che siano rispettati anche i diritti dei lavoratori e che la gestione dell’azienda sia etica oltre che ecologica».foodcoop5

DA CONSUMATORE A CO-PRODUTTORE

La food coop Camilla ha anche un obiettivo che potremmo definire “politico”: riappropriarsi del rapporto diretto fra chi acquista e chi produce e vende, rapporto che attualmente è stato sostanzialmente espropriato dalla Grande Distribuzione. «Oggi ci rapportiamo unicamente con lo scaffale – sottolinea Roberta Mazzetti, una delle responsabili del progetto Camilla –, neanche più con i commessi. Tutto è basato sulla facilità e sull’immediatezza dell’acquisto. Noi vogliamo sovvertire questo modello, trasformando il consumatore in co-produttore e coinvolgendolo non solo nella scelta critica del cibo che acquista, ma addirittura nella definizione dei criteri di produzione».

Da qui il modello di cooperativa dei consumatori, che si rifà alle cooperative di inizio novecento – ben diverse dalla forma che le coop hanno assunto oggi –, che avevano una grande capacità aggregativa. «Filiera corta non è solo uno slogan – sottolinea Roberta –, è un sistema equo e rispettoso sia per chi compre che per chi produce, sia del lavoro che della qualità della vita».

«Partecipando a questi mercati – aggiunge Alessandro Nannicini, proprietario dell’azienda agricola Il Granaro e membro di CampiAperti – noto che i nostri co-produttori diventano amici, mi vengono a trovare in azienda, vogliono vedere come lavoro. In questo modo si crea un rapporto che va oltre la garanzia partecipata e diventa amicizia. Lo considero un investimento in umanità e per questo destinato al successo».foodcoop6

Il Park Slope Food Coop di New York, da cui prende esempio Camilla

SI DECIDE INSIEME, SI LAVORA INSIEME

«L’idea è nata circa un anno e mezzo fa», ricorda Giovanni. «Tramite un questionario abbiamo chiesto ai gasisti di Alchemilla se sentivano l’esigenza di un luogo fisico, andando oltre i meccanismi dei normali gruppi d’acquisto. In seguito alle loro risposte, un gruppo di una quindicina di persone ha portato avanti uno studio, analizzando le basi ideali e i progetti a cui potersi ispirare».

L’ispirazione è arrivata dalla food coop di Park Slope, a New York, che ancora mantiene l’organizzazione originale delle food coop, con il contributo di tutti i soci. Negli ultimi anni in Europa ne sono nate altre, soprattutto in Francia e in Belgio, dove c’è Bees Coop. «Abbiamo studiato gli aspetti economici per capire le spese e i costi della fase di avviamento, di quanti soci ci sarebbe stato bisogno e qual è il volume di acquisti necessario affinché il progetto sia economicamente sostenibile».

La fase di redazione dello statuto è molto complessa: «Stiamo proponendo qualcosa che ancora non esiste per la legge italiana e il fatto che i soci daranno un contributo di tempo ci renderà pionieri di questa formula». Questo introduce un altro tema importante, affascinante ma delicato: organizzare il lavoro di tutti i soci. «Ciascuno contribuirà a seconda delle proprie motivazioni. Nel questionario abbiamo chiesto al futuro socio di proporre quella cosa che avrebbe sempre voluto fare ma non ha mai fatto, a sottolineare il fatto che questo è uno spazio di tutti, in cui ognuno mette le proprie peculiarità a disposizione degli altri».foodcoop3

I PROSSIMI PASSI

Attualmente il progetto Camilla ha raggiunto una massa critica, raccogliendo l’adesione di circa 280 soci. Da alcuni giorni sono iniziati i cantieri di progettazione collettiva, nell’ambito dei quali si riuniscono ogni due settimane coloro che hanno già aderito. Il primo mattone è stato posato il 30 ottobre con la co-redazione e l’approvazione da parte di circa 120 persone della carta d’intenti, dove sono elencati principi fondamentali che vanno dal biologico al rispetto delle persone, dal diritto al giusto cibo ai diritti della comunità agricole rurali.

«Il prossimo passo – conclude Roberta – è l’individuazione del luogo fisico dove sorgerà l’emporio. Il costo è un problema, stiamo cercando sia nel pubblico che ne privato. Il nostro sogno?  Ci piacerebbe che, come è successo alla food coop di Bruxelles, ci fosse qualche mecenate che crede nel valore del progetto che ci mettesse a disposizione uno spazio».

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/12/io-faccio-cosi-191-camilla-food-coop-arriva-in-italia/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

BEES Coop, i supermercati autogestiti conquistano l’Europa

Park Slope, il supermercato aperto a New York nel 1973, fa scuola. Oltre ad aver ispirato “Camilla” a Bologna è stato un modello per i fondatori di BEES Coop, il primo supermercato cooperativo, partecipato e non lucrativo del Belgio che ha aperto i battenti qualche mese fa a Bruxelles. BEES Coop (Coop. Bruxelloise écologique économique et sociale), il primo supermercato cooperativo, partecipato e non lucrativo in Belgio, ha aperto i battenti a Bruxelles. È il frutto del lavoro di alcuni giovani ambiziosi che hanno deciso di proporre un’alternativa alla grande distribuzione. L’originale supermercato si nasconde dietro alla grande Porta di Rue Van Hove, a Schoerbeek. Situato tra una zona benestante e una più popolare, la BEES Coop è il nuovo grande magazzino del quartiere. Non si trovano pubblicità e posizionamenti strategici dei prodotti, tutto è a favore dei fruitori, dei “cooperatori”, dei soci. “L’idea di base è quella di rendere accessibile a tutti alimenti di qualità con un altro sistema economico” dice Martin Raucent, uno dei fondatori. Dal 4 settembre scorso i clienti possono comprare i prodotti nel primo supermercato cooperativo, partecipativo e  non lucrativo del Belgio.24312964_720427358152075_4561456098914773349_n

COME FUNZIONA CONCRETAMENTE?

Questa nuova proposta di consumo rappresenta una rivoluzione economica e sociale. Per divenire parte di BEES Coop bisogna sottoscrivere azioni: ciascuno è proprietario e può partecipare al processo decisionale dell’assemblea generale (che avviene 3 o 4 volte l’anno), ogni membro lavora almeno 2 ore e 45 ogni 4 settimane per poter abbattere i costi delle spese. La scelta dei prodotti viene fatta da tutti insieme: alimenti sfusi, biologici, locali ed anche prodotti di pulizia, cura personale e cartolibreria. Ai prodotti viene applicato il 20% di margine ed i profitti che rimangono vengono reinvestiti.

IMPARARE DALLA A ALLA Z

Per ricreare questo modello, la giovane équipe di ragazzi si è ispirata al Park Slope Food Coop di New York, dopo aver visto il documentario. Martin Raucent si ritiene contento: “è favoloso riuscire a concretizzare un’idea, sviluppare un progetto, costruirlo in comunità e lavorare nel cantiere”. Con i suoi colleghi, Martin, che è sociologo, si sta preparando a dar vita ad una versione più piccola di BEES Coop, il “Labomarket”.21727965_687605728100905_5905586680988235987_n

UN’ESPERIENZA SOCIALE PROMETTENTE

A oggi la BEES Coop conta 1400 soci (tra i 25 e i 35 anni di cultura elevata) e i nuovi che arriveranno potranno testare la formula del supermercato in un mese di prova. Tutte le settimane si svolgono sono riunioni informative: “Più siamo, più si diventa forti e solidi nel sistema”, ci dice il sociologo. Questa nuova alternativa piace agli amanti del Bio ma non solo: la BEES Coop ha come missione quella di rivolgersi a tutti, creare un legame con gli abitanti del quartiere. “Abbiamo scelto questa zona perché abbiamo trovato a Schaerbeek una vasta diversità sociale e culturale, abbiamo lavorato molto per integrarci, conoscerci e collaborare con le associazioni locali”.

François Roland ha sostenuto l’iniziativa dall’inizio, divenendo un socio fondatore.

“Ne avevo sentito parlare tramite la Rèseau Ades. Il progetto mi sembrava interessante e corrispondeva al mio desiderio di consumare in maniera diversa. Cercavo infatti un’alternativa etica ed ecologica alla grande distribuzione. Qui sappiamo da dove provengono i prodotti”.

Altri modelli simili stanno nascendo a Parigi (“La Louve”) e a Charleroi (“Coopeco”). Ci sono iniziative emergenti un po’ in tutta Europa, senza alcun dubbio la rivoluzione è in marcia!

Articolo originale “La Bees Coop, quand supermarché rime avec équité”

Traduzione a cura di Elena Palazzini

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/12/bees-coop-supermercati-autogestiti-conquistano-europa/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Food Coop: il docu-film che cambia il modo di vendere e comprare

Come si può risparmiare gestendo in prima persona, con modalità cooperative nel significato vero del termine, il reperimento, la vendita e l’acquisto dei prodotti? In un certo senso si riscoprono valori distorti nel tempo: è quanto ci racconta Food Coop il docu-film di Thomas Boothe.foodcoop

Nel 1973 a New York nasce un supermercato, il Park Slope Food Coop, gestito totalmente dai clienti-soci, impegnati in prima persona nel lavoro di organizzazione e di sviluppo del progetto. I soci, cioè, sono anche impiegati come magazzinieri, operai, contabili, commessi, con un tot di 3 ore mensili che devono obbligatoriamente prestare all’interno del negozio. Si tratta di una vera e propria rivoluzione e i vantaggi sono molteplici: minori costi e, di conseguenza, prezzi più bassi, qualità dei prodotti maggiormente garantita, tracciabilità e trasparenza dal produttore al cliente finale, maggiore equità per i fornitori. Al momento, il punto vendita di Brooklyn coinvolge migliaia di soci cui è affidata la maggior parte del lavoro ma vi sono anche impiegati regolarmente stipendiati dalla cooperativa. La quota annuale per essere soci è di circa 100 euro e viene reinvestita nel progetto stesso. Thomas Boothe, regista del film Food Coop, ci racconta con il suo lavoro dettagliatissimo questa esperienza che sta ormai ispirando molti paesi anche in Europa. Egli stesso ha ripetuto l’esperienza di Brooklyn creando, dopo il film, un supermercato cooperativo a Parigi, dove vive. Boothe incontra le persone, una per una, parla con loro, ci fa la spesa insieme e le segue poi nel loro viaggio verso casa. Alcune volte si tratta di viaggi lunghissimi, da un capo all’altro della città, con i mezzi pubblici e a piedi, magari a sera tardi e dopo una giornata di lavoro. E’ come se la dimensione personale fosse il vero focus di questo film e l’esistenza del supermercato solo il pretesto per il racconto delle vite che ci girano attorno o, meglio, ci entrano dentro. C’è la vita delle coppie che fanno i conti a fine mese e i soldi non bastano ma, scontrini alla mano, con la cooperativa, riescono a risparmiare il 40 per cento rispetto a un normale supermercato. Ci sono i soci che trovano nella coop una nuova dimensione di socialità e ne escono diversi, nuovi, più contenti: riuscire a trovare il cibo che cerchi, discuterne con gli altri, scambiarsi le ricette, essere direttamente responsabili in prima persona di un progetto comune, ti cambia. D’altra parte, sappiamo bene che la dimensione e la natura stessa di un sistema come quello del supermercato non ha al centro la persona ma il prodotto: che deve costare meno possibile a un consumatore veloce, distratto, poco interessato a ciò che mette nel carrello, non importa cosa ci sia dietro in termini di qualità dei prodotti e di costi umani e ambientali. Né importa quanti siano i passaggi del cibo per arrivare sugli scaffali del supermercato, finalmente disponibile ai clienti finali. Soltanto chi ha la possibilità economica, in alcune zone degli Stati Uniti, come viene evidenziato bene nel film, riesce a nutrirsi di cibo fresco e di buona qualità, di verdure e frutta di stagione, di cereali non conservati né trattati. I prodotti industriali la fanno da padrone e in molti quartieri non c’è scelta: o il grande mall o niente. Il film ascolta i soci mentre lavorano tra gli scaffali: insegnanti, registi, artisti, psicologi, operai, coppie che si ritrovano insieme a parlare scaricando la merce. Non ci sono divisioni sociali o differenze tra loro: il desiderio di accedere a un cibo buono, fresco ed equo è qualcosa che accomuna tutti. Si tratta di un modo per prendersi le proprie responsabilità sul cibo che mangiamo senza delegare ad altri le nostre scelte e fornendo alla cooperativa, senza barare, il proprio tempo con regole ed orari da rispettare, pena l’esclusione dal progetto. Si tratta di iniziare a immaginare un modello nuovo, pur con tutte le difficoltà, imperfezioni o contraddizioni legate all’idea stessa di supermercato. Un modello che recuperi la persona e le sue necessità. Ne parliamo con Giovanni Notarangelo, tra i responsabili del progetto, che ci dice che la strada è ancora in salita ma che i soci cominciano ad arrivare, almeno formalmente. Si prevede di riuscire a partire nel 2018 anche se, dice, è necessario fare le cose con calma perché il progetto poggi e si sviluppi su basi solide.

Quante persone al momento hanno aderito al progetto per l’ emporio di comunità?

Al momento la cooperativa deve essere ancora costituita ma lo statuto è stato definito e abbiamo raccolto circa 200 adesioni ma ne stanno arrivando altre. C’è riscontro e molte persone si dicono pronte a partecipare. Il film ci sta aiutando a far conoscere il progetto e c’è entusiasmo e interesse.

Cosa c’è al centro del progetto?

L’obiettivo principale non è il prezzo più basso come molti pensano ma, piuttosto, vogliamo valorizzare il fatto che intorno a questa iniziativa possono nascere molti aspetti positivi di socialità e percorsi possibili per le persone. Si può immaginare un nuovo protagonismo per il cittadino.

Che numero di soci vi siete prefissi di raggiungere? E con quale quota?

Tra i 300 e i 500 soci per iniziare. La quota non è fissa ma una tantum e l’abbiamo fissata, per iniziare a minimo 125 euro, lasciando la possibilità a chi può versare di più. I soci dovranno essere persone attive e non semplici simpatizzanti del progetto.

Riguardo agli spazi?

Ci servirà uno spazio piuttosto grande di almeno 200 metri quadri e questo significa, volendo affittare uno spazio da privati, fare un passo impegnativo. Un’altra idea può essere quella di iniziare in un posto anche più piccolo e poi ingrandirci in seguito. Al momento ci stiamo lavorando e stiamo cercando spazi anche non commerciali, in comodato d’uso o con un affitto calmierato. Stiamo inziando a lavorare anche sui prodotti e i produttori ma anche alle iniziative extra legate alla cultura e la socialità dei cittadini.  Non solo, quindi,  consumo ma le persone al centro della cooperativa.

 Guarda il trailer

Fonte: ilcambiamento.it

Food Coop: il supermercato etico e autogestito

Italia che Cambia è mediapartner di “Food Coop”, il film che racconta quello che è stato definito “il miglior esperimento sociale di tutti gli USA”. Fondato a Brooklyn nel 1973, Park Slope Food Coop propone prodotti di alta qualità a prezzi bassi, grazie al contributo dei soci della cooperativa, che sono al contempo lavoratori e clienti del supermarket.

 “Food Coop” è il titolo del film-documentario di Tom Boothe, regista statunitense residente a Parigi, che racconta l’esperienza del “Park Slope Food Coop” di New York. Fondato a Brooklyn nel 1973 da alcuni attivisti locali, è un “supermercato cooperativo” o “supermercato collaborativo e autogestito” e aperto solo ai soci, ma al quale tutti possono aderire senza distinzioni. I soci, che oggi sono 17.000, hanno la possibilità di acquistare cibo di ottima qualità, genuino e biologico a prezzi molto più favorevoli rispetto al mercato, in cambio di circa 3 ore al mese di lavoro non retribuito. La manodopera è la voce che incide maggiormente sul prezzo finale ed è il lavoro di tutti i soci a permettere di contenere sensibilmente i costi e, quindi, vendere cibo sano a prezzi accessibili a chiunque. Pagare di più e non lavorare non è contemplato: tutti i soci sono uguali, tutti pagano la stessa quota e tutti devono farsi carico degli stessi obblighi.insegna-food-coop

A differenza di una cooperativa alimentare, il “supermercato cooperativo” è un’associazione senza scopo di lucro perciò può avvalersi di volontariato, aiuti economici, crowdfunding, ecc. e gli eventuali utili vengono reinvestiti nel supermercato. Grazie alla totale autogestione, Food Coop applica prezzi accessibili sui ottimi prodotti e, al tempo stesso, assicura la giusta remunerazione ai produttori che lavorano con elevati standard qualitativi. Solo i soci hanno il diritto di fare acquisti a Food Coop, ma hanno anche il dovere di condividere le responsabilità dell’autogestione, pena l’esclusione dalla cooperativa. Chi desidera diventare socio, quindi, deve impegnarsi a lavorare qui per 2 ore e 45 minuti ogni 4 settimane, a seconda delle proprie attitudini e delle necessità del momento. Si va dalla gestione del magazzino alle pulizie, dal carico-scarico all’amministrazione ordinaria, dalla cassa alla piccola manutenzione e al rifornimento degli scaffali. I turni iniziano prima delle 5 di mattina, quando vengono scaricate le merci e caricati i vuoti a rendere, e molti soci preferiscono fare il primo turno perché così non devono chiedere permessi: vengono qui per tre ore, poi passano da casa a cambiarsi e vanno in ufficio. Nata come sperimentazione di modello economico alternativo alla grande distribuzione newyorkese, Food Coop è diventata il “miglior esperimento sociale di tutti gli USA”. Oggi realizza un fatturato annuo di circa 19,4 milioni di dollari, le vendite al metro quadrato superano di 10 volte quelle della distribuzione convenzionale e la rotazione totale dell’intero magazzino è di 70 volte all’anno contro una media statunitense di 15. I dati parlano chiaro: i prezzi sono mediamente inferiori del 40% rispetto a quelli di mercato – in particolare GDO e negozi specializzati nel biologico – e ogni famiglia risparmia in media 250 dollari al mese, circa 3.000 dollari all’anno. Per aderire a Food Coop si versa una tantum una quota di adesione di 25 dollari non rimborsabili, e un piccolo investimento di 100 dollari, rimborsabili in caso di uscita volontaria o esclusione dalla cooperativa.interno-food-coop

Di fronte ai vantaggi offerti da Food Coop, i soci sono ben lieti di lavorare gratis, aspettare in fila alla cassa anche per 40 minuti, viaggiare per più di due ore, prendendo due metro e due autobus, pur di fare la spesa qui, perché sanno perfettamente cosa comprano. Lavorare qui 3 ore al mese rafforza sia il senso di appartenenza, sia il senso di responsabilità nei confronti della cooperativa. Tutte le politiche e le scelte aziendali, infatti, sono il più possibile condivise – soprattutto gli acquisti. Tutti i soci hanno voce nel processo decisionale, partecipano attivamente alla gestione del supermercato e alla pianificazione della cooperativa: conoscono da dove viene il cibo e come è stato coltivato o allevato, scelgono gli alimenti da mettere sugli scaffali e sanno che i prezzi rimangono accessibili solo se ciascuno fa la sua parte contribuendo a contenere le spese e assicurare la regolare manutenzione alla struttura, dedicando un po’ del suo tempo e delle sue capacità. Food Coop non ha consigli d’amministrazione o dirigenti, azionisti a cui rendere conto, jet privati o stock option da finanziare, ma solo un’Assemblea generale dei soci e alcune “commissioni”, sempre elette tra i soci, che si occupano del coordinamento dei 17.000 soci – come la commissione ambientale, la commissione disciplinare, ecc. Tutti i soci possono presentare idee e suggerimenti per migliorare la gestione della cooperativa e, una volta all’anno, tutte le proposte sono portate in Assemblea, messe all’ordine del giorno, discusse e votate. Su proposta dei soci sono nati, ad esempio, il “servizio babysitter” interno per i soci che fanno i turni e il “servizio scorta” per chi fanno la spesa – in pratica, se il socio ha molte borse pesanti, prende in prestito un carrello della spesa e un volontario lo scorta fino alla fermata della metro, dell’autobus o all’auto, lo aiuta a scaricare le borse e riporta indietro il carrello. Per molti newyorkesi comprare frutta e verdura in città è proibitivo – soprattutto nei quartieri più poveri, dove l’offerta è solo cibo industriale o frutta ammuffita a prezzi elevati proprio perché ci sono alternative. Uno dei motivi principali per cui tutte le classi sociali aderiscono a Food Coop, oltre a condividerne i valori di fondo, è potersi permettere ortofrutta fresca e biologica. A Food Coop tutti possono accedere a cibo di alta qualità grazie al volontariato, alla frequente rotazione del magazzino e alla scelta di favorire i piccoli produttori biologici e OMG free.i-soci-al-lavoro

L’ufficio acquisti di Food Coop ha ordine di intrattenere rapporti diretti con aziende a conduzione familiare e cooperative il più possibile vicine a New York, in particolare della Pennsylvania, e di riconoscere loro prezzi equi. Ne consegue che il ricarico sull’ortofrutta fresca è solo del 20% e nessun altro supermercato in USA è in grado di fare lo stesso. Quando la differenza di prezzo tra biologico e agricoltura tradizionale non è troppo elevata, si acquista solo il bio, ma se la differenza di prezzo è sproporzionata, si comprano entrambi e si espongono uno di fianco all’altro per permettere ai soci di fare il confronto e scegliere in libertà. Se i soci chiedono di poter acquistare cibi impossibili da reperire in loco, ad es. certi tipi di frutta esotica, questi provengono comunque dal circuito biologico equo e solidale. Anche se la precedenza di Food Coop va ai prodotti alimentari biologici, sani e lavorati il meno possibile, i soci possono comunque fare una spesa completa. I prodotti non alimentari seguono gli stessi principi del cibo: l’ufficio acquisti assicura l’equa remunerazione ai produttori, seleziona i prodotti col minor impatto ambientale, il più possibile locali, che rispettano i diritti dei lavoratori, cruelty free, no toxic, ecc. Infine, se alcuni soci chiedono di poter trovare anche cibi o prodotti industriali di marche molto note, l’ufficio acquisti va loro incontro acquistandoli in quantità minime e collocandoli in appositi espositori, evidenziati da cartelli chiari e ben visibili a tutti. Avendo 17.000 soci da gestire, Food Coop oggi copre il 75% dei costi di manodopera col volontariato e – per ovvie ragioni organizzative – ha un 25% di soci-lavoratori retribuiti, tutti con contratti regolari e stabili, mai precari. Questi soci-lavoratori si occupano soprattutto di contabilità e amministrazione (ufficio acquisti, bilancio, burocrazia, pagamenti) e di attività di coordinamento all’interno delle commissioni elette tra i soci. Nel 2015 il regista Tom Boothe, dopo aver cercato un supermercato di simile al “Park Slope Food Coop” a Parigi e non avendo nulla, ha deciso di esportare lui stesso questo modello. Ha organizzato una raccolta fondi online ed ha fondato il supermercato “La Luove”  che ha circa 3.000 soci e una superficie di 1.500 mq. Dopo l’uscita del film sul territorio francese, sono nate molti supermercati partecipativi in tutta la Francia (ad es. Bordeaux, Tolosa, Montpellier, Bayonne, Lille, Nantes e Biarritz) e nel vicino Belgio (Bee Coop a Bruxelles). Per quanto riguarda l’Italia il film uscirà a novembre, sarà distribuito dalla Film Compaigner Agency “Gli Azionisti”  e ogni proiezione sarà preceduta dalla presentazione di una cooperativa locale, un GAS o un gruppo di persone intenzionate a replicare il modello “Parlk Slope Food Coop” anche nella loro città. Italia che Cambia è mediapartner del progetto.  Nel frattempo, a Bologna è partito “Camilla – Emporio di comunità”, il progetto del primo emporio autogestito italiano. L’augurio è che l’arrivo nelle sale italiane ispiri la nascita di altri Food Coop in tutta Italia.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/10/food-coop-supermercato-etico-autogestito/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni