Chiara e il suo bistrot ecologico con prodotti locali e niente usa e getta

A Campo Ligure c’è un bistrot a conduzione familiare dove regna l’amore per la terra e dove tutto viene preparato a mano a partire da materie prime di alta qualità, il più possibile del territorio. La titolare Chiara Damiano ci ha raccontato la filosofia del locale e della sua famiglia. Nell’entroterra di Genova, a circa 30 chilometri dalla città, sorge Campo Ligure, uno dei borghi più belli d’Italia. Circondato da colline e montagne (siamo nel Parco Naturale del Beigua), questo paesino è noto nel mondo per la filigrana, l’antica arte di intrecciare sottilissimi fili d’oro o d’argento dando vita a forme uniche, di gusto bizantino. Passeggiando nel borgo con il naso all’insù si nota il castello degli Spinola, che osserva fiero i tetti del paese. Tornando “coi piedi per terra”, una volta percorso il ponte medievale, ci si perde tra le numerose botteghe, oreficerie e piazzette con caffetterie e bistrot. Uno in particolare colpisce l’attenzione: si chiama Pasticci’amo. Qui tutto è preparato a mano con ingredienti di qualità, molti dei quali a chilometri zero, come il gelato e la pasticceria fresca, torte comprese. Una ragazza svolazza da un tavolo all’altro e sorride: è Chiara, la titolare. Mentre mi racconta tutto il suo impegno per poter garantire una proposta gastronomica di qualità mi parla del Molise, la terra di suo papà, e della sua intenzione di non tradire i valori contadini che le pulsano nelle vene. Questo legame con la terra è particolarmente evidente osservando il menu.

Chiara e il suo compagno

«Io, il mio compagno e i miei genitori abbiamo aperto il locale nell’agosto 2018 – spiega Chiara – e abbiamo subito deciso di creare un menu con prodotti locali o comunque italiani di alta qualità. Il latte, per esempio, proviene da un’azienda agricola di Masone, a 3 chilometri da qui. Perché l’abbiamo scelta? Perché abbiamo conosciuto Francesca, che alleva le mucche con amore, nel rispetto della terra e soprattutto degli animali. La ricotta è locale, di Campo Ligure, e anche il nostro pane è preparato con farine non raffinate di grani antichi coltivati in Piemonte e macinati a pietra. Così come i baci di dama, che prepariamo con nocciole piemontesi tonde gentili, tostate da noi».

In una pasticceria non possono mancare le uova per i dolci, provenienti da un’azienda agricola della zona, dove le galline vengono allevate a terra, e lo zucchero, italiano. Persino il gin per gli aperitivi è prodotto in Toscana, aromatizzato con erbe del territorio. Si può fare ancora meglio di così? In effetti sì, perché il livello successivo per un bistrot come quello di Chiara è passare direttamente all’autoproduzione. «La nostra intenzione, per il prossimo futuro, è quella di produrre sia le farine, a partire dalla coltivazione del grano, che le marmellate per le farciture di brioche e crostate. Se poi riusciremo a trovare un terreno qui vicino abbiamo in progetto di tenere anche le galline. Certo, seguendo questa filiera corta ed etica il lavoro che c’è dietro al bancone non è poco, ma sono convinta che sia in questo modo che si debba andare avanti». Gran parte del suo tempo Chiara e il compagno lo trascorrono nel laboratorio, volutamente costruito a vista, con vetrata sulla cucina proprio per dare ai clienti trasparenza su tutte le preparazioni.

Il bistrot

La svolta nella vita di Chiara è stata la lettura di “Fragole d’inverno” di Fabio Ciconte, direttore dell’associazione Terra!Onlus, un libro che ha aperto gli occhi di molti su quali sono le abitudini di consumo rispettose del clima, delle stagioni e della biodiversità e quali sono le strategie per considerare l’agricoltura non una nemica, ma un’alleata del pianeta. Ed è proprio durante un corso di agricoltura sinergica e permacultura che Chiara ha conosciuto Giorgia Bocca e Francesca Bottero de La Tabacca ed è a loro che si ispira. L’approccio green di Pasticci’amo riguarda anche il packaging. Bandita naturalmente la plastica: qui bicchieri, coppette e palette per gelato e frappè sono tutti biodegradabili. «Per quanto riguarda la pasticceria, ho anche sostituito il classico vassoio, fasciato con carta e nastrino, con una semplice scatola di cartone chiusa con dello spago».

Quella di Chiara è una produzione sostenibile a tutto tondo, dettata dalla sensibilità personale dei titolari. Il sogno è che diventi la normalità, per valorizzare il proprio territorio e accorciare sempre di più la filiera, creando una rete tra i produttori locali. Al presente è una “chicca” da scovare, esplorando un piccolo borgo dell’entroterra.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/06/bistrot-ecologico-prodotti-locali/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Agricoltura contadina: una lettera aperta per il riconoscimento giuridico

Non si ferma la campagna per chiedere il riconoscimento dell’agricoltura contadina e le associazioni promotrici hanno diffuso una lettera aperta indirizzata al Parlamento e a Governo affinché si accelerino le misure invocate da tempo.

«Contadine e contadini italiani chiedono una legge quadro nazionale che riconosca le caratteristiche della Piccola Agricoltura Contadina e la differenzi dalle imprese agricole di grandi dimensioni; chiamano a raccolta tutto il mondo agricolo per dare forza alle richieste che il Parlamento deve approvare in tempi brevissimi; sollecitano tutti con una lettera aperta perché dalla sopravvivenza del mondo contadino dipende la Sovranità alimentare dei popoli e la salute del pianeta»: così i promotori della Campagna per il riconoscimento dell’agricoltura contadina.

Non si ferma, dunque, la richiesta per avere, anche in Italia, una legge quadro nazionale che riconosca l’Agricoltura Contadina e la figura giuridica del Contadino.

«Contadini e contadine non arretrano e ora presentano a tutti i colleghi “fratelli e sorelle” una lettera intensa, perché tutti insieme contribuiscano a rafforzare questa Campagna Popolare per il riconoscimento della loro figura giuridica. Per fare pressione tutti insieme sulle associazioni agricole e sui loro rappresentanti in parlamento – scrivono i promotori – Dieci anni di impegno e dialogo intenso con i governi che si sono succeduti. Tre proposte di legge presentate solo nell’ultima legislatura, con un teso di sintesi dopo i molti emendamenti finalmente pronto per la discussione alla Camera. E se cambieranno le commissioni, contadini e contadine sono pronti a continuare la lotta insieme ai parlamentari di tutti gli schieramenti sensibili a questo tema».

«Nel 2018 l’ONU ha approvato la Dichiarazione Universale dei Diritti Contadini e dei Lavoratori Agricoli. In questi ultimi anni molte regioni hanno emanato norme per differenziare le aziende contadine dalle imprese agricole di maggiori dimensioni: perché hanno problematiche e necessità differenti in un mondo che cambia e rende sempre più difficile la sopravvivenza delle piccole aziende agricole a conduzione famigliare. È venuto finalmente il momento che l’Italia riconosca normativamente il valore e le peculiarità delle piccole produzioni, delle pratiche sostenibili che preservano il territorio e alimentano i mercati locali, che privilegiano la filiera corta e il rapporto diretto col consumatore».

«È necessaria una legge specifica nazionale: le norme ideate per le grandi imprese agroindustriali rendono di fatto impraticabile l’attività di produzione agricola e la trasformazione artigianale dei cibi alle piccole aziende contadine  – proseguono i promotori della campagna – Centinaia di migliaia di contadini e contadine lavorano ogni giorno per tutelare la Sovranità Alimentare e per mantenere le produzioni agricole di prossimità, con dignità e coraggio nonostante tutte le difficoltà. È ora che anche in Italia il loro impegno venga tutelato e che la loro opera a vantaggio del pianeta venga riconosciuta e salvaguardata».

Scarica il testo integrale della Lettera Aperta

Fonte: ilcambiamento.it

Agricoltura contadina e filiera corta possono salvarci. Ma riusciranno a salvare se stesse?

La crisi della filiera alimentare dovuta alla pandemia apre spazi di cambiamento interessanti. Cosa possiamo fare per favorire la nascita di una filiera più resiliente ed equa del cibo? E quali aspetti dell’agricoltura contadina attuale dobbiamo lasciar andare affinché possa cogliere l’occasione che la storia le pone di fronte? Ne parliamo con Nicola Savio, permacultore e vecchia conoscenza di Italia che Cambia, e con Davide Biolghini della Rete Italiana di Economia Solidale. Ne abbiamo sentite e continuiamo a sentirne tante, in questi giorni anomali. Chi è convinto che il virus cambierà il mondo, chi spera in un rapido ritorno alla normalità, chi, portando ottimi argomenti, mette in guardia che “la normalità era il problema”. Stiamo proiettando su questa situazione i nostri desideri più intimi tanto quanto le nostre più profonde paure. È vero, questa pandemia cambierà molte cose, ma la direzione di questi cambiamenti non le deciderà il virus. Le decideremo – più o meno consapevolmente – noi. 

https://www.italiachecambia.org/wp-content/uploads/2020/05/apples-1841132_1280.jpg

Uno dei tanti settori in cui si aprono interessanti finestre di cambiamento è quello della produzione, distribuzione e consumo di cibo. Abbiamo osservato con sgomento le code interminabili di fronte ai supermercati, preludio a scaffali spesso semivuoti – dal Regno unito sono arrivate voci di scenari ancor più catastrofici. Consegne in ritardo, shop online intasati e con attese lunghissime. E il peggio potrebbe essere ancora di là da venire: la fuga della manodopera a basso costo – perlopiù stranieri tornati in patria subito prima del lockdown – sta lasciando buona parte dei raccolti a marcire nei campi mettendo a rischio la sicurezza alimentare. La crisi sanitaria ha messo a nudo la totale inadeguatezza della filiera alimentare, costruita per massimizzare l’efficienza a discapito della resilienza. In questo contesto parlare di come produciamo e distribuiamo il nostro cibo diventa improvvisamente un argomento centrale per tutti. Per capire quali sono i problemi e le opportunità di questa situazione nuova mi sono fatto due chiacchierate, la prima con Nicola Savio, agricoltore esperto di permacultura e vecchia conoscenza di Italia che Cambia, la seconda con Davide Biolghini, membro del consiglio direttivo della Rete Italiana di Economia Solidale. Provo a mettere insieme i pezzi e riassumervi quello che ho capito.

Crisi o opportunità?

«In questo periodo – mi spiega Davide – la domanda di prodotti biologici e anche di sistemi di distribuzione locale come quelli dei Gruppi d’acquisto solidali (Gas) sta crescendo. Buon Mercato, ad esempio, l’esperienza di ‘supergas’ nel corsichese, ha visto aumentare del 30-40% gli ordini da parte di famiglie nuove che si sono avvicinate in questa circostanza». Come spesso accade, la crisi è stata occasione per mettere in atto soluzioni creative: «Da un lato c’è stata disponibilità da parte di alcuni piccoli e medi produttori di aumentare i punti di distribuzione: La Terra e il Cielo, ad esempio, ha iniziato a consegnare gli ordini in più punti diversi, evitando ai gasisti di doversi recare tutti assieme al punto di raccolta, che per alcuni era persino fuori dal proprio comune di residenza. Alcune persone, poi, si sono offerte di fare consegne a domicilio a famiglie o gruppi di famiglie che avevano particolari difficoltà. Anche alcuni produttori ora fanno la consegna a domicilio, cosa che prima non veniva fatta».

https://www.italiachecambia.org/wp-content/uploads/2020/05/maxresdefault-1-1024x576.jpg

Davide Biolghini

Anche Nicola mi conferma una crescita notevole delle richieste nei confronti di molte aziende agricole medio-piccole. «Oltre a me – spiega – penso ai miei amici di Prati al Sole, che vista la situazione hanno provato a riorganizzarsi per fare consegna a domicilio: hanno finito tutta la produzione che avevano programmato per quella settimana in 24 ore. E in un raggio dall’azienda di due chilometri. E come loro molti altri: chi si è organizzato con gruppi Whatsapp, chi con gruppi Facebook. In momenti di crisi la creatività viene fuori, se si hanno gli occhi per vedere le opportunità».

Tuttavia non tutta l’agricoltura contadina sembra godere di vento favorevole. Molti produttori stanno soffrendo per la chiusura dei mercati all’aperto, compresi quelli contadini e rischiano di buttare parte del raccolto. Altri chiedono l’intervento dello Stato, con finanziamenti mirati a sostenere le aziende in difficoltà. Tuttavia la riapertura dei mercati e i finanziamenti sono soluzioni che possono tamponare l’emergenza, ma difficilmente possono migliorare la situazione a medio-lungo termine. «Ho l’impressione – continua Nicola – che stiamo provando a risolvere un problema non classico adottando soluzioni classiche. Non ci siamo mai trovati in una situazione del genere, è totalmente nuova, molte cose si sono stravolte. Il problema è cosa fare di questo stravolgimento. Se le uniche richieste dei piccoli agricoltori sono i finanziamenti pubblici e la riapertura dei mercati non abbiamo risolto niente. È come mettere un cerotto su un taglio che i parte dall’inguine e arriva fino al collo.»

Nicola Savio

È possibile prendere il meglio che questa occasione ci offre e cambiare la filiera alimentare? O la pandemia segnerà il tracollo dell’agricoltura contadina? «Secondo molti – chiosa Davide – ci sono tre scenari: o si cerca di tornare al prima, alla cosiddetta normalità, o ci sarà uno strapotere delle filiere lunghe dell’agroindustria, nonostante siano concausa dei cambiamenti climatici e in maniera indiretta anche della diffusione delle pandemie; o si coglie l’occasione di questo spazio per dare maggiore peso alle pratiche dell’economia sociale e solidale, dell’agricoltura contadina e dei sistemi di economia locale». 

Cosa dobbiamo cambiare

Cosa possiamo fare per favorire la nascita di una filiera più resiliente ed equa del cibo? E quali aspetti dell’agricoltura contadina attuale dobbiamo lasciar andare affinché possa cogliere l’occasione che la storia le pone di fronte? «Un primo aspetto in cui è necessario un salto di qualità è la pianificazione. Noi agricoltori – mi spiega Nicola – non siamo abituati a pianificare. L’idea di base è sempre stata: io produco, poi se vendo bene, altrimenti mi arrabbio e chiedo gli aiuti allo stato. Aiuti che per i piccoli, fra l’altro, si sono fatti negli anni sempre più risicati e inarrivabili. Ma così viene meno l’obiettivo vero dell’agricoltura, che sarebbe quello di sfamare le persone. Per tornare a svolgere un ruolo centrale e utile la piccola agricoltura deve ritrovare la capacità di pianificare la produzione».  

https://www.italiachecambia.org/wp-content/uploads/2020/05/IMG_20191005_164543-min-1024x768.jpg

Matteo Mazzola dell’Azienda agricola Iside con uno degli attrezzi agricoli per una agricoltura a bassissimo impatto che Nicola Savio vende tramite Officina Walden.

Un secondo aspetto da lasciar andare, sempre secondo Nicola, sono le colture iperspecializzate. Se l’agroindustria produce cibo tutto uguale su larga scala per sfamare la massa, un ramo della piccola agricoltura ha ripiegato (ingolosita dai finanziamenti) sul produrre prodotti di alta qualità per piccole nicchie benestanti. Anche in questo caso vengono a galla tutti i limiti delle politiche agricole: «L’agricoltura dovrebbe essere l’apice della resilienza: diversificare, in modo che se non va bene una coltivazione ne va bene un’altra. E se proprio va malissimo mangio io e dopo vediamo. Invece i finanziamenti ti portano a fare scelte sbagliate. Fra l’altro vista dall’ottica di questi piccoli produttori adesso sarà dura: se hai piantato solo prodotti di nicchia che vendi a caro prezzo, chi te li compra adesso che siamo in piena crisi di liquidità?»

Quali modelli per il futuro?

Quali soluzioni abbiamo nel cappello, o per meglio dire nel paniere? «Più che soluzioni – continua Nicola – possiamo osservare i modelli che stanno funzionando e prenderne spunto. Penso alle CSA (Comunità che supporta l’agricoltura, un modello comunitario di gestione dei terreni e di pianificazione della produzione, ndr), o a soluzioni simili. In generale i modelli che stanno funzionando di più sono quelli che costruiscono una relazione diretta e continuativa con i clienti o soci, adattandosi alle loro esigenze. Spesso si vendono dei pacchetti annuali, che prevedono una fornitura settimanale.»

Anche i Gas si stanno muovendo in direzione simile, e da tempo è in corso un ripensamento del loro modello per trasformarli in qualcosa di più vicino a una Csa. Mi dice Davide: «Da tempo stiamo proponendo dei patti tra consumatori consapevoli e produttori responsabili, in cui cambia la relazione fra i due soggetti, che attualmente è ‘liquida’ e spesso sbilanciata a favore dei gasisti che hanno maggiore potere e scelgono di volta in volta quali prodotti acquistare, quando e come. Rispetto a questo sistema di relazioni il patto impegna ambedue le parti: il gas ad acquistare una certa quantità di prodotti, magari anche con anticipo di una quota, il produttore a rendere trasparente ed equa la formazione del prezzo». 

https://www.italiachecambia.org/wp-content/uploads/2020/05/8529983000_5070e99024_b.jpg

La Terra e il Cielo

Attualmente Co-energia, l’associazione di Gas e Des che si occupa di patti e convenzioni nel campo della produzione del cibo e della energia (di cui Davide è presidente) gestisce due patti principali, uno storico con La Terra e il Cielo, e l’altro più recente con i piccoli agricoltori campani della La Buona Terra – in quest’ultimo caso il patto prevede anche l’anticipo del 40% rispetto agli ordini previsti per garantire i piccoli produttori nella semina e nella coltivazione dei prodotti. «La cosa che mi sembra molto importante sottolineare – continua Davide – è che i patti alimentano un fondo di solidarietà che permette di finanziare progetti di economia solidale.» 

C’è poi l’ultimo sviluppo dei gruppi d’acquisto, i condomini solidali, nati da un’iniziativa della Rete di economia sociale e solidale di Roma. Sono condomini che si organizzano per farsi consegnare gli ordini a domicilio dai produttori. Per il produttore diventa più conveniente perché accorpa vari ordini in un’unica consegna, mentre per i condomini può diventare un modo per rafforzare le relazioni di vicinato. «Ne esistono già alcuni attivi a Roma e adesso abbiamo anche una mappa che geolocalizza tutti i punti di ordine/consegna/ritiro dei condomini.» L’idea del condominio sembra interessante anche per la possibilità di coinvolgere persone che normalmente non si iscriverebbero a un gas, ma che potrebbero essere ugualmente interessate a una fornitura di cibo locale e di qualità. Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/05/agricoltura-contadina-filiera-corta-possono-salvarci-riusciranno-salvare-se-stesse/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Dalla terra al ristorante: una filiera del gusto alle porte di Palermo

Dalla passione di un giovane siciliano e della sua famiglia per la propria terra è nato il progetto Villa Costanza, ristorante e realtà imprenditoriale che nella natura alle porte di Palermo promuove un’alimentazione sostenibile, valorizza le eccellenze locali e con il suo orto crea un filo diretto fra terra e cucina. Qualità e stagionalità delle materie prime, valorizzazione del territorio e promozione della filiera corta. Sono questi gli ingredienti principali che hanno reso vincente, negli anni, il progetto Villa Costanza: un ristorante pizzeria che si trova ai piedi della riserva di Monte Pellegrino, a Palermo.  

«È stato un processo lungo e lento, ma soddisfacente», afferma il co-fondatore, insieme alla sorella Costanza, Marco Durastanti. In circa sette anni, infatti, con impegno e dedizione hanno selezionato, uno ad uno, i micro produttori del territorio, esclusivamente siciliano, puntando su numerosi presidi Slow Food.

Villa Costanza 2

Marco e Costanza Durastanti

Una scelta ambiziosa e sapiente che è la sintesi perfetta dei valori in cui credono: qualità dei prodotti e lavoro di squadra. Nella loro cucina, guidata dallo Chef Antonio Terzo, si trovano solo le eccellenze del territorio, dai formaggi ai salumi, dal Piacentino ennese allo zafferano o al pepe nero alla razza bovina Cinisara o al suino nero dei Nebrodi, dal miele di Ape nera Sicula alle mandorle di baucina bio.  Tutti prodotti buoni e sani che rappresentano la Sicilia. Anche per le pizze hanno adottato la stessa filosofia: lievito madre lievitato per 48h e grani antichi siciliani, come la farina di grano duro Biancolilla Bio di San Cataldo. Non si sono, però, “limitati” a selezionare con cura le materie prime, ma hanno coinvolto l’intero staff nel processo di selezione: organizzano, infatti, visite ai produttori locali attraverso le quali acquisiscono consapevolezza rispetto agli alimenti da portare in tavola e generano quel senso di appartenenza fondamentale in ogni azienda. Negli ultimi anni hanno inoltre, scelto di vendemmiare personalmente il vino di Villa Costanza con visite presso le aziende agricole, cantine, pascoli e vigne. Hanno creato poi tre tipi di birra diversa per valorizzare i piccoli produttori e raccontarli agli ospiti.

Villa Costanza 7

Durastanti continua sottolineando come questo modus operandi abbia generato entusiasmo e relazioni di fiducia, senza le quali adesso non potrebbe fare a meno. “La follia” come la definisce lui, continua, perché in sinergia con la cooperativa Coltiviamo Tradizioni hanno creato un orto da cui attingere i prodotti per la ristorazione. Un filo diretto tra terra e cucina che, in armonia con i tempi della natura e delle sue stagioni, gli permette di avere prodotti sempre freschi e genuini. Una scelta che non predilige certo l’economicità, ma la qualità. E la qualità ripaga. Villa Costanza, inoltre, propone ai clienti che lo desiderano la possibilità di coltivarsi il proprio orto, tramite gli orti urbani della cooperativa e/o di usufruire del servizio di consegna settimanale delle verdure a domicilio. Le prelibatezze di Villa Costanza si possono trovare anche all’interno del nuovo Bastione di Cefalù. Un centro culturale polifunzionale che ospita Bastione&Costanza, un caffè letterario con cucina e pizza slow. Villa Costanza promuove un’alimentazione sostenibile, valorizza le eccellenze locali e tutela la biodiversità. È l’espressione di un sogno riuscito, di una scelta imprenditoriale etica e della passione di un giovane e della sua famiglia per il territorio siciliano.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2019/10/terra-ristorante-filiera-gusto-palermo/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Molino Ferrara: filiera chiusa, produzione artigianale e grani antichi

Si trova nel cuore della Sicilia un pastificio virtuoso gestito oggi da due fratelli che con il loro lavoro cercano di valorizzare il territorio siciliano e la sua ricca biodiversità. Situato a Caltanissetta, il Molino Ferrara può vantare una parte di produzione fatta con un molino a pietra e che lavora esclusivamente grani antichi. Il Molino Ferrara ha una storia che risale all’inizio del Novecento, quando in provincia di Caltanissetta una famiglia decideva di inaugurare un molino a pietra. Negli anni ‘70 questo molino – che nel frattempo ha subito modifiche – viene acquisito dalla famiglia Ferrara e oggi è gestito dai fratelli Alessandro e Carlo, che decidono di recuperare il molino a pietra, che era stato abbandonato, e di avviare una produzione artigianale di grani antichi (accanto alla classica produzione industriale del molino a cilindri).

«La passione ci ha spinto a recuperare il molino a pietra, che doveva essere alimentato. E come farlo se non con i grani antichi?», spiega Alessandro, uno dei responsabili dell’azienda. «Così abbiamo cercato chi ancora produceva o custodiva quella minima parte di grano antico e poco alla volta abbiamo convinto anche i nostri clienti, che producevano grano moderno convenzionale, a produrre grano antico, dando anche a loro un valore aggiunto ovviamente nel prezzo affinché fosse conveniente anche per loro».

È questo, infatti, uno degli elementi portanti che definisce il Molino Ferrara come un’azienda virtuosa: la filiera è chiusa, perché il Molino attinge direttamente dagli agricoltori senza intermediari. Le farine sono tante e di diversi tipi (fra i grani antichi ci sono la varietà senatore cappelli, la maiorca, il perciasacchi, il margherito e altre) e portano alla produzione sia di semole rimacinate per la panificazione che di “semola a spigolo vivo” per la produzione di pasta. Il prossimo obiettivo del Molino Ferrara è la «produzione di biscotti fatti con farina integrale di grani antichi molita a pietra».molino-ferrara-1

Questa parte di produzione segue dunque il ciclo della trasformazione del grano in farina proprio “come si faceva una volta”. Prima c’è lo stoccaggio, ovvero la prepulitura del grano; poi la parte della miscela delle varie varietà di grano che si andranno a lavorare; poi due puliture e l’effettiva lavorazione (macinazione) del grano, fino a raggiungere il prodotto finito.  Anche nell’utilizzo di grani convenzionali, però, c’è una forte attenzione alla qualità, sebbene il modo di lavorarli sia diverso: «Cerchiamo di scegliere i grani autoctoni, che hanno determinate caratteristiche che ci consentono un prodotto eccellente. Di solito noi lavoriamo il simeto, che è un grano che si produce qua in Sicilia e che ha un alto contenuto di glutine o l’arcangelo che è un altro grano autoctono».

Si tratta certo di una scelta virtuosa e di un mercato (quello della produzione artigianale) in forte crescita. «Da qualche anno a questa parte ci sono stati degli studi mirati per capire se effettivamente i prodotti fatti con la lavorazione artigianale come lo era una volta e soprattutto con la materia prima antica siano davvero nutraceutici e non soltanto nutrienti», spiega ancora Alessandro. Ma è stata anche una scelta coraggiosa: «Quando abbiamo iniziato questo percorso dei grani antichi diciamo che è stata inizialmente una scommessa perché l’abbiamo fatto inizialmente per passione e non per business e abbiamo potuto riscontrare che la vendita era più che altro rivolta al mercato estero o al nord Italia».molino-ferrara-2

Ma da quando, venti anni fa, i fratelli Ferrara hanno rinnovato il molino a pietra, qualcosa è cambiato, anche in quella parte di Sicilia prima restia ai cambiamenti. «Da un paio di anni a questa parte anche i nostri conterranei si sono sensibilizzati e siamo riusciti ad aumentare la vendita nel nostro territorio. Infatti questo è uno dei temi che io ho sempre cercato di mandare avanti: valorizzare il territorio ma soprattutto quello che ci offre il territorio perché la Sicilia è una delle regioni con la più alta biodiversità rispetto a tutte le altre regioni d’Italia».

Questa idea apre ad un dibattito più grande, che è quello dello sviluppo dell’economia attraverso un turismo alimentare. Una regione la si scopre anche attraverso il cibo e puntare su questo tipo di mercato potrebbe essere una scelta vincente anche per creare nuovi posti di lavoro: «Se noi avessimo un’organizzazione e una mentalità più aperta rispetto a quella che abbiamo avuto fino ad adesso potremmo sfruttare questi prodotti anche per un discorso economico e quindi creare posti di lavoro e sviluppare un turismo legato ai prodotti alimentari».

Nel frattempo l’azienda Molino Ferrara prosegue nel suo piccolo, con i due fratelli responsabili e altri otto collaboratori, innovandosi attraverso la tradizione e portando anche a piccoli cambiamenti nel territorio. Un’azienda portata avanti «grazie alla passione», che riconferma ancora una volta come le scelte fatte col cuore siano poi le migliori.

 

Intervista: Daniel Tarozzi
Realizzazione video: Paolo Cignini

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/10/io-faccio-cosi-228-molino-ferrara-filiera-chiusa-produzione-artigianale-grani-antichi/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Panacea, il progetto che recupera l’antica filiera del pane

Dalla materia prima ricavata dalle aziende agricole del territorio, passando per il mulino e arrivando al pane a lievitazione naturale e alla sua distribuzione nel forno cittadino. Andiamo oggi a Torino, alla scoperta di Panacea: un possibile esempio di una sana filiera del pane a chilometro zero auspicabilmente replicabile. Eccoci oggi in Piemonte, specificatamente tra Torino e Stupinigi, alla scoperta di un progetto che potrebbe rappresentare un esempio di sana filiera del pane a chilometro zero, auspicabilmente replicabile: si tratta del progetto Panacea, ideato dalla Cooperativa Articolo 4. Recuperando l’antica filosofia di produzione del pane a lievitazione naturale, Panacea è riuscita ad unire il produttore, l’intermediario e la distribuzione nel creare un forno che rappresenta un progetto imprenditoriale dove l’unione fa la forza e ognuno vince.

Come funziona Panacea

Il progetto Panacea è nato nel 2014: alcune aziende agricole di Stupinigi (una frazione del comune di Nichelino, in provincia di Torino), convertendo la propria produzione, cedono il proprio grano al Mulino di Candia Canavese, che a sua volta vende le varie farine ai forni Panacea che realizzano un pane a lievitazione completamente naturale.

“Con il progetto di Panacea abbiamo voluto creare un forno che producesse pane a lievitazione naturale solo con la pasta madre, perché era un prodotto raro da trovare qui a Torino” ci racconta Isabella de Vecchi, responsabile del forno Panacea. “Abbiamo pensato che, oltre a dotarci di uno spazio funzionale al forno e dell’attrezzatura necessaria, fosse anche importante lavorare con una buona materia prima”.

Da qui è nata l’idea imprenditoriale di Panacea: coinvolgere cinque aziende agricole di Stupinigi nella coltivazione sia dei grani classici che di alcune varietà di grani antichi che permettessero la produzione di un pane a lievitazione naturale, con poco glutine e ricco di nutrienti e fibre, capace di riequilibrare la flora batterica e stabilizzare in modo spontaneo e naturale il ph dell’intestino e il suo normale funzionamento fisiologico. Il progetto è riuscito ed è partito anche grazie alla collaborazione raggiunta con il Mulino Roccati di Candia Canavese, dando vita alla filiera della farina di Stupinigi, regolata da un patto composto da vari impegni a cui si conformano i vari attori della filiera e che valorizza il  lavoro degli agricoltori, riconoscendo un giusto reddito per il loro lavoro e garantendo la qualità del prodotto. Questo è stato un bel traguardo e una bella soddisfazione – ci spiega Enzo Bartolla, uno dei cinque agricoltori coinvolti nella filiera e socio Panacea – soprattutto perché la nostra era un’azienda intensiva prima della collaborazione con Panacea. La filiera ci ha permesso di cambiare il nostro approccio, investendo insieme a Panacea e ottenendo un importante riconoscimento anche a livello economico, perché nonostante produciamo meno grano, questo ci viene pagato di più”.19894944_774333876082723_5735282460279200684_n

Il Forno e il valore della sostenibilità

Le panetterie dove vengono trasformati e venduti i panificati di Panacea sono tre e si trovano a Torino. Nel corso di questi anni la richiesta del pane prodotto da Panacea è in costante aumento, tant’è che oggi è nata la cooperativa Panacea Social Farm che si occupa esclusivamente del progetto e le persone coinvolte lavorativamente sono circa quindici, con varie collaborazioni in termini di tirocini. Dall’ottobre 2017 Panacea ha sviluppato anche una parte educativa, organizzando dei corsi di panificazione con la pasta madre. “È un bel risultato e abbiamo anche un fatturato ormai solido che permette a Panacea di essere un progetto sostenibile dal punto di vista economico – spiega Isabella de Vecchi – secondo me però è importante sottolineare anche il ruolo della filiera: con questo percorso abbiamo cercato di avere tutti i prodotti che fossero vicino alla città, siamo riusciti a convincere i contadini a trasformare parte delle loro coltivazioni, con un impatto ambientale importante e questo secondo noi è un buon risultato. La gratitudine e l’affetto delle persone per questo progetto è importante perché stanno capendo, oltre al valore oggettivo di produrre un buon pane, l’importanza della sostenibilità delle relazioni che si sono venute a creare”.

Vi rimandiamo a questo link per un approfondimento sulla collaborazione tra Panacea e la Federazione dell’Economia del Bene Comune.

Intervista: Daniel Tarozzi
Riprese: Roberto Vietti e Daniel Tarozzi
Montaggio: Paolo Cignini

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/03/io-faccio-cosi-205-panacea-recupera-antica-filiera-pane/

Gli agricoltori comprano un Lidl e lo trasformano in un mercato contadino

In Alsazia un collettivo di agricoltori ha comprato un supermercato della catena Lidl trasformandolo in un mercato di vendita diretta. Qui le logiche della grande distribuzione vengono ribaltate a tutto vantaggio della qualità dei prodotti, del rapporto di fiducia con i consumatori e della prosperità per l’economia locale. Come poter fare per vendere i propri prodotti di verdura e frutta direttamente ai consumatori, evitando i distributori tradizionali che gravano sul prezzo finale e riducono all’osso il guadagno dei produttori? Questa è la domanda che si sono posti 35 agricoltori e contadini dell’Alsazia. La risposta è arrivata rapidamente: raggrupparsi per comprare un supermercato!

L’iniziativa contadina per andare oltre la grande distribuzione, è crescente soprattutto negli ultimi tempi. Dall’esempio di altri agricoltori dell’est della Francia, zona Colmar, Denis Diegal, capo del collettivo dei produttori agricoli di Sélestat, ci racconta come è nato questo progetto di riscatto in Alsazia.

“Il pensiero era sorto da molto tempo: sono un produttore di verdure e pratico la vendita al dettaglio da anni senza vendere i miei prodotti alla grande distribuzione, sia per via dei ricarichi addossati al consumatore, sia per il tipo di servizio che offrono. Insieme ad altri agricoltori e contadini abbiamo pensato di comprare un magazzino Lidl, per arrivare direttamente al consumatore. Il supermercato è stato ribattezzato Coeur Paysan (Cuore contadino). È un luogo di vendita diretta dal produttore al consumatore, dove gli agricoltori vendono regolarmente. È un mezzo per prodotti locali e valorizzare il savoir-faire ancestrale dei produttori, cioè quello che la grande distribuzione non vuole!”.

Per Denis Diegel e i suoi colleghi, l’obiettivo è anche rispondere a una domanda in aumento di prodotti locali, soddisfatta da produttori che orbitano tutti in un raggio di 40 km dal supermercato. “In termini di prezzi siamo più vantaggiosi rispetto ai grossisti, per esempio, sulle primizie che vendiamo a 10 euro al chilo, mentre nelle grandi distribuzioni il prezzo è di 12/13 euro; per altri prodotti, tipo i formaggi, siamo più cari perché la qualità del prodotto non è sicuramente la solita!”.coeur2

Anche il modello economico del magazzino è diverso da quello della grande distribuzione: gli agricoltori e i contadini sono proprietari dei loro prodotti fino all’arrivo alla cassa del supermercato, dove viene imposta una commissione che va dal 22% al 32% da lasciare al magazzino; fino a lì i produttori sono responsabili dei loro prodotti con il consumatore, con cui trattano il prezzo faccia a faccia. Un altro obbligo dei produttori è la presenza nel supermercato in almeno due mezze giornate al mese. Questa presenza è apprezzata dai consumatori perché in questo modo hanno una trasparenza del prodotto che acquistano del 100%.

È la fine dell’anonimato alimentare“, sottolinea Denis. “Abbiamo necessità del ritorno del consumatore con cui ci si confronta e per cui ci adeguiamo al suo bisogno! Per esempio dei clienti ci hanno chiesto gli involtini primavera per il Capodanno cinese……e li abbiamo finiti tutti velocemente!”.

Dentro al magazzino Coeur Paysan si possono scoprire e ritrovare varietà di frutta e verdura dimenticati nella grande distribuzione: è un cambio nutritivo e gustativo! In più si possono trovare prodotti freschi ad un giusto prezzo che remunera correttamente i piccoli produttori. Non è difficile immaginare che questo supermercato possa far nascere altri piccoli magazzini, basta che questa esperienza venga conosciuta e divulgata a più persone possibile e che altri agricoltori e contadini prendano esempio dai colleghi Alsaziani!

Qui l’articolo originale. 

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2018/03/coeur-paysan-agricoltori-comprano-lidl-trasformano-mercato-contadino/

Kalulu, prodotti locali e genuini alla portata di tutti

Rendere il consumo di prodotti locali e genuini un fenomeno “di massa” e non un lusso riservato a pochi fortunati. È questo l’obiettivo di Kalulu, il portale che promuove la filiera corta, aiuta i piccoli produttori a raggiungere nuovi clienti e abbatte l’inquinamento dovuto ai trasporti della grande distribuzione. Mangiare sano in città è possibile, Kalulu  è un modo per farlo. Il portale ha l’obiettivo di promuovere la filiera corta mettendo in contatto diretto chi produce e chi consuma, garantendo la vendita di prodotti di qualità a costi contenuti. Il progetto nasce da un’idea di Emanuel Sabene, poi il team si è ingrandito grazie alla collaborazione di Giorgio Scrocca e Domenico Angilletta che hanno contribuito a lanciare il servizio, fino ad arrivare alla piattaforma che è oggi, con oltre 400 aziende iscritte e 40 mila utenti.

Come funziona? Basta iscriversi indicando il proprio indirizzo di residenza, da quel momento Kalulu segnala via e-mail tutte le offerte in corso nei punti di consegna più vicini e all’utente non rimane che prenotare la propria spesa nel giorno e all’orario stabiliti.basket-of-veggies-jpg

Lo strano nome ha un significato ben preciso e richiama gli obiettivi del progetto, “Kalulu è il coniglio protagonista di una serie di favole africane” – racconta Emanuel – “in una di queste, Kalulu convince il re leone a seguire un’alimentazione più sana, a beneficio di tutti gli altri animali della foresta. Metaforicamente, è un po’ quello che cerchiamo di fare anche noi”. Per spiegare l’utilità di questa iniziativa è necessario fare una premessa. I prodotti che arrivano oggi sulle nostre tavole hanno percorso una media di 354 chilometri, consumato 123 litri di benzina e prodotto 948 grammi di emissioni per ogni chilo di merce.

“Noi vogliamo proporre un modello che renda il consumo dei prodotti locali un fenomeno di massa e non un lusso riservato a pochi fortunati” – spiega Emanuel – “crediamo che vendere un alimento fresco di giornata e a chilometro zero, possa essere competitivo con il prodotto della grande distribuzione”. E prosegue spiegando il grande paradosso che c’è alla base della GDO:  per fornire la massima scelta garantendo il profitto, si finisce con il privare i clienti della scelta. Puoi decidere se comprare un pomodoro san marzano o un pachino in qualsiasi momento dell’anno, ma non puoi decidere da dove viene.20160115-things-never-to-but-at-supermarket-

La logica del profitto porta sulle nostre tavole cibo che viene prodotto in luoghi lontani, sempre più spesso fuori dall’Italia se non addirittura fuori dal continente. Se il prezzo finale è ancora conveniente bisogna chiedersi a quale prezzo (fuor di scontrino) si rende possibile tutto questo. Cosa è successo nel luogo di produzione e durante il trasporto? Quante e quali risorse non rinnovabili sono state impiegate per spostarlo e conservarlo? Se nella grande distribuzione, per ogni euro di prodotto che acquistiamo, 80 centesimi vanno ai costi di trasporto, logistica e intermediazione, solo 20 centesimi sono destinati a garantire la qualità di quello che mangiamo. Troppo poco. Grazie a questa piattaforma invece, mangiare sano a un prezzo ragionevole può tornare a essere un diritto.

“Abbiamo calcolato che ad oggi i nostri utenti hanno contribuito per un taglio complessivo di 1500 tonnellate di CO2 passando dalla grande distribuzione alla vendita diretta” – conclude Emanuel – “un numero enorme che ci rende davvero orgogliosi del nostro lavoro. A noi piace pensare che per ogni cassetta che viene consegnata, compresa nel prezzo c’è un po’ di aria pulita da respirare tutti insieme”.

Fonte:  http://www.italiachecambia.org/2017/05/kalulu-prodotti-locali-genuini-portata-di-tutti/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Da rifiuto a risorsa della valle: così rinasce una filiera corta della lana

Ridare vita ad una filiera corta della lana in Val dei Mòcheni abbattendo gli sprechi di questo materiale, favorendo l’economia del luogo e valorizzando le competenze delle persone della valle. Nasce con questo obiettivo il comitato Bollait, ovvero “gente della lana”.  “Bollait”, ovvero “gente della lana” nell’antico dialetto della Valle dei Mocheni, vallata in provincia di Trento. Il progetto nasce su iniziativa di un gruppo di donne locali con la passione per la lana che decidono di mettersi insieme e formare un comitato di scopo. Il loro obiettivo è quello di recuperare la grande quantità di lana prodotta in questa zona (circa 3-4 mila chilogrammi all’anno) e per lo più buttata.17309746_589041701285747_6390616861639099181_n

Gran parte della produzioni locali – in molte parti del mondo – sono state infatti soppiantate dalla lana proveniente da Australia e Nuova Zelanda, quindi i pastori si trovano nella difficile situazione di dover pagare sia per la tosatura della pecora sia per lo smaltimento della lana che, essendo classificata come rifiuto speciale, comporta costi piuttosto elevati.

“Ci si stringeva il cuore a vedere tutta quella lana sprecata – racconta Vea Carpi, una delle fondatrici del progetto – così abbiamo deciso di prendere spunto dalla vicina Val d’Ultimo che da anni sperimenta una filiera corta della lana”. L’idea viene proposta al comune di Palù – un paese che guarda la Valle da 1400 metri di altezza – e piace subito al sindaco che diventa parte del Comitato nel ruolo di presidente. Partito nel 2016, il progetto ha raccolto durante l’anno appena trascorso circa 1000 chili di lana, suscitando l’entusiasmo dei pastori locali. Dalla lavorazione, realizzata con impianti specifici nella città di Biella, sono state ricavate tre tipologie di tessuto: il fiocco (cioè la lana semplicemente lavata e asciugata), la falda per feltro e il filato. Da questi sono stati creati piumini e cuscini, prodotti rivenduti al dettaglio negli agriturismi gestiti dalle componenti del comitato.17796066_597123307144253_5498093635055517823_n

Obiettivo del progetto è raggiungere l’autonomia assoluta attraverso la filiera corta, senza l’aiuto del Comune. I presupposti sono più che incoraggianti, visto che nel primo anno le spese sono state coperte e gli abitanti della zona hanno dimostrato un interesse tale che nessuna delle fondatrici si aspettava in questa misura.

“Lavorando a Bollait abbiamo scoperto che gli abitanti del luogo hanno delle capacità incredibili nella lavorazione della lana – spiega Vea – per questo crediamo sia indispensabile riscoprire queste conoscenze e inserirle nel circuito turistico della zona perché diventino un ulteriore motivo di attrattiva in questi luoghi meravigliosi”.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/04/rifiuto-risorsa-valle-rinasce-filiera-corta-lana/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Regione Lazio approva proposta di legge su Filiera Corta. Legambiente “Un passo fondamentale per un’agricoltura sana e sostenibile nel Lazio”

386352_1

In arrivo dalla Regione Lazio sostegno e finanziamenti alle tradizioni ed alle eccellenze agroalimentari del Lazio. Verrà istituito anche un logo da apporre ai prodotti delle aziende più virtuose.

13 ottobre, 2016

Sostenibilità

Ieri sera il Consiglio Regionale del Lazio ha approvato all’unanimità la proposta di legge 151 sulla Filiera Corta, volta a valorizzare e sostenere il consumo dei prodotti agricoli e alimentari di qualità provenienti dai territori della Regione. Con questa legge nel Lazio troveranno sostegno, finalmente, produzioni locali e peculiarità territoriali. Per filiera corta si intendono tutti quei prodotti rientranti in un circuito economico dove c’è rapporto diretto tra produttore e consumatore, in forma singola o associata.

“L’approvazione della proposta di legge sulla filiera corta è un passo davvero importante per l’agricoltura della nostra regione – commenta Roberto Scacchi presidente di Legambiente Lazio– e da oggi ci sarà più sostegno per tutti quei piccoli prodotti, custodi delle tradizioni territoriali e delle peculiarità agroalimentari del Lazio. Ora va concretizzato questo nuovo strumento legislativo costruendo un modello di agricoltura sostenibile e di qualità, e che sia volano per la green economy, per salvaguardare la biodiversità soprattutto nelle aree protette, nel rafforzare le vocazioni agricole territoriali, nel ridurre emissioni inquinanti da trasporto o da concimi chimici.”

Tra le altre cose la legge prevede: la promozione dei prodotti agricoli da filiera corta, l’assegnazione di logo apposito alle aziende che ne fanno uso per almeno la metà della propria filiera, vieta di somministrare di prodotti contenenti OGM, obbliga i Comuni a riservare nei nuovi mercati almeno il 20% ai prodotti provenienti da filiera corta, istituisce il Bando delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario, valorizza i prodotti provenienti dalla pesca “a miglio zero”.

Fonte: ecodallecitta.it