Too Good to Waste: ecco come gli “scarti” combattono lo spreco di cibo

Una giovane azienda emiliana impegnata nell’elaborare soluzioni per ridurre gli sprechi e favorire l’economia circolare ha lanciato un progetto chiamato Too Good to Waste, che attraverso l’impiego di scarti alimentari ha messo a punto una tecnologia in grado di allungare la vita dei prodotti freschi. Nel mondo si spreca molto cibo, troppo. Secondo recenti stime della FAO, ben un terzo di tutto il cibo prodotto viene perso o sprecato lungo la filiera agroalimentare, dalla produzione al consumo. E le cose stanno peggiorando: secondo autorevoli stime, lo spreco alimentare è in crescita, e nel 2030 toccherà ben il 40% del cibo prodotto a livello globale. Una situazione chiaramente insostenibile, sia in termini ambientali – produrre cibo comporta l’uso di risorse naturali, come ad esempio acqua e suolo, e provoca l’emissione di CO2 – sia economici e industriali, poiché una filiera così inefficiente genera costi a carico di aziende e consumatori. Ancora, lo spreco alimentare è inaccettabile da un punto di vista morale, considerando che nel mondo le persone denutrite sono quasi 700 milioni.

Packtin dà il suo contributo a invertire il trend, attraverso Too Good to Waste, progetto finanziato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. Packtin è una piattaforma tecno-scientifica per la valorizzazione a 360° dei sottoprodotti agroindustriali, è stata fondata da un team di ricercatori specializzati in microbiologia dell’UNIMORE e ha sede a Reggio Emilia. Packtin sta sviluppando in Emilia-Romagna un impianto-pilota per scomporre i sottoprodotti agro-industriali – cioè quelli che erroneamente vengono definiti scarti agroalimentari, come le bucce di pomodoro o il pastazzo di arancia –, rendendoli disponibili come nuove materie prime per il mercato e per la creazione di prodotti naturali di qualità da usare nell’industria alimentare.

«Spesso le bucce di pomodoro, di carota o il pastazzo di arancia vengono definiti “scarti” dai non-addetti ai lavori», spiega Andrea Quartieri, COO e co-fondatore di Packtin. «In realtà questi sottoprodotti hanno un enorme potenziale a beneficio delle persone, perché contengono vitamine, fibre e antiossidanti preziosi per la salute umana, e dai molteplici impieghi».

E uno dei campi di applicazione più interessanti per le nuove materie prime recuperate da Packtin è la creazione di rivestimenti commestibili e biodegradabili per frutta e verdura fresche allo scopo di migliorarne quella che gli addetti ai lavori chiamano shelf-life (vita di scaffale), agendo sulla maturazione o sulla protezione dalle infezioni microbiche. L’obiettivo del progetto Too Good to Waste è ottimizzare la composizione di rivestimenti per il trattamento di due prodotti d’eccellenza del settore ortofrutticolo italiano: i pomodori e le arance. Partendo dalle fibre e dagli estratti naturali ottenuti con il già citato impianto-pilota, Packtin sta sviluppando, rivestimenti biodegradabili, commestibili e facilmente lavabili che possano costituire un’alternativa ai trattamenti oggi utilizzati, come la ceratura per gli agrumi, che peraltro rende la buccia non edibile. La combinazione di fibre naturali ed estratti vegetali con funzioni antiossidanti e antimicrobiche può diminuire la percentuale di prodotti scartati rallentando la maturazione e proteggendo dagli agenti infettivi, con un ovvio calo degli sprechi a beneficio del pianeta, dei consumatori e delle aziende.

«Questi rivestimenti migliorano la vita post-raccolta degli alimenti ortofrutticoli, che di solito “durano” pochi giorni», spiega Quartieri. «Com’è noto, il settore ortofrutticolo subisce grosse perdite lungo la filiera, dal campo alla tavola. Attraverso il progetto Too Good to Waste la nostra tecnologia, “allungando la vita” a frutta e verdura, permette di migliorare la gestione del prodotto fresco in modo da ridurre gli sprechi durante le fasi di lavorazione, stoccaggio, trasporto, vendita e infine consumo».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/09/too-good-to-waste/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Biodiversità e filiera agroalimentare, le nuove strategie dell’Unione Europea

Sono state ufficialmente lanciate la “Farm to Fork” e la “Strategia Europea per la Biodiversità al 2030”, che rappresentano un potenziale fattore di cambiamento per le politiche dell’Unione Europea in materia di natura e cibo e nella filiera agroalimentare. Un obiettivo da raggiungere attraverso una serie di azioni concrete come la riduzione dei prodotti chimici nell’agricoltura, la salvaguardia del 30% del territorio e dei mari, una sensibilizzazione sociale sulle criticità della produzione e del consumo eccessivo di carne (soprattutto in caso di allevamenti intensivi) e latticini. La pandemia ha portato con sé una scia di drammaticità che tuttora imperversa sul mondo intero. Ma il passato e l’attuale periodo di emergenza sanitaria, a molti, ha fatto comprendere ancora di più quanto sia stretto il rapporto fra uomo e natura. Anche in quest’ottica, la Commissione Europea si è adoperata per attuare delle politiche volte alla salvaguardia dell’ambiente: la prima mossa è stata la pubblicazione di una specifica tabella di marcia che impronterà l’azione politica dell’UE nei prossimi 10 anni in materia di biodiversità e di filiera agro-alimentare nell’ambito dell’European Green Deal. Come riportato in una nota del WWF, infatti, sono state lanciate il 20 maggio scorso la Strategia europea Farm to Fork (sulla filiera agroalimentare) e la Strategia Europea per la Biodiversità al 2030. Entrambe rappresentano un potenziale fattore di cambiamento per le politiche dell’Unione Europea in materia di natura e cibo e si articolano attraverso una serie di obiettivi e interventi virtuosi, come la riduzione dei prodotti chimici nell’agricoltura.

Gli obiettivi e le tempistiche

Uno dei primi passi che la Commissione Europea farà sarà quello di presentare il prossimo anno gli obiettivi vincolanti per il ripristino della natura dell’UE e di mirare alla salvaguardia del 30% del territorio e dei mari. Le operazioni in questione – che dovrebbero ultimarsi simbolicamente entro il 2030, come l’Agenda delle Nazioni Unite – sono sono alcune di quelle della Strategia per la biodiversità: «Il ripristino degli ecosistemi naturali – specifica il WWF – non solo contribuirà a risolvere la perdita di biodiversità, ma anche ad affrontare la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici e permetterà di creare società ed economie resilienti». Per mettere in pratica una progettualità di interventi che rispetti le tempistiche è naturalmente fondamentale un investimento: «I 20 miliardi di euro all’anno da spendere per la natura menzionati nella strategia – specifica la più grande organizzazione mondiale dedicata alla conservazione della natura – devono essere destinati ad azioni finalmente concrete».

Le strategie

La strategia Biodiversità 2030 e la Strategia europea Farm to Fork (sulla filiera agroalimentare) dovranno viaggiare sullo stesso binario e quindi dovranno essere portate avanti insieme. Per quale ragione? Perché l’agricoltura è la principale causa di perdita di biodiversità in Europa. «I nuovi obiettivi, concreti e misurabili, per le filiere agricolo-alimentari – precisa il WWF – dovranno essere recepiti dagli stati membri all’interno dei propri piani nazionali per la PAC post 2020». L’organizzazione mondiale dedicata alla conservazione della natura evidenzia anche una criticità, ovvero come la Farm to Fork non affronti opportunamente le criticità della produzione e del consumo eccessivo di carne e di latticini. In pratica, così non si cambia davvero il comportamento dei consumatori e la transizione dall’allevamento intensivo di animali, nonostante il WWF, insieme ad altre ONG e a molti eurodeputati, avesse posto sotto i riflettori questa problematica che riguarda la salute dell’uomo e gli animali. Nessuna apparente falla, invece, sull’annuncio di una normativa comunitaria – da definirsi nel 2021 – nella quale si vieta che prodotti associati alla deforestazione globale vengano immessi nei mercati dell’UE.

I commenti di Ester Asin e Andreas Baumüller

«La Commissione Europea – ha affermato Ester Asin, Direttore dell’Ufficio Policy del WWF in Europa – ha dimostrato di essere pronta ad imparare dalla crisi sanitaria, proponendo azioni che possono trasformare in un rapporto sano il nostro rapporto malato con la natura. Questo atteggiamento lungimirante deve essere confermato e ulteriormente rafforzato nel Recovery Plan (RP) europeo. Chiediamo che il 50% del RP sia dedicato alla spesa per il clima e l’ambiente al fine di ricostruire economie e società più forti e resilienti». Alle sue parole hanno fatto eco quelle di Andreas Baumüller, responsabile delle risorse naturali per l’Ufficio Policy Europeo del WWF: «La prossima sfida per Ursula Von der Leyen sarà quella di creare in un vero e proprio Green Deal europeo, sostenuto dagli Stati membri e pienamente attuato».

Articolo tratto da: Journal Cittadellarte

Russia, dopo gli embarghi boom del made in Italy “taroccato”

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Come ricordato da Vladimir Putin durante la sua visita all’Expo della scorsa settimana, lo stop alle esportazioni verso la Russia si sta rivelando un vero e proprio boomerang per l’Italia, con criticità non indifferenti per tutte quelle aziende che con il partner russo facevano affari. Con lo stop alle importazioni di frutta, verdura, salumi e formaggi dall’Italia, in Russia è letteralmente esploso il made in Italy “taroccato”, con la produzione casearia russa di formaggio che, nei primi quattro mesi del 2015, ha registrato un + 30% che riguarda anche le imitazioni di prodotti come mozzarella, robiola e grana padano. Nei supermercati di Mosca si possono dunque trovare le imitazioni dei cibi italiani, dalla mozzarella Casa Italia all’insalata Buona Italia, dalla mortadella Milano al parmesan, dalla scamorza al mascarpone. Il fenomeno non è soltanto russo: paesi come Svizzera, Beilorussia, Argentina e Brasile, non toccati dalle sanzioni, hanno aumentatole esportazioni di prodotti “taroccati” verso la Russia. E così, sulle tavole dei russi, si mangiano il Parmesan e il Reggianito prodotti in Brasile e Argentina. Il timore della filiera agroalimentare italiana è che, una volta revocate le sanzioni, sia difficile recuperare il posto che ai prodotti italiani spetterebbe di diritto sugli scaffali dei supermercati russi. Nel primo bimestre del 2015 le esportazioni si sono dimezzate, questo dopo che l’embargo iniziato il 6 agosto 2014 aveva già portato a un calo delle spedizioni di circa 100 milioni di euro.

Fonte:  Coldiretti

Energia rinnovabile dal “pastazzo” degli agrumi

Un impianto pilota ha dimostrato come sia possibile trasformare i rifiuti della filiera agroalimentare in una risorsa per le energie pulite. Che gli agrumi rappresentino una delle eccellenze della filiera agroalimentare italiana è risaputo, ma che anche i rifiuti e gli scarti umidi della loro trasformazione possano diventare un “tesoretto” energetico è una novità che negli ultimi giorni ha fatto il giro del web e di molti altri media. Perché i rifiuti della spremitura e della lavorazione degli agrumi costano alla filiera 10 milioni di euro all’anno, più o meno 30 euro a tonnellata. Il progetto “Energia dagli agrumi: un’opportunità per l’intera filiera” promosso dal distretto Agrumi di Sicilia con la collaborazione del Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente dell’Università di Catania e della Cooperativa Empedocle, e il finanziamento non condizionato di The Coca-Cola Foundation ha dimostrato come il cosiddetto “pastazzo” possa diventare energia pulita grazie a un impianto capace di sfruttare la digestione anaerobica per la produzione di energia elettrica, biometano, bioprodotti e nutrienti per il terreno. La produzione industriale di succo di agrumi lascia un residuo umido, il “pastazzo”, che rappresenta circa il 60% del quantitativo trattato e che in Italia ammonta a circa 340mila tonnellate all’anno. Fino a oggi veniva utilizzato come ammendante in agricoltura e, in minime quantità come mangime per animali, additivo per alimentazione umana o compost. L’esperimento pilota di Catania ha invece dimostrato come un piccolo impianto sia in grado di valorizzare il pastazzo degli agrumi e altri prodotti delle filiere agroalimentari come sansa, vinacce e pale di fichi d’India. L’obiettivo è di estendere il progetto all’intera Regione Sicilia: sarebbero sufficienti 20 impianti “digestori” per risolvere il problema dei residui agrumicoli dell’intera isola.161734222-586x395

Fonte: AdnKronos

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