Stop TTIP Italia: fermiamo il trattato transatlantico di partenariato Usa-Ue

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Cos’è il TTIP

Il TTIP è un trattato di liberalizzazione commerciale transatlantico con l’intento dichiarato di abbattere dazi e barriere non tariffarie tra Europa e Stati Uniti per la gran parte dei settori economici, rendendo il commercio più fluido tra le due sponde dell’oceano. Un trattato molto delicato, negoziato in segreto tra Commissione UE e Governo USA fino alla fine del 2014 quando la società civile ha richiesto sempre più trasparenza, che vuole costruire un mercato unico tra Europa e Stati Uniti le cui regole, caratteristiche e priorità attualmente determinate dai nostri Governi e sistemi democratici, verranno fortemente condizionate da organismi tecnici sovranazionali a partire dalle esigenze dei grandi gruppi transnazionali. Il Trattato infatti prevede l’introduzione di organismi tecnici potenzialmente molto potenti e fuori da ogni controllo da parte degli Stati e quindi dei cittadini. Il primo, un meccanismo di protezione degli investimenti: Investor-State Dispute Settlement (in sigla: ISDS; traducibile in italiano come Risoluzione delle controversie tra investitore e Stato) consentirebbe alle imprese europee o USA di chiedere compensazioni economiche agli opposti governi qualora democraticamente introducessero normative, anche importanti per i propri cittadini, che ledessero i loro interessi passati, presenti e futuri. Un meccanismo rischioso che, se accompagnato da una definizione degli standard meno stringente, potrebbe mettere in discussione diritti acquisiti nonostante le rassicurazioni delle istituzioni europee, secondo le quali gli stessi non verranno abbassati. Un esempio riguarda gli standard agroalimentari, considerato che nei testi negoziali europei viene ribadito il ruolo centrale del Codex Alimentarius, l’organismo che fissa gli standard di qualità alimentare, dai residui di pesticida nei piatti all’uso di Ogm. Spesso i criteri usati dal Codex per la qualità degli alimenti sono più permissivi di quelli europei, e ogni variazione più restrittiva potrebbe essere considerata “distorsiva del mercato” e per questo sanzionata. La mancanza poi nei documenti ufficiali di ogni riferimento esplicito al “Principio di precauzione” è un ulteriore elemento di preoccupazione. Un altro organismo di cui viene prevista l’introduzione è il Regulatory Cooperation Council: un organo dove esperti nominati della Commissione UE e del ministero USA competente valuterebbero l’impatto commerciale di regolamentazione nazionale, federale o comunitaria. A sua discrezione sarebbero ascoltati imprese, sindacati e società civile. A sua discrezione sarebbe valutato il rapporto costi/benefici di ogni misura e il livello di conciliazione e uniformità tra USA e UE da raggiungere, e quindi la loro effettiva introduzione o mantenimento. Un’assurdità antidemocratica che andrebbe bloccata il prima possibile.banner-ttip11-1024x324

Fermiamo il TTIP
Il TTIP è ad un passo dalla sua approvazione finale. Solo una forte pressione dal basso potrà far capire ai nostri governanti ed europarlamentari che le persone non lo vogliono. Ottobre sarà un mese cruciale. Cosa può fare ognuno di noi per fermare la stipula di questo trattato?

  1. Informarsi: le informazioni non mancano di certo in rete, sui giornali e sulle riviste. Non fermiamoci alla prima opinione, cerchiamo di capire con più letture cosa sta succedendo.
    2. Firmare la petizione. Potete farlo comodamente online su https://stop-ttip.org/it/firma/ma sullo stesso sito potete scaricare il modello cartaceo di raccolta firme da stampare. Se non siete pratici con il computer fatevi aiutare, non fermatevi alla prima difficoltà!
    3. Partecipare alla mobilitazione internazionale di ottobre 2015. Dal 10 al 16 ottobre in tutta Europa e negli Stati Uniti è stata indetta una settimana di mobilitazione, resta informato sulle manifestazioni che saranno annunciate a breve nella tua città.
    4. Discutere e diffondere con amici e conoscenti la tematica del TTIP.

Per approfondire
Ecco alcuni siti web dove approfondire la tematica:
http://stop-ttip-italia.net/
https://stop-ttip.org/it

Stop TTIP Italia

Fonte : italiachecambia.org

Cina, Pechino ferma le acciaierie che si sottraggono ai controlli ambientali

A causa del mancato rispetto delle norme anti-inquinamento e per il largo consumo energetico il governo centrale ha bloccato la fornitura elettrica alle acciaierie della provincia dell’Hebei:la maggiore produttrice di metallo al mondo con oltre 620 milioni di tonnellate l’anno (AsiaNews/Agenzie)382196

Il governo centrale cinese ha ordinato la chiusura di 18 industrie dell’acciaio nella provincia settentrionale dell’Hebei, che dovranno interrompere la produzione per almeno un mese. Le acciaierie chiuse sono quelle che si sottraggono ai controlli statali per la protezione dell’ambiente e il risparmio energetico; la decisione di Pechino è stata presa di imperio dato l’altissimo livello di inquinamento locale e i tassi fuori controllo di consumo di energia elettrica. Lo riporta il China Securities Journal. La provincia dell’Hebei è la maggiore produttrice di acciaio di tutto il mondo: nel corso di quest’anno dovrebbe arrivare al record di 620 milioni di tonnellate. Il distretto di Wuan, quello in cui si trovano le 18 fabbriche chiuse, lo scorso anno ha prodotto da solo 20 milioni di tonnellate. Tuttavia, nel provvedimento non sono previste le strutture della Hebei Steel Group, il maggior produttore nazionale. All’inizio della scorsa settimana, le autorità hanno imposto il taglio del 20% della fornitura elettrica alle acciaierie: una mossa imposta dalla richiesta di Pechino di raggiungere gli obiettivi di risparmio energetico nazionali. La stessa sorte è capitata a diverse acciaierie sparse per il Paese, comprese quelle delle provincia dello Shanxi, del Zhejiang e del Jiangsu: ad alcune di queste, l’energia è stata del tutto tagliata.

 

Fonte:  ecodallecitta.it

Stop a pesche e nettarine, l’Unaproa chiede di fermare la produzione

La campagna pesche e nettarine 2014 è già al collasso e i coltivatori per limitare i danni chiedono lo stop della produzione. Per l’Unione Nazionale tra le Organizzazioni dei Produttori Ortofrutticoli, Agrumari e di frutta in guscio è giunto il momento di fermare la produzione di pesche e nettarine poiché quest’anno il crollo dei prezzi, inferiori anche del 40%, sta portando al collasso l’intero comparto. Una caduta così vertiginosa che la stessa Unaproa stenta a credere dovuta probabilmente, dicono gli esperti a una serie di concause tra cui poco consumo di frutta, cambiamenti climatici, forte deperibilità che non consente lo stoccaggio. Il settore pesche e nettarine è considerato particolarmente strategico con oltre 1,5 milioni di tonnellate di produzione il che ci pone come leader europei nella peschicoltura che si sviluppa dal Nord al Sud della Penisola e che coinvolge diverse regioni italiane. In questo settore sono state adottate molte innovazioni che vanno dalla tracciabilità alla lotta integrata il che ci fa portare sulla tavola pesche e nettarine italiane di elevata qualità. Ma tanta qualità in pesche e nettarine non riceve adeguato compenso, sono pagate pochissime sul campo all’agricoltore, anche se poi al supermercato le troviamo a prezzo elevato senza risparmio per il consumatore. Il presidente Unaproa Ambrogio De Ponti va giù duro e dice:

Facciamo fronte comune assieme a Spagna, Francia e Grecia e sospendiamo la produzione di pesche. Serve un gesto shock provocatorio per far sì che vengano finalmente puntati i riflettori sul settore e si colga la reale entità del problema. Chiediamo che vengano definiti a livello europeo, per il tramite del nostro Ministero delle Politiche Agricole e Forestali dei costi di produzione al di sotto dei quali il prezzo pagato ai produttori non possa scendere. È una misura che innanzitutto si appella a una regola etica di rispetto del lavoro, un imperativo morale che impone che sia interrotto il cortocircuito di incompatibilità tra i costi di produzione e quanto riconosciuto dagli acquirenti. I Paesi importatori ci obbligano a produrre certificazioni su certificazioni, con un’incidenza notevole sui costi di produzione, senza garanzie sui prezzi per i coltivatori. Anzi, ben prima della stagione delle pesche, già a febbraio, eravamo a conoscenza di offerte al ribasso promosse dai distributori, non sostenibili.FRANCE-ECONOMY-TRADE

E veniamo alle proposte di Unaproa che suggerisce di equiparare il ritiro della parte residuale di prodotto alla stregua della beneficenza, ossia senza il cofinanziamento da parte dei produttori il che aiuterebbe a coprire i costi; la seconda proposta è più tecnica e prevede una sperimentazione di 2 anni con la creazione di un fondo di solidarietà a partire da subito usato per calmierare i prezzi. Dice De Ponti:

l’emergenza non è procrastinabile e l’aiuto serve adesso. Inoltre, considerati i costi di produzione inferiori negli altri Paesi esportatori – si parla di circa un 50% in meno per quanto riguarda la Grecia e di un 30% in meno per la Spagna- chiediamo al nostro Ministro dell’Agricoltura un aiuto concreto per poter essere realmente competitivi, a cominciare, per esempio, dal taglio dei costi contributivi e da una protezione, laddove c’è produzione locale italiana, del prodotto interno rispetto a quello estero. La posta in gioco non è di poco conto: è l’implosione stessa dell’intero settore delle drupacee, con i gravi riverberi economici e sociali che la cosa comporterebbe.

«Ci preme in questo contesto sottolineare una volta di più, – conclude Ambrogio De Ponti – prima ancora che come rappresentanti di categoria come cittadini, contribuenti ed elettori dell’Unione europea che, aldilà della crisi contingente, abbiamo l’obbligo di promuovere il consumo di frutta e verdura come incentivo economico-sociale, considerata la sua provata ricaduta benefica sulla salute degli europei e dunque il doppio (indiretto oltre che diretto) impatto positivo sull’economia Ue».

Fonte:  Unaproa

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