Coca Cola, distributori automatici di felicità?

Ci sono ragioni per credere in un mondo migliore! Ma…secondo voi, dovrebbe essere quello in cui non manca la Coca Cola? “Loro” vorrebbero che fosse così. E noi? Vogliamo permettere che una campagna pubblicitaria ci catturi l’anima e la leghi a un prodotto?coca_cola_hugme

Con il sistema della candid camera (ormai molto noto al consumatore) sono stati realizzati diversi spot della Coca Cola. A dimostrare come la nota bibita sia famosa in tutto il mondo e non conosca ormai confini, gli spot sono girati in Brasile, Turchia, Gran Bretagna, Svezia e altri paesi ancora. Ma vediamo le conseguenze palesi e… quelle più sottili. Un distributore automatico distribuisce felicità. Il titolo del video è proprio “happiness vending machine” e dopo che il consumatore di turno ha inserito la moneta per prendere una lattina, il distributore continua a regalare bottigliette a ripetizione scatenando sempre le stesse reazioni, in ogni paese e in ogni contesto: sorpresa prima, ilarità, divertimento, sorrisi, risate poi. Insomma voglia di condividere quell’esperienza con gli altri che assistono alla scena. La distribuzione non si limita alle bottigliette di Coca Cola ma prevede anche altri oggetti, gadget, peluche, panini e dolci. Ogni volta una sorpresa diversa. Tra i titoli di testa e di coda del video appaiono: “abbiamo voluto condividere un po’ di felicità” o ” dove colpirà ancora la felicità?”. E così, nella stessa serie e con le stesse modalità, abbiamo la macchina distributrice di abbracci, la macchina dell’amicizia, la macchina dell’amore. La gente che passa non sembra tanto stupita, sta al gioco: se la macchina dice “hug me” chi passa non ci pensa due volte ad abbracciarla. E così per la macchina dell’amicizia, che serve per fare gruppo con chi è vicino e farsi nuovi amici, proprio grazie all’opportunità offerta da questa iniziativa. Come si può vedere dai video, sembra un bel gioco, è divertente, ci si guadagna un bel po’ di coca da bere (quei 250 ml di felicità gratis) e non ci si fa caso più di tanto. Ormai siamo abituati a vedere di tutto. E vedere un distributore automatico di abbracci e felicità non ci sconvolge più di tanto. Tutto si può comprare: felicità, abbracci, sorrisi, amicizia, amore. O, meglio, si può comprare quell’illusione o riuscire ad averne un po’ gratis. Si tratta di pubblicità davvero emozionanti, ben fatte, ben sceneggiate, ben ideate e realizzate. Non c’è solo la serie dei distributori automatici di emozioni ma anche le storie sulla famiglia, sul primo bacio, il primo appuntamento, il rapporto con i figli… Ve ne segnalo alcune qui di seguito:

ARGENTINA

IN UNA SCUOLA

IN UN CAMPUS

Eppure, quanto più la pubblicità è bella o “ben fatta”, tanto più è responsabile, per non dire colpevole. Quanto più sa farci emozionare (e ci riesce: alcuni video sono davvero belli e pensato per farci rivivere le emozioni e i sentimenti più profondi e intimi), tanto più è aggressiva e ci inganna. Non dovrebbe essere permesso associare un prodotto commerciale alle nostre emozioni più personali, non dovrebbe essere ammesso superare il limite oltre il quale siamo vulnerabili, inconsapevoli, indifesi, ignari perché la nostra attenzione è totale e la nostra emozione è coinvolgente al punto da non farci rendere conto di cosa sta succedendo. Quanto più una pubblicità è bella tanto meno è innocente. E a maggior ragione se si tratta di prodotti dannosi per la nostra salute e per la salute dell’ambiente. Ma di questo ci dimentichiamo facilmente o sottovalutiamo la cosa. Meglio ancora, spesso non conosciamo affatto cosa ci sia dietro certe aziende e quali siano i numeri e le caratteristiche reali di quei prodotti: quanto costi produrli, cosa contengano, quali devastazioni ci siano dietro di sistemi ambientali e di esseri viventi. Si tratta di una felicità e di un’emozione a buon mercato, facile da trovare, da provare, effimera e superficiale. Ma in un mondo di persone infelici, depresse e insoddisfatte questo linguaggio è pronto per essere ascoltato. In questa pubblicità “la macchina dell’amicizia”, in Brasile, vengono riportate alcune cifre sui risultati prodotti da quell’iniziativa spot. Sono i seguenti:

-7 paesi coinvolti

-800 bottiglie di Coca Cola vendute in 9 ore per distributore

-un incremento del 1075% nella vendita di Coca Cola (rispetto a un normale distributore automatico)

-migliaia di commenti su blog e social network in tutto il mondo

-La notizia rilanciata su migliaia di giornali (con conseguente altra pubblicità)

Ma il risultato più importante, aggiunge lo spot, è che ti sei fatto dei nuovi amici!

Insomma, Coca Cola lo sa che la cosa più importante è che tu ti sia fatto dei nuovi amici. E’ proprio quell’autentica emozione che le interessa. Ci tiene sul serio. Perché è all’emozione genuina che l’azienda potrà associare il suo prodotto. Che sia l’euforia dell’amore, il sorriso e il calore dell’abbraccio, la sensazione di condivisione dell’amicizia, il ricordo del primo bacio, la tenerezza della ninna insieme al nostro bambino appena nato… non importa. Basta che la nostra emozione sia umana, vera, autentica, pulita, profonda. Ed è sufficiente perché la associamo, quella volta e per sempre affezionati, al prodotto da acquistare. Che lo si voglia oppure no, che se ne sia consapevoli oppure no. Hai voglia di far ragionare le emozioni, il cuore, la memoria, le sensazioni. Non c’è verso. Neppure davanti all’evidenza. A una mia conoscente fedele bevitrice di questa bibita e mentre suo figlio ne beveva una lattina, facevo notare gli effetti sui bambini, le sostanze che contiene, la devastazione in alcune zone del pianeta conseguenti alla sua produzione. La sua risposta: ma io la bevo da quando ero bambina e sono qui. E poi – ha aggiunto con un sorriso di felicità a quel ricordo – è talmente buona!

QUI la protesta contro Coca Cola in Colombia

QUI Boycott Coca Cola

Fonte: ilcambiamento.it

Stefania Rossini: «Autoproduzione e decrescita. Il bilancio di questi 4 anni? Ho scelto la felicità»

«Ho scelto la felicità e, dopo 4 anni, posso dire di avere fatto non solo la scelta giusta, ma l’unica possibile per me e la mia vita». Stefania Rossini dal 2010 autoproduce tutto quanto può, risparmia, ricicla, recupera, ha abbattuto drasticamente i costi per la sua numerosa famiglia che, oltre a lei, conta il marito e tre figli di 5, 7 e 12 anni.stefaniarossini

L’avevamo lasciata nel 2012,ai tempi dell’intervista sul suo libro, “Vivere in 5 con 5 euro al giorno”, che suscitò interesse e scalpore e che le procurò anche non poche critiche. La ritroviamo oggi, più positiva che mai, più felice che mai. A riprova che la sua scelta, maturata quattro anni or sono quando ha perso il lavoro e ha dovuto reinventarsi, è stata azzeccata.

«La vita è dura, non posso negarlo, ma questa strada l’ho scelta io e sono felice, una felicità che è stata confermata ogni minuto di questi quattro anni. Era l’unica scelta possibile per me e per la mia vita – dice Stefania – non è facile assumersi tante responsabilità, delle proprie azioni e delle proprie idee. Intorno a noi ormai vediamo burattini che si muovono agli ordini di altri, pecore che seguono un padrone. Io non ho più voluto essere così. Pensavo che la felicità fosse 100, io sono arrivata a 10 milioni e non è ancora finita».

Ma cosa fa Stefania di tanto speciale?

Ha ripensato il suo modo di vivere in virtù del fare piuttosto che del comprare, dell’essere al posto dell’avere e ha recuperato una dimensione che era quella dei nonni. Ha recuperato ricette e antichi saperi per fare in casa tutto quanto possibile: detersivi, creme per viso e corpo, detergenti per la casa e la persona, vestiti, accessori. Sul suo blog fornisce anche innumerevoli indicazioni: natural-mente-stefy.

«Ogni giorno cerco di imparare qualcosa di nuovo e mi disinteresso completamente delle tante cattiverie che ancora parecchia gente mi indirizza, per me quelle persone sono morte dentro. Io voglio allevare i miei figli come adulti consapevoli che non si affidino agli altri per prendere una decisione e per trovare la loro strada. Cerchiamo di insegnare loro ad essere autonomi, a ragionare con la loro testa, a fare esperienze pratiche e a trovare le loro risposte. Aprendo la mente si vedono tante strade e opportunità, anche gli ostacoli si trasformano in opportunità di crescita».

E lancia un appello: «Non cercate risposte altrove o lontano, dovete porre le domande giuste a voi stessi. Ciascuno di noi ha mille potenzialità, dobbiamo smetterla di sottovalutarci».

Il bello di Stefania è che non ha una giornata tipo. «Non ho schemi, mi preparo una lista di cose da fare ogni giorno, mi gestisco in base alle esigenze mie e della mia famiglia. L’unico appuntamento fisso è per portare i bambini a scuola e andare a riprenderli. Non sono riuscita a fare il passo della scuola parentale, anche se mi sarebbe piaciuto perché non condivido l’impostazione della scuola di oggi. Ma è anche vero che l’aspetto della relazione con i coetanei è molto importante».

Stefania si gestisce senza capi e senza ordini, «come anche i bambini» dice. «Voglio assaporare ogni momento di questa vita perché il tempo non torna. Noi siamo uniti, facciamo tutto quanto possiamo in casa e ogni giorno è una sorpresa».

Il marito è invece impegnato dalla mattina alla sera nell’azienda metalmeccanica dove lavora. «Abbiamo ritmi e tipi di vita molto diversi­ – spiega ancora Stefania – c’è disparità fra la mia vita e la sua, lo so, ma la società italiana non ci permette di fare altrimenti purtroppo. In Italia si rischia sempre di essere schiavi del sistema. Accettiamo i compromessi perché a volte non si può fare altro, ma sono comunque contenta dei grandi passi di consapevolezza che abbiamo compiuto».

 

A breve Stefania avvierà anche un bed&breakfast, all’inizio con pochi posti, per farne un’attività sostenibile e compatibile con gli impegni familiari.

Fonte: ilcambiamento.it

Il 1978 è stato l’anno più felice per l’umanità

Sulla base dell’indicatore di vero progresso (GPI) una ricerca di economisti ecologici mostra che dopo gli anni ’70 è aumentato il PIL, ma non la qualità della vitaGPI-commentato-586x316

Secondo uno studio anglo-americano-australiano pubblicato su Ecological Economicsil migliore anno della nostra vita è stato il 1978, e mi dispiace per voi se non eravate ancora nati (personalmente sono grato per averlo vissuto, e alla grande …). I ricercatori hanno confrontato la consueta misura del PIL in cui tutte le attività economiche vengono sommate alla rinfusa, con il più rigoroso GPI (Genuine Progress Indicator), in cui alle singole attività  viene assegnato un segno più o un segno meno in base al fatto che esse aumentino o diminuiscano la qualità della nostra vita. Hanno ad esempio un segno meno il comparto degli armamenti, le spese processuali, il crimine, le spese sanitarie per inquinamento, le ore perse nel traffico, gli interventi di bonifica ambientale. Tutte queste attività non vengono sommate, ma sottratte dal PIL. Hanno invece un segno più attività normalmente non considerate perché non retribuite come la cura dei parenti o il volontariato.

I ricercatori hanno analizzato il GPI di ben 17 nazioni che rappresentano il 53% della popolazione mondiale e il 59% del PIL. Mentre quest’ultimo è in crescita costante a partire dagli anni ‘50, il GPI pro capite è aumentato fin verso la fine degli anni ‘70 per poi lentamente diminuire. L’anno del picco è stato appunto il 1978, più o meno nello stesso periodo in cui l’impronta ecologica ha superato la biocapacità del pianeta.

In pratica, nonostante le grandi innovazioni tecnologiche degli ultimi 40 anni,i costi ambientali e sociali hanno superato la crescita della ricchezza monetaria. Afferma Robert Costanza, uno degli autori:

“Non stiamo realizzando profitto sociale. In particolare, le crescenti diseguaglianze di reddito e il degrado ambientale sono i maggiori fattori che spingono il GPI verso il basso.”

Secondo i ricercatori il GPI pro capite cresce fino a che il PIL pro capite arriva a 7000 $ all’anno ($ 2005), dopo di che inizia leggermente a scendere. Detto altrimenti la ricchezza ulteriore non ci fa vivere meglio. Il GPI non è certo un indicatore perfetto, ma sicuramente è un’approssimazione assai migliore rispetto al PIL. Lo stato del Maryland ha iniziato a tenere in considerazione il GPI nella sua attività di pianificazione economica ed altri stati USA ci stanno pensando. Potrebbe esse l’inizio della fine dell’assurda dittatura del PIL.

Fonte: ecoblog