La Bargazzina, l’azienda dei contadini scienziati che promuovono la cultura delle piante – Piccoli produttori #5

Non si può fare tutto e subito, ci vuole tempo. È una delle principali lezioni che la natura ha trasmesso ad Arianna, chimica e imprenditrice che insieme al compagno Paolo ha dato vita a La Bargazzina, azienda agricola e fattoria didattica impegnata a portare la conoscenza del mondo delle piante ad un numero sempre più alto di persone. Vi presentiamo i protagonisti del quinto episodio di Forza della Natura, la docu-serie dedicata ai piccoli produttori resistenti ai tempi del Covid-19. Arianna, imprenditrice agricola, chimica ma soprattutto montanara ha sentito un forte richiamo a tornare a coltivare i campi di famiglia sotto gli occhi vigili dei nonni. Sull’Appennino, dove si trova la sua azienda agricola La Bargazzina, tutto è iniziato insieme al suo compagno Paolo, senza troppi mezzi, ma con tantissima voglia di fare. Con il tempo, un po’ di esperienza in più e l’acquisto di nuovi strumenti, Arianna ha deciso di intraprendere anche la  strada del vivaio. In questo modo ha potuto continuare ad osservare i complessi meccanismi che regolano il mondo delle piante e che per ora rimangono estremamente complicati da comprendere, anche per un occhio esperto come il suo. Una delle cose che più la affascina è il potere del seme, che ha una forza sconosciuta, ma senza la quale non ci sarebbe la pianta, la vita.

Presto La Bargazzina aprirà al pubblico anche un giardino officinale, dove poter far conoscere le piante ai clienti e condividere la conoscenza acquisita nello stare a contatto con questo mondo. Spesso, infatti, siamo spaventati dall’idea di acquistare una piantina per il timore di non sapere come trattarla una volta arrivati a casa; una delle missioni di Arianna è quella di educare, adulti e bambini, a trecentosessanta gradi – per questo è attiva anche una fattoria didattica. Oltre a questa iniziativa, a breve ci sarà anche un’evoluzione nel senso della creazione di un laboratorio di trasformazione delle piante officinali, finanziato dal Piano di Sviluppo Rurale. Questa grande voglia di fare che traspare dalle parole di Arianna è dovuta al fatto che La Bargazzina è un posto per contadini che alla fine sono anche un po’ scienziati, che non si stancano mai di cercare nuove strade per portare la loro conoscenza e la loro esperienza ad un pubblico sempre più ampio e ad un livello sempre più alto. Le misure restrittive imposte dall’emergenza Covid-19 hanno fatto avvicinare le persone all’Appennino (e alla natura in generale) e, per fortuna, non hanno fatto stravolgere completamente i ritmi dell’Azienda Agricola di Arianna e Paolo. Anzi, l’emergenza dovuta alla pandemia gli ha permesso di essere ancora più consapevoli della loro fortuna: poter svolgere quotidianamente il loro lavoro trascorrendo le giornate in mezzo ai campi con una rinnovata gioia nel portare avanti il loro progetto. La paura di dover lasciare indietro alcune parti dell’azienda, come il vivaio, è stata superata anche grazie alla possibilità di fare le consegne a domicilio.


Arianna, imprenditrice agricola

Arianna ha capito, nel corso della sua (breve) esperienza, che nella vita non riuscirebbe ad immaginarsi da nessun’altra parte se non nella natura, che le ha insegnato anche un’importante lezione, tra le tante: non si può fare tutto e subito, ci vuole tempo. Una pioggia o una nevicata improvvisa possono causare uno stop inaspettato, non si riesce mai ad avere tutto sotto controllo e una programmazione precisa del futuro è impossibile perché tutto dipende dalla Natura, dal meteo e dal gioco di forze continuo che il mondo mette in scena quotidianamente. Questa incertezza, però, è controbilanciata dalla gioia che Arianna prova quando vede sbocciare un fiore subito dopo una gelata importante, perché la Natura è anche sorpresa e improvvisazione. Il futuro è fonte di paura per Arianna, certo, ma non troppa. Una paura che alla fine non riesce a superare la felicità di poter fare ciò che più ama e che la rende felice: inseguire i propri sogni, a fianco del suo compagno Paolo e immersa nella Natura.

Forza della natura, una docu-serie di LUMA video, racconta le storie di piccole attività agroalimentari che durante il periodo difficile dovuto al Covid-19 non si sono mai fermate. Vuole dare voce a chi ha continuato a portare avanti la propria attività a testa alta, dimostrando l’importanza di coltivare il nostro presente e il nostro futuro. Per saperne di piùclicca qui e leggi tutti gli articoli.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/09/bargazzina-azienda-contadini-scienziati-promuovono-cultura-piante-piccoli-produttori-5/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Il Pozzo: la fattoria didattica che avvicina i bambini al mondo agricolo

La Fattoria didattica il Pozzo è da sempre un’azienda al femminile, organizzata e condotta a Buttigliera d’Asti dalla sua titolare Maria Francesca Lovisolo. Offre a bambini, ragazzi e adulti l’opportunità di fare esperienza avvicinandosi alla vita agricola e all’allevamento delle pecore, per insegnare attraverso un approccio etico il rispetto degli animali, della terra, dell’ambiente e dello scandirsi delle stagioni.

«Fare didattica significa, per me, trasmettere le conoscenze che ho appreso negli anni. Dal momento in cui ho compreso che educare rappresenta l’atto più rivoluzionario che potessi utilizzare per dare il mio contributo per un futuro migliore, ho lavorato, perfezionato e studiato “come” educare». Con queste parole si racconta Maria Francesca Lovisolo, da tutti conosciuta come Mimma, titolare dell’azienda agricola zootecnica e fattoria didattico-pedagogica Il Pozzo, situata sulle colline di Buttigliera d’Asti, non molto lontano da Torino. Invece di iscriversi all’università Mimma ha scelto di seguire il richiamo della terra, dell’irrinunciabile contatto con gli animali, le piante e la natura nella sua totalità. «In questi 42 anni ho permesso alla vita e alla natura di dialogare nel profondo con me stessa. Ho dedicato il mio lavoro iniziale alle piante e ai boschi, grazie agli insegnamenti di mio padre che di professione faceva il fitovirologo e che mi ha trasmesso da sempre la conoscenza del mondo vegetale. Successivamente ho costituito un’azienda agricola e mi sono dedicata all’allevamento di 170 pecore di razza Biellese, accompagnandole tra i pascoli in collina e gli alpeggi nelle montagne piemontesi».

Quando Mimma si è trasferita a Buttigliera d’Asti ha dato vita alla sua azienda partendo da zero in un contesto in cui, nonostante esistesse una legge per l’insediamento dei giovani in agricoltura, c’erano pochi fondi a disposizione. «Nella mia vita ho studiato e imparato facendo. All’inizio della mia attività, negli anni ’80, non c’erano veterinari “esperti di pecore”, nessun pastore si sarebbe mai potuto permettere di pagare una parcella pari al valore dell’animale che voleva curare. Così ho iniziato a sperimentare per loro le cure naturali e omeopatiche che già conoscevo. Mi sono dedicata a lavorare la terra, riconoscendo la centralità di quel metodo oggi chiamato “agricoltura biologica” che all’epoca non era ancora normato e riconosciuto».

Così si è rimboccata le maniche e ha dato vita alla sua azienda agricola che da anni rappresenta un luogo caratterizzato da un meraviglioso rapporto di delicati equilibri tra gli esseri viventi. Alla fattoria Il Pozzo si svolgono corsi e momenti esperienziali per le scuole di ogni ordine e grado e si coinvolgono gli adulti prediligendo argomenti su richiesta come nel caso delle piante officinali e di quelle alimurgiche, oppure su argomenti come la lavorazione della lana o il feltro.

È attualmente attivo un progetto estivo per bambini dai 6 ai 12 anni dal nome “Estate in Fattoria” in cui un piccolo gruppo condivide una settimana alla scoperta di questo luogo, e si occupa delle esigenze degli animali seguendone i propri ritmi. Come ci confida, «in generale prediligiamo organizzare piccoli gruppi: come potrei insegnare un rapporto rispettoso per la natura e gli animali se coinvolgessi gruppi troppo numerosi?»

Oltre alle pecore, nella fattoria sono presenti due asine, un cavallo, quasi 50 galline, due cani, i gatti e le api, che sono sotto la costante cura del suo compagno di vita, che all’interno dell’azienda si dedica anche alla gestione degli orti e dei macchinari».

Nella fattoria Mimma insegna ai giovani a portare le pecore al pascolo e a vigilare sulla loro sicurezza, a prendersi cura delle asine imparando ad avvicinarle e provvedere alle mansioni che le riguardano. Si svolgono piccoli lavori nel pollaio, nel rispetto delle abitudini delle galline, come raccogliere le uova e preparare i secchi con i cereali per il loro nutrimento. Poi si gioca, in natura, in compagnia, all’aperto. E lo splendido contesto in cui si inserisce la fattoria didattica rende tutto questo estremamente facile. Nei suoi pressi si estendono pascoli e prati in cui Mimma lavora il fieno, boschi, orti e campi in cui si coltivano ortaggi come aglio, cipolle scalogni, piante da frutto e officinali ed inoltre è presente uno stagno, regno di biodiversità vegetale e animale. Come ci spiega, «il pilastro del messaggio educativo è che gli animali che vivono in questo minuscolo angolo di mondo hanno diritto al rispetto. Noi dobbiamo imparare ad avvicinarli, a prenderci cura di loro nella misura in cui loro lo necessitano e non come noi pretendiamo. Alla fattoria lavoro a fondo sul rapporto essere umano-essere animale: faccio sperimentare ai bambini, ai ragazzi, agli adulti e in alcuni casi alle persone portatrici di disagio psichico tutto ciò che trasmettiamo agli animali, per ragionare insieme su quale sia il modo migliore per interagire con loro».

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/09/pozzo-fattoria-didattica-avvicina-bambini-mondo-agricolo/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Gino, falegname dei bambini: manualità e poesia

C’è una falegnameria per bambini che si trova nella fattoria didattica I Campi, a Vernasca, in provincia di Piacenza, ma si tratta di un vero e proprio laboratorio in movimento che viene realizzato anche in molte scuole del Piemonte e della Val d’Aosta. I laboratori nascono 21 anni fa da un’idea di Gino Chabod. Che abbiamo intervistato.9438-10176

«In questi anni ho cercato – dice Gino Chabod – di trasmettere, attraverso il lavoro manuale,  conoscenze e valori che si stanno lentamente perdendo. Non si tratta, però, solo di questo ma di molto di più. Il ritorno alla manualità, infatti, favorisce equilibrio, immaginazione, fiducia in se stessi e una diversa visione delle cose e delle nostre possibilità. A tutte le età. Trasmettere i saperi essenziali ai giovani è fondamentale per trovare una risposta a molti dei problemi che la nostra società deve affrontare».

Lei è un falegname professionista. Ci racconta la sua storia? Quando e come ha iniziato a lavorare il legno?

La mia famiglia arriva dalla Valsavarenche, nel cuore del parco del Gran Paradiso, in Valle d’Aosta e il legno come la manualità in genere e il rapporto con la terra, sono, e sopratutto erano, il linguaggio prevalente. Ma se ho fatto il falegname e non solo, è per la straordinaria lezione di civiltà che il villaggio di montagna ci può regalare. Ho avuto la fortuna di affacciarmi sul mondo tradizionale contadino-montanaro al suo ultimo tramonto, dopo secoli di grande vitalità. Emotivamente, sono partito da un’identità collettiva in cui muoiono le persone singole ma continua la vita. E’ un concetto molto importante che l’isterica e schizofrenica società moderna ci ha sottratto, forse per sempre. E’ anche la dimensione umana delle cose, i ritmi delle stagioni, il sapere che si tramanda lasciando che gli anziani continuino ad avere un ruolo, le radici di alberi secolari, la natura madre ma anche matrigna. Ricordo il profumo dei salici che mio padre intrecciava, del legno che scolpiva, della resina dei larici che gli uomini del villaggio, nell’aiuto reciproco dell’organizzazione del lavoro, tagliavano nell’ultima settimana di luna calante di dicembre per farne travi di tetti o pavimenti di stalle. Non ho mai pensato di cercarmi un lavoro, ho da sempre avuto chiaro che volevo trasmettere con la mia testimonianza queste cose. Quando, dopo la maturità, ho fatto il corso da casaro e sono andato in alpeggio per imparare a fare la fontina, pensando ad un gruppo di giovani che potevano fare quell’attività, ho capito che quel mondo tradizionale aveva troppe rigidità e chiusure per sopravvivere all’impatto con il nuovo. E così per decenni ho cercato di imparare quante più cose possibili di quella grandiosa esperienza del saper fare che si stava spegnendo. Per questo non ho fatto l’università. Tra i miei ricordi più belli, c’è mio nonno ottantaduenne che, non più capace di reggersi in piedi, toglieva le patate con la zappa, in ginocchio e così, in ginocchio, le puliva dalla terra ancora troppo umida una ad una, con le sue mani ruvide, lentamente, con la massima attenzione, quasi a sottolineare la sacralità di quel gesto e a ringraziare quella terra che ancora gli aveva dato i suoi frutti. Dopo di loro, rimane solo il vento a muovere qualcosa. Sta a noi, generazione di mezzo, sopravvissuti al telerincoglionimento generalizzato, saper cogliere e mettere a frutto anche quella formidabile lezione di vita, trovando il giusto equilibrio tra vecchio e nuovo, tra valori universali ancestrali intramontabili e un sempre più necessario progetto di insieme di una società vivibile a misura d’uomo in alternativa alla follia di un mercato senza regole.. E’ quindi da sempre che lavoro il legno, ci sono nato, ma la stessa famigliarità, o meglio identità, è per il bestiame, i boschi, i pascoli, il letame, la terra e le sue risorse, le montagne.

Quando le è venuta l’idea che la falegnameria potesse essere proposta ai bambini? 

Circa 40 anni fa ho capito che bisognava riuscire a trasmettere ai bambini la passione per queste cose e ho cominciato a lavorare per attuare questo progetto. Ho fatto alcune esperienze gradualmente e poi ho impiegato circa 3 anni per immaginare e realizzare un’attrezzatura e dei processi che fossero il più possibili sicuri.

Può essere pericoloso maneggiare gli strumenti di falegnameria per i bambini?

No, è sufficiente fare una buona prevenzione a monte su attrezzi e processi. Si tratta anche di seguire la normativa del D. lgs. 81. In 21 anni di attività abbiamo ormai superato le 135.000 ore di lavoro effettuate dai bambini senza incidenti

A quali età si rivolge soprattutto? 

Dai 3 ai 12 anni circa

Nelle scuole una volta esistevano le Applicazioni Tecniche che oggi non ci sono più. Cosa si può fare per recuperare queste conoscenze nella scuola di oggi secondo lei?

Si dovrebbe prima formare gli insegnanti con percorsi molto diversi e per questo ci vuole tempo. Poi si dovrebbe andare a recuperare il saper fare che rischia di andare perso da chi ancora fa.

Perché secondo lei è necessario un ritorno alla manualità?

Perché manualità e conoscenza di un territorio sono il presupposto per riuscire ad immaginare qualcosa di diverso che non sia un mercato folle che uccide così tanto.

Quali sono secondo lei le ripercussioni positive di un ritorno alla manualità nella vita di tutti i giorni?

E’ un grande elemento di riequilibrio tra cultura universitaria e il fare. Le nuove generazioni si sentono sovente perdenti in partenza perché non riescono più a immaginare che possono fare, pensare ad un progetto di vita e poterlo realizzare e finiscono per rassegnarsi ai call center. Ad esempio gli artigiani danno per scontato di poter fare, di essere i protagonisti del loro lavoro. Gli universitari invece sono in genere come paralizzati all’idea di prendere una iniziativa propria lavorativa, si affidano a qualcuno, o peggio, di questi tempi poi, vanno ad elemosinare un posto di lavoro con la rassegnazione di chi pensa di non poter fare lui. Se è vero che il fare è almeno la metà del sapere dell’umanità, le nostre sono università monche. E poi ci sono tutti gli ambiti importanti della vita, dal costruirsi la propria casa (almeno nel gestirsi il cantiere), gli arredi, le manutenzioni, l’orto o un frutteto famigliare, giocare con i propri figli.

Manualità e pensiero. Secondo lei in che modo l’una influisce sull’altro?

Sono due cose completamente interconnesse, insieme, sono l’equilibrio, l’armonia delle energie.

Considerato che i bambini fin da piccolissimi sono ormai abituati al contatto con gli strumenti digitali (e quindi a far lavorare poco mani e creatività) qual è la loro reazione nei progetti che propone?

Si entusiasmano, come è naturale che facciano dei bimbi quando scoprono un linguaggio diverso e riescono a concretizzare. Basta fornire loro alcuni suggerimenti, giusto il necessario per consentirgli di raggiungere un risultato interessante senza che perdano la percezione di averlo fatto loro.

Quali sono gli obiettivi dei suoi corsi?

Far venir fuori una bella energia, offrire alle nuove generazioni la riscoperta del piacere del fare, del linguaggio della manualità, l’uso equilibrato dei 5 sensi nel contatto con gli elementi naturali, tenere aperte nuove vie di costruzione di un altro mondo possibile sostenendo un sano spirito imprenditoriale che rimetta l’uomo al centro di uno sviluppo sostenibile. L’obiettivo è, inoltre, far nascere sul piano emotivo dei bambini passioni per mestieri nobili, riequilibrare la dimensione del virtuale, mediatico ed internet, con la riscoperta del territorio, del senso della realtà e del bene collettivo.

Come si fa a partecipare?

Stiamo partendo con 2 laboratori a Milano per la stagione invernale, uno nel progetto Artepassante al passante ferroviario di porta Vittoria e uno per il periodo natalizio a Teatro. Poi da marzo ad ottobre alla fattoria didattica “I Campi”  a Vernasca (PC). Imminenti i dettagli sul sito .

“Ci sono poeti che non parlano, non scrivono, non suonano. Hanno calli duri come sassi, scuri in faccia, non prendono il sole per abbronzarsi, rendono fertile la terra, costruiscono case, utensili e oggetti di ogni tipo. Quando fanno questo con amore, poeti è dir troppo poco, non ho parole per dar loro un nome! Quel che si vede, per chi sa guardare, è grande come il senso pieno della vita. Né smene né giri di parole inutili, l’essenzialità e l’equilibrio della concretezza è la semplice risposta a come spendere bene i propri giorni. Custodi di un grande sapere vitale che vedono sempre più andare perso, il silenzio gli rimane nel vedere così tanti, correre dietro a gingilli luccicanti…

Non è morire che gli fa paura ma sentire che quel che sanno e quel che han fatto non serve o interessa più a nessuno. Quando gli alberi muoiono nella foresta, la vita continua ma se muore la foresta… è deserto

Gino Chabod, L’ultimo tramonto.

Fonte: ilcambiamento.it

 

Riconvertire un’azienda agricola? Si può. Ecco che nasce la fattoria sostenibile

Coltivazioni biologiche, spaccio interno, ortaggi tipici, progetti sociali e autocostruzione in paglia: un’intera fattoria sostenibile per la tutela della biodiversità e il rispetto dell’ambiente nelle campagne vicentine. È il progetto di Paolo Marostegan che ha riconvertito la storica azienda del padre con un’ottica ecologista di salvaguardia della Terra. Eccovi l’esperienza direttamente dalla voce del protagonista.alconfin1

Un’intera fattoria storica basata sulla produzione di latte vaccino con il metodo convenzionale viene riconvertita in azienda agricola biologica nel passaggio di gestione dal padre al figlio. Nel 2008 viene ufficialmente chiusa la ditta paterna dopo essere stata completamente assorbita nei terreni e nelle strutture dalla giovane azienda agricola biologica. A livello di garanzie viene assicurato un biologico al 100% in cui tutti i prodotti sono certificati da un ente riconosciuto dal ministero, sono etichettati e distinti tra la produzione propria e quella acquistata al mercato ortofrutticolo di Padova, dove esiste una cooperativa di agricoltori biologici socia dell’azienda. Oltre alla salvaguardia della salute delle persone data dalla promozione di un’alimentazione naturale, c’è anche un impegno verso la tutela dell’ambiente. Infatti in risposta al cambiamento climatico che è in corso, decisamente visibile nei campi, si stanno adottando dei metodi produttivi meno intensivi e più integrati, attraverso la messa a dimora di numerosi alberi, la policoltura e il poliallevamento. In fattoria è stato necessario aggiornarsi e aggiornare le produzioni per adattarsi al drastico cambio di rotta con cui tutti i contadini avranno a che fare nei prossimi decenni. Per adesso la produzione si basa su 103 varietà stagionali di ortaggi (con ortaggi tipici quali: “broccolo fiolaro” e “radicio da campo”), 7 varietà di cereali e, a livello di frutta, kiwi e fragole. Inoltre vengono allevati polli, capponi, faraone, tacchini, galline ovaiole, maiali e asini tenuti allo stato semibrado. L’azienda confeziona anche prodotti trasformati nel proprio laboratorio, come conserve, verdure pronte, marmellate, crauti, insaccati vari di maiale e macellazione di avicoli, mentre altri vengono trasformati presso terzi, ma con materie prime aziendali, per esempio con farine di frumento di una varietà vecchia e in disuso. «Il 96% del fatturato – inizia Paolo, titolare dell’azienda – deriva dalla vendita diretta al consumatore finale tramite lo spaccio aziendale, aperto nel 2003, (70%) o tramite l’e-commerce con le consegne a domicilio (30%). Poi riforniamo anche qualche piccola mensa scolastica e qualche Gas. La vendita è integrata da prodotti di produttori terzi locali e non, con cui siamo in rete (mele dalla Val di Non, miele locale, succhi di frutta locali, vino locale). Altri prodotti, ad esempio le banane, sono del commercio equo-solidale e comunque bio».  Oggi, però, si pone un problema nuovo: dato che attualmente i grossi produttori/distributori si sono messi a speculare sul biologico, è necessario capire da che cosa è data realmente la qualità del prodotto, ovvero quali sono le caratteristiche che contraddistinguono un vero produttore bio, che permettono all’utente di avere garanzie certe. «Dopo il servizio delle Iene – afferma Paolo – ho notato ancora una volta che c’è una gran confusione su che cos’è il biologico. Io dico sempre come premessa: l’alimento biologico non è un prodotto naturale e incontaminato. La legge europea del biologico definisce un “disciplinare di produzione” in cui sono previste sostanze che si possono usare e sostanze proibite nella coltivazione. Tuttavia il prodotto agricolo è ottenuto nel pianeta Terra con l’aria e l’acqua che normalmente ci sono. Il regolamento non prevede di piantare l’insalata a una distanza minima dalla statale o da un industria. Si danno solamente indicazioni precise su quali interventi e trattamenti sono ammessi o meno su quell’insalata. Pertanto tutto ciò che non avviene per mano diretta dell’agricoltore non è legiferato e, se non si adottano le opportune precauzioni, sono sempre possibili piccole contaminazioni. Ed è proprio a questo punto che entra in gioco l’etica. Il produttore che è arrivato all’agricoltura biologica tramite un percorso interiore ha compiuto delle scelte negli anni che lo proiettano verso un mondo e uno stile di vita molto più ampio. Pertanto, ad esempio, non andrà a piantare gli ortaggi nelle vicinanze di strade trafficate perché in prima persona non lo ritiene coerente. Di solito questi produttori aprono le loro aziende ai consumatori, ed essi possono toccare con mano come avviene la produzione. Nelle grandi imprese, in cui appunto il percorso interiore non è avvenuto, magari si limitano a seguire le indicazioni del disciplinare. Quindi ritengo che a fare la differenza tra un “alto biologico” e un “basso biologico” sia proprio la mente. Si badi bene che a questo punto è proprio il consumatore che sceglie come sia prodotta la sua insalata e che gestisce la sua “insicurezza alimentare”, scegliendo chi la produce. Sono quindi convinto che il consumatore che può guardare direttamente negli occhi il produttore abbia l’arma più forte che ci sia».  Attualmente l’azienda (http://www.alconfin.it/) occupa, oltre a Paolo e i suoi instancabili genitori, altri tre dipendenti a cui si affiancano per diversi mesi all’anno, stagisti e i ragazzi provenienti dai progetti della fattoria sociale. Quelli attualmente in corso sono rivolti ai giovani che nell’ambito agricolo stanno trovando un modo per crescere. Purtroppo sono molto limitati per il fatto che i servizi sociali non hanno più fondi.
«Abbiamo in corso per queste persone un inserimento lavorativo che dura da 6 anni – spiega Paolo – e possiamo proprio dire che l’affiancamento alle attività agricole permette a questi ragazzi di proseguire il loro percorso evolutivo con una certa serenità. Ci interessa anche avvicinare le persone alla terra perché la carenza di questo legame innato e silenziato crea secondo me numerosi problemi. A questo sono rivolti anche i progetti della fattoria didattica, che si intrecciano con l’aspetto sociale. I centri estivi e invernali, i sabati didattici e gli incontri informativi che ospitiamo, vengono incontro ai bisogni delle famiglie e cercano di supplire in parte alle carenze del servizio pubblico».
Infatti il punto fondamentale, sostiene Paolo, è «coinvolgere il più possibile le persone e le famiglie perché quello che è stato un po’ lasciato andare, a mio parere, è la coscienza alimentare. Oggi le persone mangiano fuori casa per uno o più pasti al giorno e di conseguenza la coscienza alimentare difficilmente può essere coltivata, ma noi ci ricarichiamo con quello che mangiamo e ogni forchettata è intrisa di: salute o malattia, storia e tradizione o multinazionali, reddito o speculazioni, petrolio per la produzione-lavorazione-distribuzione, biodiversità o omologazione, piccoli produttori di aree marginali o aziende agroindustriali, rispetto dell’ambiente o rispetto del bilancio aziendale ecc.».
Pertanto l’azienda organizza due volte all’anno l’iniziativa “Fattoria aperta” in cui le persone fanno una passeggiata guidata tra i campi. Poi si cerca di tenere vivo l’interesse con serate a tema, eventi organizzati in fattoria come il solstizio d’inverno, “brusa la vecia” (evento della tradizione contadina durante la quale diamo fuoco a delle ramaglie) agli inizi dell’anno o lunghe passeggiate invernali a passo d’asino. Sono anche in programma dei corsi per hobbisti su l’orticoltura familiare domestica e l’allevamento familiare domestico tenuti da Paolo. Tuttavia ormai ci siamo allontanati dalla dimensione di vita nella natura, la scelta di un ritorno spaventa ed è un’incognita per le persone cresciute in un ambiente artificiale. Nonostante questo, a livello di reazioni indicative – spiega Paolo – «i bambini sono coloro che meno dimostrano un impatto significativo nel rapportarsi con l’ambiente naturale della fattoria. Per loro è infatti un approccio spontaneo dettato dalla curiosità, dalla voglia e necessità di sperimentare e conoscere ciò che li circonda, nonché dal voler essere protagonisti attivi della loro quotidianità». Infatti gli stimoli educativi e didattici in una struttura quale la fattoria, risultano essere numerosi e dinamici in quanto in costante evoluzione e connessione con tutti i fattori che nella fattoria stessa interagiscono. Questo ha permesso di creare percorsi educativi e di divertimento in costante evoluzione incontrando l’interesse dei bambini e degli adulti. «Attualmente – spiega Paolo – sono in corso i “sabati didattici”: i bimbi che sono a casa da scuola il sabato mattina vengono in fattoria e svolgono i compiti per casa in uno-due ore e poi si divertono in laboratori di falegnameria, panificazione, eco addobbi natalizi ecc. Tali attività sono poi riproposte ai genitori in formato diverso. In programma ora abbiamo una serie di quattro serate in cui ogni serata vengono a parlare esperti di diverse metodologie pedagogiche: la scuola steineriana, la scuola del metodo Reggio Children, la scuola delle abilità umane di Podresca e la scuola Montessoriana. Capita però di parlare del ritorno alla terra e mi spavento molto quando vedo che maestre e insegnanti si preoccupano davanti a questo problema che invece per me è una ghiotta opportunità per riprendere in mano la propria vita, sfuggendo dagli standard e dalle impersonalità. Infatti da studente delle scuole medie e superiori ho sempre avuto un piccolo angolino di terra su cui mi cimentavo con la semina e la coltivazione di varie piante o provavo l’allevamento di qualche animale rurale; ho sempre preferito la campagna alla televisione!».
Inoltre cosa c’è di meglio che costruirsi la casa per prendere in mano la propria vita? Infatti il nuovo obiettivo della fattoria è realizzare una costruzione in paglia, legno, calce e argilla. «La mia esigenza iniziale – afferma Paolo – era che la casa doveva essere una costruzione che viene dalla terra e sulla terra ritorna. Quindi credo che una casa debba essere, se necessario, smontabile e che tutti i materiali debbono poter essere usati per costruirne una nuova o reinseriti nella filiera agricola. Ovviamente questo non è ancora interamente possibile, ad esempio negli impianti, ma possiamo avvicinarci molto. Aumentando l’efficienza dell’involucro si abbassa la quantità d’impianto necessaria».
La scelta della paglia è motivata dal fatto che si abbina facilmente a materiali completamente naturali ed è un sistema costruttivo economico e di rapida esecuzione.  «La struttura portante in legno, il tamponamento in paglia, l’intonaco di calce o terra cruda – spiega Paolo – creano un ambiente sano e piacevole da abitare, senza emissioni dannose per la salute, con una piacevole autoregolazione dell’umidità, una grande inerzia termica che significa bassi consumi energetici e quindi poche spese di gestione. La tecnica costruttiva è semplice, adatta anche all’autocostruzione e quindi l’intera famiglia, anche allargata, può adoperarsi per la costruzione della casa, che può figurativamente rappresentare la vita, la famiglia! Crediamo pure che agli occhi dei nostri figli vedere mamma e papà che si costruiscono la casa sia una radice piantata profondamente nella storia della loro vita, un legame che servirà loro anche quando avranno quarant’anni».
L’edificio in paglia ha elevate prestazione termiche e acustiche, raggiungibili nell’edilizia normale con innumerevoli accorgimenti e strati. Offre pure un comfort abitativo elevato. Rischia pure di essere più economica di una casa convenzionale di pari prestazioni. «Tutto questo – continua – lo abbiamo già visto nella parte completata che è la sala per le attività didattiche e sociali dell’azienda. Siamo molto soddisfatti del risultato, l’edificio risulta in classe A+, la sensazione di benessere che si prova entrando è notevole, gli utenti sono soddisfatti come noi e questo ci dà forza per proseguire. La casa vera e propria verrà costruita a partire da gennaio 2015 e sarà interamente realizzata senza cemento, anche nelle fondazioni. La struttura portante sarà di legno massiccio e quindi senza le colle. I tamponamenti in paglia saranno intonacati a calce e con la terra cruda. I serramenti saranno in legno, ogni materiale è stato scelto con criteri di ecologia e km 0, con un occhio ai costi e alla semplicità di realizzazione. Una vera sfida per noi!».

Fonte: ilcambiamento.it