Se la scuola è in crisi bisogna ripartire dalla famiglia

La famiglia è la chiave di volta del sistema dell’educazione, dell’apprendimento e dell’istruzione e, in quanto tale, va sostenuta e aiutata a svolgere questo ruolo fondamentale, in particolar modo in questa drammatica epoca. Sergio Leali, presidente di LAIF Italia – Associazione Istruzione Familiare, ci fornisce alcune suggestioni in merito nel primo di una serie di approfondimenti dedicati al mondo dell’educazione parentale e dell’homeschooling. La straordinarietà del momento che stiamo vivendo sta portando in uso anche straordinari modi di approcciare molte categorie della nostra vita: tra queste, anche la vita famigliare e l’istruzione. Alcuni fenomeni basilari del vivere quotidiano, come quelli dell’apprendimento e della socialità, stanno facendo emergere con prepotenza diversi aspetti problematici. Questi ultimi, per la verità, erano già presenti nella modalità considerata “normale”, ma ora sono stati evidenziati dalla vicenda Covid-19, non possono più essere elusi e richiedono una progettualità attenta: le “classi pollaio”, gli autobus stracolmi, una didattica superata, le relazioni famigliari relegate a tempi residuali, solo per citarne alcuni. Oggi la scuola non riesce più a essere adeguata e la famiglia vive uno stato di forte smarrimento. In ambito scolastico si stanno sviluppando ragionamenti e si intraprendono percorsi tesi a introdurre nel sistema dell’istruzione procedure alternative a quelle messe in atto fino ad ora. L’interesse si sta concentrando sul lato tecnico della didattica, se non addirittura su quello tecnologico. La forte e prevalente attenzione a questo dato tuttavia non porta ad un avanzamento, bensì accentua il rischio di un pericoloso, ulteriore regresso e di un travisamento della questione. Infatti l’interposizione di un apparato strumentale sofisticato di mediazione tra gli attori della trasmissione del sapere e dello stimolo dell’apprendimento e i giovani destinatari solleva nuove problematiche: si affievolisce – ovviamente – la qualità del contatto, si introducono opportunità di falsificazione e vi è suscettibilità di amplificare le gravi criticità a carico della salute, che oramai sono generalmente segnalate.

Il focus del problema non sta nella componente tecnica e/o tecnologica. Esso risiede piuttosto nella relazione e nella motivazione all’apprendimento: nel sentire, da parte dei giovani, la necessità e il piacere di studiare. Tali caratteristiche si inverano nel momento in cui la giovane persona in divenire intravede nel suo agire la scoperta di un senso vitale e nel momento in cui percepisce il riconoscimento fiducioso degli adulti che la attorniano, in prossimità e in lontananza. In questa fase storica il problema dell’istruzione – o per meglio dire, dell’apprendimento – non è tanto della scuola, del suo aggiornamento tecnologico o della tecnica didattica. Questa criticità trova la sua origine e la sua tenacia nella persona e nelle sue esigenze esistenziali che, in quanto tali, chiamano a una riflessione seria ed approfondita soprattutto gli adulti più vicini ai giovani: i genitori e l’ambito familiare. Questa entità – la famiglia – è chiamata a mettersi in gioco e a riprendere in sé effettivamente i doveri che le sono propri nei confronti della prole: accudimento, accompagnamento, riconoscimento, valorizzazione, ascolto. Art. 30 della Costituzione: “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti…”.

L’emergenza Covid-19 ha evidenziato come la famiglia debba mettere in discussione quel processo di delega ed esternalizzazione delle proprie funzioni – umane soprattutto – massicciamente in atto da qualche decennio a questa parte. Se non è solida ed energeticamente carica la motivazione del giovane, ogni sforzo, anche quello mosso dalla buona volontà, sarà vano; ogni tecnica didattica o tecnologia a disposizione non avrà efficacia.

Didattica a distanza, lezioni online e quant’altro possono essere certamente utili, sono forse una condizione necessaria ma sicuramente non sufficiente per creare quel clima indispensabile di apprendimento perché la giovane persona in crescita possa sviluppare le sue migliori potenzialità. La tematica va discussa nel mondo scolastico, ma ancor più da parte di chi sta delegando a esso le problematiche che invece sono a suo carico. Il riferimento è primariamente al mondo della famiglia, della cultura e della politica. La partenza di ogni discorso non può che risiedere nel concetto espresso dallo stesso MIUR nelle “Indicazioni nazionali per il curricolo” del 2012: “ Oggi l’apprendimento scolastico è solo una delle tante esperienze di formazione che i bambini e gli adolescenti vivono e per acquisire competenze specifiche spesso non vi è bisogno dei contesti scolastici…”. “La scuola non ha più il monopolio delle informazioni e dei modi di apprendere”. Brani tratti dal capitolo “Cultura Scuola Persona”.

È chiaro che le attenzioni primarie, economico-politiche e culturali dovrebbero essere rivolte proprio alla famiglia, perché è da lì che scaturiscono e possono liberarsi verso “l’altro” – oppure no – gli entusiasmi e le motivazioni di cui sopra. L’economia e la politica dovrebbero adoperarsi con azioni concrete perché nella famiglia possano esserci quei riavvicinamenti e si creino quelle prossimità di tempo e spazio necessarie per il suo sviluppo, e in tanti casi per la sua sopravvivenza. Qui si pensa a una famiglia moderna in cui i ruoli e i rapporti sono improntati al riconoscimento delle aspirazioni personali e sociali di ogni componente e dove le naturali propensioni possano trovare spazio nei tempi adeguati alle varie fasi della vita, senza che ne escano mortificate le prospettive personali. Certo non è facile, ma davvero pensiamo che tutto possa riprendere come prima? Siamo convinti che questa debba e sia solo una spiacevole parentesi, nello spasmodico flusso delle nostre esistenze? Sarebbe un’altra vera tragedia, più angosciante dell’attuale.

Stiamo vedendo come alla fin fine il sistema non si sfarina perché il perno che raccorda la dimensione individuale e quella sociale, la famiglia, sta ammortizzando i duri colpi che stiamo subendo nei vari ambiti. Questo accade pur non essendo essa nella pienezza della sue possibilità e, anzi, essendo a un livello allarmante di degrado. È persino banale notare come i giovani, in particolar modo se mossi da vivide motivazioni, intraprendono percorsi, anche di studio, straordinari. Il luogo primario dove tali motivazioni possono sgorgare ed esser curate è l’ambito familiare e, di converso, quello comunitario, i quali dovranno trovare il necessario e valido supporto nei servizi dello Stato. Questa sinergia dovrebbe far sì che si compia quanto la Costituzione all’articolo 4 con semplicità espone: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.

L’homeschooling (istruzione famigliare/parentale) è un fenomeno i cui presupposti e le cui dinamiche possono delineare scenari virtuosi per il “pieno sviluppo della persona umana”, sia nella valenza individuale che comunitaria. Fonte: https://www.italiachecambia.org/2021/03/scuola-crisi-ripartire-dalla-famiglia/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Linda Maggiori: “Una vita a impatto (quasi) zero con la mia famiglia? Ecco come ho fatto!”

Linda Maggiori è mamma di quattro figli, attivista, scrittrice e docente di un corso online organizzato dal Campus del Cambiamento, di cui Italia Che Cambia è media partner. L’abbiamo intervistata per farci dare qualche anticipazione e chiederle alcuni consigli su come può ciascuno di noi ridurre l’impronta ecologica propria e della sua famiglia. Autrice di diversi libri sul tema, attivista e divulgatrice, Linda Maggiori profonde tutte le sue forze nel cercare di ridurre l’impatto sull’ecosistema suo e di chi le sta vicino. Ma l’argomento più forte fra quelli che porta è sicuramente l’esempio: attraverso piccoli passi, coinvolgendo e responsabilizzando i propri figli, ha attuato una serie di misure che hanno cambiato la vita della sua famiglia, che ora è non solo più sostenibile, ma anche più felice! Se volete imitarla, farvi consigliare, scoprire come potreste cambiare la vostra vita, ad esempio, iniziando ad autoprodurre o rinunciando all’auto privata, vi invitiamo a non mancare il 28 settembre al webinar di presentazione del corso “Stili di vita ecologici, il cambiamento è possibile”, organizzato dal Campus del Cambiamento, di cui Italia Che Cambia è media partner.

Come ti senti dopo aver reso la vita tua e della tua famiglia più sostenibile ed etica?

Felice e appassionata, motivata ad andare avanti, determinata e combattiva. Non voglio essere complice – o almeno voglio provare ad esserlo meno possibile – di un sistema ingiusto e devastante. Non nego che mi sento anche a volte stanca, arrabbiata e pessimista, perché intorno a noi il mondo va da tutt’altra parte e la lotta è dura. Ma non sono sola, ci sono una rete e la mia famiglia meravigliosa e camminare insieme è un sollievo, anche se si va a fatica controcorrente.

Spesso si sente dire “lo farei, ma ho dei bambini”. I figli rappresentano davvero un ostacolo insormontabile?

No, tutt’altro. I figli sono il motivo per cui ci stiamo impegnando così tanto. Senza di loro probabilmente non saremmo arrivati a questo punto. Con la loro stessa esistenza ci hanno chiesto di lasciar loro un mondo migliore. Ho iniziato a interessarmi all’ambiente con il mio primo bimbo, quando capii quanti rifiuti producevano i suoi pannolini usa e getta, e così ho iniziato a usare i pannolini lavabili. Da lì è partito un mondo di scoperte. I bambini aiutano, stimolano, spronano, chiedono, mettono in crisi… e la crisi fa bene, aiuta a cambiare. Fermarsi, ripartire. La rinuncia all’auto ad esempio per loro è stato un enorme regalo, si divertono ad andare in bici, con carrellino, cargobike, a scuola in autonomia, in vacanza con treni e mezzi pubblici… insomma è stato bellissimo e divertente anche e soprattutto con i bambini. Anche parlando di autoproduzione, senza bambini non avrei avuto stimoli per fare tante ricette… e aiuti per farle! Non sempre è facile, lo so, a volte ti succhiano ogni energia e ti mettono in discussione, ma noi impariamo da loro e loro da noi. Però è molto stimolante!

Qual è l’aspetto della tua “vita precedente” che è stato più faticoso modificare?

Ristrutturare la casa, è stato il passo più impegnativo, l’abbiamo portata da classe G a classe A3. Un vecchio appartamento in condominio, faticoso e difficile, ma si può fare.

Una delle giustificazioni più comuni è legata all’aspetto economico, ma è vero che per ridurre il proprio impatto ambientale bisogna spendere di più?

No, non è vero, anzi. Noi siamo in sei e viviamo con un solo stipendio (e poco più) da educatore. Ci viviamo benissimo e risparmiamo pure, mangiando sano, bio e locale. Come facciamo? Sobrietà, economia locale, autoproduzione e, ovviamente, senza auto!

Come sarà strutturato il corso?

In 5 moduli: il primo introduttivo, il secondo incentrato sull’alimentazione, il terzo su igiene e rifiuti zero, il quarto sui trasporti e il quinto sulla ristrutturazione di una casa a impatto (quasi) zero.

Cosa diresti a uno scettico per convincerlo a iscriversi al corso e avviare un percorso di cambiamento?

Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo (Gandhi).

Per saperne di più sul corso che terrà Linda clicca qui.

Fonte: https://www.italiachecambia.org/2020/09/linda-maggiori-vita-impatto-quasi-zero-famiglia/?utm_source=newsletter&utm_medium=email

Smart working: meno pendolarismo, più presenza in famiglia, più tempo per se stessi

Non spaventi il nome, smart working. Non è nulla di marziano, anzi. È una modalità molto semplice di lavoro che, se diffusa, potrebbe rivoluzionare il modo di vivere di milioni di famiglie e diminuire la mobilizzazione di auto e mezzi, con un ridotto impatto sull’ambiente.

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Smart working, lavoro intelligente, lavoro agile, chiamiamolo come vogliamo, ma una cosa è certa: potrebbe rivoluzionare le dinamiche di milioni di famiglie e porterebbe a una riduzione della mobilità di mezzi di trasporto con conseguente beneficio per l’ambiente. Con questa formula è possibile lavorare al di fuori dell’ufficio, anche da casa. E non è un’idea balzana, bensì una vera e propria opportunità codificata da una legge e contemplata dal Ministero del lavoro. La definizione di smart working è contenuta nella legge n. 81/2017 e pone l’accento sulla flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l’accordo individuale e sull’utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto (come ad esempio: pc portatili, tablet e smartphone). Al momento può essere prevista per alcuni periodi all’interno della settimana ed è il modello di telelavoro che negli ultimi 2 anni ha trovato il maggior gradimento tra i lavoratori e le aziende private più innovative. In sintesi, un lavoratore dipendente può prestare la propria opera, in tutto o in parte, anche al di fuori dalla sede dell’azienda grazie agli strumenti informatici che l’azienda mette a disposizione. Non ha vincoli di orario di lavoro privilegiando il raggiungimento degli obiettivi concordati con il datore di lavoro, garantendo il rispetto del limite massimo di ore lavorative giornaliere e settimanali stabilito dalla legge e dai contratti collettivi. Il lavoratore quindi gestisce il proprio orario mantenendo lo stesso inquadramento contrattuale e con lo stesso trattamento economico e normativo. È un “lavoro agile” perché basato sulla combinazione di flessibilità, autonomia e collaborazione, che si è diffuso principalmente e velocemente tra le grandi aziende perché è risultato essere una modalità lavorativa vincente. Inoltre, una tale formula elimina la necessità degli spostamenti, che oggi avvengono soprattutto in auto e in secondo luogo in treno. Di conseguenza, potrebbe ridursi anche di parecchio l’impatto sull’ambiente, con minore congestione delle strade e minori emissioni inquinanti. Nel 2015, con la legge 124/2015, articolo 14, lo smart working è stato introdotto anche nella Pubblica Amministrazione, in affiancamento al telelavoro previsto dalla legge 191/1998; nel 2017 sono state emanate le linee guida con la Direttiva n. 3/2017 della Presidenza del Consiglio dei Ministri definendo criteri generali e percorsi di valutazione dell’efficacia della nuova modalità di lavoro e nel maggio 2017 è stata varata la legge 81 che, all’articolo 18,  lo regola, in vigore dal 14 giugno. Eppure se ne parla ancora troppo poco e ancora poche aziende scelgono questa modalità, probabilmente per una resistenza che va al di là anche delle questioni oggettive e pratiche.

Fonte: ilcambiamento.it

Seven on the road: storia di una famiglia che ha cambiato vita!

Sono in 7, tra i 6 e i 45 anni. Si erano trasferiti in Brasile perché l’Italia non era il luogo migliore nel quale far crescere dei bambini. Ora che sono tornati e la girano tutti insieme a bordo di un camper, si sono resi conto che il loro paese non è solo quello di cui si parla in TV e sui giornali. Non c’è mai un solo modo di guardare alle cose, alle persone, ai luoghi. Una decina di anni fa, per esempio, Massimo e Virginie – lui pugliese, dipendente statale; lei italo-belga, geologa e mamma – si domandarono se l’Italia, il paese in cui si erano conosciuti e sposati, quel paese in preda alla crisi economica, lacerato dalle divisioni politiche, violentato da speculatori d’ogni genere, meritasse davvero di veder crescere i loro piccoli Tommaso, Alice, Asia e Mattia, all’epoca di 6, 5, 3 e 1 anni. Fu durante un viaggio in Brasile per visitare degli amici. Si accorsero di quanta gioia di vivere animasse i bambini di Bahia e di come questa fosse inversamente proporzionale alla quantità di giocattoli e vestiti che possedevano. E così decisero di lasciare il lavoro e di vendere la casa dove vivevano in Toscana per comprarne una in campagna, in una cittadina non distante da Belo Horizonte, dove aprirono un negozio di preparati naturali a km zero in parte autoprodotti nel loro orto.Negozio

Il negozio di Massimo e Virginie in Brasile

Otto anni e un’altra figlia dopo (Sofia, nata in Brasile), i limiti del sistema li raggiungono anche lì. Nella scuola pubblica brasiliana – che spesso è più somigliante a un fornito megastore di droghe – a volte il loro primogenito passava le giornate senza neanche poter ascoltare gli insegnanti, visto il caos che regnava. L’unica alternativa possibile, la scuola privata, avrebbe significato veder diventare i loro figli dei grassi polli da batteria a stelle e strisce. E così riuniscono tutta la famiglia e prendono la prima di una lunga serie di decisioni collegiali. Ritorno in Europa. Il tempo di affittare la loro casa brasiliana e il negozio ed eccoli lì, sul volo di ritorno per il Vecchio Continente. La destinazione finale avrebbe dovuto essere il Portogallo ma, un po’ per il fatto che i piccoli Asia, Mattia e Sofia non avevano ancora mai visto il loro paese d’origine – un po’ per evitare di imbattersi nelle stesse esperienze che li avevano spinti ad abbandonare sia l’Italia che il Brasile – finiscono per posticipare di qualche mese il raggiungimento della campagna lusitana. Trovano dunque un camper di seconda mano abbastanza grande per ospitarli tutti, lo battezzano Jatoba (un albero enorme che era sul loro terreno in Brasile), aprono il blog Seven on the road  e iniziano a girare per la penisola.dsc_7812

Il camper Jatoba

Tra le sfide che Massimo e Virginie si trovano ad affrontare ce ne sono almeno un paio decisive. La prima è trovare il modo di sfamare sette bocche con i soli mille euro di affitto della casa e del negozio in Brasile. E, visto che uno stipendio mensile difficilmente si concilia con una vita nomade, per arrivare a fine mese scelgono, da un lato, di ricorrere a forme di scambio diverse da quelle mediate dal denaro; e dall’altro di fare downshifting, praticando cioè la semplicità volontaria per ridurre al minimo i propri bisogni. Ecco dunque che iniziano a vestirsi di seconda mano, a riciclare cose che altri regalano o buttano, a ricorrere il più possibile all’autoproduzione e al baratto, comprando solo quando non ne possono fare a meno. Soprattutto, grazie a Workaway – la più grande comunità di scambio di lavoro del mondo – e alla fanpage di Permacultura Italia, si fermano per qualche settimana solo quando e dove vengono accettati come volontari part time, per lavori agricoli ma non solo, in cambio di cibo per tutta la famiglia.Famiglia-in-orto

Alle prese con un orto

Se una voce superficiale obiettasse che queste sono scelte di inutile privazione, specie per i piccoli, la nostra famiglia on the road risponderebbe all’unisono che, al contrario, la loro è un’esperienza altamente formativa, che serve a misurare e abbandonare l’inutile eccesso al quale la vita tradizionale ci ha tutti abituati in Occidente. E se per i due adulti non è stato semplice re-imparare a fare cose – dal pane alle conserve – che per decenni erano state relegate nel cassetto delle memorie d’infanzia, per i bimbi adattarsi è stato molto più naturale. Per esempio, Tommaso ha un ottimo computer portatile che senza battere ciglio ha scambiato con una bici da corsa ricevuta mesi prima da un signore che non la usava. Anche l’alimentazione è più curata di quanto sembri. Scrive Virginie sul blog: “Nonostante le poche risorse, riusciamo a mangiare 100% bio! Non bio certificato, ma bio del piccolo contadino, della piccola azienda, dei produttori di Genuino Clandestino. Certo, ci vuole un po’ di tempo per trovare dove comprare i prodotti, ma è tempo speso bene!” Comprano quindi agrumi e olio da un ragazzo calabrese (1,50 euro/kg e 8 euro/lt compresa spedizione), farina di grani antichi a 1,20 euro/kg da una famiglia laziale, riso a 1,4 euro/kg da un’azienda piemontese, ecc. Insomma, “non è vero che per mangiare bene e bio bisogna essere ricchi”, continua Virginie; “bisogna solo che diventi una priorità.”Bambine-in-cucina

Mangiare bene apprendendo

La seconda sfida che Massimo e Virginie devono affrontare all’inizio del loro viaggio riguarda l’istruzione. Come conciliare lo stile di vita nomade con la necessità di educare i loro figli, che sono tutti in età scolare? Anche stavolta la soluzione sarà originale. Con l’entusiasta consenso di tutti i membri della famiglia, decidono di sperimentare la scuola parentale, una cosa che aveva sempre affascinato i due genitori fin dai duri anni in cui erano alle prese con i limiti della scuola pubblica brasiliana. Eccoli dunque organizzarsi per fornire ai propri figli una base di tutte le materie più comuni, per poi lasciarli liberi di approfondire quello che gli interessa di più, anche con l’aiuto di persone esterne, assecondando la naturale curiosità e le attitudini di ciascuno e lasciandogli la libertà di organizzarsi il tempo senza vincolo di orari e impegni che, spesso, limitano i momenti di svago e rendono meno stimolante l’apprendimento. Una sorta di Captain Fantastic all’italiana? si chiederebbe qualche amante del cinema recente. Più o meno, ma senza l’isolamento e il compromesso finale, direbbero loro.Tommaso

Tommaso e la sua passione: la fotografia

Certo, nonostante gli aspetti romantici e avventurosi una vita sulla strada non è priva di problemi e di decisioni dolorose. E se a volte sono i bambini a chiedere di fermarsi un po’ di tempo in più in questo o quel luogo per non dover salutare l’ennesimo amichetto appena conosciuto, altre volte sono gli adulti a concedersi un periodo di riposo, magari per racimolare un gruzzoletto e poter rifornire il camper durante il viaggio successivo. È per questo che da un po’ di mesi i nostri si sono fermati a Pettinengo, in Piemonte. Massimo ha infatti trovato un impiego temporaneo presso un’associazione che si occupa di accoglienza ai migranti. Per poter lavorare ha barattato con un collezionista un vecchio giradischi in cambio di uno smartphone. Ma anche in questo periodo più stanziale del loro percorso, i nostri non hanno cambiato il loro stile di vita. In cambio di confetture e prodotti del loro orto, un’artista locale mette a disposizione dei bimbi un pomeriggio a settimana e gli insegna a dipingere, scolpire, lavorare la terra cotta, seguendo come sempre le inclinazioni di ciascuno.c2a9-ezyecc82-moleda-all-rights-reserved_singular-escape_creative-solutions_family-seven-on-the-road-3797

Sul lago d’Orta

Non c’è mai un solo modo di guardare alle cose, alle persone, ai luoghi. Dopo due anni di scoperte, incontri, solidarietà, scambi e cooperazione, abbiamo chiesto a Massimo e Virginie se l’Italia, quel paese in preda alla crisi economica, lacerato dalle divisioni politiche, violentato da speculatori d’ogni genere, meritasse di nuovo di veder crescere i loro figli. La risposta non ce l’hanno ancora data, ma intanto i loro figli sono cresciuti un altro po’.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2017/10/seven-on-the-road-famiglia-cambiato-vita/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Linda e Giovanni: “Ecco la nostra famiglia a rifiuti zero!”

Moglie, marito e tre figli: vivono a zero rifiuti. Non hanno auto, televisione e non comprano vestiti. “Abbiamo scelto di vivere in modo ecologico e di dedicare più tempo alle relazioni, all’autoproduzione, alla cura del sociale e al volontariato piuttosto che alla carriera. Alcuni ci criticano, ma noi siamo felici così”.

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Linda Maggiori ha 34 anni. Vive con suo marito, Giovanni Angeli, di 36 anni, e tre figli, di 8, 5 e 3 anni in un trilocale in affitto a Faenza. Lei, volontaria in varie associazioni, ha fondato un gruppo di auto aiuto sull’allattamento, segue la pannolinoteca comunale per il prestito dei pannolini lavabili, gestisce laboratori di educazione ambientale nelle scuole ed è autrice di due libri ecologici per ragazzi “Anita e Nico dal delta del Po alle Foreste Casentinesi” e “Salviamo il mare”. Il marito è educatore in una comunità di recupero per tossicodipendenti. Insieme formano una famiglia che si definisce a “rifiuti zero”.

Perchè? Presto detto.

Perché fino a poco tempo fa, Giovanni ha lavorato come operaio in una cooperativa sociale impegnata nelle discariche e nella raccolta dei rifiuti: “Poi l’appalto della cooperativa è passato a una grande multinazionale – racconta Linda – e, anche se la nuova azienda lo avrebbe riassunto, mio marito non voleva accettare di lavorare per una multinazionale poco etica. Così si è trovato disoccupato. Per fortuna nella stessa cooperativa sociale c’era bisogno di un educatore. E lui, laureato in psicologia, non se lo è fatto ripetere due volte!”. Ma l’esperienza nella raccolta dei rifiuti ha lasciato il segno: “Quando mio marito lavorava nelle discariche ogni giorno tornava a casa raccontandomi di scenari deprimenti – spiega Linda – abbiamo cominciato così a impegnarci nei comitati locali contro gli inceneritori e le discariche e a lottare per una raccolta porta a porta. All’epoca stavamo meno attenti al nostro impatto ambientale, eravamo meno organizzati e andavamo sempre al supermercato per fare spesa. Potrei dire che spendevamo molti più soldi e più tempo. Ricordo che ogni volta era un incubo buttare via l’immondizia, con quel bidone che si riempiva così velocemente. Noi differenziavamo, ma gli imballaggi erano ugualmente tantissimi. Plastica, carta e anche indifferenziata. Quando andavo a fare la spesa al supermercato mi deprimevo, con quella lista lunghissima di cose da comprare…”.
Poi un giorno, circa un anno fa, ecco la lampadina accendersi: “Se davvero vogliamo vivere in modo ecologico dobbiamo essere più coerenti anche nel campo rifiuti – si è detta Linda – è giunto il momento di mettersi alla prova!”. Con un monitoraggio attento dei rifiuti e una tabella in cui segnare chilogrammi e materiale di scarto Linda ha iniziato un attento monitoraggio dei rifiuti. “Mio marito all’inizio era piuttosto scettico anche perché io sono disorganizzata, casinista e impulsiva, insomma un mix catastrofico e per nulla promettente!” sorride Linda. “Infatti all’inizio è stata davvero dura – ammette – ma poi anche mio marito si è ricreduto! E ora dopo un anno, abbiamo ridotto drasticamente tutti i nostri rifiuti e abbiamo imparato a organizzarci, a recuperare, riusare, a  fare tante cose in casa, abbiamo risparmiato tanti soldi e il bidone della spazzatura non si riempie quasi mai, è una vera liberazione! Ormai buttiamo i rifiuti solo una volta ogni 2 mesi. Quindi davvero un impegno minimo”. Dopo un anno a casa di Linda l’ammontare dell’indifferenziata arriva a 0,6 kg annui a testa, contro una media cittadina di 160 kg. Numeri non da poco, “ma alla portata di tutti”, afferma lei. E per chi pensa sia impossibile, tutto è documentato sul loro blog:www.famiglie-rifiutizero.blogspot.it
“Quando tornare all’essenzialità non è una rinuncia ma una scelta consapevole e motivata si riacquista il proprio, una grande energia vitale e si istaurano rapporti più ricchi e vissuti – continua Linda – Tanta gente è presa dal circolo vizioso sempre più lavoro, sempre più bisogni, sempre meno tempo, sempre più consumo. Noi riusciamo a vivere con uno stipendio da educatore, ma non dobbiamo mantenerci l’auto, facciamo a meno di tanti prodotti (ce li autoproduciamo), non andiamo in palestra (andiamo sempre in bici o a piedi), i nostri figli non fanno mille attività e non facciamo costose vacanze. La gente pensa “che vitaccia” e invece il tempo passato coi nostri figli, giocando al parco o andando con loro in bici, è impagabile”.

Sì, perché Linda e Giovanni non solo vivono a rifiuti zero, ma anche a emissioni zero! “La rinuncia all’auto è stata una scelta dapprima forzata, poi sempre più motivata e consapevole – racconta Linda – cinque anni fa un’auto ha invaso la nostra carreggiata e ci è venuto addosso distruggendoci la macchina. Guidavo io, i bambini erano dietro, ben legati. Per fortuna ci siamo salvati tutti, ma da allora non ho più voluto guidare. Tutti cercavano di convincermi, ma io dicevo: ma se non mi serve perché devo usarla? Vivo in centro, vado ovunque in bici, piedi, treno, bus e se proprio serve, in rari casi, chiedo passaggi. Tra l’altro tutti dovremmo imparare a vivere con meno auto. In Italia ce ne sono più di una ogni 2 persone! – afferma – Anche mio marito non amava troppo l’auto. Abbiamo provato ad aspettare a ricomprarcela. Col passare del tempo abbiamo sempre più approfondito le ragioni per non avere l’auto, abbiamo conosciuto altre famiglie che non l’avevano, creato una rete. Da allora non l’abbiamo più ricomprata”.

Ma come si svolgono le giornate di una famiglia a impatto zero?

“Io e mio marito di solito ci alziamo all’alba per leggere, scrivere o meditare. I bambini si alzano alle sette, facciamo colazione con i biscotti, con il kefir, cereali, pane e crema spalmabile, o marmellata, tutti fatti in casa. Poi portiamo i bimbi a scuola in bici. Se serve facciamo compere al mercato portandoci sempre dietro sporte e contenitori da casa. Il più delle volte acquistiamo tramite gruppo d’acquisto solidale o nei piccoli negozi in città, che vendono sfuso o equosolidale. Mio marito va al lavoro in bici (lavora a 10 km in collina). Prima di pranzo andiamo a prendere i bambini a scuola. Se è bello facciamo un picnic al parco e restiamo là a giocare fino al pomeriggio. Poi si fanno i compiti, si prepara la cena e finito di mangiare si legge o si gioca insieme. Non abbiamo la televisione!”. nutella

Niente televisione e niente vestiti! “Non li compriamo quasi mai… ce ne sono così tanti da passarsi tra familiari, amici e conoscenti! – afferma Linda – A volte mia mamma ci regala scarpe ecologiche comprate nelle fabbriche marchigiane”. Insomma in cinque con un solo stipendio si vive bene comunque… “Certo! Ci bastano 300 euro al mese per gli alimenti, 450 euro per l’affitto, e altre 100/200 euro per tutto il resto. Se penso che in media una famiglia italiana spende più di 2000 euro al mese…”.

A chi dice che non avrebbe mai il tempo cosa rispondete? “Che anche noi con 3 figli, un lavoro, tanto volontariato e impegno sociale non abbiamo certo tempo da perdere! Spesso è solo una questione di organizzazione e abitudine. Ognuno fa quel che può, magari iniziando con piccoli passi. Sicuramente bisogna anche darsi delle priorità. Noi abbiamo scelto di dedicare più tempo all’autoproduzione, alla cura sociale e al volontariato piuttosto che alla carriera. Alcuni ci criticano, ma noi siamo felici così”.

E vedendoli è difficile pensare il contrario: sereni, sorridenti, tranquilli… come se non gli mancasse nulla! “Questo stile di vita ci ha permesso di guadagnare molto… nelle relazioni con i nostri figli, con la natura, con gli altri, con i bambini in difficoltà. Nanni Salio, del centro Studi Sereno Regis diceva: ‘Troppe automobili, troppo cemento, troppe case, troppi rifiuti, troppo cibo, troppi prodotti usa e getta non creano un mondo migliore, ma ci impediscono di avere relazioni più armoniose e distese tra noi e con gli altri esseri viventi’. Invece di arricchirci ci impoveriscono. Ecco allora la scelta della semplicità volontaria. E anche se come tutte le famiglie abbiamo i nostri momenti di stanchezza, conflitto e crisi di base abbiamo quella consapevolezza dell’immenso miracolo che ci è capitato e che ci circonda, che dobbiamo tutelare. Una volta mio figlio mi ha detto ‘che bello non avere l’auto, così possiamo sempre sentire il vento in faccia!’ Per ora questo mi basta”.

Link:

https://www.facebook.com/groups/famiglierifiutizero/

www.famiglie-rifiutizero.blogspot.itrifiutizero1

Fonte: ilcambiamento.it

«La chiave della felicità? Riappropriarci del nostro tempo per vivere la nostra famiglia»

Fabio Fiani e sua moglie Maria, vivevano a Genova ed entrambi lavoravano dal 1988 nella loro azienda; dopo alcuni anni dalla nascita dei due figli, hanno deciso di dire basta a città e lavoro e hanno riunito la loro famiglia. Li abbiamo intervistati nella loro casa circondata dal bosco nell’entroterra di Varazze; ci hanno raccontato la loro storia.varazze_casa_felicita

«Decisi a creare una famiglia solida – spiegano Maria e Fabio Fiani – abbiamo fondato poco prima del matrimonio un’azienda nella quale lavorare insieme e condividere successi e difficoltà, certi che questo avrebbe rafforzato l’unione nella vita e nel lavoro». I due lavoravano 6 giorni alla settimana con un orario medio di 12 ore giornaliere, arrivando anche a 16 ore durante eventi e fiere. Grazie al loro impegno e alla loro serietà la ditta procedeva a gonfie vele e il lavoro aumentava esponenzialmente dando loro molte soddisfazioni. «Dieci anni dopo -prosegue Maria- è arrivata la nostra prima figlia a coronamento di un matrimonio felice e sempre più solido. Questo ci ha portato a buttarci a capofitto nel lavoro con l’obiettivo di creare un mondo rosa alla nostra principessa. Ma il lavoro ha trascinato Fabio in un vortice che lo ha allontanato sempre più da noi, i momenti passati insieme erano proprio pochi e spesso condivisi via telefono con l’azienda». Nel 2003 nacque il loro secondogenito e questo fece aumentare il senso di responsabilità in Fabio portandolo a lavorare maggiormente: l’azienda decollò conquistando una grande fetta del mercato genovese.

Ma cosa ne fu della vita familiare?

«Era rimasta laggiù, quasi irraggiungibile -dice Fabio- i momenti nei quali godere del sorriso e del gioco dei miei bimbi erano rarissimi, ma nonostante la gioia, quegli attimi sembravano di troppo perché mi distoglievano dall’azienda». Maria nel frattempo si divideva tra lavoro e figli, allungando le proprie giornate fino alle due di notte e comunicando con suo marito via e-mail, perché non c’era più il tempo di parlare guardandosi negli occhi come facevano una volta. Intanto i figli crescevano e gli amici si allontanavano… Nel 2005 i due vennero per caso a conoscenza della vendita di un rudere nell’entroterra varazzino e a Fabio brillarono subito gli occhi nel vederlo: fu l’occasione per Maria di farsi promettere che, una volta ristrutturato, vi ci sarebbero trasferiti lasciando l’azienda, o almeno, avrebbero drasticamente ridotto il loro impegno al suo interno. Dopo sei mesi quel rudere ingoiato dalla selva divenne il loro. Ci vollero però ancora sei anni prima che fosse abitabile, sei anni di vero incubo per entrambi: Fabio lavorava più di prima, alla ricerca di risorse capaci di garantire stabilità economica alla famiglia anche dopo il trasferimento. Il raggio d’azione si era allargato in Romagna, Toscana e Lazio e lui era spesso in trasferta. Maria racconta: «Gli anni tra il 2006 e il 2011 sono stati i più intensi: al lavoro di base si sono aggiunti i lunghi periodi di assenza di Fabio, la progettazione e i lavori per la costruzione della nuova casa e gli interventi chirurgici di una certa importanza subiti dal nostro piccolo, ben quattro tra il 2007 e il 2011. Io avevo tutto sulle mie spalle, per cui in quel periodo ho trascurato la mia principessa che, fortunatamente, è comunque cresciuta gestendo con successo studio, sport e amici, e molto spesso si è trovata anche a dover badare al fratellino in convalescenza dimostrando molta maturità». Con il progredire dei lavori i bimbi crescono e aggiungono il loro tocco personale al progetto, finché a fine estate 2011 finalmente la ditta viene ceduta e la famiglia al completo si trasferisce nella nuova abitazione. «I primi due anni della nuova vita mi sono occupato sostanzialmente di instaurare un rapporto con i miei figli, cosa non avevo mai potuto, purtroppo, coltivare prima – spiega Fabio –  in particolare ho scoperto che la mia primogenita è in tutto e per tutto simile a me, per cui prendiamo parte ad un sacco di attività insieme e ci divertiamo molto, abbiamo una bellissima sintonia. Ho trovato  un grande piacere nel fare le piccole cose quotidiane con la mia famiglia, accompagnare i bambini a scuola alla mattina, passare di nuovo del tempo insieme a mia moglie, fare lunghe passeggiate alla scoperta del territorio».

Insomma, questa è stata la scelta giusta? Non vi manca niente della vita precedente?

«Abbiamo lasciato tutto alle nostre spalle e abbiamo guardato avanti più forti e uniti che mai: nessun rimpianto, nessun ripensamento, siamo tutti insieme, possiamo condividere le nostre esistenze, le nostre emozioni; abbiamo iniziato a conoscere i nostri figli e loro a conoscere noi, pulsiamo all’unisono, come una famiglia deve fare, come la società impedisce che sia. Nessuno di noi tornerebbe indietro e, onestamente, visto il risultato, siamo felici di aver avuto la forza di superare i momenti duri e frustranti che ci hanno portato qui.  Abbiamo scoperto la gioia di avere amici sinceri, percepiamo di far parte di una collettività senza esserne gli automi, possiamo godere della semplicità delle cose e dei rapporti interpersonali. Ci siamo impossessati della nostra vita, curiamo l’orto, alleviamo animali da cortile, cuciniamo, siamo diventati  membri attivi della nostra città. seguiamo i ragazzi nelle loro attività e conosciamo i loro amici, condividiamo con loro tempo e spazi e ciò è impagabile». Questo è il messaggio che i quattro, insieme, consegnano con la loro testimonianza, e la felicità che si vede stampata sui loro volti ne è la prova tangibile. Ancora una curiosità: progetti per il futuro? E Fabio risponde istantaneamente: «Vivere».

Fonte: ilcambiamento.it

Amianto all’Olivetti, maxi-risarcimento alla famiglia di una vittima

Il Tribunale di Ivrea ha fissato in 1,2 milioni di euro il risarcimento ai familiari della vittima. Una sentenza emessa dal Tribunale di Ivrea la scorsa settimana ha condannato Telecom Spa(la società che ha rilevato Olivetti ing) a un risarcimento di 1,2 milioni di euro ai famigliari di Franca Lombardo, l’ex operaia dell’azienda eporediese morta per mesotelioma pleurico, malattia contratta lavorando in uno dei tre capannoni dello stabilimento di Ivrea in cui veniva impiegato il talco contaminato da tremolite di amianto. Secondo Mario Benni Enrico Scolari che hanno assistito i famigliari di Franca Lombardo nel corso dell’unica – almeno fino a questo momento – causa intentata contro Telecom quella di giovedì 29 gennaio è “una sentenza storica” che potrebbe diventare un caso pilota e dare il via ad altre cause contro Olivetti. È tuttora in corso, infatti, un processo che chiama in causa ben 34 ex manager della Olivetti, fra cui Carlo De Benedetti e l’ex ministro Corrado Passera, per l’esposizione all’amianto di altri 13 dipendenti. La causa di Franca Lombardo è un caso a parte. È stato il marito Luigi Formento, 81 anni, anche lui con un passato in Olivetti, ad avere i primi dubbi sulla morte della moglie per mesotelioma pleurico. È lui a portare avanti la causa civile con tenacia, mentre il processo che vede imputato Ottorino Beltrami, dirigente di sua moglie e di Lucia Delaurenti, si conclude con un nulla di fatto visto che l’ex dirigente muore a 96 anni prima che la Cassazione siu esprima sul suo caso il 4 dicembre 2014. Dopo un anno e mezzo l’Olivetti che, a detta di Formento, ha dato tanto, “ma si è portata via un pezzo della nostra vita”, dovrà pagare attraverso la Telecom che l’ha inglobata. Secondo la Procura di Ivrea all’Olivetti si moriva per la tremolite che si respirava e per le controsoffittature contaminate e i dirigenti a conoscenza di queste problematiche non avrebbero fatto nulla per prevenire le morti da mesotelioma pleurico.146635841-586x390

Fonte:  La Stampa

© Foto Getty Images

7 cose da fare in autunno con tutta la famiglia

L’arrivo dell’Autunno significa la ripresa dei ritmi quotidiani: il lavoro, la scuola, gli impegni sportivi. È una sorta di “inizio stagione” e spesso si viene travolti da una marea di nuovi progetti e vecchie ansie, così da trascurare la propria famiglia e limitare il tempo libero. Eppure, anche questa stagione profumata e malinconica ha le sue occasioni di divertimento con i bambini. Noi ve ne proponiamo alcune. fall-family-e1382457681835-400x250

 

Raccolta delle foglie

Può sembrare un’attività banale con cui coinvolgere l’intera famiglia, ma in realtà può essere divertente. Tutto ciò implica che raccogliere davvero le foglie non debba essere la vostra priorità, perché i bambini potrebbero trovare decisamente più divertente ricoprirsi con esselanciarle ovunque o buttarsi direttamente sul cumulo che avete appena fatto. Vantaggi: ricordi indelebili, aria pulita e zero inquinamento.

Mele e picnic

Una cosa simile, ma non uguale, è possibile farla anche con le mele. L’unico ostacolo è trovare un bell’albero carico di frutti pronti per essere raccolti e, magari, gustati all’istante. Con questo pretesto, potrete trascinare la vostra famiglia in una merenda improvvisata immersi nella Natura, magari portandovi un piccolo fornello con cui caramellare lo zucchero o sciogliere la cioccolata per intingervi le mele appena raccolte e sbucciate. Vantaggi: pancia piena e livello di allegria ristabilito.

A caccia di pigne, ghiande e grandi foglie

L’autunno fornisce il pretesto perfetto per passeggiare senza avere troppo caldo e senza doversi portare l’ipod: questo perché il paesaggio e i colori sono così magnetici che non possono essere ignorati. I parchi, i campi e le strade di campagna sono i luoghi ideali per trovare tanti oggetti per esercitarsi in riciclo creativo: pigne e ghiande sono perfette per essere dipinte e incollate su grandi centri tavola, le foglie sono tutte da collezionare per comporre un bellissimo bouquet autunnale oppure per creare un coloratissimo disegno. I bambini più saputelli, invece, potranno sbizzarrirsi indovinando gli alberi da cui arrivano le foglie che trovano a terra: grazie ad un’App sullo smartphone di mamma e papà in grado di fornire la risposta esatta.

Vantaggi: creatività e fantasia riattivati.

Dinner Club sotto casa

Per passare qualche serata in compagnia e gustare le specialità della tradizione, possibilmente con prodotti a km zero o dell’orto urbano, sarebbe bello organizzare una cena o un pranzo con altre famiglie del vicinato, magari ospitandosi l’un l’altro di volta in volta. In questo modo, i piccini potranno giocare tra loro e socializzare, mentre i grandi prendersi qualche momento di relax chiacchierando e gustando prelibatezze.

Vantaggi: sostegno alla filiera di prodotti locali e zero emissioni.SONY DSC

Creare una Green Community

Utilizzare spazi pubblici come biblioteche,  l’aula magna della scuola o perché no? il salotto di casa per incontrare altre famiglie e confrontarsi su tematiche ambientali ed eco-sostenibili. Utile per capire come gli altri rendono la propria vita quotidiana più green e trovare nuovi spunti. Inoltre, potrebbe essere un buon punto di partenza per creare iniziative da proporre alla comunità e promuovere uno stile di vita più salutare. Coinvolgete anche i bambini, rimarrete stupiti dal loro interesse e dai rimedi che suggeriranno per risolvere i vostri crucci, molto spesso le soluzioni migliori sono le più semplici!

Bicicletta: un passatempo in 4D

Tra le cose da fare in Autunno, uscire in bicicletta è magico. Voi direte: “Meglio andare in auto! Almeno c’è il riscaldamento“. Avete ragione, ma in auto potete vedere solo i colori, perdendovi un sacco di altre cose: per esempio, il vento fresco sul viso o il rumore delle foglie che cadono, quel rumore “croccante” di quando vengono schiacciate dalla ruota della bicicletta, e ancora l’odore dell’autunno, dell’erba bagnata e dei funghetti matti che vi crescono. Insomma, in bicicletta si può fare attenzione a tutto: colori, odori, profumi, suoni.

Vantaggio: forma fisica invidiabile e nessun impatto per l’ambiente.

Cucinare insieme

E se la giornata fosse talmente piovosa da non permette di stare all’aria aperta, potete sempre sfruttare l’occasione per ideare e creare nuove ricette in cucina, coinvolgendo anche i più piccini nel ruolo di “Capo Chef”. L’autunno ci regala tantissime verdure gustose e colorate: zucche, funghi, broccoli, carote, barbabietole rosse, finocchi, patate… che possono essere usate con fantasia per torte salate, dolci e zuppe.

Vantaggio: pasti sani e risate a volontà.

Fonte: tuttogreen.it

Cambiare vita: da Roma alle montagne della Val Pusteria, la storia di una famiglia

Lasciarsi alle spalle la vita in una metropoli e vivere in un maso nel Tirolo: nel video il racconto mozzafiato della Famiglia Barbini

Cambiare vita, lasciarsi alle spalle la vita della metropoli frenetica e farneticante e scegliere uno stile di vita umano a contatto con la Natura: quante volte abbiamo sognato di dare una svolta alla nostra vita? Ma la famiglia Barbini lo ha messo in pratica e il loro racconto mozzafiato commuove e coinvolge per la bellezza della vita che si sono scelti. Abitano un maso in Tirolo, tra le montagne e vivono in totale armonia con la Natura che li circonda. Stefano Barbini è il capofamiglia che con la moglie Giorgia e i 3 figli ha deciso ad un certo punto della sua vita di dare un taglio netto alla esistenza sin li condotta: viaggi all’estero, carriera, tanto lavoro e poco tempo per godersi il suo di tempo. Il maso è stata l’occasione per intraprendere una nuova vita, un rudere da rimettere in sesto con tempo e pazienza e con l’aiuto dei contadini della zona. Oggi è un gioiello che vede la valorizzazione degli elementi naturali presenti in zona e Stefano con la moglie accudisce personalmente al maso e alla sua manutenzione, provvede alla raccolta della legna e al prato presente nella proprietà nonché al campo da golf; Giorgia gestisce l’orto di casa e si occupa della cucina per gli ospiti. Dal vivere il maso e la realtà che li circondava al trasformare questa loro esperienza in una nuova attività il passo è stato breve. Infatti il maso dei Barbini in Val Pusteria è diventato il resort di lusso San Lorenzo Mountain Lodge e si è ingrandito con una nuova struttura il che che viene messa a disposizione degli ospiti. Parliamo di vacanze superlusso e esclusive con clientela molto esigente.

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Oggi i Barbini sono completamente integrati nella vita della Val Pusteria, dove figli frequentano la scuola tedesca e parlano più il tedesco che non l’italiano. Le giornate si svolgono secondo i ritmi della Natura e le attività svolte all’aperto in ogni stagione sono tantissime: dalla raccolta delle erbe allo sciare in inverno in alta montagna. La macchina è solo uno strumento usato per portare gli ospiti al Lodge o per scendere in città quando necessario. In genere ci sono le passeggiate nei boschi e gli incontri con i cervi a ristabilire le priorità della famiglia Barbini.

Fonte:  Sued Tirol

Foto | Storie da vivere

La filosofia dell’autoproduzione

Tanti motivi per cui fare in casa conviene di Romina Rossi

Sono cresciuta in una famiglia matriarcale in cui fare le cose in casa era la norma. Al supermercato, che allora era semplicemente la bottega di paese, si andava una volta la settimana, a prendere quello che non si aveva in casa e che non si riusciva a produrre. Così si passava l’estate a fare marmellate, succhi di frutta e conserve e a mettere quanta più frutta e verdura nei vasi in modo che si potessero avere, anche nelle grigie giornate invernali, i sapori, i colori e i profumi dell’orto sotto casa. Il pane che si cuoceva nel forno era in grado di riempire la stanza da solo con la sua calda fragranza, il dolce che dentro al forno lievitava faceva venire l’acquolina; la pasta era fatta con le uova delle galline del nostro pollaio, la carne che finiva sulla tavola era quella dei capi allevati per uso domestico. D’inverno, essendo meno le ore di luce da poter dedicare ai lavori in campagna, tre generazioni di donne passavano le serate a cucire, lavorare a maglia o fare altri lavoretti sedute davanti al camino o alla stufa. Anche da grande l’autoproduzione alimentare è rimasta la norma, un’abitudine che si è estesa anche ad altri prodotti non alimentari come creme, saponi, scrub, vestiti, riciclo di mobili e altro. Quello che può apparire come un passatempo è in realtà un’attività che cela diversi significati e un sacco di buone ragioni per cominciare a fare da sé. Perché alla lunga, l’autoproduzione è un atto d’amore nei confronti di se stessi e del pianeta.

I MOTIVI DELL’AUTOPRODUZIONE

Risparmio economico

Se fare le cose in casa può sembrare complicato (“non ho tempo” e “non sono portata/o per questo genere di cose” sono le frasi che si sentono più spesso al riguardo) e necessitare di molto tempo, in realtà diventa una fonte di risparmio di denaro. Si compra di meno, si spende di meno, perché non si pagano marche e pubblicità legate ai prodotti che portiamo a casa. A ciò si unisce il risparmio di tempo: facendo in casa, si evita di passare il fine settimana o le poche ore libere in coda alla cassa con un carrello straripante di prodotti e uno scontrino lungo quanto un lenzuolo. Ci si può riappropriare del proprio tempo e trascorrerlo in modi più gratificanti che spendere l’intera giornata al centro commerciale.

Risparmio ecologico.

Produrre e fare in casa permette di evitare l’acquisto di merci provenienti dall’altro capo del mondo, con un enorme dispendio di carburante che si traduce in sperpero di risorse prime e inquinamento dell’intero pianeta. La frutta e la verdura dell’orto non hanno bisogno di ingombranti imballi di plastica o strati di cellophane dentro i quali avvizzire; la crema o il dentifricio fatti in casa non necessitano di scatole, foglietti e altri supporti che hanno il solo scopo di rendere la confezione più costosa.antisterss

Antistress naturale

Quando vi sentite nervosi e irritati mettete le mani in pasta e fate: bastano 10 minuti passati a impastare pane, dei biscotti, sferruzzare con la lana o anche raccogliere le erbe aromatiche da seccare per non ricordarsi più il motivo per cui si era arrabbiati. Provate per credere!

Ribellarsi alla globalizzazione

Cucinare con verdure raccolte nell’orto significa scegliere cosa piantare, piuttosto che doversi accontentare di quello che si trova nei banchi dei supermercati, ormai uguali in tutto il mondo. Ci sono varietà di frutta e verdura che non si trovano più in negozio, ma che invece sono buonissime e salutari, semplicemente perché il “mercato” non le vuole più. È una pacifica ribellione al mercato globalizzato; è far parte di quella parte di popolazione che non si lascia omologare dal sistema.

Conoscere gli ingredienti

Sapere cosa si mangia o cosa ci si spalma sulla pelle è importantissimo. Molti prodotti alimentari sono farciti di conservanti, coloranti e additivi dannosi per la salute. Non va meglio per i prodotti di bellezza, molti dei quali purtroppo contengono agenti chimici, di derivazione dal petrolio, che sono tossici e cancerogeni.

Riciclo e creatività

Fare in casa permette di riciclare un sacco di cose che altrimenti sarebbero da buttare: con i fondi del caffè si può fare lo scrub per il corpo. I vecchi vestiti diventano pezze da usare in cucina o per spolverare; dai pezzi di lana avanzata nasce una colorata e allegra coperta. Frutta e verdura rovinata sono ottime come base per succhi freschi o per insolite e originali ricette.

Attività ludica formato famiglia

Fare in casa molto spesso è l’occasione per passare del tempo insieme in famiglia, coinvolgendo anche i bambini. Che si tratti di zappare l’orto, raccogliere pomodori, fare conserve, biscotti o altro, state certi che anche i bambini più irrequieti si calmeranno e si divertiranno. Fategli impastare la pasta o permettetegli di aiutarvi a fare una torta oppure insegnategli come si piantano le fragole, e avrete la loro totale attenzione e concentrazione. Sarà per loro uno dei giochi più belli che abbiano mai fatto.

Fonte: viviconsapevole.it