Comunitazione: nelle relazioni la chiave per cambiare il mondo

Comunicazione, comunità, azione. Sono queste le tre parole racchiuse nel progetto Comunitazione che incoraggia la partecipazione dal basso, la progettazione condivisa a vari livelli e l’innovazione nelle dinamiche sociali attraverso l’attivazione di cittadinanza attiva. L’obiettivo? Innovare le tecniche di comunicazione odierne per facilitare le persone ad agire come comunità. Comunitazione è una delle storie più rappresentative di “chi ha fatto così”. Già, il plurale è d’obbligo: è una realtà nata dal desiderio di Ilaria Magagna, Giulio Ferretto e Melania Bigi di trovare nuove forme di comunicazione dove poter far esprimere al massimo il valore e il potenziale d’azione della relazione.

Ilaria ha studiato al Dams a Bologna e si è trasferita a Ceglie Messapica, in Puglia, per il teatro. A Ostuni, presso il Centro Culturale “la Luna nel Pozzo” conosce Giulio, anche lui amante del teatro. I due, oltre a condividere questo percorso, diventano marito e moglie, formano una famiglia e, tramite la lettura di un articolo sulla Democrazia Profonda, conoscono poi Melania Bigi, che attratta dal progetto nascente si trasferisce a Ceglie Messapica.
I tre hanno una forte passione in comune che nasce da un’esigenza: come innovare le tecniche di comunicazione odierne, per avvicinare il mondo della formazione al miglioramento delle relazioni interpersonali, in maniera tale da spingere le persone ad agire come Comunità nel superamento del conflitto. La forte spinta nell’andare ad indagare “l’essenza della relazione” stessa. Dopo la scrittura del progetto, i ragazzi vincono un bando legato all’innovativo programma di politiche giovanili “Bollenti Spiriti” della Regione Puglia e la loro avventura è partita e arrivata fino ad oggi con una domanda: in un mondo che sta apparentemente andando in una direzione negativa, chi cerca di comunicare che questa direzione può essere pericolosa riesce a trovare il modo per comunicarlo alle persone?

ComuniTazione: Comunicazione, Comunità e Azione

Comunitazione si occupa principalmente di processi di comunità sotto due differenti aspetti. Uno è quello della comunità di gruppi che lavorano insieme, il prendersi cura dei gruppi di lavoro sotto vari punti di vista e le cui modalità di gestione si rifanno alla Facilitazione, cioè  accompagnare i gruppi in una serie di processi che vanno dalla progettazione, alla visione fino alla governance del gruppo stesso. Comunitazione gestisce i gruppi di lavoro sia attraverso delle facilitazioni vere e proprie, disegnate e progettate ad hoc per la realtà interessata e per le sue esigenze, sia attraverso dei corsi sulla facilitazione più generici e allargati a gruppi più ampi. L’altro aspetto riguarda le comunità territoriali più ampie come i quartieri, i paesi, le città e le esigenze di ognuna di queste, disegnate e gestite attraverso i Processi Partecipativi: una serie di tecniche e di metodologie che Melania, Giulio e Ilaria studiano e continuano a studiare per mettere insieme le persone, farle aggregare e progettare insieme rispetto ad un sogno, un’esigenza o un bisogno, e dopo di questo attuare una serie di azioni che hanno deciso direttamente le persone stesse per rispondere a questi sogni e bisogni. Tratto caratteristico della Facilitazione e dei Processi Partecipativi è proprio la relazione che si fa azione, essenza del lavoro di Comunitazione.

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La Facilitazione: il conflitto si trasforma in oro, la sostenibilità della relazione

Per Facilitazione “intendiamo una serie di tecniche, molto variegate, che ci permettono di lavorare sulle difficoltà, sui conflitti, spesso rappresentate dal come fare una riunione e da come gestire i tempi di questa” ci racconta Giulio Ferretto “ per far emergere il vero messaggio che sta dietro al conflitto, il possibile valore aggiunto che si viene a creare se riusciamo a gestirlo. Per anni Giulio e Ilaria, da genitori, si sono domandati cosa significasse davvero per loro il termine sostenibilità. Per anni tutti e due hanno lavorato con il teatro, e qui tornano le relazioni: perché non sviluppare la comunicazione come sostenibilità nelle relazioni? E perché non farla uscire dal palcoscenico del teatro per portarla nelle sale della vita quotidiana? L’idea della sostenibilità nella comunicazione è così divenuta l’essenza di Comunitazione.

I processi partecipativi: la forma più forte di mettere in relazione le persone

“Cercavamo qualcosa che ci desse la possibilità di andare a conoscere le persone e fare qualcosa insieme” racconta Ilaria Magagna “perché nel fare insieme si costruiscono relazioni che poi durano nel tempo.” Nello sviluppo dei processi partecipativi in Comunitazione Melania Bigi ha avuto un ruolo centrale: dopo un’esperienza personale in Brasile, Melania ha trasmesso a Giulio e Ilaria la metodologia dell’Oasis Game, sviluppata da Elos tra le favelas del paese allo scopo di costruire un sogno collettivo coinvolgendo le comunità ad agire per realizzarlo. L’Oasis Game si basa su sette passi (che sono tecniche sociali per creare spazi aperti di collaborazione) e su due principi fondamentali: il primo, fondamentale è la bellezza, che in questo caso sta a significare la spinta che ognuno ha dentro di se verso ciò che nutre, “è trovare la bellezza dove tendenzialmente noi non la vediamo, ma esiste. E farla uscire, si tratta di mettere in luce ciò che all’interno di uno spazio, di un quartiere, di una periferia già c’è.” spiega Ilaria “ed il secondo è il divertimento. Uno dei principi dell’Oasis Game è che se una cosa non è divertente non è sostenibile.

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Da molti anni in Italia si fanno processi partecipativi, quello che cercavamo noi era il poter trasmettere alle persone dei concetti e delle azioni non solo attraverso il canale razionale delle semplici riunioni, ma avvicinarsi a quello tramite tutta una serie di azioni che vengono dall’animazione sociale, dal gioco, che vengono molto anche dal teatro, affinché le persone possano essere protagoniste di un cambiamento delle loro vite attraverso il divertimento e lo stare insieme in maniera spontanea e creativa.” E questo processo mette in condizione le persone di vivere in un’abbondanza incredibile “che è dentro di noi e che è nostro compito riuscire a farla emergere, perché abbiamo perso la capacità di vederla ma esiste” sostiene Giulio “ci sono molteplici verità nella vita e non una assoluta ed ognuno di noi è portatore di una tessera del puzzle. Viviamo in un periodo che definiamo complesso, dobbiamo iniziare ad imparare a viverci e a gestirla questa complessità e queste tecniche ci aiutano a far emergere tutti i punti di vista e la potenzialità di ognuno di questi nella costruzione di un racconto comune. Sono tecniche stimolanti per il formarsi dell’intelligenza collettiva, che permette di trovare soluzioni creative e straordinarie alle problematiche che dobbiamo affrontare.” A Ceglie Messapica queste tecniche hanno stimolato la riqualificazione partecipata del Paese, come illustrato in questo video.

La cittadinanza attiva e la leadership condivisa

I processi e le attività di Comunitazione, per loro caratteristica, non si fermano ad un solo gruppo chiuso. Trattando di Processi Partecipativi, lo sguardo va ben oltre ad un aspetto che può essere solamente aziendale o di piccolo gruppo e si allarga al mondo della cittadinanza, dei quartieri, delle dinamiche di trasformazione e cambiamento di un Paese, ed è li che si innesca un processo di ‘economia circolare della relazione’. Spiega Ilaria che “bisogna capire che il concetto di cittadinanza attiva, di cui tanto si parla in questi anni, è un percorso da costruire e difficilmente si costruisce solo improvvisando. Stiamo osservando in questi anni che c’è bisogno di professionisti e di persone formate per gestire la partecipazione, l’inclusione, i processi relazionali e tutti i conflitti che ne derivano, affinché questi non diventino deleteri e si trasformino in ricchezza per tutti.”img_1219

Comunitazione inoltre sta cercando sin dalla sua nascita di diffondere un nuovo concetto di leadership affinché la cittadinanza attiva possa farsi realtà concreta e coerente con quello che vuole esprimere: secondo Giulio “nella nostra cultura i tempi sono maturi per poter passare da leadership piramidali a leadership condivise. Perché è nella leadership condivisa che un singolo che lavora per un progetto riesce poi a tirare fuori tutto il potenziale che porta dentro, perché questa leadership nutre il progetto stesso ed è fondamentale che questo concetto si attivi anche nei processi aziendali e associazionistici. Noi sentiamo fortemente che questo sia uno dei concetti che serve di più in questo momento.”

Le attività e la collaborazione con Italia che Cambia

Comunitazione nel corso degli anni ha collaborato (e collabora tutt’oggi) con Labsus, il laboratorio per la sussidiarietà, nella creazione del Regolamento per l’amministrazione condivisa a Mesagne, facilitando l’approvazione di alcuni patti tra l’amministrazione e i cittadini. Ha organizzato dei World Café (una tecnica che permette di raccontarsi tramite conversazioni informali)  con un’associazione che si occupa dei migranti a Grottaglie, che ha permesso a dei rifugiati politici di incontrare dei ragazzi delle scuole elementari e medie e di potersi presentare e raccontare. È impegnata nella collaborazione con un percorso di formazione per il terzo settore nel Sud Italia chiamato “Formazione Quadri del Terzo Settore”, nel quale è responsabile per la formazione in Puglia. Inoltre sta portando in Italia un progetto europeo che si chiama “Go deep” che mette insieme la versione pratica dell’idea della democrazia profonda con l’Oasis Game.

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L’incontro degli Agenti del Cambiamento di Milano

Oltre a tutto ciò, Comunitazione è parte integrante del progetto di Italia che Cambia: hanno portato la Facilitazione all’interno del team organizzatore, introducendo una serie di tecniche per gestire le relazioni tra i membri che lavorano al progetto, e seguono tutto il processo di relazione tra Italia che Cambia e i territori, facilitando gli incontri sia regionali che nazionali degli Agenti del Cambiamento. Le tecniche e l’apporto di Comunitazione è stato fondamentale per l’ottima riuscita dei documenti alla base della Visione 2040 di Italia che Cambia, nello specifico per gestire al meglio i processi comunicativi che hanno caratterizzato tutti i tavoli tematici.

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/11/io-faccio-cosi-144-comunitazione-nelle-relazioni-la-chiave-per-cambiare-il-mondo/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

Di chi è la colpa?

Di chi è la colpa se le cose non vanno in questo mondo e ci troviamo ad affrontare problemi enormi come i cambiamenti climatici, le disuguaglianze sociali ed economiche, le malattie, l’inquinamento? La colpa è dei banchieri? Dei politici? Del vicino che fa fare i bisogni del cane sul marciapiede? È colpa nostra? È colpa della “gente” che – come noi – permette al sistema di comandarla a suo piacimento? Ma soprattutto, è utile cercare un colpevole?designate-427537_1920-1030x6861

C’è un racconto molto interessante che è stato tramandato oralmente per generazioni all’interno della tribù degli Xoulhata dell’America Centrale. Recita all’incirca così:

Un giorno un uomo scoprì che il suo vicino di casa gli aveva rubato la pecora e l’aveva arrostita. L’uomo si arrabbiò molto, andò a casa del vicino con l’intenzione di fargliela pagare. Ma il vicino, che di mestiere faceva il pescatore, gli disse: “Ho rubato la tua pecora per nutrire i miei figli perché non ho più niente. La colpa non è mia ma del mio vicino che ha rubato l’acqua del lago, facendo morire i pesci”. Allora l’uomo andò a casa del vicino del vicino con l’intenzione di fargliela pagare, ma questo, che di mestiere faceva l’agricoltore, gli disse: “la colpa non è mia ma del Dio della pioggia, che non ha fatto piovere e quindi io ho dovuto prendere l’acqua dal lago per innaffiare i miei campi”.

Allora l’uomo andò da Dio della pioggia con l’intenzione di fargliela pagare ma il Dio disse: “la colpa non è mia ma di tuo figlio che mi ha pregato a lungo perché non facessi piovere” Allora l’uomo andò da suo figlio con l’intenzione di fargliela pagare, ma il figlio disse: “la colpa non è mia ma tua, che non mi fai uscire quando piove. E visto che io voglio giocare fuori prego perché non piova”. Allora l’uomo non seppe più cosa fare.

Ora i lettori più attenti si saranno accorti da alcuni dettagli che il racconto non può essere attribuito veramente alla tribù degli Xoulhata, in primo luogo perché la tribù degli Xoulhata non aveva problemi a far uscire i bambini di casa quando pioveva e in secondo luogo perché essa non aveva una tradizione narrativa orale vera e propria visto che non è mai esistita. Me la sono appena inventata, così come il racconto in questione, perché attribuirlo a una tribù di nativi americani faceva decisamente più effetto. Comunque non è questo il punto. Il punto è: di chi era, secondo voi la colpa nel racconto? Del vicino? Del vicino del vicino? Del Dio della pioggia? Del figlio? Dell’uomo stesso?

Ci ostiniamo in ogni situazione a voler individuare un colpevole a cui addossare tutta la resposabilità di qualcosa. Ma ha senso? E se non lo ha, perché continuiamo a farlo? Come l’uomo del racconto, siamo spesso ossessionati dalla ricerca del colpevole. È un gioco che ci appassiona molto: qualsiasi cosa succeda di sbagliato la prima cosa che ci chiediamo è: di chi è la colpa?

Di chi è la colpa se le cose non vanno in questo mondo e ci troviamo ad affrontare problemi enormi come i cambiamenti climatici, le disuguaglianze sociali ed economiche, le malattie, l’inquinamento?

La colpa è dei banchieri? Dei politici corrotti? Del vicino che fa fare i bisogni del cane sul marciapiede? E allora vai con le crociate purificatrici, con la caccia alle streghe.

È colpa nostra? È colpa della “gente” che – come noi – permette al sistema di comandarla a suo piacimento? Perché non alziamo tutti la testa assieme e non ci ribelliamo uniti? Siamo tutti pecore! E allora vai con la autofustigazioni e le reprimenda.

Insomma, in qualsiasi modo la si metta non quadra. Il punto è che cercare e punire il colpevole di turno non serve a modificare di una virgola il sistema, perché una volta che lo avessimo punito e tolto di mezzo ci accorgeremmo che il sistema ne ha già prodotto un altro uguale al precedente, e che quel colpevole era nient’altro che il risultato inevitabile del sistema stesso. Allora la colpa è del sistema? Bah, che io sappia i sistemi non sono particolarmente interessati alle colpe o ai meriti, si limitano semplicemente a funzionare in determinati modi. Peraltro dare la colpa “al sistema” spesso sottintende implicitamente l’identificare il sistema con un gruppetto di persone ultrapotenti che sedute intorno a un tavolo in qualche stanza segreta decidono le sorti del mondo schiacciando qualche tasto. Che poi magari quel tavolo esiste anche, non lo metto in dubbio, ma pensare che sia “colpa loro”, che siano loro il problema, ci fa mancare di nuovo il bersaglio. Se anche eliminassero le persone potenti in questione, essere sarebbero rimpiazzate in un batter d’occhio da altre, sedute ad un altro tavolo ma con le stesse identiche caratteristiche. Perché? Perché il sistema che ha prodotto quel tavolo è rimasto immutato. Ma quindi non si può fare niente? Fortunatamente non è così. Una volta appurato che il gioco del “Di chi è la colpa?” non porta a niente e fa parte dei meccanismi di questo sistema possiamo aprirci ad altri giochi. Ci sono tanti altri giochi interessanti a cui giocare, che vanno – questi sì – a cambiare il funzionamento del sistema. Giochi basati sulla collaborazione, che ci aiutano a riconoscere i meccanismi a cui tutti inconsapevolmente prendiamo parte e a non giudicare gli altri e noi stessi. Parlo di “giochi” come la sociocrazia, la facilitazione, la comunicazione non violenta, che cambiano il nostro modo di rapportarci con gli altri e con noi stessi. Io non sarei in grado di spiegarveli in maniera esaustiva, ma in Italia esistono persone preparatissime che tengono corsi e incontri formativi, che possono spiegarci come introdurre questi piccoli tasselli di cambiamento nelle nostre vite e nel rapporto con gli altri. Quindi se questo articolo vi è sembrato interessante o vi ha incuriosito, magari andateveli a cercare e ad approfondire.

Se invece lo avete trovato inutile, noioso o poco interessante che dire… mi dispiace, colpa mia!

Fonte: http://www.italiachecambia.org/2016/10/di-chi-e-la-colpa/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=general

Il futuro della facilitazione in Italia

Grande successo per i corsi tenuti da Beatrice Briggs sulla facilitazione, il metodo del consenso e la risoluzione dei conflitti, organizzati dall’Associazione Paea, dal Parco delle Energie rinnovabili e dall’Ecovillaggio Torri Superiore. In anteprima il video ufficiale, sottotitolato e quindi reso disponibile al pubblico italiano.facilitators

Più di sessanta persone hanno partecipato alle lezioni di Beatrice Briggs, direttrice del IIFAC(Istituto per la facilitazione e il cambiamento), con oltre 25 anni di esperienza internazionale, che si sono svolte in tre corsi residenziali tenutisi rispettivamente in Umbria, al Parco per le Energie Rinnovabili, e in Liguria, a Torri Superiore.
I partecipanti, attraverso teoria ed esercizi pratici, hanno potuto verificare tecniche e soluzioni applicabili al loro lavoro e alle attività di tutti i giorni. Tutto ciò ci conferma che in Italia c’è un grande bisogno di metodologia, di pratiche per facilitare e portare i gruppi fuori dall’immobilismo, dall’inconcludenza, dalla noia, dal conflitto improduttivo e dalle leadership che bloccano energie, creatività e potenzialità. Vi mostriamo in anteprima un video ufficiale realizzato da IIFAC sulla facilitazione e il ruolo del facilitatore che, grazie al lavoro di tutta la redazione, è stato sottotitolato e quindi reso disponibile al pubblico italiano. Già attraverso questo video si può valutare come il compito del facilitatore sia interessante e coinvolgente allo stesso tempo. La collaborazione assieme a Beatrice Briggs prosegue e, visto il successo ottenuto, si stanno pianificando nuove iniziative per la prossima primavera.
Rimanete sintonizzati…

Fonte: ilcambiamento.it

Quando si lavora per essere una squadra…

Cambiare lavorando insieme per trovare un sistema di valori e relazioni condiviso: non è un’utopia né un miracolo. É accaduto al seminario promosso dall’associazione Paea con Beatrice Briggs.risoluzione_conflitti

Ogni vero cambiamento richiede sempre una riorganizzazione della gerarchia dei propri valori e una rimodulazione delle dinamiche con le quali ci relazioniamo con l’esterno. Azioni importanti che dovrebbero essere affrontate con meticolosità e, se possibile, con metodo. Proprio per approfondire questo approccio si è svolto dal 6 al 12 ottobre, nella splendida cornice del Parco dell’Energia Rinnovabile e promosso dall’associazione PAEA, il corso di formazione “Costruire il cambiamento attraverso la facilitazione, il consenso e la risoluzione dei conflitti”. Docente del corso è stata Beatrice Briggs, direttrice dell’International Institute for Facilitation and change e una delle più autorevoli e referenziate facilitatrici a livello mondiale, che si dedica con entusiasmo e professionalità ai processi di facilitazione all’interno di gruppi, comunità, ecovillaggi, enti e organizzazioni di rilievo internazionale. I partecipanti erano i professionisti di PAEA, i coordinatori del PER e, soprattutto, il gruppo dei futuri soci e residenti della struttura che ha ospitato l’iniziativa. La versatilità di Beatrice, insieme all’interdisciplinarità dei contenuti offerti, ha consentito a ciascun partecipante di “captare” il valore aggiunto della facilitazione, per la sua proficua applicazione nei rispettivi campi: organizzazione interna, fluidificazione delle dinamiche relazionali, comunicazione efficace, metodo decisionale consensuale, gestione del conflitto. Grazie all’infaticabile guida di Beatrice, alle tante attività che si sono susseguite nel corso della settimana hanno partecipato attivamente tutti con entusiasmo e coinvolgimento, rivelando quanto sia importante – per chi vuole contribuire alla costruzione di un reale cambiamento sociale – non soltanto la tensione verso un obiettivo condiviso, ma anche l’efficace risoluzione di tutti quei conflitti interni che si frappongono al raggiungimento di una decisione finale efficiente, partecipata e trainante. Proprio in questo delicato ma affascinante processo di cambiamento, che parte dall’individuo per contagiare positivamente le rispettive comunità di appartenenza, è spontaneamente emerso il valore strategico della figura del facilitatore. Che, proprio come un bravo direttore d’orchestra, accompagna le idee, coordina le passioni e scandisce i tempi, contribuendo ad armonizzare i gruppi nel corso dell’intero processo decisionale. Tutti i partecipanti, accomunati dal desiderio di contribuire alla realizzazione di una benefica metamorfosi del contesto sociale, incentrata sulla sostenibilità ambientale, sul miglioramento del rapporto uomo-natura, su uno stile di vita più semplice, genuino ed autentico, si sono attivamente impegnati nella ricerca di un’efficace applicazione degli strumenti concettuali e operativi forniti da Beatrice, esercitandosi nell’ascolto, nella condivisione, nella cooperazione e nell’interazione, avendo sempre come obiettivo quello di raggiungere soluzioni partecipate e consensuali. L’armonizzazione degli obiettivi (e, in molti casi, di veri e propri ideali) di un gruppo eterogeneo di persone è un processo entusiasmante ma molto delicato, in quanto la propensione all’affermazione delle istanze individuali – pur nell’interesse del gruppo – è un rischio sempre in agguato, che può seriamente minacciare la coabitazione pacifica di un sogno condiviso. Per rinforzare la comprensione di questi strumenti partecipativi, dal 22 al 26 ottobre, presso l’ecovillaggio “Torri Superiore”, la stessa Beatrice Briggs terrà un corso avanzato di queste tecniche dal titolo “Facilitare i processi decisionali in situazioni complesse”, alla cui partecipazione invitiamo tutti coloro che, giustamente sedotti dal fascino di un cambiamento profondo e strutturale della propria esistenza, potrebbero beneficiarne per ottimizzare le energie.

Fonte: ilcambiamento.it

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Concretezza e condivisione: anche così si può cambiare il mondo

Prendere decisioni condivise ed efficaci, agire in maniera concreta mantenendo saldi i princìpi su cui le azioni si ispirano, superare le divisioni nel rispetto della diversità: ce lo insegna Beatrice Briggs, fondatrice dell’IIFAC (International Institute for Facilitation and Consensus).facilitazione_consenso

Beatrice Briggs ha la capacità di farsi capire subito, arriva con chiarezza ed efficacia al cuore e alla ragione, propone nuovi paradigmi e un agire che si ispira proprio al cambiamento di prospettiva. A ottobre sarà in Italia, al Parco delle Energie Rinnovabili in Umbria, dove terrà un corso dal 13 al 19 ottobre proprio sulla facilitazione, il metodo del consenso e la risoluzione dei conflitti. Terrà poi un corso anche all’ecovillaggio Torri Superiore dal 22 al 26 ottobre.

Proponi insieme metodiche di facilitazione, risoluzione dei conflitti e ricerca del consenso; quale nesso c’è?

La correlazione tra questi tre aspetti sta nel fatto che si manifestano nei gruppi. La mia passione è proprio questa, lavorare con i gruppi affinchè divengano più “efficaci”, soprattutto quelli che si prefiggono cambiamenti sociali positivi. Il ruolo del facilitatore è quello di aiutare le persone a fare un uso migliore del tempo e dell’energia progettando incontri che siano concentrati su questioni precise, che siano efficaci e partecipativi. Il facilitatore aiuta anche il gruppo a identificare e risolvere i conflitti e a prendere buone decisioni che portino ad azioni costruttive. Troppo spesso gruppi bene intenzionati falliscono perché non sanno come finalizzare le sfide.

In che modo con la metodologia che proponi tutti possono esprimersi e quindi avere maggiore libertà di espressione e di crescita all’interno dei vari progetti?

Le abilità nel comunicare sono cruciali per lavorare come facilitatore nei gruppi. Inoltre credo che il facilitatore debba anche sapere ascoltare, debba saper cogliere l’essenza di ciò che i partecipanti dicono ed evocare la cosiddetta intelligenza collettiva del gruppo. Abbiamo bisogno di creare spazi dove possa trovare ascolto anche chi solitamente viene escluso dalla conversazione e dove chi ha idee differenti possa essere ascoltato e ascoltare, in modo che ognuno impari dall’altro. Diventare un bravo facilitatore fa parte di una trasformazione personale che aiuta la trasformazione sociale.

Visto che i conflitti all’interno di gruppi e organizzazioni sono spesso il motivo principale per cui molti progetti falliscono, pensi che con il metodo che proponi si possono superare conflitti anche gravi? Ci puoi fare degli esempi di situazioni che hai affrontato e risolto?

Concordo sul fatto che l’incapacità di finalizzare i conflitti in maniera costruttiva sia la causa del fallimento di tanti gruppi e organizzazioni. E’ incredibile vedere quanto velocemente tanti di noi cadano nella trappola, si convincono di avere ragione e spingono la propria visione per “vincere” a tutti i costi.  Peraltro la pratica diffusa di votare a maggioranza su questioni controverse non fa che contribuire a questo comportamento “disfunzionale”. E’ questa una delle ragioni per cui insegno il processo di creazione del consenso che offre un modello alternativo di risoluzione non violenta dei conflitti e di adozione delle decisioni che tutti andranno poi a sostenere. Negli ultimi 25 anni di facilitazione e partecipazione ai gruppi che applicano con consapevolezza il metodo del consenso, ho visto tantissimi esempi di situazioni in cui l’insieme dei singoli trascende i conflitti manifesti per raggiungere un sentire comune. Mi torna alla mente un gruppo di discussione in cui facevo da facilitatore e nel quale due società stavano trattando la pianificazione di una fusione. Alla fine di un lungo confronto emerse che si temeva che uno dei due avrebbe prevalso sull’altro e quando fu chiaro questo aspetto fu altrettanto chiaro a tutti che la fusione non era la cosa migliore da fare. Secondo me si è trattato di un esito positivo che probabilmente ha evitato anni di difficoltà. A volte dire no è la decisione giusta.

Dato che giri parecchio il mondo con i tuoi interventi e corsi, secondo te è in atto un cambiamento in positivo della situazione generale?

Sono fortunata perchè lavoro soprattutto con gruppi che puntano a cambiamenti positivi del loro contesto; vedere il loro impegno mi dà speranza.

Tu sei americana ma vivi in un ecovillaggio in Messico, ci puoi dire i perché di questa scelta e che differenze ci sono affrontando le tue tematiche nella mentalità anglosassone e in quella latina?

Vivo in un ecovillaggio in Messico perchè mi sono innamorata di quel luogo e di quella gente. Essere un migrante mi affascina perché mi obbliga a mantenere l’attenzione sulle differenze culturali e a rispettare i costumi del posto. Quando ci ritroviamo per discutere dei nostri problemi a nessuno piace perdere tempo in discussioni infinite che non portano a nulla né vogliamo che siano pochi a decidere per tutti. E’ così che ho scoperto che la gente che cerca di cambiare positivamente nel mondo accetta di buon grado l’opportunità di imparare i metodi più efficaci per lavorare insieme agli altri.

A ottobre sarai in Italia per un corso al Parco Energia Rinnovabili e uno all’ecovillaggio di Torri Superiore, pensi che in Italia si possa sviluppare un forte movimento attorno alle tematiche che proponi e che la facilitazione possa diffondersi  come metodo di successo nella risoluzione dei conflitti?

Spero che i corsi che terrò in Italia a ottobre possano portare alla creazione di  una squadra forte e determinata di persone che possano imparare le tecniche della facilitazione e della risoluzione dei conflitti. Il ruolo dei facilitatori non è quello di fungere da panacea, ma se le capacità vengono messe a servizio di gruppi orientati al cambiamento, allora si può fare veramente una grande differenza.

Per tutte le informazioni sul corso che si terrà al Per cliccate qui

Fonte: ilcambiamento.it

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