Il Piemonte brucia e con esso la nostra indifferenza

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La Val di Susa e il Piemonte sono in fiamme. “Non sorprendiamoci almeno. Mentre le lacrime dovute al fumo o al dolore rigano i nostri volti non scagliamoci contro il piromane di turno o lo Stato assente”. Agiamo adesso. Spegniamo gli incendi e cambiamo la nostra energia. Sono giorni che il Piemonte brucia. Giorni che vediamo foto, video o vere fiamme illuminare le notti di questo fine ottobre quasi estivo.  Giorni e notti che assistiamo impotenti allo svanire di ettari di terra, boschi, foreste, ecosistemi. Le nubi di fumo raggiungono le città, le fiamme lambiscono i paesi della Val di Susa, i canadair volano impotenti e allora qualcuno si accorge e si lamenta. I piromani, borbotta qualcuno. Il fato ingrato esclama qualcun’altro. E invece, purtroppo, la causa è un’altra, la colpa è la nostra. Nostra che per anni abbiamo contribuito inerti e indifferenti al cambiamento climatico. Nostra che ci scaldiamo e combattiamo quando toccano la salute dei nostri figli, ma nulla facciamo per non cancellare il loro futuro. Nostra che vogliamo la casa in inverno a 24 gradi e in estate a 16. Nostra che usiamo l’auto per andare a comprare il latte. Nostra che votiamo i politici in base alle false promesse sul lavoro e nemmeno gli domandiamo cosa intendono fare per clima e ambiente. E ora, dopo decenni in cui si parla di cambiamento climatico, non piove da mesi. Il Piemonte è un’unica distesa di terra secca in cui per fortuna svettano ancora foreste millenarie. Ma se arrivano le fiamme…

Non soprendiamoci almeno. Mentre le lacrime dovute al fumo o al dolore rigano i nostri volti non scagliamoci contro il piromane di turno o lo Stato assente. Ricordiamoci di quante volte abbiamo ascoltato con insofferenza chi ci invitava a fare attenzione ai nostri consumi. Pensiamo a quante volte alla prima estate fresca abbiamo esclamato “altro che riscaldamento del pianeta”! Senza nemmeno sapere che il cambiamento climatico prevede sbalzi sempre più forti e non un caldo costante.

Luca Mercalli lo ha scritto anni fa. Dobbiamo preparci. Qui non si tratta più di fermare il cambiamento climatico, ma di adattarci al nuovo mondo che abbiamo costruito. Un mondo con siccità e bombe d’acqua, con estati lunghissime o estati assenti. Un mondo diverso ma ancora abitabile se decidiamo ADESSO, una volta per tutte, di fare di questa battaglia la nostra priorità. Vogliamo un futuro per noi, per i nostri figli e per le altre creature che popolano i nostri boschi e le nostre pianure? Allora fermiamo il cambiamento climatico. Informiamoci, cambiamo stile di vita, agiamo, votiamo con coscienza. E, nel frattempo, spegniamo questi incendi.

Per sapere cosa puoi fare concretamente vai alla sezione clima delle visioni 2040. Scopri come puoi cambiare il tuo impatto e cambia gestore di energia elettrica passando ad uno cento per cento rinnovabile!

Fonte: http://piemonte.checambia.org/articolo/incendi-piemonte-indifferenza/?utm_source=newsletter&utm_campaign=general&utm_medium=email&utm_content=relazioni

35 milioni di ettari divorati dalle multinazionali in 6 anni

Le multinazionali si accaparrano ettaro su ettaro, erodendo il patrimonio naturale e divorando i terreni soprattutto nel sud del mondo. Dal 2006 al 2012, secondo Grain.org, si sono assicurate 35 milioni di ettari sottratti ai piccoli coltivatori. Questo è il land grabbing e se i governi non mettono uno stop, allora che sia la gente a farlo con i movimenti dal basso.land_grabbing_africa

Con il land grabbing le multinazionali si sono accaparrate nel mondo almeno 35 milioni di ettari dal 2006 al 2012 in 66 paesi e questo rappresenta solo ciò che l’associazione Grain è riuscita a documentare. Ma le vittime del land grabbing possono unirsi; spesso nemmeno immaginano quanto potente ed efficace sia l’unione tra forze “dal basso”, quindi l’informazione anche in questo caso può fare la differenza. Per lottare contro l’accaparramento dei terreni «bisogna creare forti movimenti sociali e cercare di cambiare le leggi. Questa è l’unica soluzione» dice Eric Holt-Giménez di Food First. La raccolta dei dati fornisce un’istantanea di come l’agribusiness sia in rapida espansione in tutto il mondo e come tutto ciò stia sottraendo la produzione di cibo dalle mani degli agricoltori e delle comunità locali. L’Africa è l’obiettivo primario dei land grabbers, ma sono ingenti anche i veri e propri saccheggi in America Latina, Asia ed Europa dell’Est, a dimostrazione che questo è un fenomeno globale. Chi sono i land grabbers? Nella maggior parte dei casi si tratta di società del settore agroalimentare, ma ci sono anche società finanziarie e fondi sovrani,  responsabili di circa un terzo delle offerte. Investitori europei, soprattutto da Regno Unito e Germania, e asiatici, da Cina e India, rappresentano i due terzi dei land grabber. In corsa anche gli Stati Uniti, gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita. Il Mozambico è uno dei Paesi che maggiormente sta subendo il land grabbing, con un totale di 25 investimenti da parte di ben 13 nazioni (Brasile, Cina, Francia, India, Italia, Libia, Mauritius, Portogallo, Singapore, Sud Africa, Svezia, Regno Unito e Stati Uniti) di cui 21 portati a termine e 5 in via di definizione per un totale di 1 milione e 583.149 ettari di terreno espropriati ai contadini. «Abbiamo una legge che difende la terra, ma non è osservata» dice Ana Paula Tauacale, vicepresidente dell’UNAC, Unione Nazionale di Contadini del Mozambico. Insieme a una rete di cooperative e associazioni ha fatto partire una petizione contro ProSavana, progetto che ha come obiettivo di trasformare un’area di 14,5 milioni di ettari, 145mila chilometri quadrati, in un territorio di scorribanda per imprese nippo-brasiliane interessate alla monocoltura da esportazione. «Noi vogliamo portare avanti la nostra agricoltura familiare tradizionale e non abbiamo nessuna terra da regalare alle multinazionali». Il concetto fondamentale è quello di resistenza sul campo, come spiega Themba Chauke di Landless Peoples Movement del Sud Africa. «La resistenza si fa sul campo ma anche con l’educazione dei contadini, insegnando loro che è possibile coltivare sementi sane e creando una rete di scambio tra gli agricoltori». La lotta deve continuare anche nell’opposizione alle scelte sbagliate dei governi, che troppo spesso svendono le terre in nome del profitto. «Vogliamo continuare a essere contadini, indigeni e persone affezionate alla terra», afferma María Luisa Albores González della cooperativa Tosepan Titataniske del Messico. «Molto spesso siamo intimoriti di fronte a queste difficili battaglie, ma sappiamo che vale la pena combattere perché non siamo soli e, anzi, abbiamo qualcuno che ci sostiene». Poi, non solo land grabbing, ma ocean grabbing, l’attacco ai nostri mari. «La privatizzazione delle zone di pesca, dovuta all’ossessione della crescita economica dei Governi, ha permesso il proliferare del fenomeno», dichiara Naseegh Jaffer, segretario generale del World Forum of Fisher Peoples. «È ora non solo di parlare di queste cose, ma di agire, e tutti noi possiamo fare la differenza. È sufficiente cambiare il nostro stile di vita e abbracciare una filosofia più ecosostenibile per arrivare all’obiettivo finale: la sovranità alimentare dei popoli».

Fonte: ilcambiamento.it

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Zambia verso la desertificazione: 300mila ettari di foresta in meno all’anno

Lo Zambia è il quarto Paese al mondo come area di disboscamento: mantenendo il ritmo di 300mila ettari deforestati ogni anno, fra 15 anni sarà completamente deserto88080259-586x427

Lo Zambia si avvia verso la desertificazione. I primi campanelli d’allarme sono stati suonati nel 2008, quando l’agenzia Misna denunciò la deforestazione e il disboscamento di 850mila ettari di foresta ogni anno. Le foreste zambiane sono un vero e proprio scrigno di biodiversità, messo in pericolo da un disboscamento che non è causato soltanto da motivi di sussistenza, ma ha responsabilità globali. Secondo il Global Climate Change Initiative di UsaAid“lo Zambia rischia di trasformarsi in un deserto entro i prossimi 15 anni se non verranno ridotti gli attuali livelli di deforestazione”. Secondo il Daily Nation, in Zambia l’80% della popolazione rurale dipende totalmente dal legname, sia per il riscaldamento che per la preparazione degli alimenti e questa necessità provoca una deforestazione che si assesta sui 300mila ettari l’anno. Lo Zambia dispone di circa 5 milioni di ettari di foreste  il che significa che con questo ritmo, nel giro di quindici anni il Paese sarà totalmente desertificato. Questa politica fa sì che lo Zambia sia fra i Paesi che contribuiscono maggiormente al global warming:

Una delle più grandi fonti delle emissioni di gas serra del mondo è la deforestazione ed il degrado dei suoli. La domanda di carbone della crescente popolazione urbana è enorme, il che aggrava la deforestazione nel Paese, 

spiega Anna Toness, a capo del team di Global Climate Change Initiative di UsaAid. Anche se c’è stata una drastica riduzione del disboscamento rispetto a quello che veniva registrato fino al 2008, lo Zambia resta sotto monitoraggio: 1) perché è il quarto Paese al mondo come area di disboscamento, 2) perché è fra i dieci Paesi al mondo che hanno maggiormente contribuito alla produzione di gas serra a causa delle deforestazione.

Fonte:  Vanguard