Per evitare i disastri climatici bisogna lasciare petrolio e gas sottoterra

Un nuovo, ampio studio ha confermato ciò che gli ambientalisti vanno dicendo da tempo: per evitare i disastri climatici, i combustibili fossili vanno lasciati sottoterra, bisogna dire stop all’estrazione e allo sfruttamento.carbone_giacimenti

Lasciate gas e petrolio nel sottosuolo: è questo il monito che viene dai ricercatori che hanno concluso come, per evitare che i cambiamenti climatici continuino ad aggravarsi, la maggioranza dei giacimenti di combustibili fossili debba essere lasciata sottoterra, compresi la quasi totalità del carbone negli Usa e nel Medio Oriente, tutto il gas e il petrolio dell’Artico, il 90% del carbone australiano, la stragrande maggioranza delle sabbie bituminose del Canada, il 78% del carbone europeo e gran parte del gas sempre del Medio Oriente. Lo studio è stato pubblicato su Nature ed è stato condotto da Christophe McGlade e Paul Ekins, della University College London. McGlade ed Ekins ricordano come siano stati gli stessi «decisori politici a determinare che l’aumento della temperatura globale causato dai gas serra non deve andare oltre i 2° sopra la media delle temperature globali dell’era pre-industriale». Ebbene, per rimanre sotto questa soglia, i ricercatori affermano che «a livello globale, un terzo delle riserve di petrolio, metà delle riserve di gas e oltre l’80% delle attuali riserve di carbone devono restare inutilizzate dal 2010 al 2050». Questo non è certo il primo studio che sottolinea come l’abuso di combustibili fossili risulti pericolosi, ma è l’unico che ha specificato quali siano e dove siano i giacimenti che non andrebbero toccati.

Fonte: ilcambiamento.it

Il Nobel Rubbia dice:”Rinnovabili troppo costose, meglio gli idrati di metano”

In Commissione ambiente il Nobel Carlo Rubbia ha spiegato come funzionano i cambiamenti climatici e perché secondo lui le rinnovabili sono ancora poco competitive. Avanza però una proposta sugli idrati di metano.

Carlo Rubbia, Nobel per la Fisica e Senatore, in audizione in Commissioni riunite Esteri e Ambiente di Camera e Senato su cambiamenti climatici e questione energetica, spiega che il clima sulla Terra è sempre cambiato e che non c’è da meravigliarsi. Aggiunge che per avere tutta l’energia di cui necessitiamo possiamo iniziare a sfruttare il metano. Il filmato dura appena 8 minuti e vale la pena di ascoltarlo dall’inizio sino alla fine perché smantella completamente la questione cambiamenti climatici e energie rinnovabili. In rete si hanno già le prime reazioni, innescate dal video di risposta di Carlo Martelli per il Movimento 5 stelle che però purtroppo dice che Rubbia è a favore dello shale gas, mentre nel filmato si sente una versione completamente diversa.

Le energie rinnovabili sono in una situazione estremamente difficile. Il gas naturale costa in America un quinto delle rinnovabili. Il gas naturale senza emissioni di CO2 si può ottenere prendendo le 4 parti di idrogeno e trasformando la parte carbone in grafite. Ci sono risorse assolutamente incredibili e non tanto dallo shale gas che è una soluzione a mio parere discutibile ma quanto dai clatrati.

Dunque Rubbia non è a favore del fracking per l’estrazione di shale gas e lo dice chiaramente ma punta a altro. Tant’è che chiede ai presenti, in quanti conoscano i clatrati. Ovviamente nessuno. Gli idrati di metano o clatrati sono un po’ la bestia nera dei climatologi. Ne scriveva qualche tempo fa Petrolio, spiegando come questa immensa riserva di gas metano giace dormiente sotto il fondo degli Oceani. Ci auguriamo che resti li poiché se mai tutto questo metano dovesse venir fuori. Giusto per spiegare bene la loro pericolosità c’è da dire che sembra siano stati causa dell’estinzione del Permiano. Commenta Giuseppe Onufrio direttore di Greenpeace Italia:

Sul clima dice una cosa incompleta: nel quinto rapporto si tratta anche il bilancio termico degli oceani che spiega il motivo per cui le temperature superficiali sono rimaste stabili o in leggero decremento; sullo shale gas non dice nulla sulle effettive riserve estraibili, ma dice che la tecnologia è discutibile; sui clatrati (idrati di metano) di cui ci sono ampie riserve nel fondo degli oceani, non si riesce ancora a estrarli per quanto ne so, in quando molecole instabili. Sono certo che il loro sfruttamento industriale non è ancora ritenuto fattibile. Come poi Rubbia pensi di usarlo a emissioni zero producendo grafite non l’ha detto, né se questo può farlo col metano ordinario.

Precisa Onufrio sui cambiamenti climatici a proposito dei dataset disponibili:

Il loro modello mostra che, alla superficie di continenti e mari, il tasso di riscaldamento è rallentato (ma non fermato, come riferito da Elena Dusi) da un maggior assorbimento di calore/energia nei primi 700 metri da parte degli oceani.

Noi vi raccontavamo lo scorso anno degli esperimenti del Giappone alla ricerca del metano offshore, ovvero dei clatrati e di come ENI, multinazionale nota per non essere esattamente dalla parte degli ambientalisti scrivesse:

Quello che è necessario evitare è che lo sfruttamento possa avvenire in modo irresponsabile: la liberazione di grandi quantità di metano potrebbe causare un aumento dell’effetto serra e, di conseguenza, un riscaldamento degli oceani. Inoltre i sedimenti delle scarpate continentali, in assenza di idrati, sarebbero costituiti da materiali incoerenti e instabili.1984 Nobel Prize Laureate in Physics Car

© Foto Getty Images

Fonte: ecoblog.it

Multa a Shell di 1.1 milione di dollari per aver violato il Clean Air Act in Alaska

L’EPA multa la Shell con 1.1 milione di dollari per aver violato i permessi del Clean Air Act durante le estrazioni di petrolio e gas in Alaskashell-594x350

Dopo le ispezioni dell’EPA, United States Environmental Protection Agency, risulta che l’Agenzia federale ha rilevato e documentato le violazioni durante i due mesi della stagione di perforazione nel 2012 gestiti dalle navi-piattaforma Discoverer e Kulluk a Chukchi e nel mare di Beaufort al largo di North Slope in Alaska. La Shell ha accettato di pagare una sanzione 710 mila dollari per per le violazioni della Discoverer e una pena di 390 mila dollari per le violazioni della Kulluk. EPA ha rilasciato i permessi della Clean Air Act alla Shell nei primi mesi del 2012. I permessi riguardano i limiti di emissione, i requisiti di controllo dell’inquinamento e di monitoraggio dei registri, relazioni sulle navi e le loro flotte di supporto dei rompighiaccio, navi antiversamento e navi di approvvigionamento. Non è la prima volta che negli Stati Uniti sono elevate multe salate ai produttori di petrolio. Già nel 2010 la BP pagò una multa da 15 milioni di dollari per l’inquinamento causato dalle raffinerie in Texas e per la stessa raffineria nel 2005 pagò una penale da 50 milioni di dollari dopo un incidente che causò la morte di 15 persone e oltre 170 feriti. C’è da aggiungere che Shell è al centro di una campagna mediatica da parte delle associazioni ambientaliste, Greenpeace in testa, che si stanno battendo affinché proprio le esplorazioni e le trivellazioni in Artico da parte di Shell non siano messe in atto. Dopo lo stop dovuto a cause tecniche sul finire del 2012 le attività sono riprese quest’anno. Greenpeace propone di fermare le trivellazioni Shell in Artico, fragile ecosistema che contribuisce a governare con i suoi ghiacci il clima del Pianeta.

Fonte:  EL

 

“La Terra non si governa con l’economia”: l’appello degli accademici italiani.

“La Terra non si governa con l’economia. Le leggi di natura prevalgono sulle leggi dell’uomo”. Questo il titolo dell’appello lanciato dalla comunità scientifica italiana e promosso dalla Società Italiana di Meteorologia, presieduta dal noto climatologo Luca Mercalli, tra i promotori dell’iniziativa. L’appello è indirizzato ai decisori economici e politici affinché inizino finalmente a considerare la questione ambientale una priorità.

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La crisi economica iniziata nel 2008 sottende molti altri segnali di fragilità connessi con:

– esaurimento delle risorse petrolifere e minerarie di facile estrazione;

– riscaldamento globale, eventi climatici estremi

pressione insostenibile sulle risorse naturali, foreste, suolo coltivabile, pesca oceanica;

– instabilità della produzione alimentare globale;

– aumento popolazione (oggi 7 miliardi, 9 nel 2050);

– perdita di biodiversità – desertificazione;

– distruzione di suolo fertile;

– aumento del livello oceanico e acidificazione delle acque

squilibri nel ciclo dell’azoto e del fosforo;

– accumulo di rifiuti tossici e inquinamento persistente dell’aria, delle acque e dei suoli con conseguenze sanitarie per l’Uomo e altre specie viventi;

– difficoltà approvvigionamento acqua potabile in molte regioni del mondo.

La comunità scientifica internazionale negli ultimi vent’anni ha compiuto enormi progressi nell’analizzare questi elementi.

Milioni [1] di articoli rigorosi, avallati da accademie scientifiche internazionali, una su tutte l’International Council for Science, nonché numerosi programmi di ricerca nazionali e internazionali, mostrano la criticità della situazione globale e l’urgente necessità di un cambio di paradigma. Il dominio culturale delle vecchie idee della crescita economica materiale, dell’aumento del Prodotto Interno Lordo delle Nazioni, della competitività e dell’accrescimento dei consumi persiste nei programmi dei governi come unica via d’uscita di questa crisi epocale. Queste strade sono irrealizzabili a causa dei limiti fisici planetari. Una regola di natura vuole che ad ogni crescita corrisponda una decrescita. La crescita economica, con i paradigmi attuali, segna la decrescita della naturalità del pianeta. I costi economici di queste scelte sono immani e le risorse finanziarie degli stati sono insufficienti a sostenerli. L’analisi dei problemi inerenti alla realtà fisica del mondo viene continuamente rimossa o minimizzata, rendendo vano l’enorme accumulo di sapere scientifico che potrebbe contribuire alla soluzione di problemi tuttavia sempre più complessi e irreversibili al trascorrere del tempo. Chiediamo pertanto al mondo dell’informazione di rompere la cortina di indifferenza che impedisce un approfondito dibattito sulla più grande sfida della storia dell’Umanità: la sostenibilità ambientale, estremamente marginale nelle politiche nazionali degli ultimi 20 anni e ad oggi assente dalla campagna elettorale in corso. Non si dia per scontato che il pensiero unico degli economisti ortodossi sia corretto per definizione. Si apra un confronto rigoroso e documentato con tutte le discipline che riguardano i fattori fondamentali che consentono la vita sulla Terra – i flussi di energia e di materia – e non soltanto i flussi di denaro che rappresentano una sovrastruttura culturale dell’Umanità ormai completamente disconnessa dalla realtà fisico-chimica-biologica. È quest’ultimo complesso di leggi naturali che governa insindacabilmente il pianeta da 4,5 miliardi di anni: non è disponibile a negoziati e non attende le lente decisioni umane.

1. Si ottiene con una semplice ricerca web di articoli scientifici sul tema Global Change.

Primi firmatari:

Ferdinando Boero, docente di Zoologia e Biologia Marina all’Università del Salento e associato all’Istituto di Scienze Marine del CNR.

Danilo Mainardi, professore emerito di ecologia comportamentale, università di Ca’Foscari, Venezia

Andrea Masullo, Docente di Fondamenti di Economia Sostenibile all’Università di Camerino

Luca Mercalli, Presidente Società Meteorologica Italiana e docente SSST Università di Torino

Angelo Tartaglia, docente al Politecnico di Torino, Dipartimento di Scienza Applicata e Tecnologia

Roberto Danovaro, professore di ecologia, Università Politecnica delle Marche, Presidente della Società Italiana di Ecologia.

Fonte: il cambiamento