L’Empire State Building s’illumina per gli animali in pericolo

An eye is projected on the Empire State Building, in the 'Projecting Change on the Empire State Building' project, made by the Oscar winning director and founder of Oceanic Preservation Society Louis Psihoyos and producer Fisher Stevens in New York on August 1, 2015. PHOTO/ KENA BETANCUR        (Photo credit should read KENA BETANCUR/AFP/Getty Images)

Cecil the lion from Zimbabwe that was killed by an American Dentist is seen on the Empire State Building, in the 'Projecting Change on the Empire State Building' project, made by the Oscar winning director and founder of Oceanic Preservation Society Louis Psihoyos and producer Fisher Stevens in New York on August 1, 2015. PHOTO/ KENA BETANCUR        (Photo credit should read KENA BETANCUR/AFP/Getty Images)

Animals are projected onto the side of the Empire State Building, in the 'Projecting Change on the Empire State Building' project, made by the Oscar winning director and founder of Oceanic Preservation Society Louis Psihoyos and producer Fisher Stevens in New York on August 1, 2015. PHOTO/ KENA BETANCUR        (Photo credit should read KENA BETANCUR/AFP/Getty Images)

NEW YORK, NY - AUGUST 01:  A view of general atmosphere during Projecting Change: The Empire State Building at The Empire State Building on August 1, 2015 in New York City.  (Photo by Grant Lamos IV/Getty Images for The Oceanic Preservation Society)

NEW YORK, NY - AUGUST 01:  A view of general atmosphere during Projecting Change: The Empire State Building at The Empire State Building on August 1, 2015 in New York City.  (Photo by Grant Lamos IV/Getty Images for The Oceanic Preservation Society)

NEW YORK, NY - AUGUST 01:  A view of general atmosphere during Projecting Change: The Empire State Building at The Empire State Building on August 1, 2015 in New York City.  (Photo by Grant Lamos IV/Getty Images for The Oceanic Preservation Society)

NEW YORK, NY - AUGUST 01:  A view of general atmosphere during Projecting Change: The Empire State Building at The Empire State Building on August 1, 2015 in New York City.  (Photo by Grant Lamos IV/Getty Images for The Oceanic Preservation Society)

L’Empire State Building, uno dei grattacieli più famosi del mondo si è illuminato sabato 1° agosto per far prendere coscienza ai newyorchesi e ai numerosi turisti in transito nella Grande Mela dei rischi che molte specie animali e molti ecosistemi stanno correndo a causa dell’attività umana. Già con The Cove, il regista e fondatore dell’Oceanic Preservation SocietyLouie Psihoyos, aveva portato alla ribalta internazionale il massacro annuale di migliaia di delfini in Giappone aggiudicandosi l’Oscar come migliore documentario. Questa volta il suo interventismo – in collaborazione con artista visuale Travis Threlkel – ha trovato uno schermo ben più grande di quello di un normale cinema: i 381 metri dell’Empire State Building che con i 443 metri di altezza comprendenti la guglia fu, fra il 1931 e il 1967 il grattacielo più alto del mondo prima di venire superato dalle Twin Towers.Come raccontato dalle immagini della nostra fotostory, sabato 1° agosto il grattacielo di Manhattan è stato illuminato con la proiezione di immagini animate di alcune specie animali che corrono il pericolo di estinzione: leoni, canguri, camaleonti, scimmie, cetacei, pesci, anfibi, gufi e insetti. Per tutta la sera le immagini delle specie a rischio hanno illuminato la notte di Manhattan e sono state riprese da smartphone e tablet diffondendo – come nelle aspettative del suo artefice – il messaggio ecologista di Psihoyos.

Fonte: ecoblog.it

Quasi 23.000 specie stanno per estinguersi

Le statistiche lasciano basiti, vanno anche al di là di quanto ci si possa immaginare. Secondo l’International Union for Conservation of Nature’s (IUCN), delle 77.340 specie che sono minacciate, un terzo sta già per estinguersi, cioè quasi 23.000.specie_in_estinzione

Sono a un passo dall’estinzione animali come il leone, il leone marino della Nuova Zelanda, il gatto dorato africano, ma anche molte specie di piante, come la quasi totalità delle orchidee asiatiche. «L’ultimo aggiornamento effettuato – spiegano allo IUCN – deve servire da sveglia, ci deve ricordare che il mondo naturale è diventato vulnerabilissimo. La comunità internazionale deve spendersi con urgenza in tutti gli sforzi possibili per assicurare il mantenimento della biodiversità, quella diversità biologica insostituibile che ci permette di vivere ogni giorno su questo pianeta». La maggior parte delle specie che stanno per estinguersi deve la propria condizione alla distruzione degli habitat (85%), poi ci sono il commercio illegale di esemplari e l’invasione di specie che sopraffanno le altre. Inoltre, esiste ancora un grosso commercio di parti di animali per uso medicinale che vede quindi l’uccisione degli esemplari. «Continuiamo a distruggere la popolazione animale e non capiamo che occorre invertire drasticamente la tendenza»­ ha spiegato Jane Smart, direttore del Global Species Programme allo IUCN. C’è assoluto bisogno di politiche governative e strategie che adottino provvedimenti a preservazione degli habitat naturali e che inducano ciascuno di noi a modificare i propri stili di vita. Intanto qualche giorno fa l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato all’unanimità una risoluzione contro il bracconaggio e il traffico illegale di specie protette. Promossa dal Gabon e dalla Germania, la proposta era sostenuta da oltre 70 paesi, tra cui l’Italia. L’obiettivo è di fermare la crescente domanda sul mercato nero di animali definiti “parte insostituibile degli ecosistemi della Terra”. La risoluzione sollecita la comunità internazionale a “fare passi decisivi a livello nazionale per prevenire, combattere e sradicare il commercio illegale di fauna selvatica” attraverso il rafforzamento delle leggi, del sistema giudiziario e della collaborazione tra forze di polizia, oltre alla partecipazione delle comunità locali. Il grosso limite di questa risoluzione sta nel fatto che non è giuridicamente vincolante per gli Stati e quindi tutti gli entusiasmi con cui è stata accolta potrebbero andare presto delusi se le nazioni non si adegueranno. Purtroppo se manca la volontà vera di agire nel concreto, qualsiasi proclama resterà tale.

Fonte: ilcambiamento.it

Farfalla Monarca in estinzione, la Monsanto tra le cause

Secondo uno studio recente, il glifosato, principio attivo dell’erbicida RoundUp, prodotto dalla multinazionale americana, è la causa principale della riduzione di questa specie di farfalla, il cui numero è diminuito dell’80% rispetto agli anni novanta. Tra le altre cause, si annoverano il disboscamento illegale e i cambiamenti climatici.monarca_470

La monarca (Danaus plexippus) è una farfalla della famiglia Nymphalidae, nativa dell’America. E’ famosa per la straordinaria migrazione di massa che ogni inverno porta milioni di questi insetti in California e in Messico. Le monarca dell’America del Nord sono le uniche farfalle a compiere un viaggio così pesante: quasi 5 mila chilometri. Gli insetti devono mettersi in volo ogni autunno prima che arrivi il freddo, che può ucciderli se indugiano troppo a lungo.
Purtroppo un recente studio scientifico conferma che il numero di questa splendida specie si è ridotto dell’80%. La Xerces Society, un’organizzazione no profit che mira a preservare la fauna selvatica attraverso la conservazione degli invertebrati e dei loro habitat, osserva che “negli anni 90, le stime parlavano di più di un miliardo di questi esemplari che migravano ogni autunno dalle pianure settentrionali degli Stati Uniti alle foreste di abeti del Canada fino ad arrivare a nord di Città del Messico”. Ora, invece, la popolazione delle farfalle monarca si aggira attorno ai 56,5 milioni, con una riduzione appunto di più dell’80% rispetto a venti anni fa. E questa diminuzione è emersa soprattutto negli ultimi anni. Quali le cause di tutto questo?eastern_pop_graph_20151_470

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In cima alla lista ci sono gli erbicidi e i diserbanti, primo fra tutti il glifosato, il principio attivo del RoundUp della Monsanto, il cui impiego diffuso ha ucciso l’euforbia (Asclepias), pianta fondamentale per il sostentamento dei bruchi, il cui sviluppo, dall’uovo all’adulto, si completa in circa 30 giorni. Ricordiamo che la Monsanto è la multinazionale produttrice di biotecnologie agrarie al centro di molte critiche e cause legali per l’uso indiscriminato di sementi ogm e di pesticidi, e che il glifosato è stato inserito dallo Iarc dell’OMS, Agenzia Internazionale sul Cancro, tra le sostanze probabilmente cancerogene per l’uomo e sicuramente cancerogene per gli animali.
Pochi mesi fa, il Natural Resources Defense Council ha criticato fortemente l’EPA (Environmental Protection Agency) per non aver tenuto conto delle continue segnalazioni sulla pericolosità del glifosato nei confronti delle farfalle. La risposta dell’EPA non si è fatta attendere, affermando che stava “prendendo una serie di misure volte a tutelare la farfalla monarca e altri impollinatori. Per quanto riguarda l’esposizione ai pesticidi, l’EPA analizza con un approccio olistico tutti i diserbanti, non solo il glifosato, per determinare gli effetti sulle farfalle monarca”.
Di contro, la Xerces Society sostiene che, in particolare nel Midwest, la morte delle farfalle è dovuta principalmente al drammatico aumento dell’uso del Roundup della Monsanto, reso possibile dalle piantagioni di mais e soia geneticamente modificate. Sostanze chimiche simili sono anche la causa principale dell’estinzione delle api.
Oltre alla Monsanto, l’organizzazione cita tra le cause anche dei rischi ambientali, tra i quali il disboscamento illegale che ha distrutto intere regioni di svernamento delle farfalle, sostituendole con insediamenti residenziali, e i cambiamenti climatici, caratterizzati da eventi estremi. I parassiti, le malattie e i predatori hanno fatto il resto.
Nonostante tutto questo c’è un grande sforzo per salvare le farfalle monarca. Alla fine dello scorso anno, lo U.S. Fish and Wildlife Service ha destinato alla causa la cifra di 3.200.000 di dollari. L’estate scorsa, le organizzazioni ambientaliste hanno presentato una petizione per aggiungere le farfalle monarca alla lista delle specie in via di estinzione. Dal canto suo, la Xerces Society, in collaborazione con lo USDA (Natural Resources Conservation Service) del Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti, ha portato alla salvaguardia di più di 120.000 acri di terreno, piantando fiori ed erbe, tra cui l’euforbia, necessari all’impollinazione delle monarca e di altri insetti, compresi le api.

Fonte: ilcambiamento.it

Il nostro futuro nelle mani delle api

Uno studio dell’UE afferma che il 9,2% delle api europee è a rischio estinzione. Mentre in Italia la produzione è calata del 50% in 7 anni. Vittime di pesticidi, inquinamento e cambiamenti climatici, questi meravigliosi insetti riusciranno difficilmente a sopravvivere, mettendo a serio rischio l’intera catena alimentare. Per evitare il disastro istituzioni e associazioni corrono ai ripari.ape_cover

L’allarme sull’estinzione delle api è stato lanciato più volte nel corso degli ultimi anni. Noi dipendiamo anche da loro, visto che 71 delle 100 colture più importanti al mondo si riproducono grazie all’impollinazione. Ma per salvarle, bisogna prima contarle. E’ da poco operativa l’anagrafe delle api, che dà la possibilità agli apicoltori italiani di registrarsi sul portale del Sistema informativo veterinario accessibile dal portale del Ministero della Salute. Operatori delle Asl, aziende e allevatori potranno accedere all’anagrafe per registrare le attività, comunicare una nuova apertura, specificare la consistenza degli apiari e il numero di arnie o le movimentazioni per compravendite. Sul sito www.vetinfo.sanita.it, una sezione pubblica dedicata all’Apicoltura consentirà di avviare la procedura online di richiesta account. D’altronde i numeri parlano chiaro: le api italiane sono diminuite del 40% dal 2008 ad oggi, con conseguente calo della produzione di miele del 50%; siamo quarti nella classifica dell’apicoltura europea; le importazioni sono aumentate del 17%, di contro le esportazioni sono diminuite del 26%. La situazione è preoccupante non solo in Italia, ma anche nel resto d’Europa: in Inghilterra si stima che le api scompariranno del tutto entro il 2020. Gli scienziati la chiamano “Sindrome dello Spopolamento degli Alveari”. E questo fenomeno è stato recentemente confermato da uno studio dell’Unione Europea, denominato “European Red List of Bees”, che censisce 1.965 specie di api del vecchio continente. Bene, il 9,2% è a rischio estinzione, una percentuale che sale a quasi un quarto (25,8%) nel caso dei “bombi”, impollinatori molto importanti della stessa famiglia; il 7,7% (150 specie) è in declino, il 12,6% (244 specie) è più o meno stabile e lo 0,7% (13 specie) è in aumento. Per circa il 56,7% delle specie purtroppo non ci sono dati, esperti e finanziamenti sufficienti, per capire i trend delle popolazioni. Fra questi anche quelli relativi all’ape da miele per eccellenza, la Apis Mellifera, per la quale occorrono nuove ricerche proprio per distinguere le popolazioni selvatiche da quelle “addomesticate”.
Ma quali sono le cause di questo disastro? Le prime due sono da ricercarsi ovviamente nell’uso dei pesticidi e nell’inquinamento. Poi seguono i cambiamenti climatici, la malnutrizione degli insetti e le infezioni, come nel caso dell’Aethina Tumida, il coleottero degli Alveari. Il Ministero della Salute ha già trasmesso una nota agli Assessorati alla Sanità e ai Servizi Veterinari di tutte le Regioni e Province Autonome italiane, ordinando di mettere in atto il Piano di Sorveglianza che il Ministero della Salute ha concordato con il Centro di referenza nazionale per le malattie delle api. Esso prevede controlli clinici condotti su apiari stanziali, da individuarsi in modalità “random”, e in controlli clinici condotti su apiari selezionati sulla base del rischio, adottando i seguenti criteri: a) apiari che hanno effettuato attività di nomadismo fuori Regione o Provincia autonoma; b) apiari che ricevono materiale biologico (api regine, pacchi d’ape, ecc.) da altre Regioni e Province autonome; c) apiari ritenuti a rischio in funzione di altri criteri territoriali o produttivi.
Accanto al contesto istituzionale, numerose sono le iniziative di associazioni ed enti, a cui noi de Il Cambiamento abbiamo dato spazio recentemente (leggi articoli in fondo). Oggi segnaliamo il progetto di Life Gate, “Bee my Future. Le api non fanno solo il miele. Il nostro futuro dipende anche da loro”, che si prefigge l’obiettivo di contribuire alla tutela delle api sostenendo un allevamento che parte da cinque alveari, dati in gestione ad un apicoltore, appositamente selezionato dall’Associazione APAM – Associazione Produttori Apistici della Provincia di Milano, con esperienza decennale e con una profonda conoscenza dell’apicoltura. Il progetto prevede l’acquisto degli sciami e delle attrezzature necessarie (arnie e indumenti di protezione), l’assistenza tecnica all’apicoltore, la verifica e il monitoraggio delle attività e del loro stato di salute. L’apicoltore si occuperà dell’allevamento delle api ricevute in gestione e della produzione di miele in un contesto urbano, all’interno della provincia di Milano. Si seguiranno i principi guida del biologico, che prevedono la disposizione degli apiari in zone con colture e vegetazioni spontanee, che non confinano con aree trattate con pesticidi e lontane almeno mezzo chilometro da zone soggette a smog, utilizzando solamente materiali naturali. L’iniziativa Bee my Future è aperta però anche a tutti coloro che vorranno dare il proprio sostegno. In che modo sarà possibile aderire? Adottando mille api, in un anno, e contribuendo così alla loro tutela e conservazione. A tutti i sostenitori LifeGate manderà un attestato personalizzato e 5 kg di miele di acacia, millefiori o tiglio prodotto dalle api.

Fonte: ilcambiamento.it

Giardino botanico di Mentone, microcosmo dei tropici

Non solo palme, piante succulente e splendidi fiori,ma anche piante alimentari ed esemplari minacciati di estinzione

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Un giardino botanico riassume il mondo intero in pochi ettari di terreno: il suo fascino sta proprio in questo suo essere un microcosmo del nostro pianeta, ed è un fascino percepibile anche dai non esperti o appassionati di botanica. Il giardino Val Rahmeh di Mentone (1), appena oltre il confine di Ventimiglia, offre in particolare uno sguardo sulla vegetazione dei tropici. Anzi si potrebbe quasi dire che qui i tropici sono reinventati: palme, bambù e piante acquatiche nelle vallette in ombra, agavi, cactus e altre piante succulente nelle zone aride esposte in pieno sole. Il giardino merita di essere visitato non solo per i suoi splendidi fiori (nella foto in alto un ibisco, mentre nella gallery in fondo si possono ammirare, tra gli altri,  una dracena del Madagascar, un giglio africano, un loto delle Indie), ma anche per la sua collezione di piante alimentari. Per ognuna di esse (cacao, caffè, canna da zucchero, banana, agrumi) è fornita una bella mappa dei luoghi originari di coltivazione e della sua progressiva diffusione nei vari angoli del pianeta, ricostruendo in qualche modo la storia dell’umanità attraverso le piante. Il giardino ha dato anche un importante contributo alla conservazione di una specie che si sarebbe altrimenti estinta: la sophomora totomiro dell’isola di Pasqua. Il suo piccolo tronco era usato dagli abitanti locali per intagliare statuette e oggetti cerimoniali. Il numero di esemplari si ridusse nel XIX secolo per il pascolo intensivo sull’Isola  al punto che rimase un solo esemplare, estintosi verso la metà del XX secolo (2). Per fortuna erano stati presi rami da quest’ultimo alberello, poi trapiantati nelle serre di varie università. Il giardino di Mentone è l’unico ad essere riuscito a fare riprodurre la sophora all’aria aperta.

(1) Rahmeh non è francese, ma nemmeno arabo; era il cognome maltese della moglie di lord Ratcliff, governatore dell’isola di Malta che acquistò la villa nel 1905 e iniziò a curare il giardino.

(2) Evidentemente gli indigeni dell’isola di Pasqua non avevano imparato la lezione…leonotis-nepetifolia

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Fonte: ecoblog

Diavoli della Tasmania a rischio estinzione: gli ambientalisti australiani scendono in campo

La costruzione di dieci miniere nella regione di Tarkine, l’unica immune dal tumore facciale che ha decimato gli animali, potrebbe mettere a repentaglio la sopravvivenza della specie92487740-586x373

Gli ambientalisti australiani sono sul piede di guerra e hanno recentemente depositato una seconda azione legale contro la proposta di accelerare la costruzione di una nuova miniera aRiley Creek. La località si trova nella regione di Tarkine, nella Tasmania nord-occidentale, in un territorio dove nei prossimi cinque anni dovrebbero nascere ben dieci miniere e, secondo i movimenti che contestano la costruzione della nuova miniera, il processo di approvazione è stato “falsificato” dal governo locale per favorirne l’apertura. La tensione è forte: se da una parte ci sono le proteste degli ambientalisti, dall’altra proliferano i raduni che pro-miniere che vedono nei siti estrattivi una soluzione contro la crisi economica, anche perché la Tasmania è la regione con il più alto tasso di disoccupazione di tutta l’Australia. Il Tarkine è l’ultima zona nella quale non si è ancora diffuso il tumore facciale che ha ucciso più dell’80% della popolazione mondiale del diavolo della Tasmania: secondo gli ecologisti la costruzione delle miniere e l’attività estrattiva potrebbero avere un impatto devastante su questi animali, mettendone a rischio la sopravvivenza. L’Autorità di Protezione Ambientale della Tasmania abbia detto che il progetto di Riley Creek è

in grado di essere gestito in maniera ecologicamente accettabile, a condizione che le autorizzazioni ambientali imposte vengano accettate.

Il che include anche l’impatto che la costruzione e le attività della miniera avranno sui diavoli della Tasmania. Tre delle dieci miniere saranno in un’area di 15 chilometri ed è dunque opportuno che le valutazioni di impatto vengano fatte in maniera cumulativa. Il Tarkine – in cui ha sede la seconda foresta pluviale temperata più grande del mondo – rischia di diventare il prossimo campo di battaglia fra due fazioni fortemente polarizzate, pro o contro l’attività estrattiva. Non è una novità. Proprio in Tasmania è nato il primo partito politico verde del mondo, la tradizione di difesa del patrimonio naturale fa parte del Dna del territorio. I diavoli della Tasmania, insomma, sono in ottime mani.

Fonte:  The Guardian

 

La Giornata Mondiale della Terra 2013 è il 22 aprile

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Un giorno basterà a cambiare le sorti del nostro pianeta? E’ forse quello che si chiedono da alcuni anni anche gli organizzatori di un’importante evento internazionale:  The Earth Day, o, per dirla in italiano, la Giornata della Terra.

Gli eventi climatici catastrofici che si verificano sempre più di frequente, secondo molti studiosi, non sarebbero frutto di una normale alternanza climatica ma di qualcosa di più importante e pericoloso per il benessere del nostro pianeta. Anche di questo si parlerà in quel giorno, oltre che di inquinamento,deforestazione, estinzione di intere specie e di surriscaldamento globale. Sarà il 22 aprile 2013 la data che darà spazio anche quest’anno alla Giornata Mondiale della Terra. E questa volta gli organizzatori promettono un impegno maggiore rispetto alle classiche attività e agli eventi di stampo ecologista previsti un po’ in tutto il mondo. E’ con lo slogan “The Face of The Climate Change” che i promotori aprono le danze dell’Earth Day. Dal sito web relativo all’iniziativa al coinvolgimento dei principali social network, si vuole promuovere la giornata dedicata alla terra per sensibilizzare quante più persone ai problemi legati all’inquinamento. Inoltre si raccolgono suggerimenti, consigli e iniziative di aggregazione per incentivare al raggiungimento di una vita più sostenibile e spingere all’uso di pratiche sempre più green. In gruppo è meglio, secondo gli organizzatori, visto che le problematiche che rischiano di trasformare il nostro pianeta e peggiorare le nostre condizioni di vita si moltiplicano a loro volta. State connessi dunque, il 22 aprile è quasi alle porte!

Fonte: tuttogreen

Farfalle, il 60% è scomparso negli ultimi 20 anni: si parla di rischio estinzione

Secondo l’Agenzia Ambientale Europea negli ultimi 20 anni è scomparso il 60% delle farfalle mentre un quarto degli insetti sarebbe a rischio estinzione.

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In un convegno organizzato dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) la Commissione europea ha proposto al Comitato permanente Ue per la catena alimentare di sospendere l’uso di alcune sostanze utilizzate in campo agricolo: a partire dal 2013 e per due anni l’Europa propone di sospendere l’uso dei neonicotinoidi (clothianidin, imidacloprid e thiametoxam) come concianti e granulari su mais, colza, girasole e cotone, responsabili secondo recenti studi anche della morìa di api che sta attanagliando l’Europa. L’uso di tali sostanze è tuttavia consentito per altre colture: ciò farebbe persistere nel terreno una gran quantità di queste molecole. Oltre ad agire negativamente sulle api infatti, i neonicotinoidi avrebbero un impatto devastante anche sulle splendide farfalle e metterebbero a rischio la sopravvivenza di questi insetti variopinti. Un problema non unicamente europeo: il National Geographic infatti ha dato notizia, pochi mesi fa, di un censimento nell’habitat della farfalla nella Riserva della Biosfera della Farfalla Monarca in Messico: i ricercatori hanno scoperto che gli insetti occupano il 59% di territorio in meno rispetto all’anno precedente, che è anche l’area più ristretta da vent’anni a questa parte.

La carenza delle piante di euforbia, di cui si nutrono gli insetti più giovani, e le estreme fluttuazioni climatiche che comprendono temperature molto basse e forti precipitazioni sarebbero le cause principe di questo declino. La sopravvivenza delle farfalle potrebbe durare molto poco, complice anche i cambiamenti climatici; la siccità, gli inverni rigidi, le ondate di calore e le tempeste quasi tropicali che colpiscono sempre più spesso l’emisfero nord del pianeta sono letali per le larve delle farfalle. Il legame con il caso-api è evidente: i neonicotinoidi per questi insetti sono un veleno devastante: la posizione sempre più restrittiva verso la quale la Commissione Europea si sta orientando rende evidente la criticità del problema.

Fonte: National Geographic